lunedì 16 agosto 2021

Senza Distanza di Andrea Di Iorio

 Consumiamo oggetti e persone. Sprechiamo cibo e relazioni. Crediamo che "stare insieme" significhi "essere una coppia" e che l'innamoramento sia l'amore. Se la vita fosse un albero , la classe proletaria sarebbe la radice. Sottoterra, coperta dalla vita , dagli impegni, dalla sofferenza, eppure ben ferma, solida, con idee chiare, attaccate a quell'acqua- poca o tanta- che è fonte di sopravvivenza. Non c'è tempo per divagazioni, alibi, fantasie. Si vive e si combatte. E ti godi pure le tue meravigliose serate sul divano, in pantofole, a guardar cose sceme. Tu e la donna con cui hai scelto di vivere. 

Le foglie, invece, sono gli intellettuali- borghesi. Illuminati dalla luce del sole delle loro idee, mosse dal vento impetuoso delle loro passioni razionali, destinate a cadere perché deboli. Ossessionati dal dover essere alternativi, intelligenti, diversi da quel popolo ignorante, reazionario, fascista. Intellettualizzano tutto per aver ogni cosa sotto controllo, si creano alternative tanto acute quanto comiche.  Tutto questo perché sono terrorizzati dalla vita.  Adattano alle loro esigenze di ragazzini l'esistenza. Parlano di libertà perché forse l'han sentita cantare da De Andrè, o perchè fa figo e non impegna. Ma non sono né liberi, né felici,  men che meno un fulgido esempio di stile alternativo. Bimbi disperati, carichi di supponenza intellettuale e faciloneria. 

Sconfitti ancora prima di combattere, ma convinti di essere una straordinaria congrega di persone che vivono in un paese che non li merita, e dal quale non se ne vanno mai,  incapaci di provare qualsiasi cose che non riguardi i loro alibi e giustificazioni.

Tutto questo cosa ha che fare con questo buonissimo film? Nulla, o forse qualcosa..


Nel cinema è fondamentale il come e il chi, non il cosa. Perché anche il messaggio più giusto e importante, inserito all'interno di un prodotto scadente, non basta per render degno di nota e attenzione una pellicola. Tuttavia non basta. C'è un elemento decisivo (spesso ignorato) cioè che un buon film è quel prodotto che si lascia seguire e apprezzare anche da persone che non concordano affatto con quello che stanno vedendo. Perché quello che lo spettatore vede o sente, lo spinge a riflettere su sé stesso, le sue idee- le mie sono meraviglio...ah,no! Dubbi e umiltà che se no non mi danno la tessera bravo progressista. Mi scuso-  aprono dibattiti e discussioni. Cosa che è successo in casa nostra (parlo di me e mia moglie) dopo la visione di questa notevole e interessante opera prima. 



Andrea Di Iorio produce, scrive, compone ed esegue le musiche, e si occupa della regia, un vero ganassa come piace a noi proletari brianzoli. Uno che nel suo progetto ci crede tanto e si mette in prima fila, a viso aperto.  Ed è bello vedere questa passione nel volere filmare una tesi. Certo, un altro pregio del film è che è un'opera costruita per dar spazio, luce e importanza a una visione precisa di cosa sia la vita e sopratutto i legami di coppia, anche se qui non ci sono coppie, ma persone che stanno insieme-prendi nota Andrea ^_^ - e si vuol quindi rappresentare un'alternativa possibile e sicuramente migliore- per l'autore non per me me spettatore- quindi balza all'occhio il coraggio di questa opera prima, la quale pur facendo parte del filone ( che ha rotto i coglioni da tantissimo tempo) dei poveri trentenni/quarantenni precari nella vita e nel lavoro, sempre petulanti e frignoni, sposta in avanti e rielabora con un grande lavoro cerebrale e intellettuale, queste crisi per proporre- forse- una via d'uscita.  Che poi è la stessa che cantava Massimo Riva in " nuovo tipo d'amore", ma senza droga, alcol e rok'n'roll. 



Quello che colpisce e spicca, in questa opera prima, è la regia eccellente di Andrea, Incisiva, lirica, ma mai stucchevole, al servizio della tesi e dei personaggi, ma non trattenuta. Anzi, partecipe. Di Iorio ha personalità, idee, presenza . Tutte cose che rendono un regista davvero importante.  Per cui il chi e il come, sono ben che sistemati. Costui è ottimo in entrambi i casi. Altro punto di forza i bravissimi e bravissime. Lucrezia Guidone e Marco Cassini, Giovanni Anzaldo e Giulia Rupi, danno ai loro personaggi (sulla carta funzionali e anche un bel po' antipatici) mille sfumature, tonalità. li rendono non solo dei mezzi per esprimere un'idea, ma persone.   Ho apprezzato molto Enzo e Catia, ma tutti sono stati davvero molto bravi.

