lunedì 30 marzo 2020

SPECIALE VERDONE: MALEDETTO IL GIORNO CHE TI HO INCONTRATO/SONO PAZZO DI IRIS BLOND

La vita di/in coppia è quanto di più complesso possa esserci in una società individualista. La presenza di una persona che è altro e oltre a noi si scontra con dozzine di canzoni, film, consolidati pensieri comuni, per cui l'amore è un fatto naturale che non ha bisogno di altro a parte la sua stessa esistenza, per donare felicità alle persone coinvolte.
Non è così, esso è molto più simile al vivere quotidiano fatto di gesti e abitudini, che al romanticismo carico di possanza emotiva e frasi ad effetto, che vediamo nelle pellicole sentimentali americane.
Ci tengo a precisare che da sostenitore delle commedie romantiche, non ho nulla contro alle loro derive fantascientifiche a base di vissero per sempre felici e contenti. Questo bisogno di favole è legato all'ossessione per un sogno che prima o poi ci salverà dalla triste realtà che rifiutiamo. Milioni di americani con il loro american dream sono la prova vivente di questa teoria.
Non voglio far passare il pensiero che allora il cinema o la letteratura debbano solo raccontare il reale e il vero, perché spesso ci viene difficile comprendere cosa sia la verità e la realtà. Questioni filosofiche profondissime che non possiamo e vogliamo affrontare qui.
Per cui la pellicola d'evasione se fosse gestita bene potrebbe aver anche una forza sovversiva e potente contro la bieca realtà di uomini e donne come isole, sempre destinati a una solitudine che per vigliaccheria ci facciamo andar bene. D'altronde la stessa società che ci fornisce di canzoni d'amore e film romantici, nel concreto ci lascia credere che i nostri problemi relazionali, di impegno e responsabilità verso i legami, l'amore e l'altro, siano assolutamente normali. Infatti non mancano film o libri che sono inni ai quarantenni nevrotici e in crisi relazionale, spesso ci fanno ridere  ( Rebecca Bunch il personaggio principale di Crazy Ex Girlfriend è un classico esempio di questo tipo di caratterizzazioni)  ci rincuorano sui nostri fallimenti e debolezze. In questo caso il cinema tratta una verità e una realtà assolute del mondo in cui viviamo, ma l'effetto evasione è più o meno lo stesso.
In realtà il cinema dei rapporti precari, delle illusioni sentimentali, e delle nevrosi del singolo e della coppia ha un illustre padre: Woody Allen. I suoi film sono preziose testimonianze dell'amore (im)possibile legata a problematiche personali/esistenziali psicanalitiche.. L'arrivo di Allen sulle scene cinematografiche è stata una vera rivoluzione, tanto che per me c'è un prima e un dopo nel mondo assai complesso delle commedie, in seguito all'arrivo del maestro di New York.  Certo, sul finire degli anni cinquanta un film come "Marty" aveva in un qualche modo anticipato le tematiche alleniane, ma è proprio il lavoro costante di questo genio dell'arte cinematografica e non solo, che ha dato una scossa importante al genere e ai riferimenti.
Non vuol dire la fine della classica commedia romantica (che ripeto adoro)  ma l'affiancarsi di un approccio che ha un suo forte pubblico di riferimento.  Entrambi gli spettatori ricevono una certa consolazione durante la visione che sia l'idea di un sogno che ci strapperà dalla triste realtà o che la triste realtà è l'unica possibile, per cui cosa ti impegni a costruire rapporti solidi o credere di migliorare?
Ci tengo a sottolineare quanto l'importanza di Allen non si fermi solo al modo di scrivere sceneggiature o curare la regia, ma che si evidenzi in modo forse non ancora del tutto analizzato e compreso, nella recitazione.
Quel modo di frasi spezzate, balbettii, sarcasmo, è diventato un cliché per certi interpreti di film brillanti o leggeri. Certo nei film che si ispirano anche vagamente al metodo alleniano, manca la profondità di sguardo sull'essere umano, per cui la recitazione serve solo a farci provare simpatia per un tipo o una tipa goffo/a.
In Italia invece che succede/ succedeva? Bè, il nostro modo di intendere la commedia è assai diverso rispetto a quella americana e anche francese. Ha radici che vanno in profondità nella rappresentazione sociale, spesso usando un disarmante cinismo che non è mai facile scorciatoia per i fgihetti che amano "i film cattivi", ma l'amarissima constatazione che il mondo è un posto crudele e feroce. Quindi parliamo della grande scuola degli anni Sessanta e dei suoi maestri, mentre è forte anche la presenza di un modo di far commedia legata ai frizzi e lazzi trasportati dal palco dell'avanspettacolo alla celluloide. Macario, i primi film con la coppia Vianello- Tognazzi, e sopratutto Totò, rappresentano questo modo di far ridere le persone.
Nel tempo l'avanspettacolo che per decenni ha lanciato comici e artisti popolari ha lasciato spazio agli show in tv.  Una nuova generazione di comici ha preso d'assalto il cinema comico e leggero degli anni 80.
Sì, il Vanzinema e cinepanettoni vari.
Tuttavia proprio alcuni comici nati in tv presero una strada diversa rispetto al nazional-popolare più di grana grossa. Costoro da subito unirono la sana risata a uso e consumo di un pubblico vasto, alla introspezione malinconica, più o meno riuscita.
I loro nomi sono Francesco Nuti e Carlo Verdone.
I film dell'autore romano hanno sempre avuto un'attenzione particolare per le atmosfere malinconiche, la tragedia dietro la risata ( basti pensare all'episodio di Bianco Rosso Verdone con l'indimenticabile Sora Lella), una certa attenzione a nevrosi e malesseri esistenziali, certo si tratta di film che fanno parte dell'industria cinematografica senza preteste artistiche o di nicchia, ma non possiamo negare ad egli una grande capacità nel metter in scena personaggi e situazioni quasi sempre più interessanti rispetto alla commedia tipica degli anni che partono dal 1980 fino ai giorni nostri.
Verdone, a mio immodesto parere, ha dato il meglio di sé con due film che parlano di relazioni di coppia riuscendo a mescolare nel primo caso una storia alleniana in un contesto di commedia romantica tradizionale, o viceversa, e un ulteriore passo in avanti nel pessimismo molto simile - ma anche no- all'autore americano con quel bellissimo film che è "Sono pazzo di Iris Blond".

