venerdì 30 agosto 2019

L'Ospite di Duccio Chiarini

C'era una bellissima canzone di una band americana i Cracker, che si intitolava: I hate my generetion.
La trovavo splendida perché io odio la mia generazione. Odio in particolare l'assolversi, il giustificarsi, il vittimismo della mia generazione. Questi eterni confusi, eterni impauriti della vita e dai sentimenti. Ci attacchiamo alla nostra infanzia, ai film di quando eravamo bambini, arrivando al punto da far passare uno dei decenni peggiori di duemila e passa anni di vita umana, come un decennio fantastico, parlo degli anni 80.  Una generazione che vive convinta che la vita sia dar sfogo alle proprie soddisfazioni, di realizzare la propria libertà individuale, senza pagare nessun prezzo, senza responsabilità e conseguenze.
Stiamo insieme? Ma sì dai!. Fino a quando il sesso dura, poi banali come solo noi quarantenni riusciamo ad essere, si parte con la storia del " mi sento confusa",  "abbiamo i caratteri troppo diversi", come se l'amore fosse una cosa lineare, senza sfumature, votata al piacere della carne, portatrice di eterna felicità.
Non comprendiamo che nei piccoli gesti quotidiani, anche nel "passami il sale" esiste l'amore e la realizzazione di sé e della coppia.
La coppia, questa strana cosa! Sì, perché nell'epoca dei zitelloni (un tempo c'erano i vitelloni oggi abbiamo costoro) la coppia è quella cosa che ti toglie la  libertà, che ti soffoca,  non ti lascia mai un momento da dedicar a te e alla tua vita.  La mia generazione è formata da solitudini superficiali, nonostante i titoli accademici, quando ci sono, che è alla eterna ricerca di una sistemazione.  Perché stanno insieme? Perché illudono o fanno del male con la leggerezza nel cuore e il vuoto nel pensiero?
Non li capisco. Eppure sono miei coetanei.
L'ospite  è un film generazionale, parla di noi. Lo fa con delicatezza, malinconia, e - per bocca del suo protagonista- anche con qualche critica. Certo non abbiamo il coraggio di una sana e feroce autocritica per cui non siamo di fronte a un film che ha la forza e il coraggio delle opere giovanili di un Moretti, ma non è nemmeno questo il tipo di cinema che interessa al suo autore o che rientra nel pensiero di chi ha la mia età. Probabilmente aver avuto dei genitori che hanno fallito i loro sogni rivoluzionari o di libertà borghesi, ci ha portato a crescere senza una solida base, senza delle vere autorità da criticare e superare. Siamo costretti a tentare di volerci bene, di capire chi davvero siamo e cosa realmente ci piace.
La mia generazione è un po' come la musica ai tempi dei cd o degli mp3. Ascolti un minuto al massimo di una canzone e anche se ti piace la salti perché l'altra sarà più bella, ci rimani male perché non è così allora o torni indietro e non avanzi più nell'ascolto, illudendoti che sia la miglior canzone del mondo, o vai avanti assaggiando il riff e il ritornello, ma annoiandoti durante le strofe.
Guido come molti di noi subisce la debolezza, l'infantilismo, la codardia di amici, della fidanzata, di un mondo che vivacchia. Senza ideali, fedi, entusiasmi.
Per carità ci si innamora! Ma giusto per il brivido. Dobbiamo sempre sentirci su di giri, drogati di qualsiasi cosa ci possa far sballare, dimenticare il vuoto, la noia.
Ci annoiamo. E tediamo gli altri. Parliamo come vecchi ad appena trentanni, ma ci comportiamo come ragazzini sciocchi di quindici anni per tutta la vita.
Tuttavia un ottimo regista, cosa è in grado di fare? Di farti commuovere, divertire, appassionare alla disavventure di gente che è come te.  Di gente cpsì ne hai incontrata tanta nella tua vita e nonostante ti verrebbe voglia di prenderli a mazzate, gli vuoi bene.  Perché conosci i danni totali di quei padri che non devono chiedere mai, di quelli che nonostante non abbiano brillato in nulla e che seguono le regole più convenzionali, mettono su famiglia e ti guardano male.
Forse odio la mia generazione per colpa di un amore tanto forte quanto incapace di esprimersi. Forse perché come Guido non accetto che una mia amica mi dica " mi sono innamorata" come se fosse una ragazzina incosciente, che a questa inutile cotta dia più spazio e tempo che all'amore quotidiano per il marito e per i figli. Non tollero che un amico cambi continuamente partner facendo passare la sua codardia per una cosa tanto bella, poiché egli si innamora dell'amore.
