mercoledì 25 marzo 2015

THE JUDGE di DAVID DOBKIN

Sai alla fine tu potrai anche portarmi via il mio Breil(che non ho) ma non il mio ottimismo di fondo. Molto in fondo, diciamo abissale, ma forte e resistente.
Prendi il cinema. L'hai preso? Molto bene. Ecco è una invenzione vecchiotta, ha dato moltissimo e perso troppo durante la sua strada, ha brindato alla gloria e scopato le leggende,ma è anche precipitato in crisi atroci, 1000 volte ucciso e 1000 volte risorto. Succede così quando hai a che fare con l'arte. Succede così quando hai a che fare con le storie e i personaggi. Ci sarà sempre qualcuno, come me, che cerca una storia e dei personaggi. Io al e nel cinema cerco noi. Non eroi, posti fantastici, o meglio anche quelli,ma principalmente sono interessato alla nostra vita e ai modi che ci inventiamo per viverla al meglio. Il cinema vive perché noi siamo vivi. Prendi una cinepresa, una macchina da presa, la tua telecamerina,e puntala su un amico, un famigliare, una persona: avrai del cinema. Ricordi, sogni, tragedie e sorrisi.
Per questo motivo mi piacciono i film come questo : The Judge.

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Cosa c'è di nuovo sotto la luce del riflettore? Nulla. Guarda non esiste film che sia più telefonato di questo eh. Però per me non è un problema. Non sono mai stato ossessionato dal dover esser originali, alternativi, innovativi, non mi interessa proprio. Mi piacciono le storie universali, classiche, che sappiano risvegliare in noi dei ricordi o riflessioni su cose che potrebbero accaderci. Certo adoro le avanguardie e chi sperimenta, ma non è la cosa principale che cerco nel cinema. Almeno che tu non mi stia parlando di quei movimenti con intenti sovversivi e di profonda innovazione spontanea, come ad esempio la Nouvelle Vogue e la New Hollywood. Lasciamo perdere mi sto incasinando da solo : io e le mie contraddizioni in solo due righe !

Insomma : di cosa parla codesta pellicola? Di un giovane ambizioso, rampante, arrogante, avvocato di Chicago che torna nel suo paesino dell'Indiana, che lui disprezza e non ha tutti i torti, per il funerale della madre. Qui ritrova i suoi due fratelli: Glenn, padre di famiglia, modesto commerciante, un passato glorioso spezzato da un incidente, David ( probabile oligofrenico e amante del cinema)
Sopratutto torna a fare i conti con il padre, che tutti chiamano : Signor Giudice. Questo uomo è un'istituzione nel suo paese. Rigoroso, severissimo, vive seguendo un suo robustissimo codice civile e morale.
Fino a quando, poco dopo il funerale della moglie, il vecchio causa un incidente stradale . A rimetterci un poco di buono legato al passato del giudice.
Per tutta una serie di ragioni il figlio cittadino e ambizioso, dovrà difendere il padre. Si riaccendono dissapori, si riscoprono tenerezze e va in scena un processo e la storia di una famiglia. Una delle tante famiglie che hanno conflitti, scontri, incomprensioni e voglia di riappacificarsi, di riscoprire la dolcezza. Per questo mi ha commosso molto la scena in cui Robert Downey jr, lava il vecchio padre, un bravissimo Robert Duval, è una piccola scena molto toccante . Un passaggio che ogni figlio vivrà con il padre e così via. Il momento in cui scopriamo che sono anziani e bisognosi di aiuto, come i bimbi.

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Un film che ci spinge a riflettere sul senso della giustizia, esso vive solo nei codici o a che fare anche con le derive e gli errori umani? Che non mette in scena cattivi e buoni, ma esseri umani che a volte vorresti abbracciare e altre volte li manderesti a quel paese,ma nei quali puoi riconoscere i tuoi pregi e i tuoi difetti. In bilico su una certa retorica, ma di quella buona eh, e tentativi di approfondimento psicologico, The Judge è un film robusto, solido, vecchio stampo. E la cosa non può che garbarmi.




Fino a domani,allorquando decanterò la grandezza del cinema sperimentale, alternativo, originale. Che volete farci? Prendetemi così !

lunedì 23 marzo 2015

GLI OCCHI DELLA NOTTE di TERENCE YOUNG

Uno dei crimini peggiori contro la media intelligenza umana è quello di far passare il cinema di genere come un luogo donde si improvvisa, si fa tanto con due lire, si mette in campo un patriottismo ancora più ingiustificato rispetto a quello per la nazionale o per i marò,  senza dimenticare le foibe eh !
Quindi tutto quel festival di stupidaggini assortite tra snob e populismo, mix davvero micidiale. Invece un film di genere necessita di buona e solida storia, personaggi credibili, regia di altissima professionalità e ingegno. La differenza balza agli occhi quando ti ritrovi a veder un film americano o inglese, per non parlare di quelli coreani, dove ogni cosa è al posto giusto, con piccoli messaggi o personaggi che usano lo stereotipo non come rappresentazione di una manifesta incapacità in fase di scrittura, ma come elemento di universalità, di immedesimazione, di riflessione sugli archetipi. E i vari modi di rappresentare la stessa figura in angolazioni diverse.

