sabato 31 dicembre 2016

il miglior film del 2016: Beatrice e Donatella, la forza della compassione e dell'empatia.

Ancora più misterioso dell'esistenza di dio, o di cosa succede quando ci innamoriamo, è il meccanismo affascinante e totale che sta alla base della nostra Passione per un film. Gli altri ti dicono che la macchina da presa in spiaggia no, che è buonista, ricattatorio e ci devo arrivare da solo. Onanisti anche in sala, oppure che il film è costruito, manipolatorio, finto. Lo è la vita e la vostra amatissima realtà,  anche quando parlate di caschi bianchi e liberazioni pacifiche, perché non dovrebbe essere il cinema?
D'altro canto, il rapporto tra film e spettatore passa attraverso quello che sceneggiatore, regista, produttore, hanno intenzione di mostrarvi. Non vi piace, ci sono altre offerte.
Polemiche a parte, è vero comunque che abbiamo tutti noi un film preferito e del cuore che non necessariamente deve essere il Capolavoro tanto adorato, cercato, osannato, da tutti. Le classifiche sono belle perché agli altri parlano un po' di noi. è un ottimo confronto senza la banalità - anche giusta e naturale, in quanto esser banali ci rende anche decisamente vivi- di polemiche e di gare a chi piscia più lontano, tipico di un certo esser "critici". Cosa che io non sono, come questo mio blog non è affatto un posto in cui si scrivono recensioni dotte, ma è il diario di uno spettatore attivo, e di quello che prova ogni volta al cinema vede un film che per un motivo o un altro entra nella sua vita. La migliora? Alcuni si, altri sono dei compagni di viaggio, che durante un certo periodo diventano indispensabili e poi bellissimi ricordi dei tempi che furono. O ritornano prepotentemente alla memoria,  quando ci imbattiamo in esperienze o cose che ce li rammentano
Tutto questo per dire che sì, probabilmente -anzi di sicuro- ci sono state pellicole migliori rispetto questa mia scelta,  assolutamente il cinema di Virzì avrà i suoi difetti. Io però do retta solo a quello che provo, sento, emoziona, fa ridere, commuovere, e a niente altro. Questa è la mia scelta.
Il motivo? Beatrice e Donatella.

Per quanto riguarda la mia idea di cinema, i personaggi sono fondamentali. Un film potrebbe essere carente di novità, originalità, non importa, non ne faccio un dramma. Però quello che chiedo sono dei personaggi che diventino quasi figure amiche, vere, seppure filtrate dal linguaggio della rappresentazione cinematografica. Per questo non mi infastidiscono nemmeno certi stereotipi, importante è come vengono usati.
Qualora i personaggi dovessero funzionare, l'evidente macchinazione cinematografica, la manipolazione del sentimento, viene accettata e finisce in secondo/ultimo piano. Perché tu in quel momento vedi una persona come te, senti il suo dolore e la sua gioia. Non temi che il regista mostri, sottolinei, ti guidi per mano, perché hai accettato tutto pur di non staccarti dai personaggi. Il cinema è cinema se esperienza sentimentale totale e assoluta, altrimenti stiamo guardando come funziona il giocattolo.Io non ho intenzione di costruire giocattoli.
Da tempo ho intenzione di scrivere un post sulla mia Famiglia Cinematografica,  dedicata a quei personaggi talmente pieni di pathos, potenza, meraviglia, credibilità o sospensione armoniosa di essa che sono, a tutti gli effetti, membri di una famiglia perfetta. La quale, negli anni, è stata il mio centro di gravità permanente. Il mio buon rifugio, luogo di commozione e redenzione. Farò un post su questo argomento a inizio anno. Credo che ogni cinefilo, o più prosaicamente: spettatore, ne abbia una, no?
Beatrice e Donatella sono le nuove arrivate. Per questo anche le più coccolate dal sottoscritto. Mi hanno colpito dalla prima visione al cinema- in totale io e mia moglie abbiamo visto in sala, questo film, per cinque volte.  superando le due di Jeeg, Zootropolis, e le tre di Perfetti Sconosciuti- perché personaggi paradigma di una condizione umana che supera la malattia mentale, quante sono le donne che vivono isolate il loro dolore, le loro sconfitte? Molte, forse. Beatrice e Donatella rappresentano perfettamente tutte loro. Le persone con problemi psichici vivono due volte questo dramma.
La malattia mentale, il disagio psichico, sono ancora argomenti tabù. Non compresi, ci viene l'istinto di allontanarli, rinchiuderli in posti dove devono esser sedati, legati, lontani dalla società delle persone normali. Che a ben vedere, è roba davvero piccola e formata da veri pirla. Voglio generalizzare su questo punto, per rendere l'idea.
Ero in fila con loro a far la comunione cantando Ave Maria di De Andrè,  le ho accompagnate per tutta la fuga, mi sono arrabbiato ferocemente con il genere maschile per quella sequenza crudele e spietata al carnevale di Viareggio, e che molti uomini la considerino una cosa normale la dice lunga.
No. Sono sincero. Non ho dato peso alla mdp, al montaggio e alla fotografia, peraltro splendida, non mi sono chiesto quanto fosse "reale", mi sono lasciato conquistare da queste due splendide e fragilissime donne. Non facili, non eroine post-femministe, pure insopportabili a volte, ma così ricche di sfumature e umanità, da far scordare che vi siano due attrici dietro di loro.
La Pazza Gioia è il cinema come piace a me. Con i suoi difetti, e tutto quello che non piace a molti. Giusto e normale, d'altronde il cinema parla direttamente a noi e al nostro vissuto e per questo ognuno coglie e vede quello che riesce a veder e cogliere.
Per quanto mi riguarda sono ancora su quella spiaggia, a guardar da lontano un incontro che non cambia nulla, che non assicura nessun happy end, ma che sancisce la vittoria di un'amicizia profonda, capace di resistere a tutto e tutti.

ps: comunque sia a tutti e tutte voi che amate il cinema buon 2017! Ricordando che quello che ci unisce e ci arricchisce sono i gusti diversi insieme a quelli affini. Che poi mica mi stai ammazzando la moglie o la gatta o il cane, se a te non piace un regista che a me piace assai.
Vabbè: un 2017 pieno di gioia per tutti!

venerdì 30 dicembre 2016

il film sorpresa del 2016: Perfetti Sconosciuti

Strano questo 2016, davvero strano. Guardando la lista di film che ho apprezzato, alcuni finiti nelle classifiche altri rimasti fuori, noto che sono sempre diretti da registi che non stimo o amo affatto: Boyle, Tornatore, Tarantino, Genovese.
Significa che qualsiasi regista prima o poi ti farà un film decisamente buono, ma vuol dire anche che non dobbiamo mai far in modo che i nostri pregiudizi siano o divengano, dei dogma. Mettiamoci in gioco ogni tanto.
Quando vidi la locandina di "Perfetti Sconosciuti" ebbi subito da ridire: " No, ma Genovese fa ancora film! No!!!" Stupito per i nomi del cast, ma sicuro che in mano a costui sarebbe venuto fuori un film come tanti altri: innocui, inconsistenti, televisivi come immaginario di riferimento.
Invece sono un pirla e ho pensato una pirlata!

Si, perché il film , visione dopo visione rigorosamente in sala, mi ha sempre di più riempito di emozioni contrastanti, amore e attenzione per i personaggi, odio assoluto per il povero Leo, non lui come attore, mi riferisco al personaggio.
L'accusa di esser la solita commedia italiana, che assomiglia a questo e quell'altro, mi pare davvero campata in aria. Certo che assomiglia a tanti altri film, fa parte di un genere. Sarebbe come dire che "Appaloosa" sia mediocre perchè "è il solito western". Ogni genere ha le sue regole, che vanno rispettate, l'originalità non è fondamentale.
Come anche le tante parole a vuoto su un finale, che a mio avviso, sia messo agli atti: è il miglior finale del 2016.
Siamo così ossessionati dal veder il buonismo che persino un inno all'amarezza, viene confuso come consolatorio. Siete gli stessi che anni fa usavano la parola : pretenzioso, per ogni film incompreso. Sia mai che ci sbagliamo noi, critici della domenica.



