sabato 17 settembre 2016

MAN IN THE DARK di FEDE ALVAREZ

Ogni tanto si sente il bisogno di un tuffo nel cinema puramente di genere. Non per rilassarsi, divertirsi, spiegazioni anche logiche, ci stanno, ma che non appartengono a uno spettatore indisciplinato. Il cinema altro e oltre, quello che fa dire ai più: " du palle!" a me piace e mi diverte. 
Mi piace guardare film di genere perché, non sempre ma spesso, è cinema degno di nota e che dietro a storie fantastiche o d'intrattenimento leggero, sa raccontare cose importanti.
Come le racconta? Sicuramente non con analisi sociali e politiche alla Dardenne, i miei amatissimi fratelli belgi, propio no. Diventa "politico" il modo di girare e di mettere in scena i personaggi. 
Eh, si!  Su questo punto condivido l'idea di Ken Loach che giudica " fascista" l'uso del grandangolo,  ora, è evidente che si tratti di forzatura, ma come molte cose esasperate nasconde una verità: filmare è sempre un atto politico, di scelte e responsabilità. Che divido con il mio pubblico.




Man in the dark, ad esempio è purissimo cinema di genere. Un omaggio al sotto genere : home invasion. Un derivato dai film d'assedio. Io amo questo tipo di cinema: girato in pochi spazi e luoghi, con un cast ridotto, dove contano le dinamiche umane per uscirne vivi. Che tu abbia a che fare con qualsiasi tipo di nemico, alla fine, in questo tipo di pellicole, le motivazioni e lo sguardo sull'essere umano, volenti o nolenti, esce e si palesa davanti agli occhi meravigliati e stupiti degli spettatori.
Si, parlo di meraviglia, perché codesta pellicola lo è in  tutto e per tutto!
Merito del suo regista, il più che promettente : Fede Alvarez
Il quale dopo averci stupito e conquistato con il più che riuscito "remake", ma preferisco parlare di rielaborazione autonoma di un classico del cinema horror,  di " Evil Dead", torna con una pellicola che, forse, non ti saresti aspettato.
Scrivo questo perché " Don't breathe"- titolo originale di questo film- lascia lo splatter presente in dose massicce nell'opera precedente per spaventare in altro e totalmente differente modo.
In breve: Dtetroit non è più né la città dell'auto, né la città del rock. Cosa rimane? Un posto fallito economicamente, con un comune il quale è stato a lungo commissariato- e poi ci si lamenta di Roma, tsé-  e tutti i guai che si possono avere ad essere o trovarsi, poveri, nella terra della ricchezza ostentata, esibita, benedetta da Dio. 
Vi ricordate, prima, quando scrivevo che "filmare" è atto politico, ecco volevo dir questo. Riprendere ed ambientare una storia nata per intrattenere, in un quartiere disabitato, abbandonato, che cade a pezzi è simbolo che non vuoi solo spaventare, ma con le inquadrature, in modo anche defilato, con pochissimi dialoghi e spiegazioni di cosa spinga i personaggi a far certe scelte, tu stai parlando anche di cose più serie e dure.
La miseria, la totale non fiducia nel futuro o, ironicamente,  il contrario un sogno di riscatto, portano delle persone a far scelte sbagliate. Come la solitudine, l'emarginazione, un dolore invincibile, la legge e giustizia come fattore personale, spingono altri a diventare belve
Il tutto in un non luogo, nel cuore della più grande democrazia mondiale.