"Maledetto il giorno che ti ho incontrato" narra della possibilità d'amore di due persone che vanno in terapia.  Trovo bellissimo questo narrare e declinare l'affettività amorosa e la relazione di coppia, attraverso due persone problematiche.  Lo dico da uomo che da un po' di anni va in terapia.  Cosa pensate quando sentite dire da una persona che va da un psicologo? Una persona malata, ci può stare, ma come valutate la sua malattia? Cosa pensate davvero delle sue problematiche? Non è passato troppo tempo da quando si rimproverava i depressi e si trovava come cura l'idea che "muovere il culo dal divano o dal letto", potesse servire a qualcosa.
Perché se la malattia fisica, che si voglia o meno non ha importanza, muove a compassione, pietà, quella legata all'anima, ala mente, genera paura, distacco, sottovalutazione. A nessuno viene in mente di dire che un malato di cancro faccia finta, ma a molti viene da dire questa scemenza per i pazienti dei psicologi.
Per cui un film dove i protagonisti sono due persone problematiche che attraverso il loro rapporto di sostegno e amore trovano un modo di vivere, di essere nel mondo, l'ho sempre trovata una cosa bellissima. A livello di sceneggiatura penso sia il film più riuscito di Verdone, anche se - dobbiamo sottolinearlo- è forse il migliore in assoluto quando si tratta di scrivere personaggi complessi e umanissimi nel genere commedia. In più, anche nel caso di "Maledetto il giorno che ti ho incontrato", ha una grandissima dote, pure questa unica se ci pensate bene, quella di dar spazio e spessore ai personaggi che sulla carta dovrebbero essere di spalla. Non sono mai degli assoli totali i suoi film, a parte i primi due forse che seguivano però un discorso legato alle sue presenze in tv, c'è sempre massima attenzione per l'attrice che divide la scena con lui.
Ecco, va sottolineata la presenza femminile nei film di Verdone, che non è mai messa lì per facili doppi sensi o per la storiella d'amore alla Pieraccioni, ma sono persone a volte anche poco piacevoli - come Iris Blond-  mai macchiette.
Tutto questo in Maledetto il giorno che ti ho incontrato è fatto benissimo.  Inoltre trovo assolutamente entusiasmante come l'ambiente urbano rispecchi a pieno gli stati d'animo dei personaggi. Il cielo grigio della Gran Bretagna o della mia amatissima Milano,  è una continuazione atmosferica delle problematiche di Bernardo e di Camilla. Le loro indecisioni, le gioie, l'ansia, che li costringono a una vita "nuvolosa" trovano nelle location dei validi aiutanti.