Io credo che i cambiamenti migliori avvengano all'interno della grande industria, non fuori. Perché da una parte abbiamo un pubblico attento, sicché abituato a far certe riflessioni, analisi, ma dall'altra c'è quello che va al cinema "tanto per..", " per farci due risate", " non pensare", diciamo che Genovese con le opere precedenti era il campione di questo tipo di film. Non ci troviamo davanti al nulla zaloniano, cinematograficamente parlando, ma veramente poca cosa.
In questa opera, derivativa quanto volete, ma proprio per questo universale ed accessibile a tutti, il pubblico più massificato, distratto,  ha un momento di sana riflessione su una cosa che ci riguarda: le relazioni umane.Non si tratta di un dramma sociale in un paese del terzo mondo, che gioca sulla nostra partecipazione emotiva distaccata, che tanto a noi quelle cose quando ci capitano, ma di un dramma borghese quanto vuoi, ma che ci accomuna
Il cinefilo più radical, con lo spettatore da Cinepanettone.
Questo non è poco.

Il finale non ci spinge a esser rasserenati e sicuri, ma al contrario più attenti agli altri e in particolare ai nostri partners. Cosa sappiamo, ma ancor di più cosa vogliamo vedere? Quante illusioni, finzioni, ci aiutano ad andare avanti? Avvelenando quello che potrebbe esser buono, giusto?
La stessa frase: " Come umani siamo frangibili" Non è buonista o retorica, ma ci dice che non dobbiamo mai giocare alla leggera con nessuno. Mai sottovalutare il peso e la responsabilità delle parole, delle azioni, del nostro vivere

Il tutto in un film assolutamente per le masse, commerciale, ma che sposta di poco, però lo fa, la classica commedia stile Medusa/Canale 5 di questi anni.


Per me non è assolutamente poco


http://lospettatoreindisciplinato.blogspot.it/2016/02/perfetti-sconosciuti-di-paolo-genovese.html





mercoledì 28 dicembre 2016

le personali migliori visioni del 2016: il cinema italiano

Non capita tutti gli anni di avere la possibilità di veder in sala tre film di tre grandissimi autori, come è successo l'anno scorso. Nondimeno sarebbe sciocco lamentarsi di questo 2016, ormai agli sgoccioli. Tanto che il film sorpresa e quello migliore sono proprio due opere italiane.
Ci sono state pellicole che hanno fatto gridare al miracolo, al ritorno del genere, come se fosse la cura magica, la soluzione definitiva, come se la commedia non fosse un genere. Peraltro assai difficile da fare, perché rischi la cazzata quasi sempre.
Ok, lasciamo da parte polemiche sterili e lasciamo lo spazio alle pellicole italiane che mi hanno conquistato e colpito questo anno

-LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT di Gabriele Mainetti

Pure noi italiani abbiamo il nostro super eroe, anzi: nostrissimo! Un ladruncolo misantropo che vive in una periferia degradata e come unici interessi ha il budino e i porno. Mischiando action, gangster-movie, rimandi al poliziottesco ma senza imbarazzanti  "nostalgismi" posticci. Il risultato è un ottimo film di genere, tre personaggi principali memorabili, spettacolo e divertimento per tutti. Peccato la frase finale che arriva a prendersela con Brecht, non capendo che il tedesco aveva assolutamente ragione. Forse qualche premio ai David di Donatello non era proprio così meritato, ma ho molto amato questo film.  Vediamo come si evolverà la carriera di questo giovane e promettente regista/produttore



-VELOCE COME IL VENTO di Matteo Rovere
Un possente e meraviglioso melodramma di motori, vite in cerca di riscatto, famiglie a pezzi da ricostruire. Un meraviglioso, gigantesco, indimenticabile Stefano Accorsi. Dramma, un pizzico di azione, personaggi scritti con la giusta attenzione, commozione.

-INDIVISIBILI di Edoardo De Angelis

Opera di rara maraviglia che unisce la descrizione precisa di una realtà brutta, sporca, cattiva, legata al sottoproletariato e alla miseria, ad elementi surreali e favolistici, una favola neorealista che vede in sede di sceneggiatura la presenza di Nicola Guaglianone, co-autore anche della sceneggiatura di "Jeeg Robot". La storia è quella di due gemelle siamesi sfruttate dal padre come cantanti per cerimonie. La voglia di vivere, l'illusione del successo che si manifesta attraverso l'incontro con un cinico e impostore discografico, la superstizione religiosa, un mondo degradato, meschino, e forse un piccolo riscatto, una piccola speranza. Opera stupenda.





-PIUMA  di Roan Johnson
Film criticato e disprezzato da molti illustri critici da social e non solo. In realtà è un 'opera che costituisce un tassello prezioso nell'idea di cinema del regista toscano. Cioè narrare con leggerezza la realtà, sopratutto lo sguardo sempre partecipe e affettuoso verso i suoi protagonisti. Che non sono mai né eroi né emarginati sociali, ma persone troppo normali, invisibili, a parte il Pino Masi della sua prima opera. il tema della maternità, della nascita di un figlio voluto da una coppia di giovani contro il cinismo disfattista dei famigliari o l'immaturità di alcuni di essi è descritta benissimo. Due adolescenti credibili, di quelli che ti affezioni subito a loro. Si, la vita è anche leggerezza. Una capacità non un difetto.

FIORE di Claudio Giovannese

Ancora adolescenti, questa volta problematici. Una storia dura, ma mai compiaciuta e morbosa, che parla anche d'amore, ma vissuto in un carcere minorile.  Perché la vita, l'adolescenza con le sue gioie e dolori è universale sia per chi è libero, sia per chi si trova in galera.  Ottimo cast e personaggio principale scritto con rara attenzione.


QUESTI GIORNI di Giuseppe Piccioni

Altro film particolarmente detestato dalla critica. Il trailer certo non aiutava e anche io sono andato al cinema temendo il peggio. Invece è un piccolo, impalpabile, soffuso, film sulla gioventù. il punto di forza è veder sullo schermo delle ragazze "vere" anche antipatiche, anche detestabili, ma - seppur dentro a una grande finzione come è il cinema-  reali, vere, concrete.

LA VITA POSSIBILE di Ivan De Matteo

Ancora un film con protagonista un giovane. Un ragazzino di tredici anni che si ritrova a Torino, dopo che sua madre è fuggita dalle violenze del marito violento. La difficoltà di ambientarsi, l'amore per una giovane prostituta, l'incontro con un uomo che potrebbe diventare quel padre che ogni figliolo meriterebbe. Un finale speranzoso, per un film crudo, ma anche capace di affetto nei confronti dei suoi personaggi


7 MINUTI di Michele Placido

il film militante, politico, lucido, combattivo, di questo anno non lo trovate nelle immagini delle opere di Loach - anche se diciamo che stavolta Laverty ha fatto pochi danni- o dei Dardenne- buon film il loro ma un piccolissimo passo indietro rispetto al precedente- questo film italiano, tratto da un'opera teatrale, parla di cose concrete e mette in scena la contraddizione della classe operaia con assoluta precisione, realtà, serietà. Forse il mio film italiano preferito di questo 2016



Con questo abbiamo finito il nostro tributo al nostro grande cinema, anzi no...

martedì 27 dicembre 2016

le personali migliori visioni del 2016: i film stranieri

Le classifiche che si fanno alla fine dell'anno servono come riassunto di un pezzo della nostra vita. Per ricordarci, mentre il tempo passa, cosa ci emozionò in quel determinato momento della nostra esistenza. Alcuni titoli stenteremo a rammentarli, altri ci faranno provare vergogna, altri saranno oggetti di nostalgia, ma alcuni diranno a chi ci conoscerà come padri, madri, mariti, mogli, qualcosa di noi. Una nostra piccola, laica, eredità.
Nelle sciocchezze che non cambiano - apparentemente- il mondo si celano molte cose importanti su noi stessi e la nostra storia, Non sottovalutare le conseguenze delle classifiche di fine anno.
Oggi si parla di pellicole estere. Sarà parziale e dimenticherò qualcosa, perchè questo anno - per vari motivi- non sempre mi son messo a scrivere le mie riflessioni sui films che mi avevano colpito.
La scelta è dedicata alle pellicole viste in sala cinematografica durante il 2016

- LA ISLA MINIMA di Alberto Rodriguez
Uscito con due anni di ritardo nelle nostra sale. Un ottimo, splendido, amarissimo noir, che nasconde una riflessione cruda e spietata circa l'eredità lasciata dal franchismo, il passaggio difficile o utopista verso la democrazia.