Tre ragazzi, una coppia e un loro amico, occupano le loro vite sottoproletarie con i furti nelle case di gente facoltosa. Esproprio proletario, in un certo senso. Hanno anche un loro codice legato non tanto a motivazioni etiche, ma per non dover far troppi anni di galera. Uno di dessi, Alex, è innamorato della protagonista, Rocky, legata al bullo del terzetto. Costui sfrutta il fatto che suo padre lavori in una ditta la quale si occupa di installare allarmi, per prender le chiavi e compiere i loro furti. Un giorno scoprono che, in un quartiere abbandonato, vive un vecchio. Ex reduce della prima guerra del golfo.  Cieco, solo. Ha perso la figlia in un incidente. La responsabile essendo di famiglia ricca, gli ha dato molti soldi. In segno di risarcimento. D'altronde nel mondo liberal-capitalista, ogni cosa ha un suo prezzo, anche il dolore assoluto della perdita di una bambina.
Quello che dovrebbe esser un "simple plan", tanto per citare il produttore del film: Sam Raimi, si trasforma in un incubo.
Ora, come puoi girare un film del genere? Puoi puntare a un pubblico di bocca buona: scene splatter ma con risvolti anche ironici e sarcastici, inquadrature anatomiche della protagonista,  battutine e strizzatine d'occhio, un citazionismo invadente. Questo è un modo, giusto o sbagliato decidete voi. Come potresti continuare sulla strada presa con il film precedente,visto il successo
Alvarez, saggiamente, rischia e cambia registro. Pochissimo o nullo splatter. tantissima tensione dovuta ai silenzi, all'attesa, all'uso perfetto della macchina cinema. Inquadrature, movimenti della mdp, primi piani. 
E ti senti intrappolato dentro quella casa. Tifi per i due ragazzi sopravvissuti, affinché possano salvarsi, non è uno di quei film fascisti, ce ne sono nel genere, che ti spingono a desiderar la morte di personaggi-macchiette. Film che vogliono stuzzicare il lato sadico e vigliacco dello spettatore. Qui non succede nulla di tutto questo. Perché attraverso il suggerito, pochi dialoghi e una scena in un fatiscente soggiorno, ti spiega che questi ragazzi sono delle vittime.  Come lo è, in parte, anche il loro aguzzino. Sono persone emarginate che reagiscono come possono al dolore e alla povertà.
Ci tengo che codesto punto sia ben chiaro. Non occupa con un trattato l'intero film e forse nemmeno interessava più di tanto al regista, ma l'ambientazione è fondamentale, ci dice molte cose.
Man in the dark, è un ottimo esempio di cinema legato al genere. Un piccolo gioiello di tensione,  e perfezione tecnica. 
Opera che conferma un nome da tener d'occhio, nel panorama del genere horror.

lunedì 12 settembre 2016

UN PADRE UNA FIGLIA di CRISTIAN MUNGIU

Le relazioni con gli altri sono sempre delicate, fragili, complesse.  Perché partono spesso da piccole confusioni,  profonde incomprensioni,  che ai nostri occhi prendono l'aspetto mendace dell'amore.
Però cosa significa amare? Sembra una domanda sciocca, sopratutto in tempi interminabili di crisi economiche,  di "benaltrismo", eppure dovrebbe essere - se non l'unica- la domanda più importante, quella che dovremmo farci ogni mattina.
L'amore ha a che fare con certi traguardi professionali? Si misura in successi sociali? Esso cresce sano e robusto solo in una società civile, democratica, soggetta alle leggi del mercato e del capitalismo?
Perché a legger i commenti contro il fertily day, una delle cose più imbarazzanti e inopportune mai fatte da un governo in Italia, pare che il figlio sia un oggetto economico. Come la  mia auto, la mia casa,  i miei elettrodomestici.  Il figlio viene dopo il lavoro. Il lavoro è quello che è, forse sarebbe meglio non metter al mondo nessuno. Un ragionamento che ci siamo convinti esser savio e doveroso. D'altronde pure De Andrè ci avvisava che " la voglia finisce, il figlio rimane e tanti ne uccide la fame".  Razionale, non possiamo dir altro.
Tuttavia un figlio non è una cosa che abbiamo comprato al centro commerciale, per il nostro piacere personale. Non è nemmeno lo" sfogatoio" mi si perdono l'orribile neologismo, delle nostre frustrazioni e repressioni, come non è nemmeno quella cosa di mia proprietà, attraverso il quale realizzerò i miei sogni ed obiettivi
Un  figlio è e rimane un atto d'amore.L'altro che nasce, si spera voluto e amato, da me e mia moglie, ma non è una nostra fotocopia, egli è una vita nuova. Con i suoi desideri e la sua felicità, non quella di suo padre o sua madre.
Questo tema, insieme alla crisi di un paese che si è sbronzato di cazzate sul capitale come libertà degli individui, è il tema di codesto magnifico film: Un padre una figlia