Colgo l'occasione, prima di scrivere di questo straordinario film, che ovviamente le mie sono opinioni di uno spettatore, non certo le reali intenzioni degli autori o un trattato di critica cinematografica.  Dico questo perché ho letto spiegazioni del finale di questa pellicola che non mi vedono concorde,, anzi, per cui forse pecco in pessimismo e non ho dato il reale peso di quello che per me rimane una conclusione di assoluta tristezza.
Tuttavia avanziamo in questa analisi delle pellicole verdoniane,  sperando di non annoiarvi troppo.
Dopo il grande successo di critica e pubblico di "Viaggio di nozze", opera che riportava sul grande schermo il trasformismo dei primi due film del regista romano, Verdone torna con una commedia a parer mio abbastanza spiazzante. In questo caso c'è un radicalismo che prende lo spirito malinconico e alleniano di "Maledetto il giorno che ti ho incontrato" togliendo ogni parvenza di commedia romantica e lasciando che siano le delusioni, la reciproca tendenza a primeggiare sull'altro, a dettar regole e leggi.
Se Bernardo e Camilla cercano nelle reciproche mancanze e problematiche, una sorta di sostegno e unione per affrontare il cattivo tempo che li circonda, sia esteriormente che interiormente, tra Romeo e Iris non vi è mai la voglia di farcela insieme, di aiutarsi, ma semmai è potente il desiderio di realizzare il proprio, individuale, sogno di gloria. Crollato e negato a Romeo, dopo un rapido successo negli anni 70,  da edificare e costruire per dar un senso alla nullità totale che si sa di essere, da parte di Iris.
Questa volta il cielo grigio del Belgio, le sue cittadine industriali e le luci di Bruxelles, non sono simbolo di stati d'animo che potranno esser ribaltati una volta che i nostri protagonisti si abbandoneranno alle responsabilità di vivere ed amare.
Iris e Romeo sono travolti dal clima cupo, che crea distanza e diffidenza, solitudine e amarezza.  L'amore è sempre negato, o un rifugio per non essere/stare troppo solo o sola.  Parassitismo sentimentale, ecco come potremmo definire i rapporti che i protagonisti vivono tra loro o con le relazioni precedenti.
Pure il genere musicale scelto ha atmosfere gelide e rarefatte, specchio dell'aridità dei sentimenti che contraddistingue i due musicisti. Altro elemento sempre descritto e trattato con estremo rispetto nei film di Carlo Verdone, è senza ombra di dubbio la musica. Se in Maledetto il giorno che ti ho incontrato, Bernardo è un giornalista/critico musicale alle prese con una biografia di Hendrix ( ma la vera chiccha è far dire a Richard Benson "come dimenticare la biografia su Felix Pappalardi" credo che in pochi sappiano chi sia) in questo caso Romeo è un omaggio sentito e toccante nei confronti di tutti quei gruppi e cantanti romantici tipici degli anni 70. Anche la presenza di Mino Reitano è inserita in un contesto nostalgico ma non scevro da un'acuta e dolente nota di amarezza. Da parte sua Verdone mette in evidenza che è un fruitore di musica attento a quello che lo circonda. Per Romeo invece questo voler essere moderno dal punto di vista delle composizioni musicali, è un modo per rompere con le delusioni del passato, dovute a una relazione interrotta causa tradimento della compagna di vita e lavoro, e un presente in cui accompagna una cantante esistenzialista che dal passato non vuol proprio distaccarsi per non distruggere un mondo di abitudini e ricordi.
Dove però la sceneggiatura stupisce e convince ( questo film è stato co- scritto con Francesca Marciano autrice dello script di Maledetto il giorno che ti ho incontrato a cui si aggiunge Pasquale Plastino) è nella rappresentazione del personaggio femminile principale.
Iris, una bravissima Claudia Gerini, è la personalizzazione radicale ed estrema del tipico personaggio da commedia romantica di quel periodo ( e anche del nostro), in cui una donna libera e indipendente vive la sua affettuosità fisica senza dover tener conto di oscurantismi e reazione. Simbolo del benessere liberista nella vita delle giovani donne e anche degli uomini, seppure ad essi viene relegato un ruolo di seduttore/bambinone che è più tradizionale.
Qui l'oscurità non è nemica della fanciulla libera, che si rigenera giorno dopo giorno, usando il sesso per ribadire il fatto di essere vive e con un potere sull'altro, In questa pellicola è Iris l'oscurità, mescolato col nulla .
Non vale nemmeno la pena di pensare una redenzione attraverso l'amore ( come capita a Camilla, una straordinaria Margherita Buy in Maledetto il giorno che ti ho incontrato) perché Iris non è una persona in difficoltà che sta tentando di uscire dai suoi problemi. Lei come moltissime persone figlie del libero mercato, crede che aver problemi e tenerseli stretti sia l'unico modo per vivere. Per uscirne non cerca l'impegno di amare, ma la scorciatoia anche piacevole della scopata. Una illusione di gioia che dura poco, poi si  torna nel vuoto.
Iris usa Romeo perché far la cantante, esibirsi, le sembra in quel momento l'unico modo per far saper al mondo che esiste e vale, ma dura poco. 
Il finale è amarissimo perché segna la sconfitta di ogni sentimento, sacrificato alla chimera del successo ( Iris riconosce che senza Romeo è nulla) e per l'uomo è la fine del suo voler essere pigmalione e musicista riconosciuto  e apprezzato e dell'illusione di poter insegnare l'amore a una persona che non amando sé stessa non può amare nessuno altro.
L'ultima sequenza mostra Romeo in un locale con molta gente intorno a lui che canta un successo del duo di cui faceva parte quando c'era Iris.   Il pubblico c'è ma non è detto che segua la sua esibizione,  sopratutto il fatto che suoni una canzone legato a un particolare momento della sua vita e non sia passato ad altro, non ci mostra un uomo che finalmente ha trovato il successo, ma uno schiavo senza catene del tuo amore, come cantava Marco Ferradini
E Ferradini ha sempre ragione.

sabato 14 marzo 2020

ASSUNTA SPINA di FRANCESCA BERTINI e GUSTAVO SERENA.