Chiedo invece venia a Elena Arvigp. bravissima come i suoi colleghi, ma ci tengo a dire e a far metter a verbale che volevo sopprimere il personaggio di Gaia, non l'attrice! Peraltro gestisce benissimo forse il personaggio più debole, troppo esplicito e con delle idee a dir poco assurde. Eppure anche codesto personaggio per me odioso ( #teamcatia) è stato spunto anche di riflessioni personali, di auto analisi, messa in discussione. Poi ho ragione e morta lì. Ma quando anche un personaggio che non sopporti per nulla ti spinge a un pensiero non banale, ecco vuol dire che il prodotto è buono.

Ah, dimenticavo: validissimo, seppur si vede poco,  Paolo Perinelli.  Al suo personaggio è legato il mio desiderio che il film diventasse un horror, tipo Midsommar, ma nel Molise. 


Ricapitolando: una regia eccellente e un cast di attori e attrici che fanno la differenza. La capacità di portare avanti un'idea, quasi una risposta filosofica a questioni legate alla vite delle persone che stanno insieme, ma non sono una coppia, e alcuni interessanti e stimolanti dialoghi che meriterebbero di essere approfonditi.

Mi riferisco a quando Marco dice che il lavoro ci ruba tempo e vita e la spiegazione del perché le camere rappresentino capitali del mondo. Per un discorso di esterofilia sciocca, di lamentarsi costantemente dell'Italia, con fare spocchioso e poi per vigliaccheria, rimanere .

Ecco, basta queste due riflessioni decisamente poco banali, per far in modo che io vi consigli codesto film. Come ho già detto non concordo con l'idea, ma sono sicuro che a molti piacerà. Per questo vi invito a veder il film e a farlo vedere.

Merita.

venerdì 13 agosto 2021

La Ferrovia Sotterranea di Benny Jenkins

 L'estate scorsa mi trovavo a Cesenatico in compagnia di mia moglie, come è ormai mia abitudine vado a comprare dei libri nella libreria Pagina 27.  Tra i tanti ottimi volumi acquistati spicca, senza ombra di dubbio, uno splendido romanzo che narra la fuga verso la libertà di una giovane schiava africana. L'opera letteraria in questione è violentissima, epica, colpisce duro al cuore del lettore. Una specie di storia del vecchio West vista dal punto di vista della popolazione afro-americana. Colson Whitehead diventa immediatamente uno dei miei scrittori preferiti, da aggiungere ad altri nomi importanti tra gli scrittori afro americani. Ho una forte passione per le loro storie, in quanto la schiavitù, la discriminazione, le carcerazioni di massa, svelano il lato nascosto degli Stati Uniti. Un lato appena accennato da chi - giustamente dal suo punto di vista- pretende di celebrare una nazione e il suo ridicolo sogno, ma che in sostanza ci dice molto sulla natura oppressiva, violenta, feroce degli U.S.A. 


Quando un libro ti cattura, emoziona, sconvolge, hai sempre paura che l'adattamento cinematografico o televisivo, possa deluderti. Non tanto per via delle libertà che i nuovi autori si prendono, ma perché magari quel sentimento rabbioso e tenero, quella sottolineatura di un momento storico che si vuol dimenticare, l'urgenza di parlar chiaro circa certe cose, possa andar perso in ammiccamenti, strumentalizzazioni o sciatterie.

Per questo quando ho saputo che da uno dei miei libri preferiti, si stava traendo una serie tv, mi son sentito un po' teso. Perché essendo un'opera molto viscerale si potrebbe trarre un film d'azione, che punta a scioccare e un po' superficiale, oppure cadere nell'errore inverso: trattenere ogni cosa, esser glaciali, cerebrali.  Paure che sono svanite appena ho letto il nome del regista.


Benny Jenkins mi era garbato assai con quel film bellissimo- ma che non è piaciuto a molti, di cui tanti di costoro per me hanno i classici gusti da cinefilo medio che si sente un capoccione de sta cippa-  che è Moonlight. Qui ci ritrovo la stessa grazia nel costruire inquadrature di grande intensità. Certo è aiutato da una troupe di ottimi professionisti, vedi ad esempio il modo con cui si usa la luce, le filtrazioni luminose. Tuttavia Jenkins riesce a gestire benissimo la materia d'origine. Violento e brutale in alcuni momenti, quasi insopportabile per la ferocia con cui gli esseri umani seviziano e uccidono con gusto altri esseri umani, profondamente lirico e struggente in altri momenti.  Questi ingredienti sono ben cucinanti insieme e un sapore non predomina mai su un altro.  D'altronde ci viene mostrato un paese feroce, crudele, ma l'obiettivo è il nord. La libertà, la civiltà.