- CAROL di Todd Haynes
Una grande storia d'amore. Sulla sua forza capace di vincere sulle convenzioni sociali, sull'oscurantismo, sul mondo piccolo dei rancorosi e mediocri. Un film in punta di piedi. che sussurra la maraviglia di essere innamorati, di sentire il brivido forte della vita che ci fa ridere il sangue nelle vene. E dove il mondo dei normali si aspetta un finale drammatico, ecco il trionfo di un legame. Perché viviamo talmente bene da noi che non riusciamo nemmeno un po' a goder della felicità altrui, anzi ci fa incazzare.  Io ho gioito per Carol e il suo amore. E quel sorriso nel finale...

LITTLE SISTER di Kore-Eda

A volte confondiamo film pudici, delicati, con il cinema trattenuto. Niente di più sbagliato. Questa pellicola è un esempio di come si possa fare ottime pellicole, narrando le vite piccole delle persone quasi invisibili, perse nel vivere quotidiano. Quattro sorelle, la scoperta di un  legame forte, la vita di migliaia di persone. Kore-eda si conferma un grandissimo narratore e io amo il suo cinema.

STEVE JOBS di Danny Boyle

Non amo affatto il modo di far cinema da parte di Danny Boyle, ma questo anno è stato anche anno di sorprese e così ecco qui: la biografia di Steve Jobs è una pellicola davvero suggestiva e ottima,  descrizione dell'uomo, della sua genialità e miseria, cinema quasi teatrale, claustrofobico,  recitato benissimo.



CREED di Ryan Coogler

Ci sono opere che , al di là del loro valore artistico, entrano nella storia e nella leggenda. La saga di Rocky Balboa fa parte di questa categoria. Tra opere bellissime, i primi due capitoli e l'amarissimo sesto capitolo, e cose imbarazzanti, l'orribile 4 capitolo. Qui la leggenda viene portata in scena in maniera obliqua, poiché già dal titolo il vero protagonista è il giovane figlio illegittimo di Apollo Creed. Stallone ci offre un vecchio Rocky nei panni di allenatore e figura paterna, assolutamente commovente.  Bellissimo

IL FIGLIO DI SAUL di Làszlò Nemes

Il cinema sui campi di sterminio, concentramento, nazisti si assomigliano un po' tutti. Mostrano la retorica affannosa dell'orrore, ci serve per una memoria da tempo focalizzata su un tema che diventa abitudine, eppure la memoria dei morti è cosa fondamentale per la nostra società così portata a dimenticare con leggerezza assoluta. Ecco questa opera spazza via qualsiasi film hollywoodiano, qualsiasi opera concepita sul palcoscenico dell'industria dell'olocausto. Film soffocante, radicale nel suo pessimismo, pellicola in cui più che vedere è il rumore meccanico dei gesti, delle macchine di soppressione, il tatto di corpi strattonati, spinti, gettati, a creare un reale malessere. Opera definitiva sul male del secolo scorso.

LA SPOSA BAMBINA di  K. Al-Salami

Chi si ricorda dello Yemen, bombardato dal nostro prezioso alleato , l'Arabia Saudita, diviso, impoverito. La storia delle bimbe vendute per ignoranza, disperazione, come spose. attraverso la ribellione e salvezza di una di esse. Senza retorica, senza vergogna nel mostrare, ma con il pudore di non infierire.


A DRAGON ARRIVES di Mani Haghighi

Opera estrema, sperimentale, che mescola e rigenera i generi cinematografici con un tocco personalissimo. Film politico che denuncia i tempi terribili dello Scià, quello che le anime belle democretine occidentali vorrebbero rifar tornare se fosse possibile,  Forse l'unico vero horror iraniano non sponsorizzato o filtrato da occidentali. Opera da non perdere assolutamente.

A GIRL WALKS HOME ALONE AT NIGHT di A.l. Amirpour


Una variazione interessante sul tema del vampirismo. Girato in un suggestivo bianco e nero, in una zona di grande degrado, miseria, violenza. Una storia d'amore che sfida la morte, l'orrore.


GUEROS di A. Ruizpalacios
Il bello delle arene estive, per me, è la possibilità di veder pellicole in anteprima che poi uno spazio reale nella programmazione in sala, non lo troveranno mai. Come questa splendida commedia sulla gioventù in Messico.  L'amore, l'amicizia, la militanza politica e il crollo dei miti, che sottolinea il passaggio a diventar adulti.


IL CLAN di P.TRAPERO

La storia vera di una famiglia legata, attraverso il padre, alla dittatura argentina, che arrotonda compiendo sequestri e omicidi. L'apparente stabilità e tranquillità famigliare, un paese che passa alla democrazia con fatica e omissioni, personaggi scritti benissimo, una grande colonna sonora. Film durissimo, crudele, spietato, riflessione sul potere, sulla sua organizzazione, sulla famiglia come prigione e luogo di assoluta impunità, parte di una nazione criminale.

UN PADRE, UNA FIGLIA di C. Mungiu

L'ossessione di un padre, che crede di conoscere il bene della figlia, lo spinge a corrompere, a cercare alleanze, per esaudire un suo sogno infranto. L'egoismo genitoriale portato con lucida precisione sullo schermo. Personaggi dolenti, miseri, ma umanissimi.


LA FAMIGLIA FANG di J. Bateman

Un film sulla famiglia ancora una volta come luogo di disperazione, rancore, divisione, smarrimento, eppure non solo questo. Perché il tema portante è il seguente: per l'arte è giusto fare qualsiasi cosa? Non porsi nessun confine? Sacrificare l'affetto e l'amore per i figli? Vivere solo di ispirazione ed egoismi, e cosa è veramente artistico? Commedia malinconica, amara, ma che lascia un minimo di speranza nel finale e nel rapporto tra fratello e sorella.


SULLY di C. Eastwood

Un film che umanizza la necessità infantile di avere degli eroi. Perchè ogni persona è importante e quello che fa per gli altri ci porta anche a compiere operazioni che paiono impossibili.  Dopo due opere che mi avevano in parte deluso, Eastwood torna con un bellissimo film dove il Bene, l'Umanità, trionfa. Molti hanno sottolineato come non vi siano degli antagonisti veri e propri, poiché i membri della Commissione d'inchiesta fanno solo il loro lavoro, così che vediamo uomini a far il loro mestiere. Con serietà e per un bene comune.  Opera spielberghiana nel senso più alto possibile.


E' SOLO LA FINE DEL MONDO di X.DOLAN

Questo 2016 è stato il suo anno. Sono stato travolto dalla possanza e dalla maraviglia delle sue opere viste nelle arene festive, conquistato definitivamente con questa pellicola  dove un formalismo pop di grande impatto visivo si sposa con il dolente ritratto di una riconciliazione impossibile.



Mancano per volontà mia o per dimenticanza alcune opere, ma le classifiche sono anche figlie del momento, delle emozioni o dei ricordi. Accontentatevi di codesti titoli.


Extra/Bis

Elvis e nixon, una commedia leggera su un fatto vero. La voglia di Elvis di far l'agente segreto contro comunisti e hippy, l'incontro con Nixon. Due uomini consumati dal potere e dalla solitudine. Immenso Micheal Shannon

Paradise Beach

Steven Seagull, regna ! Puro film di genere con uno squalo cattivissimo. A me è piaciuto assai


Man in the dark

Un thriller puro, dove l'ambiente sociale è fondamentale, un film di grande tensione.

The witch: l'horror d'autore, inquietante, angosciante, che tanto ha colpito le platee di appassionati. Vedremo se resisterà al tempo.


giovedì 22 dicembre 2016

Le sorprese del 2016: " gente che non ti aspetti e invece..."