Agli albori del cinema come intrattenimento di massa, la nostra industria cinematografica era tra le più solidi a livello mondiale, Tutto questo durò fino alla crisi pesantissima degli anni 20. Durante questo periodo è nato un vero e proprio Star System con un grande impatto sul popolo.
Francesca Bertini è stata forse la nostra stella cinematografica più importante e luminosa di quel periodo che oggi ci sembra lontano, arcaico, vetusto, ma di fondamentale importanza per la storia del cinema.
Certo non è facile accostarsi a questo modo di far film, siamo abituati al sonoro e polemizzare sul doppiaggio.  La voce dal 1929 in poi ha preso il posto del linguaggio del corpo. Molte emozioni si affidano alle capacità di render il dolore o la gioia a seconda dell'intonazione vocale, del volume di essa.  In quegli anni lontani invece era tutta una questione di corpo ed espressioni facciali. Oggi ci sembrano ridicoli, esagerati e involontariamente comici, però questo è l'inizio  di tutto e penso che armandoci di pazienza, curiosità, possiamo superare l'ostacolo e conoscere dei prodotti a dir poco sensazionali.
Lo scrivo, in particolare, per i giovani amanti del cinema o che sognano di far i critici, il cinema muto deve esser visto e apprezzato come importante documento storico, senza fissarsi troppo sui mezzi e la recitazione di quel periodo.
Francesca Bertini nasce a Prato il 5 gennaio del 1892 muore a Roma il 13 ottobre del 1985. Fin da piccola respira l'aria del palcoscenico, perché i suoi genitori adottivi lavorano in quel ambiente. Trascorre la sua infanzia a Napoli, entrando a far parte della Compagnia di Edoardo Scarpetta, figura di enorme importanza per il teatro. L'uomo che è alla base del teatro dialettale moderno, autore tra le altre cose della celeberrima commedia Miseria e Nobiltà.  Padre di Edoardo, Peppino, e Titina De Filippo, visto che oltre a recitare/scrivere gli veniva benissimo far figli.
Chiusa la parentesi su Scarpetta, torniamo alla Bertini. Il teatro e la vita difficile che gli attori vivono non le garba affatto per cui si lancia nel cinema. Qui ottiene piccoli ruoli marginali,  fino al Trovatore, forse il suo primo film da protagonista.
Il pubblico rimase ammaliato e stregato dalla sua bellezza, una donna dal fisico gracile, ma capace di emanare una forte passionalità, che esprimeva benissimo nei melodrammi e tragedie. Di fatto fu lei a creare il divismo italiano fuori e sul set (per esempio pretendendo di cambiare vestito per ogni scena).
La sua non fu una carriera lunghissima, ebbe un periodo di interruzione per via di una sua crisi finita in un ritiro in clinica per via dell'insuccesso du un'opera su cui puntava molto. L'avvento del sonoro poi fece precipitare le cose.
L'ultimo ruolo cinematografico, dopo alcune comparsate in una serie di pellicole non memorabili, fu sul set di Novecento.

In ogni caso la sua importanza, il suo stato di diva si vede anche dal fatto di aver scritto e diretto, oltre che interpretato, questo noto dramma di Salvatore Di Giacomo, notissimo poeta, saggista,  drammaturgo, dalle cui poesie sono nate numerosissime canzoni napoletane celebri in tutto il mondo.  Egli è alla base dell'opera che la coppia Bertini - Serena portano sullo schermo nel 1915.  Di Giacomo è accreditato come autore del soggetto.
Il film è la storia di una giovane donna, Assunta Spina, innamorata di tal Michele Boccadifuoco , un macellaio che ha un suo negozio a Napoli. Of course, non manca il classico O' Malamente, di nome Raffaele che cerca di sedurre la donna, ma invano. Per vendicarsi costui scrive una lettera omonima a Michele nel cui descrive la donna come una persona assai facile.
Questa cosa fa partire il dramma, che scoppia durante la festa di compleanno di Assunta, la quale turbata per l'indifferenza dell'amato decide di ballare con Raffaele. Michele furioso decide di sfregiarla. Arrestato, viene condannato a due anni di prigione, nonostante la donna testimoni in suo favore.
Assunta a fine processo viene avvicinata da un funzionario del tribunale che in cambio delle sue grazie fa in modo che Michele venga portato in un carcere vicino a dove vive la sua amata. La relazione con Federigo, questo il nome del funzionario, diventa sempre più seria, tanto che lei dimentica Michele. Costui però uscito in anticipo dal carcere scopre la tresca ed elimina il rivale, a questo punto Assunta si sacrifica per Michele, andando in galera al posto suo.
L'opera nonostante i suoi 105 anni, ha ancora intatto il suo fascino da sceneggiata napoletana, per alcuni (tra cui la stessa Bertini) questa opera è la prima pellicola neo realista italiana, non credo di esser del tutto concordo, rimane il fatto che rimane una testimonianza importante per la storia del nostro cinema.