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Ecco tutto il discorso precedente si palesa in questo ottimo classico del cinema thriller. In fin dei conti la trama è ridotta all'osso: una bambola piena di cocaina che finisce nella mani sbagliate, un terzetto di criminali che la rivuole, una donna in pericolo. Una donna cieca.
Potrebbe uscirne un film assai brutto. Magari qualcuno potrebbe metter in scena dei personaggi occupati a dire e fare cose fichissime, pieno di assurdi dialoghi post citazionisti, mettere in scena la paura e la violenza in modo grottesco e penalizzante. Altri si concentrerebbero solo sul montaggio, l'uso della mdp in un singolo ambiente, insomma è la classica storia universale dove ognuno potrebbe fare quel cazzo che gli pare.
E saremmo sempre ad un passo dal disastro.

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Cosa che per fortuna non avviene in codesta pregevole pellicola. Non manca affatto la tensione,è pressoché perfetta sotto il punto di vista tecnico, ma non sbaglia nemmeno nella rappresentazione dei personaggi. I tre banditi sono tre persone ben distinte che usano metodi diversi. Tanto che alla fine uno dei tre decide quasi di lasciar stare quella caccia alla bambola, come se avesse realizzato di star dalla parte sbagliata e quindi la riscoperta della pietà per la donna e per sé stesso. Un minuto dura, anche meno, ma a mio avviso c'è.
Questo ti riesce benissimo perché hai una buona storia, un regista che filma e segue con attenzione la materia che ha disposizione, i bellissimi tempi pre -tarantinismo, e sopratutto: degli ottimi attori.

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Audrey Hepburn non mette in scena la classica donna-guerriera che a metà film scopre di esser Rambo e ci dà che ci dà che ci dà. Reagisce per sopravvivere,ma ha paura per tutto lo svolgimento dell'opera. Tenta di reagire al suo handicapp,ma ne subisce anche i limiti.  Ti affezioni e tifi per lei perché potrebbe essere una tua amica, una persona che conosci nella vita reale. Interpretazione superba, da grande attrice quale era Audrey. I cattivi stessi non sono dei super mostri, ma non è proprio così e poi vedremo perché, almeno i due sbirri corrotti. Sopratutto il personaggio di Richard Crenna che a me garba assai. Non puoi giustificarlo perché è un criminale, ma ha momenti improvvisi e veloci di umanità. Si gioca sul e con lo stereotipo.


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E poi c'è lui: Colui Che Cammina Dietro I Filari. L'Uomo di Mezzanotte, la Creatura sotto il letto. A me Alan Arkin in questo film spaventa e tantissimo. Non urla, non delira, non rompe il cazzo con assurdi monologhi, oggi verrebbe messo in scena così, ma è il ritratto del male puro. Non sappiamo nulla di lui, è uno che sa mascherarsi bene, e non concede spazio alla pietà. Una perfetta macchina di caccia e con un forte gusto nell'uccidere le persone.
Dal momento che escono in scena i suoi due complici, il film diventa terrore puro. Reso ancora più inquietante dal buio totale di certe sequenze. Come rimanere bloccati con il diavolo, nelle tenebre. Posso dire che questo personaggio è quello che più mi cattura all'interno di codesta pellicola? Ha la forza magnetica e assoluta del male, è terrore e attrazione pura quella che si prova a vederlo durante il suo "lavoro".
Alan Arkin è a dir poco bravissimo, memorabile, leggendario, nel metter in scena il suo diabolico personaggio.

Film inquietante, claustrofobico, tesissimo, è come dovrebbero essere sempre i film di genere.

martedì 17 marzo 2015

FOXCATCHER di BENNET MILLER

Dalle mie parti, anzi dalle mie ridenti parti, si usa salutar in codesto modo: " Che lavoro fai? Quanto guadagni?" Nessun "come stai", "quali sono i tuoi interessi", no; sarebbe dannatamente sfacciato. Meglio domandare quanta pecunia hai a disposizione. Disprezziamo il pauperismo, ma non l'aridità  di animo. Come se bastasse la ricchezza e il benessere economico, l'esser circondato da servi, il potersi permettere di acquistare ogni cosa, per essere giudicati felici e realizzati.
Evidentemente non conoscono la storia di John Du Pont. Quello che rimane il protagonista oscuro, "folle", di questa meravigliosa opera che trascende i generi e diviene pura e dolorosissima opera cinematografica.