Essendo esseri umani, almeno un buon numero di noi, siamo portati a giudizi affrettati, critiche velenose a cuor leggero e altre immani cazzate. Spesso in buonafede,  a volte per ragioni di età o di pensiero politico.
Quasi tutti i miei registi, scrittori, musicisti preferiti li ho messi e rimessi in discussione tante volte ( a parte Lars che è il mio Dio per cui amore eterno e morta lì) il più delle volte sono tornato sui miei passi iniziali di idolatra molesto, mi è successo sia con Virzì che con Moretti, con King e Sorrentino e così via.
Ci sono anche registi che mi stanno profondamente antipatici, non amo per nulla l'idea alla base del loro cinema,  oppure altri che vedo come simpatici mestieranti, giammai ammessi al club degli Autori o degli Artigiani di Lusso.
Pregiudizi, signori e signore, pregiudizi! Ne ho molti, meno della mia sconsiderata vita da scapolo, ma diciamo che ad alcuni sono affezionatissimo, che ci posso fare?
Poi succede la maraviglia! L'attimo che , alla faccia del batter d'ali di sta cazzo di farfalla porta sfiga, cambia per un po' l'idea nei riguardi di un autore.  La felicità di vedere dei bei film e anche di trovarsi di fronte a un ripensamento, forse non totale, ma un pensiero sul fatto che daje e ridaje pure Tarantino indovina metà film, no?
Le opere/ sorpresa che mi hanno fatto amare il lavoro di registi che talora ignoro, altre volte detesto, o perlopiù reputo degli allegri cazzoni, sarebbero cinque - mi pare- ma una, quella di Genovesi, merita rispetto e spazio a parte.
 I films sono questi

La grande scommessa di Adam Mackay
Di costui ho amato molto il suo " Anchormen"  un po' meno altre opere. Classico regista di commedie divertenti, un mestierante della risata, peraltro il suo lavoro lo fa piuttosto bene, a parte qualche opera decisamente poco riuscita, sicuramente non pensavo avesse la forza, l'energia, la credibilità per girare un complesso, difficile, teorico film sulla grande crisi economica del 2008.   La grande scommessa è un'opera sublime, un grande esempio di cinema civile riveduto e corretto con lo spirito di una commedia moderna. Eppure le celebrity stars che spiegano al volgo e quelli particolarmente ignoranti in temi economici, come me, cosa significano certe parole, termini, sigle, è azzeccata e funziona davvero.
Mix effervescente di cinema civile, commedia, opera teorica, è tra le cose migliori viste codesto anno che sta passando.

Trafficanti di Todd Philps

Io non amo molto, anzi pochissimo, la moderna commedia americana. A parte qualche eccezione.  Non sono un estimatore della trilogia " una notte da leoni" e delle altre pellicole dirette da questo regista. Non dico che non mi facciano ridere, ma non rientra nel mio gusto questa pseudo volgarità post adolescenziale.  A parte alcuni, pochissimi titoli, se posso evitare di guardarle lo faccio.
Che ti combina il buon Todd ? Ti crea un'opera, tratta da una storia vera, che attraverso i ritmi forsennati della commedia caustica, irriverente, dissacrante, tanto "gggiovane", distrugge il sistema economico su cui si basa l'America: gli affari sono affari. Non conta nulla quello che vendi o compri, conta solo quanti soldi fai. Per comprare amici, ville, donne, macchine, tutto. Diventare dei mostri svuotati di ogni umanità, anche contraddittoria, sofferta, per essere dei grandi nulla, ma di successo. Soldi che si usano per creare invidia agli altri, mai per goderseli con gioia.
Così si ride vedendo una storia di trafficanti d'armi, quasi per caso, si riflette su come bene e male siano del tutto relativi al giorno d'oggi, ed è un film che piacerà a quei poveri cuccioli cinefili che vanno in crisi se il regista ha il coraggio delle sue idee e ti traccia una linea precisa. Qui volendo ognuno può vederci quel che vuole, a proposito dei protagonisti. Per me e la mia dolce metà, sono due clamorosi pirla, in particolare è odioso e squallido il personaggio di Jonah Hill, per altri,  dei personaggetti con i sorrisetti, potranno sembrare fichi. D'altronde è da molto che in Occidente non capiamo più un cazzo in fatto di morale ed etica.

L'ultima parola di Jay Roach


Un film militante, partigiano, che osa e sperimenta il coraggio di fottersene della parzialità, obiettività, e " sa signora mia, la BBC!" In questi tempi dove conta di più il cosa uno dica e non quello che mostra,  di gente che passa la vita a cercare la verità sui siti del pentagono, della nasa, dell'amministrazione di San Obama o viceversa nei deliri di qualche santone di internet, ci si dimentica quanto sia giusto, sano, bello, essere militanti. Credere in un grande ideale, nonostante qualche errore o qualche grossa tragedia, ma senza dover per forza  esser servili con chi la pensa diversamente, senza dire cazzate tipo "ogni idea è giusta". Opera che non è piaciuta alle anime delicate e ai liberali stile "Ricciotto", programma che peraltro mi piace pure,  perché intollerabile che un artista non dica solo di  esser comunista, ma che lo sia DAVVERO. Il comunismo non è quella roba da apericena, diritti civili un tanto al chilo, masochistica non violenza da salotto. No, giusto per informarvi.
Dalton Trumbo insieme ad altri nove uomini di spettacolo hollywoodiani, viene incarcerato solo per il semplice fatto di essere un comunista. Il periodo nerissimo del dopo guerra americano, il maccartismo fatto di delazioni, tradimenti, che mette in luce l'anima più reazionaria e cialtrona dell'america  ben rappresentata da John Wayne e altri personaggetti con i sorrisetti .
Un film di tale possanza militante te lo aspetti da un Loach, ah no! C'è il trockjiglione Laverty che lo sta riducendo male da anni! Comunque sempre stima infinita per Ken. Dicevo, te l'aspetti da uno impegnato, riconosciuto per certe idee. Invece questo gioiello te lo dona uno che ha diretto la trilogia di Austin Powers e due capitoli de " ti presento i miei".  Un commediante puro.

Il quale mi ha regalato il film  straniero che forse mi ha più coinvolto ed emozionato, durante questo 2016

the hatefull eight di Quentin Tarantino

Io non amo, anzi non tollero l'idea di cinema di Tarantino. L'uso del grottesco nelle scene di violenza, le citazioni a cascata, i dialoghi che devono sempre suonare fichissimi, i personaggi caricati e senza spessore, il grande vuoto che mette in scena sempre
Però comprendo che piaccia, per questo non faccio come i malati mentali che ogni fottuta volta devono rompermi il cazzo colle critiche a Moretti radical chic o Virzì buonista. Non guardateli, come io ho abbandonato il cinema di Tarantino e ho lasciato che i fans, simpatici come quelli di Vasco Rossi, ne esaltassero le qualità.
A Gennaio, per via del fatto che sto cercando di beatificarmi senza passare per il Vaticano, sono andato con mia moglie, che ama il cinema di Tarantino, a veder sto film. Ci sono andato abbastanza volentieri perché io amo tantissimo il genere western, e non mi era dispiaciuto più di tanto anche Django, tolta l'ultima mezzora davvero...Vabbè.
Ho trovato tutta la prima parte una meraviglia. Regia meno esuberante, ma attenta a ogni particolare, buoni personaggi, ambientazione suggestiva e i Subsonica che se magnano le mani e dignità polemizzando a cazzo contro Morricone. Tutto ok? Insomma la seconda parte..
Si riprende nel finale con la lettura della lettera...
Non cambio idea su Tarantino, ma ammetto che questa pellicola tutto sommato mi è  garbata.


