lunedì 5 febbraio 2018

THE POST di STEVEN SPIELBERG

Credo che si possa far qualsiasi tipo di critica al cinema di Spielberg; più o meno, da quaranta e passa anni, sono sempre le stesse.
Il cinema mette in gioco la nostra sensibilità e visione del mondo, per cui è naturale che un modo di filmare ci piaccia e un altro no.
Non mancheranno quindi le accuse di retorica, uso sdolcinato dei bambini, dai! Le solite cose, appunto.
Eppure, c'è bisogno assoluto delle opere di Spielberg. Lo dovrebbero comprendere anche i suoi detrattori, di cui una volta - mi piace vantarmi- facevo parte. Perché il suo sguardo così limpido, cristallino,  sulla vita delle persone normali, è un dono che , in questi tempi, sarebbe meglio non lasciarsi sfuggire.
Ora, lasciatemi spiegare una cosa: non c'è nulla di male, offensivo, oscurantista, nel definirsi o voler rappresentare su schermo, delle persone normali. Oggi pensiamo che costoro siano uomini o donne grigi, noiosi, un po' bigotti e un tantino ammuffiti. Dobbiamo eccedere in stramberie varie, in originalità light e trasgressioni di seconda mano.
Tutti noi abbiamo un amico che abita in un posto dimenticato dalla amnesia, in cui al massimo si beve uno spritz di origine sospetta, che si fa un selfie come se fosse Mick Jagger degli anni che furono. Tutti amiamo apparire selvaggi, irriverenti, e sopratutto: interessanti. Per cui è una gara a chi è il più strano e originale della compa. Creando un curioso caso di conformismo dell'anti-conformismo.
Ci sono anche tanti registi che ci tengono ad apparire sempre provocatori, innovativi e chi cazzo siete voi, ecc.. Spielberg e la sua opera è altra cosa e si occupa di ben altro.
Nei suoi film è sempre presente il Male, ma noi non ne subiamo mai il suo fascino. Non ci sono strizzatine d'occhio al cinismo da happy hour, perché a lui sta a cuore un'altra cosa: la forza del singolo. Il cittadino medio, il quale si prende le sue responsabilità di fronte a qualcosa che minaccia la collettività.   Nei suoi film è fondamentale la difesa delle relazioni umane, di un mondo non perfetto o sempre giusto, ma sicuramente migliore. O migliorabile
Che siano sceriffi timorosi dell'acqua, ragazzi  divisi del loro cavallo, robot alla ricerca della mamma, o industriali che si oppongono al nazismo, tutti questi personaggi hanno una cosa in comune: lo straordinario che nasce dall'ordinario.  Vite che possono essere le nostre. Uomini e donne che possono essere nostri amici o parenti. Perché quando il gioco si fa duro, i duri vanno a farsi una birretta, le persone normali rimangono al loro posto. Non possono andare da nessuna altra parte.

Per cui ti senti riscattato da tutte le giornate noiose, dal fatto di guardarsi allo specchio e chiedersi: "Ma io cosa faccio? Non ho nulla di speciale"
Poi capita che fai la storia, così ..Nello spazio di una telefonata.