venerdì 13 marzo 2020

ALLIGATOR di LEWIS TEAGUE.

Non c'è passione cinematografica più irresistibile per me, di un classico film che racconta di animali mangiatori di uomini. No, in realtà la passione irrefrenabile è per il Musical, ma anche questo genere "bestiale", mi garba parecchio.
Opere come "Grizzly l'orso che uccide", " Tentacoli", " Lo Squalo", " Piranha", mi son rimaste nel cuore e le riguardo appena posso.
 Questo film diretto da un validissimo mestierante come Teague è uno dei prodotti tipici di questo genere, ma dalla sua ha la sceneggiatura di una piccola leggenda del cinema indipendente americano, l'ottimo John Sayles.  Anche egli deve la carriera a Roger Corman, e ha conquistato un ruolo centrale nel cinema americano con pellicole a dir poco ottime come " Otto uomini fuori", " Stella Solitaria", " Fratello di un altro pianeta".
Qui Sayles si diverte a giocare con il genere, sfruttando i lati più ridicoli e stereotipati attraverso un senso dell'ironia che mette in luce la banalità dei dialoghi e le caratterizzazioni basate sui cliché, che vengono fatte esplodere con un sottile senso del grottesco.
  Il film si basa sulla leggenda popolare che circolava anni fa in America, legata ai cuccioli di alligatore gettati nei water, una volta che erano cresciuti troppo, finiti per sopravvivere nelle fogne cittadine.
Infatti la pellicola si apre con una bambina che dopo aver assistito a uno spettacolo in cui un uomo ci rimette quasi la vita per colpa dei morsi di un alligatore, vuole a tutti i costi un cucciolo di quella bestia, da tenere con sé come fosse un normale animale domestico. Il padre un giorno prende la bestiola e la butta nel gabinetto.
Anni dopo alcuni delitti nelle condotte fognarie spingono un detective della Omicidi a investigare.
L'uomo si chiama David Madison, non è visto di buon occhio né dai suoi colleghi né dalla stampa per via di un fatto di sangue accaduto anni prima e che ha portato alla morte di un suo collega.
L'uomo scopre che è coinvolto un istituto scientifico finanziato da un milionario cinico, i cui esperimenti, gestiti dal futuro genero, incentrati sullo sviluppo ormonale portano alla morte diversi cani. I loro cadaveri gettati nelle fogne vengono divorati dall'alligatore gettato nel water a inizio film.
Il film è un ottimo B- movie che si diverte a smontare e ridicolizzare le regole del genere, ma non dimentica nel frattempo di mostrare brutali delitti e amputazioni.   Ritagliandosi un posto particolare nel cuore di ogni amante delle pellicole di serie b strafottenti e divertenti.  il compianto Robert Foster interpreta molto bene la parte di questo eroe poco eroico, tormentato dalla calvizia imminente. Un personaggio diverso dal solito eroe di questo tipo di film, che infatti viene preso per i fondelli nella rappresentazione del personaggio del cacciatore interpretato da un auto ironico Henry Silva.
La sceneggiatura grottesca si sposa bene alla regia solida di Lewis Teague, regista che abbiamo apprezzato anche per Cujio e L'occhio del gatto, che dona potenza e ritmo alla pellicola.


mercoledì 11 marzo 2020

LA STREGA IN AMORE di DAMIANO DAMIANI.

Sergio Logan è un uomo che passa con leggerezza da una donna all'altra, senza impegnarsi mai.  Da un po' di tempo si sente spiato da una misteriosa signora anziana, la quale par pedinarlo e non staccargli gli occhi d'addosso. Un giorno l'uomo si trova a leggere un annuncio su un giornale per un lavoro, quanto pare lo stesso annuncio interessa anche alla enigmatica donna che  lo segue da giorni.
Giunto in un antico palazzo per il colloquio relativo all'annuncio, egli fa la scoperta che la padrona di quella vecchia magione è la megera che lo perseguita. La donna gli offre un posto da bibliotecario col compito di metter ordine tra le memorie del marito defunto.  Sergio non accetterebbe se all'improvviso irrompe la figlia di Consuelo, questo il nome dell'anziana, una giovane e piacente fanciulla di nome Aura. L'uomo come sua abitudine non capisce più nulla e vuol solo andar a letto con la giovane donna.
 L'incontro con Fabrizio, un uomo che vive anch'egli nel palazzo e che par nascondere un segreto terribile, l'ambiguità della donna e la presenza inquietante di Consuelo, cominciano a metter in ansia il povero Sergio, il quale forse è solo l'ennesima vittima di un'antica magia di seduzione e morte.