nella foto un tarantino

martedì 20 dicembre 2016

Le personali miglior visioni del 2016 : i documentari

Ogni tanto, capita, qualcuno beve troppo o si droga male e ti esce epico e borioso con la seguente stupidaggine: " Il documentario non è cinema!" Velatamente è stata ribadita in modo più o meno diretto e chiaro anche da un noto regista bolognese, al quale voglio tanto bene e gli perdono codesta castroneria.
Forse questo pensiero stupendo, questa pazza idea, valeva fino a qualche decennio fa.  Il documentario era roba da Quark o da pomeriggio a guardar Rai Tre, non lo nego e lo confermo.  Tuttavia col passare degli anni, la tecnica del girare documentari è cresciuta e diventata sempre più complessa, ricca di sfumature,  contaminazioni, sopratutto chi li gira ha uno sguardo preciso, profondo, si raccontano storie usando la realtà.
Ci tengo a specificare questo punto: non è la realtà a esser rappresentata sullo schermo quando vediamo un documentario, ma una storia a tematica spesso sociale, che usa - secondo le caratteristiche tecniche dell'autore- la "realtà vera", creando una contraddizione affascinante, un corto circuito di vero e verosimile emozionante.
Il documentario ribadisce, a mio immodesto avviso, una mia intuizione da spettatore indisciplinato: siamo tutti pezzi di cinema, film, letteratura. La "realtà vera" , nuda e cruda, che tanto ossessiona molti spettatori, è solo un'illusione ottica delle nostre esistenze che seguono schemi e regole assolutamente cinematografiche. Perlopiù la nostra esistenza è cinema di genere: commedia direi. Con momenti di neo realismo, ma il punto centrale è come il cinema sia solo uno specchio magico e deformante dell'esistente. Per questo il documentario quando riprende la realtà, nella sua utopica pretesa di dire la verità. filtra con elementi presi direttamente dalla "realtà vera", ma non si limita a riprenderli nel loro luogo naturale, porta in quei posti la regola cinematografica, svela ai suoi "protagonisti" come tutto sia finzione scenica, anche la nostra esistenza. Non per questo falsa, pleonastica, incapace di provare profondissimi sentimenti e sacrosante rabbie contro le ingiustizie.  Anzi, direi proprio che nessuno toglie un briciolo di verità a quanto proviamo, sentiamo, viviamo. D'altronde anche nel cinema, quando ci riesce, arriviamo a perdere il confine tra vero e rappresentazione filmica. Ognuno secondo la propria sensibilità, ma questo accade.

Questo 2016 ci ha proposto dei documentari assai interessanti, opere assai diverse tra di loro, vuoi per temi e per metodi di far cinema. Sono come sempre scelte personali, dettate dalla mia sensibilità umana, i miei interessi, a questo servono le classifiche di fine anno. Conoscersi e riconoscersi, vedere come si cambia col tempo che passa o come si rimane fermi su alcuni punti.. Per cui facile che a voi possano non dir nulla e bla bla bla.
Vabbè, come dice l'umile Scanzi: Vamos!


- Il fiume ha sempre ragione

Il tema del lavoro ( in un mondo in cui esso è devastato da assurde leggi politiche, disorganizzazione delle masse, precarietà selvaggia, voucher, partite iva, divisione profondissima tra chi comanda e le mandrie di lavoratori scambiabili tra di loro, con stipendi a volte ridicoli, e la distruzione di quella bellissima legge che era la Legge 300 del 1970) al cinema è quasi sempre una rarità. Difficilmente il nostro cinema coglie l'aspetto sociale e umano dietro a una professione. Perché le classi e i blocchi sociali si rappresentano attraverso le mansioni che ricoprono.  In tempi di precarietà, flessibilità, disvalore etico di ogni professione, assordati e tramortiti da linguaggi affascinanti e spesso con parole inglesi, per dare idea di modernità ed eterna cretineria giovanile, ci dimentichiamo quanto la vita umana sia legata ad esso. Oggi è giusto prender le distanze dalla catena del lavoro, dello sfruttamento economico, del senso di fatica e sacrificio per il posto di lavoro, proprio perché ormai è solo un mezzo improvvisato e di poca durata per prendere qualche spicciolo e via.  Non è luogo di organizzazione sociale, di riconoscimento nell'altro del far parte di una classe, ma di stupide lotte tra poveri, angoscia per il contratto che scade, occupare posti perché con la crisi cazzo fai rinunci a questo meraviglioso posto?
Questa è la realtà, al di là di singoli sogni di resistenza operaia, di "ottimo ambiente in cui mi trovo bene".  Detto questo il lavoro ha anche una forte importanza sociale. Ci sono professioni che aiutano la gente a star meglio, ci sono tanti piccoli lavori che ci donano esistenze tecnologicamente avanzate.
L'umano dietro la professione è sempre un tema interessante
Come questo film di Silvio Soldini,  che con occhio partecipe, romantico, quasi fiabesco, ci porta a conoscere due professionisti "di una volta" Un lombardo e uno Svizzero.
A Osnago, Alberto Casiraghy, porta avanti la sua attività di piccolo editore di libri di poesie o aforismi, personali e di poeti locali, utilizzando una vecchia macchina a caratteri mobili, mentre in Svizzera, josef Weiss si occupa di restauro dei libri, cercando di equilibrare un po' di spirito da grafico e tradizione.
Il film mostra queste due vite sospese, antiche eppure modernissime, senza ombra di dubbio più dinamiche e progressiste rispetto a quelli dei tanti manager in giro per il mondo.
Un inno al lavoro che è anche vita e di vita che ribadisce la sua profonda grandezza nel fare una professione per la Bellezza, per Passione e Amore


Fuocoammare



Gianfranco Rosi porta in scena la tragedia dell'immigrazione, le vite disperse e distrutte in mare, la macchina organizzativa del soccorso, i campi profughi, il dolore e la morte, i pochi attimi di gioia per una partita di lavoro. Il mondo che entra con violenza nella piccola e remota realtà di Lampedusa; e la vita quotidiana di alcuni abitanti. Due mondi paralleli che non si avvicinano mai.  Un po' come le nostre vite di lamentosi uomini occidentali accecati da benessere e felicità modeste ma costose, da libertà effimere, spesso ciechi e sordi nei confronti degli altri, del resto del mondo. Opera emozionante e indimenticabile.


Ridendo e scherzando: ritratto di un regista all'italiana

Eravamo in tre quel pomeriggio di febbraio, esattamente lunedì 1, al The Space di Firenze, per assistere a un documentario dedicato a quello che per me rimane il più grande e migliore per meriti tecnici e di contenuti, tra i registi della nostra commedia: Ettore Scola.  Costui con i suoi film ha strappato, stracciato, l'idea che la commedia sia un genere usa e getta, popolano, per giustificare ogni nostra devianza sociale e individuale. Cinema altissimo, spesso legato all'idea di coralità, non focalizzazione su un "tipo di italiano", ci vorrebbero ore e ore per parlare di Scola. Noi lo rammentiamo con la visione delle sue opere. Non possiamo fare altro.
Film da recuperare, assolutamente



Spira mirabilis



La Bellezza, la Grande Bellezza, che si manifesta nel fitto assoluto del suo Mistero filmico. Abbiamo visto l'Immortalità intrappolata nelle immagini. Abbiamo toccato Dio

lunedì 19 dicembre 2016

I TRASCURABILI 2016

Questo, per quanto mi riguarda, è il vero post natalizio. Voglio fare un regalo a chi è rimasto ancora ai tempi in cui uno dovrebbe- per forza- scrivere male di film che non gli sono piaciuti. Magari, per sembrare giovane, con un linguaggio sarcastico, pungente, ricco di parolacce, e un finto slang popolare,  per mascherare la natura borghese dell'eccitato critico "mo spaccotutto".
Io credo che la vita vada vissuta per le cose belle, per goderne ed essere umanamente felici. Il resto è meglio lasciarlo a marcire nel dimenticatoio, nella spazzatura della storia. Ci porta solo rabbia, rancore, dà origine a polemiche sterili.
Dovremmo far conoscere agli altri le cose che ci emozionano, ci divertono, fanno piangere o ridere, c'è in giro troppo cinema per perder tempo con quello che non amiamo.
Però, appunto, è Natale tra poco, sicché a quelli che si interrogano sul perché non faccia mai critiche negative ( rammento che non sono un critico cinematografico e non faccio recensioni, ma semplici riflessioni indisciplinate da spettatore attivo e anche attivista, va) metterò di seguito le pellicole italiane ed estere che codesto anno mi hanno parzialmente o del tutto deluso, o semplicemente : viste, e dimenticate dopo due secondi.
Trascurabili in questo senso, non strettamente brutti, ma pellicole che a me non hanno lasciato nulla.

Per spirito patriottico comincio con i titoli italiani.


Qualcosa di nuovo


La cosa nuova forse è la crisi post mezza età, con tanto di toyboy. Interessante, peccato sia il solito, pleonastico, cinema di Cristina Comencini. Il film è una commedia dal buon potenziale rovinata da una visione modernista delle relazioni umane, immaginate o vissute male, in un salotto romano. Personaggi ridicoli, ripetitivi, meccanici, e una storia che vorrebbe esser piccante, irriverente, si spezza contro la mediocrità assoluta dell'insieme. Brave come sempre le due protagoniste, meno il fanciullo.