Storia di un medico, il quale esercita la professione in un paese romeno che non brilla per beltà architettonica, costui conta tantissimo sulla sua unica figliola per raggiungere, attraverso lei  i traguardi che con il tempo e l'amarezza di vivere, ha lasciato alle spalle. L'uomo ha una vera e propria ossessione per un passato che avrebbe dovuto trasformare la sua Nazione, e la sua vita,  e che invece non ha dato nessun buon frutto. Sicché scappare dalla sua Patria e andar a studiare in Inghilterra, landa idealizzata al massimo, sarebbe per tal uomo la cosa migliore che possa capitare a sua figlia.. Ci ha messo dentro, in questa possibilità di studio in un paese che lui ritiene civile e meraviglioso,  tutto sé stesso e la sua "bambina" è solo il mezzo necessario per realizzare questo progetto. 
Sia ben chiaro: Un padre una figlia non è un film su un padre umanissimo e amorevole che fa di tutto per coronare il sogno della sua creatura.  L'amore che dovrebbe esserci tra costoro, è viziato, indebolito, dalla proiezione che il padre fa dei suoi desideri su una figlia che "passivamente", almeno fino a un certo punto, subisce.
Dovrebbe farci riflettere e ragionare. Quanti di noi, con la scusa del " lo faccio per il tuo bene", " è per la tua felicità" o peggio " ti fai una posizione", implacabilmente snaturano la personalità del figlio e della figlia? Egoismo che talora si confonde con un'idea distorta di amore, altre volte - purtroppo- è proprio senso del possesso.
Il figlio è mio e me lo gestisco io. 
Per cui codesto padre pensa sia naturale, sano, giusto, passare sopra all'aggressione subita dalla figlia, a parte voler veder in galera l'aggressore perché hai messo le mani addosso alla mia bambina e come maschio mi incazzo a bestia, per far in modo che lei si diplomi e possa usufruire di una borsa di studio in Inghilterra. Non c'è umanità in un amore che non ha empatia, compassione, pietà, affetto, attenzione, verso l'altro perché sta tentando di vivere la sua vita, e non i nostri sogni frustrati.
C'è una scena che spiega tutto: quando il padre, arrabbiato perché la figlia tenta una piccola ribellione nei suoi confronti, la ricatta con la solita storia del " noi per te abbiamo fatto".  I pessimi genitori lo faranno sempre. In buonafede, la loro, ma non ci giurerei tanto. Il senso di colpa travestito da amore e sacrificio che il povero padre fa per la figliola funziona sempre. Il genitore otterrà il suo scopo, ma la figlia è giusto che si prenoti una bella visita da una psicologa.
Io credo che possa esser umano covare delle ambizioni, in particolare se le abbiamo fallite noi, e sperare che il figlio possa realizzare tutto quello che non abbiamo fatto. Ma una cosa umana non è sempre giusta. A volte è sbagliatissima.