Damiano Damiani è noto per i suoi film sul tema della mafia, un regista in grado di unire spettacolo e denuncia sociale,  di cui ricordiamo " Il giorno della civetta" e  quello che in molti ritengono essere il suo film migliore tra le pellicole dedicate a Cosa Nostra, quel piccolo classico che risponde al titolo de " Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica".
Damiani ha debuttato con una trilogia di drammi intimisti che sono piaciuti molto alla critica, si tratta de "Il Rossetto", " Il Sicario" e la trasposizione cinematografica de "L'isola di Arturo", tratto dal romanzo di Elsa Morante.
 Si è dedicato anche il cinema western come l'ottimo "Quien Sabe" e a quello più rigorosamente d'autore come "La noia" ispirato al romanzo di Moravia.
Questa opera,  il suo sesto film, è un prodotto interessante e notevole.  Il regista riesce a gestire un dramma sentimentale, con atmosfere erotiche abbastanza audaci per quel periodo e un'atmosfera inquietante legata a una idea di horror legata all'atmosfera più che su aspetti raccapriccianti.
Il sesso è il vero motore della vicenda, sopratutto quel potere di seduzione del genere femminile che intrappola ai loro ordini un certo tipo di uomo. Costoro finiranno per perdersi nel palazzo agognando l'amore fisico con Aura, prima di esser sostituiti da altri bellimbusti.
Proprio sul confine tra erotismo e orrore che la pellicola offre il meglio di sé e conquista il consenso del pubblico. Perché la regia di Damiani è raffinata, mai dozzinale, sopratutto tenta di forzare l'idea di un cinema asessuato e pudibondo, in cui il delirio incontrollabile dei sensi è spesso dominato da elementi sentimentali e romantici. Qui non si narra di un uomo innamorato di una donna misteriosa e pericolosa, ma di un tizio che non riesce a controllare il suo desiderio sessuale, che brama l'avventura di una notte ( o anche di più se dovesse accettare il lavoro di bibliotecario) alle prese con l'inganno, la magia, la stregoneria.
L'opera ha dalla sua anche una sceneggiatura robusta e solida, firmata da Damiani con un altro nome abbastanza importante per certo cinema di genere, parlo di Ugo Liberatore.  Uno dei tanti artigiani del nostro cinema che è passato dalla commedia, al dramma d'autore, dallo spaghetti western a il genere horror, come regista rammentiamo Nero Veneziano, un film dell'orrore che da ragazzo mi garbava assai.

Ritornando alla pellicola di cui sto scrivendo, non posso evitate di menzionare il cast. Se Rosanna Schiaffino è funzionale al ruolo, come lo stesso attore protagonista Richard Johnson, la nostra attenzione viene rubata dall'interpretazione di Gian Maria Volontè, che appare per pochi minuti ma dà al suo personaggio l'enigmatico e ambiguo Fabrizio, uno spessore e tante sfaccettature da rimanere affascinati per la bravura di questo indimenticabile attore.
Giusto perché ultimamente pare che sia nato, secondo alcuni critici, l'horror d'autore, vi consiglio di vedere questa pellicola di oltre cinquanta anni fa.  Una produzione che riesce a dar al genere la raffinatezza del cinema impegnato e che a questo ultimo dona forza e potenza tipica del cinema popolare.

AUTOSTOP ROSSO SANGUE di PASQUALE FESTA CAMPANILE.