Quo Vado




Il fenomeno economico del 2016 in ambito di incassi nazionale, è nella sostanza una pellicola assai dimenticabile, di quelle che non lasciano traccia dopo la visione. Sicuramente meglio dei cinepanettoni, e con almeno due battute assai divertenti e una canzone dedicata alla prima repubblica che rimane in testa, manca il cinema. Si gioca in modo ambiguo sui luoghi comuni italici, a volte centrando l'obiettivo, spesso a vuoto.





Un paese quasi perfetto


Altra commedia che , come quella di Zanone, è parte integrante del cinema pleonastico. Non bello, non brutto,  si ride, ma nemmeno tanto da ricordarsi battute e personaggi. Opere che escono in un 2016 dove invece parte della commedia mainstream ha tentato un piccolo spostamento verso qualcosa di buono.





Un Bacio


Il cinema è rappresentazione della realtà, c'è finzione, alterazione della realtà, anche. C'è la poetica di un regista che, è suo diritto, ci propone un prodotto specchio del suo pensare, vivere, o anche di esigenze economiche.
Il problema è quando la costruzione, la rappresentazione, la finzione, stridono in modo evidente con ciò che vediamo e che dovrebbe "travolgerci". Questo succede con quello che reputo forse il peggior film italiano di questo 2016, no scherzo! Il peggiore è quello della Comencini!
Non ci appassiona mai ai personaggi, alle loro storie, perché "scritti" e si vede che sono solo dei personaggi, nonostante l'impegno dei protagonisti, una certa aria alla "noi siamo infinito", non fa che peggiorare le cose . Adolescenti che interpretano giovani secondo una visione adulta, non si sa quanto, ma sicuramente incapace di nascondere il trucco, la corda, il senso di "veder un film",perché non vi è una vera strada, una direzione decisa.  Suona tutto falso e anche i numeri musicali, risultano appiattiti, poco palpitanti, studiati, ma come se fossero contorno di uno dei tanti talent.







Queste le pellicole italiane che non mi hanno entusiasmato per nulla. In un anno dove, peraltro, si riconferma l'assoluta eccellenza del nostro cinema nazionale. Avremo modo più avanti di scriverne come merita.
Ora andiamo all'estero, managgfoster e clooney!







Voler raccontare la crisi economica, i segreti sporchi dell'alta finanza, l'equilibrio tra umano e cialtrone che contraddistingue una certa tv. Quante cose! Ne avessero indovinata una. Il plot economico-thriller è un concentrato di grigie ovvietà, si banalizza le contraddizioni del capitale, si punta sul voler coniugare spettacolo e sostanza e niente. Manca tutto
Una ripetizione stanca, che tenta di darsi un tono, occasione sprecatissima




Remember


Bella idea messa in scena in modo un po' ridicolo, vedi il finale e la descrizione di alcuni personaggi. Il tramonto di un ex grande regista? Non esageriamo, capita a tutti di sbagliare. Qui purtroppo l'idea di base e un ottimo Plummer non vengono aiutati da una regia televisiva, piatta, senza mordente e alcuni attori non del tutto in parte. L'idea di raccontare in modo altro l'olocausto e la vendetta, naufraga sopratutto negli ultimi minuti.






Room

Una storia durissima, un trailer che ci faceva ben sperare. Invece ci troviamo di fronte a una pellicola che par dire cose importanti nella prima parte, ma che naufraga nella seconda. Seguendo le leggi del cinema "trattenuto", così il ritorno a casa non fa esplodere nessun processo di analisi e riflessione sul come uscire da certe orribili situazioni, non si frantuma e non ci si fa male,  lasciando una serie di potenzialità su carta.






The boy

Un horror d'atmosfera che tenta un discorso interessante sulla maternità che finisce come un Venerdì 13 dei poveracci. Basta cosi, direi.







1001




l'apoteosi di sto cazzo di cinema "trattenuto"Mortacci sua!










mercoledì 14 dicembre 2016

Riflessione Indisciplinata: di Dolan, di Bellocchio, di famiglie e del perché scrivo di cinema

Da un po' di tempo non scrivo più nulla. Non credo proprio che il mondo della critica cinematografica o dei semplici cinefili, ne risenta o abbia notato la mia mancanza. D'altronde, è noto, che la gente si perda sempre le cose migliori senza batter ciglia. No, non è di questo che ho intenzione di "parlare", meglio di scrivere.
Questo blog è un diario pubblico, un quaderno di appunti,  nel quale da "spettatore", aspetta lo riscrivo per farmi capire meglio: Spettatore, cerco di analizzare i sentimenti e i pensieri che una pellicola ha saputo donarmi. Le radici di questo mio piccolo spazio sono quindi le sensazioni, le riflessioni, una sorta di terapia nel quale sono sia il dottore che il paziente.  Perché credo che la figura dello spettatore sia del tutto sottostimata e valutata, o meglio: inni a lui quando sceglie di far incassare tanto a opere orribili, reazionarie, cialtrone, in quanto nel pensiero borghese che impera nel nostro cinema, uno spettatore è come uno del popolo: applaudiamo la sua ignoranza, la sua volgarità, che è così vera, giusta, ma distruggiamoli ogni volta tentino di migliorarsi.
Per questo il blog non si chiama Le critiche di un Occhialuto, come potrebbe essere, ma " Lo Spettatore indisciplinato", in quanto si cerca di dar un contributo personale a una certa crescita di visione da parte del pubblico, delle masse. Il cinema, in un mondo precario dal punto di vista sentimentale e di capacità dei singoli di sapersi descrivere e vivere, serve alle masse per aprire un dialogo attivo e difficile tra le immagini sullo schermo e quelle della loro vita.
Continuo a credere che i discorsi tecnici sul cinema siano del tutto irrilevanti, interessanti per chi lo studia, quotidiani per chi ci campa, ma non centrano l'obiettivo primario di questo splendido prodotto sospeso tra arte e industria: parlare alla massa. O a parti anche piccole di essa.  Una buona critica cinematografica non si deve solo esaudire nell'analisi del mezzo e delle prodezze tecniche, ma deve unire a questa base di partenza : psicologia, sociologia, filosofia, pensieri, sentimenti, emozioni. Per questo la critica usa e getta che vive sul e nel momento è utile per una prima idea, poi la comprensione, critica, esperienza, di un film è sempre in movimento. Un buon critico dovrebbe tener conto anche di questo. Io stesso penso che alcuni film, quelli che col passar delle stagioni ci piace ancora rammentare, meriterebbero più riflessioni, recensioni. I films crescono come noi, si evolvono, si perdono, guadagnano o perdono con il tempo. Sono un ottimo metodo di analisi del nostro essere, una sanissima terapia e riflessione sul nostro vivere, sentire, emozionarci.
Credo che il cinema sia un grande contenitore dove: letteratura, musica, le scienze progressiste in campo sociale, psicologico, etico, si mescolino insieme per offrire a noi un modo di crescita individuale, ma collegato profondamente con l'altro, con il mondo. Ancora più della televisione o di certi social.
Per questo certi registi li amiamo tantissimo, anche se magari fanno un cinema diverso rispetto a quello che noi siamo portati ad amare. Per questo alcune pellicole le sentiamo nostre in tutto e per tutto.
Io ho cominciato a scrivere di cinema per grafomania, ai tempi il mio blog serio era " Malgoverno", ero giovane, militante, tanta passione.  Piano piano questo blog, con il tempo si è evoluto. Mi segue nella mia crescita, mette nero su bianco le cose buone e le grandi cazzate che ho da dire, che sento particolarmente mie, ma che non saprei dove indirizzare e a chi.
L'arte non interessa, applaudiamo ipocritamente chi fa lavori faticosi, ma sempre ritenendolo un animale da soma e non un uomo capace anche di grande sensibilità. Per fortuna siamo liberali, eh!
Sì, l'arte non interessa. Non ci piace nemmeno a noi cinefili metter in comune alcune idee, discuterne amabilmente, saremo concordi o no, chi se ne frega, l'importante è parlarne, scriverne, sentirsi parte di una grande famiglia
Penso che l'idea consumistica della blog star, di essere gente capace di influenzare il popolino, trattare uno spazio non come un diario ma come una bibbia dell'arte, della politica, abbia nuociuto al mezzo e alla sua reale potenzialità. Si, dovrei ogni giorno scrivere un post, avere rubriche fichissime, coltivare i miei commentatori, non come amici che vogliono discutere di un film, un libro, ma come fans, dovrei farlo ma per pigrizia non mi va
La pigrizia è la madre dell'intelligenza, sappiatelo. Perchè crea quei distacchi necessari per campare bene. Ci prendiamo tempo. Scriviamo quando ce la sentiamo. Consideriamo gli altri nostri amici, non gente che deve venerare il raffinato pensatore di turno.
In questo periodo ho visto tanti film bellissimi, ma non avevo parole per descriverli. Essendo uno che scrive di getto, non mi è possibile buttar giù due parole a minchia e poi riscriverle con calma, dopo
Perché dopo mi è passata la voglia, l'urgenza, la necessità di parlarne. O scriverne
Scrivo per me, perché, a volte, mi fa sentire bene. Di getto, travolto da un flusso di pensieri e parole. Sentimenti, sopratutto sentimenti.
Tutto questo prologo lunghissimo per dire che mi sarebbe piaciuto tornare con un bel post sul tema della famiglia.  Analizzando tre film, ma visto che il terzo non son riuscito a vederlo, facciamo che ci accontentiamo di un dittico? Messo giù così: come viene, viene
Poco professionale, certo. Io sto dalla parte dei dilettanti allo sbaraglio. Sono sicuro che la Raggi potrebbe apprezzare il mio lavoro! (Sì, mi sto candidano per dirigere il prossimo festival di roma ^_^ )