Una persona normale è l'impiegato della difesa, che fotocopia i dossier segreti, nei quali è descritto il gioco sporco della politica estera americana in Asia. In particolare  nel Vietnam.  Una donna normale è anche la proprietaria del Washington Post. Certo, ella è ricchissima, presenzia a feste dove sono ospitate le personalità più influenti della politica e cultura americana. Però, alla fin dei conti, è esattamente come molte altre donne, in particolare di quel periodo. Una moglie, una madre, una persona piacevole per una conservazione, ma che poi si faccia da parte! Ci pensano i ragazzi!
La bellezza del film sta tutto nel personaggio di Kay Graham.  Per la sua crescita costante, la trasformazione da donna impaurita, timida, quasi naif, a persona che prende il destino e la sua vita nelle proprie mani e si mette in gioco. Non è un'eroina, non è una donna "colle palle" - bruttissimo modo per definire delle docili rompicoglioni, no scherzo!- è una persona che sente di poter combinar qualcosa, ma è anche insicura e spaventata da ciò che la circonda.
La scena della telefonata ( dove deciderà di fare la storia e di farsi sentire da tutti) non è magnifica solo per la bravura di Meryl Streep, o per i dialoghi,  o la regia. Quella scena è magnifica perché parla a noi. Sì, a noi. Anche se dubito che io possa salvare il mondo o far uno scoop clamoroso. Mi fa riflettere sul fatto che si debba sempre tentare, lottare, azzardare; sopratutto quando il mondo ti intimorisce o sei costretto/a dentro un ruolo scelto da altri, con l'unico scopo di svilire le tue potenzialità.
The post è anche un grande film politico, che omaggia le indimenticabili pellicole liberal degli anni 70. C'è tanto "Tutti gli uomini del presidente  "ma anche "Diritto di cronaca". Certo Lumet, da noi mai abbastanza glorificato, non ci riempiva i suoi film di bimbette che fanno la limonata e successiva scena in cui conta quanti dollari ha fatto. Ma è altro cinema, altro regista. Semmai, ancora una volta, si nota il profondissimo amore che Spielberg ha per il cinema. Tutto il cinema. Per questo, "The post", non sembra mai una pellicola derivativa, un omaggio forzato. Perché c'è tanta conoscenza e passione del e per il cinema, che non si deve stupire nessuno. Basta la storia, i personaggi, il messaggio.
C'è anche molta amarezza in questa pellicola. Forse questo è il tratto di distinzione rispetto alle pellicole civili del passato. Allora si pensava a un cambiamento sociale, etico, fra sessi e etnie, di classe. che non si è avverato. Sono arrivati gli anni 80 e ci siamo giocati gusto e cervello. La restaurazione alla lunga ha vinto. Chi faceva film d'impegno sociale, all'epoca aveva una rabbia sconosciuta oggi.
Spielberg gira un film malinconico, nonostante la frenesia e la forza dei personaggi, perché sappiamo che a volte si vincono delle battaglie ( che passeranno alla storia ma sono battaglie) mentre la guerra continua. Sopratutto ci viene mostrato come in certi ambienti l'amicizia non significhi molto. Il bellissimo dialogo, dove il direttore del Post descrive la natura della sua amicizia con J. F. Kennedy (alla luce dei documenti che inchiodano anche l'amatissimo presidente a colpe infamanti) è un esempio di come non esistano eroi o stagioni dell'innocenza. L'abilità di Spielberg è nel non calcare troppo la mano, ma nemmeno omettere questo grande disagio e profonda delusione.
Però anche questa volta il suo cinema morale, etico, profondo, ci insegna a non lasciarci andare. Non desistere e combattere con costanza e  fiducia nei propri mezzi. Portavoce di questo pensiero "spielberghiano", quasi il suo alter-ego nella pellicola, è Ben Bradlee. Un uomo che dirige un giornale importante, ma non ai livelli del blasonato New York Times, che ha successo nel suo ambiente, ma non è nemmeno il giornalista più idolatrato o apprezzato. Eppure, fiutando il caso dei dossier, si butta con determinazione e spirito. Vincendo una battaglia.
Non da solo, e anche questo è un buon messaggio da lanciare in tempi di individualismo esasperato.
The post è un film sul ruolo fondamentale dell'informazione. Ci ricorda quanto sia importante  pubblicare la verità- qualsiasi sia e a qualsiasi costo-e  battersi per una causa giusta. Io non credo che la stampa sia del tutto libera. Ci sono finanziatori e gruppi economici che detengono la proprietà dei giornali. Non credo che si pubblichino notizie contro i propri padroni. Puoi usarla anche malissimo questa libertà. Ad esempio scegliendo di raccontare frottole sulle armi chimiche, inventare nemici della nostra civiltà. Puoi farlo dalle pagine on line della tua oscura rivista o sulle colonne del Times. Però, quando delle persone libere e giuste, si incontrano e decidono di iniziare una giusta battaglia, l'informazione è un'arma  forte e potente come nessun altra. Succede pochissimo, ma succede.
Grazie a uomini e donne normali, che accettano la sfida in nome del potere al pop.. Ooops, sto facendo propaganda elettorale!
Noi abbiamo bisogno di questi uomini e queste donne. Noi abbiamo bisogno del cinema umano e sentimentale di Steven Spielberg.

2 commenti:

Kris Kelvin ha detto...

Boh, a me Spielberg non riesce più a coinvolgermi, ma forse è un problema mio... la retorica, l'idealismo, l'inguaribile suo ottimismo li accetto senza problemi, è solo che i suoi film non mi appassionano più. Li trovo manieristici, didascalici, stereotipati, ti conducono sempre esattamente dove te l'aspetti, languidamente e senza sorprese. Certo, ci sono sprazzi di grande cinema (la scena della telefonata è magistrale) ma fondamentalmente è un cinema vecchio, dove tutto è già visto (cosa aggiunge questo film a "Tutti gli uomini del presidente? " a mio avviso nulla). Si lasciano guardare, ma non mi restano più impressi.

babordo76 ha detto...

Ma sai, Spielberg è corente colla sua poetica. Non penso sia peggiorato o che. Questo film è un ottimo film su cosa dovrebbe essere la stampa, non su cosa sia effettivwmente. Cinema popolare di altissima qualità