Certo il mio punto di riferimento è Michele Apicella,  per cui il mio sguardo è sempre critico, pronto al giudizio,  a dir cosa è giusto, cosa sbagliato. E lotto per far valere tutto questo.
Ma questa è la mia visione, la mia riflessione indisciplinata, di semplice spettatore. L'intento del regista e del film è altro..  C'è un occhio attento ai dettagli reali, che trova sfogo e forza nei bellissimi dialoghi.
 È rarissimo che ti venga da pensare di assistere a una scena che tu ripeteresti pari pari dal vivo, perché nelle nostre vite si parla, si litiga, si soffre e gioisce così. I personaggi stessi, seppure fanno parte di uno stereotipo legato al genere, hanno una reale profondità che non sfocia nell'intellettualismo ma che vive di momenti di assoluta mediocrità, incapacità di agire, spaesati. come capita ogni volta che ci troviamo davanti a situazioni complicate, che non siamo in grado di gestire con responsabilità e maturità.
Chiarini mi ha tolto la corazza del rompipalle militante per farmi pensare sulle contraddizioni, le debolezze, della mia generazione. Perché sono anche le mie, o lo erano.
L'amore, l'amicizia, le relazioni, il lavoro, tutto è precario. Non ci rimane che difenderci sostenendo una parte, vivendo di facciate, il protagonista del film scoprirà la vera essenza delle cose, il dramma di vivere che assilla i suoi amici, vivendo da loro. Dormendo sui loro divani comprenderà la sottile tristezza di vivere.
Però non è un film triste, non è nichilista, cinico. Non è l'inno all'eterna indecisione, semplicemente rappresenta una parte dell'umanità.
Come Short Skin, il film precedente di Chiarini, descriveva benissimo l'adolescenza,  in questo caso è la vita dei giovani adulti. ad essere descritta . Lo smarrimento che si prova quando troppo tardi capisci che non sei più figlio, ma potresti e dovresti essere il padre di qualcuno.
Duccio Chiarini si conferma un ottimo regista, uno di quelli che saprà far la differenza nel mondo vario e contraddittorio delle commedie italiane. Ha uno stile riconoscibile, ottime capacità di scrittura e tanto amore per i suoi personaggi. Sopratutto questo sentimento di affetto e rispetto è in grado di farlo sentire agli spettatori.  Tanto che durante e dopo la visione ho riflettuto a lungo sulle debolezze e i punti di forza di noi quarantenni. 
L'opera ha avuto una vita lunghissima e travagliata, nessuno credeva che un film su una fetta di pubblico pressoché inesistente potesse interessare qualcuno. Al cinema ci vanno i ragazzini e i vecchi, per cui si tende a far film che possano attirare queste fasce d'età. Chiarini ha prodotto la prima stesura di questa opera ben undici anni fa.  Per cui era un film con protoagonisti più giovani e legato a situazioni prettamente giovanili.Causa problemi di produzione, il progetto è stato accantonato, per esser ripreso qualche anno fa.
Tutto questo tempo è stato ripagato con dei buoni incassi nonostante l'opera sia distribuita non proprio benissimo (spero di aver capito male ma sono solo sette le copie in circolazione),  l'incasso medio per copia lo piazza immediatamente dopo il Re Leone. Non male!
Il rischio è che il film non raggiunga un pubblico largo e trasversale che sicuramente saprebbe amare questo tipo di commedia. Perché non avendo fatto guerre, rivoluzioni, non avendo mai avuto grandi sogni, paradossalmente la mia generazione è aperta a tutti.  Le paure, le ansie, le insicurezze che abbiamo sono universali e colpiscono ogni essere umano.
Certo, io speravo che Guido, il protagonista del film, trattasse certe sue amiche e amici come il buon Michele Apicella in Bianca, ma per fortuna Chiarini è una brava persona e non un potenziale serial killer occhialuto.
La delicatezza, l'attenzione nel descrivere personaggi femminili lontani dagli stereotipi, i dialoghi, la colonna sonora e i suoi attori, sono solo alcuni tra i motivi per cui è giusto e doveroso andar a vedere questo ottimo film.
Perché siamo noi spettatori a decidere il destino di un film e di un regista, per farci perdonare il successo di tante cazzate, abbiamo ora l'occasione di rimediare sostenendo un buonissimo film, una splendida commedia, perché lasciarci scappare l'occasione?