Pasquale Festa Campanile è stato noto sceneggiatore, regista e scrittore. Ha scritto molti film che hanno avuto anche un ottimo successo commerciale come Poveri ma Belli, tra gli altri ed i copioni di opere più impegnate della nostra industria cinematografica, come per esempio Un Magistrato, diretto da Luigi Zampa, Le Quattro Giornate di Napoli, Il Gattopardo. Giusto per citare alcuni film a cui ha dato un contributo significativo.  Talora le sue sceneggiature erano scritte insieme a un altro nome un po' dimenticato del nostro cinema: Massimo Franciosa.
Con costui debutta come regista,  girano un paio di film insieme, Le Voci Bianche è gradevole.  Ben presto Campanile comincia a girare da solo specializzandosi in commedie.   Opere che hanno un buon riscontro economico recitate da Adriano Celentano, Enrico Montesano, Renato Pozzetto.
Questo film è un'opera del tutto anomala rispetto a quanto fatto e farà  in seguito.  Oltre alla regia firma la sceneggiatura con Aldo Crudo e Ottavio Jemma, costui un valido sceneggiatore attivo anche con altri registi dell'epoca e di cui apprezzo assai il suo lavoro per  Montaldo con il film Gottt Mit Uns e per Sacco e Vanzetti.
La pellicola di cui ci stiamo occupando in questo post è tratto da un romanzo americano La Violenza e il Furore, di Peter Kane. Opera ormai fuori catalogo e introvabile, visto che non ho trovato notizie da nessuna parte circa questo libro.  In effetti la violenza e il rancore la fanno da padroni in questo film.
La storia raccontata è quella di Walter Mancini e sua moglie Eve. L'uomo è un inetto, rancoroso, infelice che annega i dispiaceri della sua negligenza e inettitudine nell'alcol.  Vorrebbe esser un giornalista di fama, ma si è adagiato a farsi mantenere dalla ricca moglie.  Lui è in cerca di rivalsa nei confronti della consorte, del suocero, e del mondo intero.  Talora fatica a trattenere la violenza, ma è comunque un fallito che si accontenta di vivacchiare e odiare la consorte. I due sono in vacanza negli Stati Uniti ( tragicamente rifatti in Abruzzo e in un paio di scene si nota benissimo grazie a dei cartelli stradali) ma passano tutto il tempo a disprezzarsi, in particolare lui vorrebbe liberarsi dalla moglie, ma -come sempre- gli manca il coraggio.
Mentre si apprestano a raggiungere Los Angeles, si fermano a dar una mano a un uomo rimasto bloccato per strada. Walter è contrario, ma Eve decide di aiutare l'uomo.
Ben presto costui si palesa per essere un rapinatore scappato con un bottino di due milioni di dollari, oltre che un folle assassino.
Il viaggio si trasformerà in un incubo per la coppia e per chi si imbatte in loro.

Un particolare interessante è come i due uomini, seppur separati da ruoli diversi, creino un certo legame, fatto di piccole affinità. Walter rivede in Adam, il folle che li ha sequestrati, un po' sé stesso, cioè un uomo mediocre che aspira alla gloria ed è attratto anche dalla violenza di costui, perché riconosce la propria che tiene a bada più per convenzioni sociali che per morale o etica. Entrambi infatti non hanno la benché idea di cosa sia aver una morale che generi attenzioni per gli altri e la società. Eve è una vittima, non povera perché a modo suo cerca di sopravvivere, quasi un simbolo di sentimenti e idee giuste in un mondo dominato da uomini violenti e ridicoli (perché Walter e Adam lo sono, ridicoli e patetici) che soffoca ogni istanza sociale ed etica per dar sfogo ad avidità, cinismo, violenza.

Il film ha un buon cast, quantomeno per l'epoca. Franco Nero recita come sempre sopra le righe, ma è molto convincente e credibile,  Corinne Clery riesce a donare spessore al suo personaggio e infine David Hess si dimostra sempre una garanzia per certi ruoli.
Da segnalare che all'estero il film ha subito la censura del finale cinico, fermandosi all'incidente che precede una delle conclusioni più nere e feroci messe in scena nel nostro cinema. Per me questa censura non è sbagliata, visto che mi stavano tutti antipatici. Però vi è da dire che in quegli anni, il cinismo non era cattivismo da happy hour per stupidi, come invece succede dagli anni 90 in poi, quindi un film radicale e pessimista sulla coppia non può che aver un solo finale,
Vi consiglio la visione se amate il cinema di genere anni 70, la pellicola alla sensibilità matura e responsabile dei nostri tempi potrà apparire reazionaria, maschilista e nichilista, tuttavia è un ottimo film thriller e certe cose vanno contestualizzate nel loro tempo.
Concludo consigliandovi anche di leggere i romanzi di Pasquale Festa Campanile, come per esempio : La ragazza di Trieste, Per amore, solo per amore ( la storia di Giuseppe padre terreno di Gesù) e Il Ladrone.