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Film che affronta un tema tipicamente americano: la caduta, il riscatto, la gloria finale. Cose molto yankee, cose che fanno bene a chi crede nelle favole,ma non solo. Qui però ci tengono a dirti che dopo la favola, comincia quella cosa affascinante, ma anche bastarda che chiamano : vita. E nella vita, talora, le cose vanno malissimo.
Prendi ad esempio questi due fratelli: David e Mark. Sono cresciuti soli, come tanti altri bimbi americani, un giorno in un posto, un giorno in un altro. Mark è quello più rabbioso, lo vediamo condurre una vita all'insegna della solitudine, in una piccola e modestissima casa. Ha vinto una medaglia d'oro,ma il Paese ha dimenticato e lui è tornato quasi all'anonimato, ( e scrivo quasi perché sono sempre ottimista). Diversamente, David ha una famiglia, un lavoro come coach, una vita normale e solida. Un uomo tranquillo.

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Nella vita dei due fratelli irrompe il ricchissimo e patriottico Mr Du Pont. Rampollo di una famiglia potente e piena di soldi, il quale sogna di metter in piedi un team di lotta libera capace di dar smalto, gloria, potenza alla sua amata America, durante le competizioni mondiali.
John è un vero appassionato,ma non sa nulla di quel tipo di sport. Però avverte una fortissima attrazione per quei corpi così possenti, per gli atleti, per quel tipo di disciplina sportiva. Sopratutto pretende amore e devozione da parte degli altri. Lui, infatti, nonostante i soldi e i premi,e la "bella vita", è un ometto tristissimo e solo. Troppo solo. E troppa solitudine può fare impazzire un uomo.
Questo il tema del film: cosa fa di un uomo un mentore?Cosa lo rende un maestro, un esempio di vita? Quanto il danaro può influenzare le persone? Mark, alla ricerca di una figura paterna, per un po' rimane affascinato dal suo ricco mecenate,ma poi i rapporti saltano e fra i due ci si metterà anche David.

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Se dovesse esistere un film dove la solitudine e la tristezza li puoi toccare con mano, è senza ombra di dubbio questa pellicola. In particolare Mark e John sono uomini travolti dalla loro solitudine,da rapporti sentimentali e famigliari inesistenti, anche se il giovane lottatore ha una sua figura di riferimento nel fratello maggiore,è una storia drammatica e violenta che racconta il lato oscuro del sogno americano. Sopratutto è un film che funziona benissimo a più livelli: la regia, la sceneggiatura e un cast davvero ottimo, dove giganteggia magnifico e titanico: Steve Carrel. Il suo Du Pont terrorizza, suscita disgusto e rabbia, però alla fine provi compassione e pietà per quel bambino che un giorno scopri di non avere amici. Il suo unico amico, veniva regolarmente pagato dalla madre,per essergli amico.
Ma noi continuiamo a chiedere : che lavoro fai? Quanto guadagni? Continuiamo a confondere accumulo di roba con la gioia.

giovedì 12 marzo 2015

Non sarà un'avventura!

Tutto comincia quando lessi il suo commento su un bellissimo blog italico che parla di cinema horror. Poi da lì a commentare anche il suo blog, il passo è breve. Ci unisce il cinema, ( abbiamo gusti e modo di intendere l'arte e quindi la vita, più o meno uguali), l'amore per la letteratura e in particolare un autore: Stephen King.  Così tra un post, un commento, e altro, abbiamo la brillante idea di vedere dei film insieme. Ok, sai che idea! Che ci vuole? Si,certo...Piccolo particolare; io sto a Monza, ridente cittadina del Texa...ehm, Brianza, e lei a Firenze. Come fare? Li vediamo insieme ogni sabato sera, ognuno a casa propria,e ce li commentiamo tramite sms.
Nel frattempo è arrivato anche l'amore, come nella vita di ogni essere umano capita, questa volta pure ricambiato..olèèèè!
Da qui l'idea di dar vita a un sito gestito da entrambi: http://cinemacondiviso.com/ casomai doveste aver difficoltà: www.cinemacondiviso.com
Oltre ai film che vedremo insieme,ci saranno diverse rubriche: tipo una dedicata al cinema politico e una dedicata al tema cinema e infanzia. Si chiamano: Berlinguer, ti voglio bene! e L'Età dell'innocenza.
Un sito che speriamo diventi una realtà nel panorama dei blogs e dei siti dedicati al cinema. Due punti di vista, due vite,che si mescolano,si confrontano,discutono,come doverebbe sempre essere
Ecco,se leggete di già Lo spettatore,mi farebbe piacere avervi come lettori anche di questa nuova avventura.
Io sono fatto così: mi affeziono ^_^

Europa_'51_poster

Sul nuovo sito troverete la nostra prima recensione : Europa '51. Il capolavoro immortale di Rossellini. Leggetela e fatela leggere !

http://cinemacondiviso.com/2015/03/10/europa-51-di-roberto-rossellini/