Così Romeo, pur di non sentirsi sconfitto una seconda volta, farà di tutto per permettere alla figlia di passare gli esami di maturità e poter volare nell'amatissima- da lui- Inghilterra.
Il ceto medio-borghese non si smentisce mai: esterofilia, prole come sfogo dei propri desideri, mezzo economico da esibire in società, fuga dalla responsabilità di un matrimonio in crisi, che faccio prima a farmi una giovane amante, confusione assoluta tra rivoluzione- che non c'è stata in Romania, dispiace per liberali e libertari, ma è così- e restaurazione, svendita, omologazione a un sistema politico che regala libertà effimere e costringe le masse ad inventarsi con fatica una vita decente.
Ma tanto a costui cosa frega? Gli altri vivono e crepano in un paese e Nazione di merda, ma lui- sotto le mentite spoglie della figlia- si trastullerà con gli scoiattoli nel parco di Kensigton. L'individualismo più becero, nascosto sotto un'apparenza ragionevole, che magari a qualcuno - tra gli spettatori-  farà pure pietà e compassione, a me no.
Mungiu, da par suo, utilizza il rapporto padre e figlia per parlare del suo paese. Tanto che reputo codesta pellicola, un'opera assolutamente politica. Gli illusi della restaurazione, di quel periodo orribile di sbornie collettive con in sottofondo quella ridicola canzone degli Scorpions, che improvvisamente realizzano di esser stati ingannati, ma incapaci di accettare la verità e le loro responsabilità,  manipolano  le giovani generazioni, attraverso il sogno stanco della civiltà,  della libertà individuale. Ironicamente soffocata nella propria figlia, nel proprio popolo.

Il film se avesse una piccola speranza, sarebbe riposta nella giovane protagonista. Sicuramente incerta, dominata dall'amore sbagliato del padre a dir poco egoista, ma che non accetta la disonestà paterna- per quanto combattuta, ma nemmeno tanto- e cerca di farcela con le sue forze.  Romeo, questo il nome del protagonista, è talmente pieno di sé, nel bene e nel male, che nemmeno si accorge della forza, sicuramente fragile per via della giovane età, ma profonda, della sua figliola.
Questo, a mio avviso, il rimpianto profondo che permane l'intera pellicola.  Opera necessaria perché, come il buon cinema sa fare, parla a noi. Ci porta a riflettere sulle nostre debolezze, se per caso un giorno avessimo dei figlioli,  sull'importanza di seguire senza reprimere i desideri e felicità altrui, su quanto fosse nel giusto Alice Miller quando pubblicava opere come "La persecuzione del bambino", sui tanti sensi di colpa che sadicamente facciamo nascere nei figli, solo per mascherare la nostra inadeguatezza come genitore.
Andrebbe fatto vedere a tante di quelle famiglie!

Sapeva tutta la verità
il vecchio che vendeva carte e numeri,
però tua madre è stata dura da raggiungere,
lo so che senza me non c'era differenza:
saresti comunque nata,
ti avrebbe comunque avuta

Non c'era fiume quando l'amai;
non era propriamente ragazza,
però penso di avere fatto del mio meglio,
così a volte guardo se ti rassomiglio,
lo so, lo so che non è giusto,
però mi serve pure questo

Poi ti diranno che avevi un nonno generale,
e che tuo padre era al contrario
un po' anormale, e allora saprai
che porti il nome di un mio amico,
di uno dei pochi che non mi hanno mai tradito,
perché sei nata il giorno
che a lui moriva un sogno

E i sogni, i sogni,
i sogni vengono dal mare,
per tutti quelli
che han sempre scelto di sbagliare,
perché, perché vincere significa accettare,
se arrivo vuol dire che
a qualcuno può servire,
e questo, lo dovessi mai fare,
tu, questo, non me lo perdonare

E figlia, figlia,
non voglio che tu sia felice,
ma sempre contro,
finchè ti lasciano la voce;

vorranno
la foto col sorriso deficiente,
diranno:
"non ti agitare, che non serve a niente",
e invece tu grida forte,
la vita contro la morte

E figlia, figlia,
figlia sei bella come il sole,
come la terra,
come la rabbia, come il pane,
e so che t'innamorerai senza pensare,
e scusa,
scusa se ci vedremo poco e male:
lontano mi porta il sogno
ho un fiore qui dentro il pugno


Figlia, Roberto Vecchioni