giovedì 29 agosto 2019

THE NEST- Il Nido di ROBERTO DE FEO.

Andare al cinema per veder un film da cui non ti aspetti tanto e rimanere positivamente impressionato dopo pochi minuti, per giungere alla fine pensando di annotarsi il nome del regista perché ha un enorme talento e ci regalerà grandi soddisfazioni.
Peraltro è una stagione, questa del 2019 , in cui il genere horror ci ha deliziato con pellicole assai diverse tra di loro, ma tutte ben fatte. Capaci di inquietare e far riflettere ( come Us o Midsommar) o di intrattenerci rimanendo ancorati nel puro genere ( Crawl) ennesimo caso dello stato di ottima salute del genere.
The Nest opera prima di De Feo è un horror che usa molto bene lo spazio e il tempo. La casa è forse la vera protagonista, con i suoi corridoi e le camere in cui si nascondono segreti e azioni terribili..
Il tempo non viene sprecato con un senso del ritmo tanto vorticoso quanto inconsistente, ma al contrario ogni scena si adatta all'atmosfera immobile, cupa, claustrofobica della storia.
Dico questo per  avvisare quelli che rompono le palle contro i film lenti, considerandoli noiosi. Ripeto il film ha un ritmo compassato ma sempre con una sottile tensione capace di trasmettere disagio e paura nello spettatore.
Però il tempo è un elemento fondamentale non solo per un discorso tecnico, di regia, ma proprio all'interno della storia e per i personaggi.
Guardandolo ti chiedi in che epoca sia ambientato, per via degli oggetti un po' vintage, tuttavia altri elementi ci suggeriscono che la storia sta avvenendo ai nostri giorni. Tutto questo crea spaesamento nello spettatore. Una trovata di sceneggiatura davvero ottima.
Dove la regia tocca livelli davvero alti e nell'uso  dello spazio , ci si sente persi nelle riprese all'aperto e soffocare in quelle al chiuso.  Il tutto usando solo la macchina da presa e le inquadrature giuste.
A me ha fatto pensare ad alcuni drammi gotici degli anni 70, dove le espressioni degli attori, i costumi, la scenografia, giocano dei ruoli importanti e fondamentali.
Il film è anche una bellissima riflessione sull'amore. Quello materno che vuole proteggere il figlio e quello che a un certo punto entra prepotente nelle nostre vite, durante l'adolescenza, sconvolgendo ogni cosa e portandoci alla ribellione contro le regole della famiglia,  della società in cui viviamo. Cosa siamo disposti a fare per il bene delle persone che amiamo?  La libertà ha un suo prezzo anche molto amaro da pagare?
Queste domande sono quelle che rimangono nella mente di chi vede questa opera davvero notevole. Perché è indubbio che da genitori si tende a proteggere con mezzi spesso autoritari la prole. Si compie l'errore di creder che sappiamo cosa sia giusto per loro, pecchiamo di presunzione nel essere certi che conosciamo il bene e per far in modo che nessuno possa provar dolore, sofferenza, pericolo, creiamo un mondo soffocante, crudele, feroce.
L'amore che fa male, che avvelena i cuori.
E poi arriva l'amore della nostra vita. Il primo. Le emozioni che proviamo sono contrastanti e fortissime. Vanno dal timore di essere respinti al desiderio di passare la vita con l'oggetto del nostro innamoramento.
Non siamo ancora diventati i quarantenni confusi, vigliacchi, che fuggono dalle relazioni perché "troppo serie" e quindi tutto è perfetto, assoluto, meraviglioso, contro l'oppressione dei grandi, del loro mondo chiuso fatto di regole assurde.
Tuttavia l'amore che non guarda alla realtà del contesto sociale, quanto può durare e proteggere i ragazzi che dovranno affrontare il mondo esterno?
Ecco,  The Nest  ti porta a riflettere su queste cose. Lo fa rimanendo un horror. Senza diventare un saggio sui sentimenti.
Peraltro è bello vedere che il cinema di Shyamalan ha influenzato l'opera prima di De Feo. Infatti il finale spiazzante è una chicca degna del regista indiano- americano.
Per cui non perdete l'occasione di veder un film dell'orrore italiano girato benissimo, con una trama interessante e ricca di colpi di scena non messi a cazzo di cane, ma con una logica  e una coerenza non facile da trovare, sopratutto nelle opere prime.  Una parola infine sul cast, a mio avviso tutti assai bravi.
Molto bravi i due ragazzini,  che portano sullo schermo un ragazzo e una ragazza credibili, reali, anche nelle ingenuità. Ci si affeziona subito a loro. Ma a rubar la scena sono una straordinaria Francesca Cavallin che dona al personaggio della madre un giusto equilibrio tra crudeltà e amore, e Maurizio Lombardi, nel ruolo del dottore, una specie di Mengele, davvero terrorizzante.
The Nest è la prova che si possa ancora fare ottimo film di genere senza rompere le palle con le citazioni, o con una povertà di idee e mezzi spacciate per cinema indipendente. Questa pellicola è davvero ben fatta, un ottimo esempio di come il nostro cinema horror possa aver un ruolo importante nell'industria nazionale cinematografica.