TENGO FAMIGLIA!
Tutti prima o poi usiamo questa frase. Di solito quando vogliamo elegantemente sganciarci da una situazione che richiede coraggio.  In quel momento rammentarsi che il curioso animale domestico che rompe più della gatta, è la propria moglie, o che quel nano che rompe le palle manco fosse il MiniMe del Dr Evil, è nostro figlio, ci spinge con tono responsabile e serio ad evitare di perdere il posto o prendere botte da sbirri e fascisti.  i " Tengo famiglia" sono quelli che consegnano simulando un parziale malessere etico, la patria alle forze peggiori.
In ogni caso, per un motivo o per l'altro nessuno può far a meno di interrogarsi, confrontarsi, sostenere, attaccare, questo gruppo di gente che il caso ha messo insieme, che appunto è la famiglia.
 Luogo di crescita, dove impariamo le leggi morali, il come "star al mondo", le regole importanti, oppure carcere, incubo, causa dei nostri mali, insoddisfazioni. O qualcosa che non potremmo mai avere anche se la desideriamo, per tante ragioni.
 Fra tutte le istituzioni l'unica che resisterà nel tempo è proprio lei: the family.
Moderna o tradizionale, composta da persone dello stesso sesso o alla vecchia maniera, non importa.
Tutto parte, si evolve, matura, finisce, lì.
Il problema è che molti si avvicinano agli altri avendo delle parti di sé non risolte, una lunga esperienza di incapacità al dialogo, di chiusura in sé, nel proprio dolore o quanto meno mondo. Si fidanzano, sposano, mettono al mondo figli, perché "arrivati a una certa età". Alcuni sono genitori ma non hanno mai passato l'esame di figlio. Il genitore è un mestiere difficilissimo, incompreso da molti. Non è facile crescere un'altra vita, esser il punto di riferimento che loro useranno per confrontarsi con il resto del mondo Per cui tendiamo ad aver un atteggiamento giustificatorio: li ho cresciuti tutti allo stesso modo eppure lui, non importa che età avrà, sarà sempre il mio bambino. Due atteggiamenti assai comuni, no? Nel primo siamo convinti di aver trovato la formula magica. Va bene per due, andrà bene anche per il terzo. Sicché colpa sua se non comprende, anzi se fa esattamente altro. Ci stupiamo dei difetti dei nostri figli, come se fossero cose portate dagli alieni, non comprendiamo i nostri fratelli o le nostre sorelle, perché non vediamo in loro altre persone, ma membri di un clan, un gruppo, una cazzo d tribù che balla. Il secondo atteggiamento, quello del figliolo che è sempre bimbo, dietro a questo amore nasconde la totale sfiducia in un essere che ci stupiamo sia nostro figlio o nostra figlia
Certo tanto caro, cara, come appunto i bimbi/le bimbe. Possono commuoverci, possiamo amarli e andar fieri di essi, ma sono solo questo: dei bimbi incapaci di autonomia di pensiero e azione
Per cui interveniamo per dir a loro cosa devono fare, dire, pensare, ci pensiamo noi. Le cose che vanno bene a babbo, in particolar modo, e mamma , a rimorchio spesso, devono andar bene anche ai figli. Pure se ormai sono in zona andro/menopausa.
La famiglia è luogo di meraviglia e di grandi conflitti. C'è tutto e il suo contrario dentro di essa, non manca nulla. Perché è la somma di tanti rapporti umani, e oggi come sapete facciamo un po' pena in quel settore.  Una persona in crisi non può che dar vita a una coppia in crisi, la quale sarà la base di una famiglia disfunzionale.
E poi ci sono le altre, le tantissime che funzionano bene. Con alti e bassi, ma funzionano.
Il cinema, nella sua naturale funzione di grande narratore dell'esistente,  non poteva certamente evitare di metterle in scena tante volte. Sotto ogni punto di vista, senza censura o confini.
Oggi vi scrivo di queste.















Fai bei sogni è solo la fine del mondo.

Una certa sbornia collettiva ci ha spinti per anni a enfatizzare mestieranti e affini, sempre nel nome abusato del popolo. Tanti improvvisati, tra cui un giovane Spettatore Indisciplinato,  credevano di fare la rivoluzione incensando film  e registi che sono "traaaash2, " cazzo è roba degli anni 70", " e i radical chic li hanno sempre osteggiati ma guarda", tante adorabilissime cazzate. Alcuni con coraggio, fede, dedizione, le ripetono ancora oggi. Li ammiro, pur non essendo d'accordo con loro.
Io invece penso che esista davvero una divisione netta e profonda tra registi e Registi. Magari questi ultimi sono soffocati dalla produzione, devastati da un ego poco gestibile, incomprensibili e immobili sulle loro tre o quattro ossessioni. Eppure sono quelli che riconosci subito, quelli che fanno davvero la differenza. Perché prendendo storie già viste e sentite, mettono in scena qualcosa di personale, unico. Possono anche infastidire, non piacere, ma non sono da confondere con gli onesti lavoratori che mettono in scena storie impersonali, sono due cose diverse, giuste e necessarie, ma diverse
Per quanto mi riguarda,  a parte una lunga crisi populista durante i miei 20 anni, poi ho sempre amato l'Autore, pure quelli che molti reputano registi di genere perché magari passano la vita a girare polizieschi, horror, fantascienza, ma che in realtà usano il genere per dire altro.
Arrivando al punto ho amato moltissimo  E' solo la fine del mondo e Fai bei sogni, perché pur partendo da testi scritti da altri, sono opere personalissime e molto sentite.