martedì 10 marzo 2020

Le mani dell'assassino di Newt Arnold

Film del 1962 che narra la storia di un pianista a cui, in seguito ad un incidente automobilistico, vengono trapiantate le mani di un assassino deceduto durante un conflitto a fuoco.
L'operazione riesce ma a caro prezzo, il musicista non è più in grado di suonare.  Per questo motivo egli cade in una lunga depressione che alimenta la sua rabbia, desiderio di vendetta nei confronti di chi l'abbandonato e gli ha causato l'incidente.
Questa è la storia di questo godibile horror  che si rifà al classico di Renard " Les Mans d'Orlac", opera che ha influenzato diversi adattamenti,  come Mad Love, ad esempio. Qui siamo tra i paraggi di un dramma personale, lo smarrimento dell'unica cosa che conta per il protagonista nella sua vita e di come questo generi impulsi omicidi, forse guidato dalle mani maledette.Il film offre anche uno spunto interessante su quale siano i limiti della scienza, attraverso la figura del dottore che opera Vernon Paris, costui è un fanatico che non ammette confronto e limite alcuno, convinto di far del bene per il progresso e l'umanità.
Un bel personaggio che ci rammenta come spesso e volentieri non manchi un certo fanatismo scientifico incapace di creare dei confini etici, morali, oltre cui non andare.
Anche questo film è molto dialogato, potrebbe apparire verboso e inconcludente, per via di una ostentata puntualizzazione sulle scelte del dottore, o per il tempo che ci cede a spiegare la graduale trasformazione di un uomo di successo, in un killer feroce e vittima della sua sete di vendetta.
Tuttavia il film, nonostante sia un prodotto di molto tempo fa, ha momenti anche molto riusciti in termini di thriller/horror, basti pensare ai due delitti mostrati: una donna bruciata viva e l'omicidio di un bambino.
Newt Arnold è bravo a generare attenzione e interesse per i suoi personaggi, infonde al film una certa tensione sotto pelle descrivendo un mondo disumano di scienziati arroganti, assassini e condannando il senso della vendetta.
I suoi personaggi sono uomini tormentati dalla follia, o da un ego smisurato, creando un film a modo suo assai pessimista.
Io ho trovato questo film ben fatto, ha un ritmo che risente del tempo, ma questa cosa non inficia una certa riuscita dell'opera.
Dategli un'occhiata, lo trovate completo su Youtube.


lunedì 9 marzo 2020

LYCANTHROPUS di PAOLO HEUSCH

Tra i mostri cari al genere horror, io ho una passione sfrenata per i licantropi o i lupi mannari. Non sono popolari come i vampiri e gli zombi, perché non si adattano a metafore sociali o perché  effettivamente a volte sembrano dei cuccioli a due zampe. Non so, non conosco i motivi per cui queste creature siano sempre state all'ombra di altri mostri.
In realtà la creatura potrebbe esser usata come metafora di una sessualità repressa o di una violenza troppo tempo sopita nel buio dell' Es. Credo che ci siano già arrivati a un'idea simile, per cui non ho scritto nulla di particolarmente innovativo. Scusate.
Nel 1961 esce questa pellicola "Lycanthropus" che narra la storia di un medico caduto in disgrazia e che per questo motivo trova lavoro in un collegio femminile, dove finiscono le ragazze che hanno problemi con la legge.  Durante la notte una ragazza scappa per incontrarsi con il suo amante, un ricco signore legato al collegio. Purtroppo per lei incontra il licantropo che dà il titolo a questo film e finisce malissimo.
La pellicola più che al genere horror è imparentata con il giallo, visto che per tutta la durata del film si indaga su quale possa essere la verà identità del mostro.  La sceneggiatura di Ernesto Gastaldi è assolutamente solida e fornisce vari indizi che par possano incastrare il colpevole, ma ogni volta si deve cominciare tutto da capo.  Trovo davvero ben scritto questo film perché i personaggi sono caratterizzati molto bene. Il guardiano solitario e inquietante, il protagonista che cela un segreto terribile,  la ragazza che indaga sull'omicidio dell'amica per nulla bella bambolina senza spessore, tutti elementi che rendono la pellicola assolutamente piacevole da vedere.
Stiamo prendendo in considerazione un'opera del 1961, per cui dal ritmo non proprio spedito, basato su dialoghi e tentativi di fondere un'atmosfera inquietante al film. Tuttavia la rivelazione dell'assassino,  una sottile perversione che descrive alcune situazioni e personaggi, l'amore che si trasforma in un segreto orribile, rendono questa pellicola davvero interessante.
Paolo Heusch è un nome forse dimenticato del nostro cinema. Non ha diretto molti film, ma alcune delle sue pellicole meriterebbero di essere riviste e considerate. Dovremmo anche rammentare che è stato il primo a girare un film di fantascienza in Italia,  nel 1958 :La morte viene dallo spazio. Un film che racconta di alcuni asteroidi che si dirigono contro il nostro pianeta per distruggerlo. Alterna pellicole di genere ad altre decisamente d'autore, come la bellissima versione cinematografica del capolavoro letterario di Pasolini, Una vita violenta.
In particolare per me ha diretto due film con Totò, che a mio parere sono tra le cose migliori fatte dal notissimo e da me amatissimo comico partonopeo.  Mi riferisco a Il comandante, film amarissimo su un ex pezzo grosso dell'esercito che vive una vita di solitudine e tristezze nel pieno del boom italiano e Che fine ha fatto Baby Totò? Parodia del film di Aldrich con momenti abbastanza inquietanti.
La sua regia in questo film de lupi mannari è solida e precisa, certo aiutata dalla sceneggiatura,  in ogni caso si nota la mano di un professionista e non di uno che si improvvisa regista.
L'opera la trovate su Youtube, in questi giorni potrebbe essere un buon diversivo.