La storia è quella di Cora, giovane schiava che vive in una piantagione di cotone in Georgia. Sua madre anni prima è riuscita a scappare e non è mai stata ripresa. La sua vita cambia quando conosce Ceasar uno schiavo erudito e spirito libero. Dopo una brutale uccisione (uno schiavo fuggiasco ripreso viene scarnificato a frustate e dato alle fiamme quando è ancora vivo) e alcune violenze da parte del nuovo padrone, costei con Ceasar e una loro amica scappano dalla piantagione. Durante la fuga, l'amoca di Cora viene presa e la ragazza per difesa è costretta a uccidere un ragazzino bianco. Cora e il suo collega di fuga usano una ferrovia sotterranea che si muove attraverso gli stati del sud direzione nord, per scappare. Sulle loro tracce c'è un abile e feroce cacciatore di fuggiaschi, il quale si muove sempre in compagnia di un bambino afro americano, suo fidatissimo aiutante e "figlio".

Nell'arco sia della lettura, che della visione, vi saranno tantissime avventure, spesso dolorose e tristissime per Cora. Fino a un finale di possibile, fragile, speranza.


Questa è una di quelle serie che a mio avviso andrebbero viste. Per la sua pulcretudine tecnica, di abbacinante lirismo, per la durezza di alcune situazione, per un meraviglioso monologo in cui il cattivo spiega cosa sia il Destino Manifesto e le origini degli Stati Uniti.  Io ve la consiglio.

lunedì 2 agosto 2021

Possession l'appartamento del diavolo di Alberto Pintò

 Una famiglia lascia il paese d'origine, nelle poverissime campagne spagnole del dopo Franco, per giungere nella capitale. Madrid è un luogo di possibilità, sogni che si realizzano, una vita dignitosa.  Il padre trova lavoro come operaio in una fabbrica che costruisce i bus cittadini, la madre lavora come commessa in un grande magazzino.  La figlia ha dovuto lasciare il fidanzato e spera di girare il mondo facendo la hostess, il figlio più grande è un ragazzo timido, balbuziente, intimorito dalla nuova vita e infine il piccolo è un bambino. Occhialuto. Come si fa a non volergli bene? Chiude l'allegra famiglia il personaggio misterioso, tanto che a volte se lo scordano anche il regista e gli sceneggiatori: il nonno con demenza senile.


Fossimo in un film di Spielberg o Virzì, giusto per citare due registi che adoro, seguiremmo le avventure di codesta famiglia tra grandissime gioie e qualche dolore, fino al finale in gloria. Invece è un horror, per cui state certi che di felicità per costoro ce ne sarà pochissima.

L'appartamento infatti è infestata da uno spirito rancoroso, frustrato nel suo sogno di aver una famiglia. Per questo tenterà di prendere il bambino piccolo, poi -come tutti gli spiriti rancorosi- par quasi cambiare idea, oppure , semplicemente, siamo passati a ispirarci a un altro horror.

Questo film mi è garbato. Un horror che si rifà alle pellicole americane di questi ultimi tempi,  un film che non si vergogna di essere un prodotto di genere e di omaggiare/copiare un maestro assoluto come James Wan. Tuttavia saremmo eccessivamente ingiusti con questa pellicola, qualora non le riconoscessimo di inserire quelle due o tre varianti che rendono il film più interessante rispetto alla media di film horror quasi tutti identici, che si limitano a sfruttare le regole di un sotto genere (in questo caso le presenze ostili in case maledette e le possessioni in un senso molto più largo) senza aggiungere nulla.


La natura profondamente proletaria, il tema sulle illusioni e speranze infrante perché rese impossibili dalla società reazionaria, capitalista,  che alla famiglia nega la ricchezza tanto agognata e allo spirito la possibilità di aver una famiglia tutta sua, dei bambini da crescere e amare, spostano questo film, che un tempo avremmo definito di cassetta, verso una riflessione più amara sulla disillusione, la solitudine, l'impossibilità di realizzarsi, di vivere la vita che vogliamo.

Tutto questo rimane sullo sfondo, non è un film di Astor o di altri che usano il cinema horror per veicolare messaggi, tematiche e tecniche da film d'autore europeo. Questo è un puro ed onesto film di genere, che sa come spaventare lo spettatore ( e renderlo sordo visto l'audio altissimo  spaccatimpani) ha un buon cast, un mostro spaventoso e una buona ambientazione.