 L'opera di Dolan mette in scena una commedia scritta da un autore molto importante in Francia e non molto conosciuto dai più, qui da noi :  Jean Luc Lagarce. Scrivo questo non perché io conosca benissimo l'autore, ci mancherebbe, ma per manifestare il mio amore verso il cinema-teatro, anche se con l'estro, la carica dirompente, di un autore che prima di tutto è uno straordinario inventore di immagini, come Dolan in effetti è, di teatro rimane poco o comunque filtrato e reinventato attraverso l'uso del mezzo cinematografico.
Come la maggior parte dei grandissimi film, anche questo ha una trama che si può dire in pochissime frasi. Non c'è nulla di originale, niente di nuovo, nessuna nuova tesi, ma c'è la forza impressa dal suo autore a un'idea che sente in modo particolare
Questo modo di far cinema mi piace. Si, ora tutti vogliono andar al cinema ed esser loro a decidere la direzione del film, arrivarci loro a comprendere la sua natura e il suo messaggio.  Questo è un modo di far cinema, ma ho un po' il sospetto che si scelga questa strada per mantenere le distanze, non lasciarsi andare, far finta di aver qualcosa di importante da fare, piuttosto che abbandonarsi al mondo di un altro e conoscerne regole, dolori, miserie, glorie. Un po' come quelli che sostengono quella cosa orribile che è il cinema "trattenuto", con la scusa che non sopportano i ricatti morali. In realtà hanno paura di commuoversi, soffrire, per cui l'anti retorica che dichiara pacchiane guerre, va bene. Li salva.
Dolan ha le idee chiare, e le mette in scena. Film dopo film, ci meraviglia o inganna con la potenza totalitaria e violenta delle immagini, ci lascia senza fiato di fronte a tanta bellezza, ma poi ci dona pensieri e riflessioni profondi, perché a mio avviso non è per nulla un autore formale e basta. Usa la forma per dar sostanza alle sue opere. Lo fa benissimo
In questa sua ultima opera abbiamo una famiglia che tenta di recitare una certa normale felicità, ma senza impegno alcuno. Ci sono i ricordi d'infanzia, la voglia di conoscere il fratello andato via quando si era troppo piccole per conoscerlo, c'è la madre che ostenta un'egoistica e chiassosa felicità, una cognata schiacciata dalla violenza di un marito rancoroso e infelice, e infine lui: il protagonista che torna sperando di riallacciare i rapporti, e come? Annunciando la propria morte.
Non andrà come aveva pensato e di questo ne siamo ben consci fin da subito. La riflessione che il film mi ha donato è questa: " Ma davvero pensiamo che i rapporti possano migliorare perché stiamo morendo?"
A mio avviso è proprio l'idea del giovane protagonista ad esser sbagliata. Un rapporto può nascere se gli altri sono disposti ad ascoltare, comprendere e noi nel tempo lo abbiamo tenuto vivo. Altrimenti riaffiorano antichi rancori, ruggini, malesseri, incomprensioni.
Quanta dolorosa verità in questi personaggi che si urlano contro, si insultano, vivono separati e in conflitto con i propri figli, fratelli, sorelle.  Per tutto il  film non vi è traccia alcuna di dialogo. Ognuno ha la propria canzone da cantare e procede, stonando, per quella strada
Dolan ci stupisce con le immagini, l'uso della musica pop più commerciale che diventa inno a una bellezza e serenità inventate o vissute, ma perse nel passato.  Però non si limita a questo: ci mostra una verità credibile. Non tutte le famiglie sono così, sia ben chiaro. Per alcuni soggetti è facile che vi siano rapporti poco sereni con la madre, ciò giustifica in parte le loro scelte sentimentali future, o certe ossessioni artistiche, ma non vuol  dire che non esistano famiglie felici. O che film  dedicate a loro siano falsi. La falsità su schermo è in cose come "Un Bacio", non certamente in opere che sono credibili e coerenti con un loro messaggio.
L'opera in questione ci colpisce nel profondo, proviamo pena per i personaggi, nessuno immune da feroci critiche a partire dalla madre fino ai figlioli e alla cognata troppo remissiva nei confronti dei parenti acquisiti e sopratutto del marito
Rimane alla fine la sensazione di una grande solitudine collettiva. Vissuta con inerzia, come se fosse normale, senza nessuna altra possibilità. Anzi, par proprio che la possibilità sia una mera illusione, un fallimento annunciato, ma proprio in virtù del fatto che non abbiamo mai cercato un dialogo vero, un rapporto sincero.
La fine del mondo, l'unica che davvero conosciamo, è proprio questa incomprensione, sentirsi sconosciuti  e stranieri nell'unico luogo dove vorremo esser compresi per quello che siamo, che di fatto ci costruisce il carattere e ci dona le regole per star al mondo: la famiglia.
E mentre scorrono i titoli di coda pensiamo alle nostre di famiglie e a quella che stiamo costruendo.
Come tutti i grandi autori, Dolan, ci offre una visione precisa delle cose, permettendo a noi di ragionare, farci male, emozionarci, sentirci vivi nel nome dell'arte e della vita su uno schermo. Specchio deforme delle nostre vite














Cosa può fare un grande maestro del cinema? Farci amare uno scrittore, forse giornalista che , se non ci fosse Fabio Volo, riterremmo il più pleonastico degli scrivani, questa frase è da dire con il tono di voce ed espressione mimica di un Jep Gambardella o di un Vincenzo De Luca.
Perché l'Autore piega a sé e alle sue tematiche il lavoro degli altri, sicché anche un mediocre riempitore di parole può brillare se gestito dalle mani sapienti di un grande artista
Ovviamente qui il grande artista è Marco Bellocchio.
Il film prende le origini da un libro di Massimo Gramellini:  Fai bei sogni, appunto.
Di cosa tratta l'opera letteraria e quella cinematografica? Della elaborazione di un lutto difficile da superare, di come la famiglia sia un luogo di menzogne, del trattamento disumano che colpisce i più piccoli e di come tutte queste cose, apprese e respirate tra le mura domestiche, ci facciano del male durante la crescita.
Ora, l'elemento di vero interesse è lo scontro/incontro tra il cinema rigoroso, spartano, carico di possanza simbolica e raggelante del maestro di Piacenza e la narrativa piena di luoghi comuni, immaginario collettivo e generazionale trito e ritrito, come se non fosse capitato nulla di più entusiasmante in Italia, durante il periodo dell'infanzia di Massimo, che non siano le sole trasmissioni televisive.  Un immaginario piacione che cerca l'approvazione immediata dettata da quel sentimento che spesso noi gestiamo male: la nostalgia. Parentesi: quelli di una certa età come Gramellini si accaniscono nel celebrare Canzonissima, noi lo facciamo con robe come i Goonies. La differenza è che i ragazzi di quel periodo poi hanno fatto politica, noi scriviamo post politici.
Ecco, dicevo, lo scontro tra due immaginari artistici così lontani è la cosa migliore dell'opera. Bellocchio mette in scena Gramellini, ne riconosciamo tutte le sue tematiche e istanze, ma le rende più alte, nobili, offre a loro un senso di epica tragedia quasi shakespeariana che manca del tutto all'originale. Gramellini invece umanizza, rende più accessibile e immediato in alcune sequenze, dialoghi, personaggi, la distanza aristocratica di Bellocchio
Questo funziona benissimo
  Seguiamo l'infanzia del piccolo Massimo costretto a confrontarsi con la perdita della madre, adultizzato nel dover superare o convivere con il trauma, non compreso come bambino smarrito di fronte a un dolore così grande, un piccolo estraneo per il padre, un bimbo che non deve sapere la verità per tutta la famiglia.
La parte migliore del film è proprio quella che affronta il tema del lutto visto dal punto di vista del bambino. Le sue esplosioni di rabbia, la sua tristezza, le preghiere a Belfagor. Raro vedere una simile attenzione alle dinamiche psicologiche dei più piccoli, così vere e credibili.
Crescendo, Massimo, diventa un giornalista, nondimeno è un uomo che ha grossi problemi di relazione con gli altri, ancora imprigionato a una verità costruita dal padre e dai parenti.
La famiglia sbaglia sempre quando pensa di "proteggere" inventando bugie. Il bene degli altri non passa mai attraverso l'inganno, la menzogna. Solo la verità, anche la più crudele, ci aiuta a crescere e a vivere.
 Bellocchio si mantiene a una giusta distanza, non cede alla retorica del ricatto morale, ma non è nemmeno impalpabile o  trattenuto. Avvertiamo la sofferenza di Massimo, ci indigniamo di fronte all'assenza/presenza di un padre incapace di esser padre , ci indigna l'atto di estremo egoismo della madre, proviamo compassione e vicinanza per il protagonista
Non cambio idea su  Gramellini come scrittore, ma dopo questo film non posso che provare compassione e tenerezza per l'uomo e il bambino che è , è stato.
Come nel film di Dolan, abbiamo anche qui un cast che funziona benissimo e che si presta a diventare voce che si fa carne ed ossa del proprio regista. Non è tanto Cassel o la Cottilard che fanno i loro personaggi, o Mastandrea  che ripete sé stesso, ma sono la pura rappresentazione di una idea di cinema. L'idea di due grandissimi autori.