sabato 14 aprile 2018

I SEGRETI DI WIND RIVER DI TAYLOR SHERIDAN.

Ascolta, per me le cose sono abbastanza semplici. Sì, sì, lo so. Le sfumature, ogni essere umano è importante, lo so. L'ho capito. Tuttavia mi basta ascoltare le storie, vedere i volti delle persone, i segni che si portano dietro e insomma.. Le cose non stanno proprio così.
Aggressori e aggrediti, vittime e carnefici. Tutto qui. Anzi, no! C'è un altro elemento: questo dolore, questa sofferenza che non è solo una questione privata, ma investe e avvolge le altre persone, le case,  l'ambiente che ci circonda.
Non esistono prigioni peggiori di quelle senza sbarre. Vedi la vastità della pianura, la bellezza imponente delle montagne o le distese azzurre del mare. Eppure, talora, non c'è nessuna libertà, nessuna redenzione possibile.
C'è la perdita, la mancanza di una persona cara, i sensi di colpa - che sono giusti e naturali inutile evitarli- e una marea di domande, ipotesi, su cosa avremmo potuto fare.
Niente.
Non puoi far niente, se non viverlo tutto quel dolore.

Molti hanno paragonato questa pellicola a quel piccolo classico che è " Il silenzio degli innocenti". Ormai non riusciamo nemmeno più a far i paragoni come si deve.
Certo c'è un delitto, delle indagini e una donna dell' F.b. i.  che "risolve" il caso grazie all'intervento di un uomo "esperto" in un determinato settore. Ma anche con questa spiegazione siamo lontanissimi sulla reale natura della pellicola.
Sheridan  usa il genere per raccontare la sofferenza, solitudine, dei suoi protagonisti all'interno di un ambiente sociale e naturale ostile. Che sia la frontiera messicana/americana di Sicario o la desolazione di uno stato del sud degli Stati Uniti, non cambia il destino dei protagonisti. Colpiti e affondati da forze maggiori, da una giustizia che nulla ha a che fare con la legge, persi in un mondo quasi primitivo, in cui forse si può parlare di clan o tribù le une contro le altre. Microcosmi che tentano di vivere e difendersi contro un nemico troppo forte e potente.
Anche in questa seconda opera come regista, mette in scena le stesse tematiche.
La storia, almeno sulla carta, è davvero di quelle che più classiche non si può, Un uomo che si guadagna da vivere come cacciatore, nelle lande desolate del Wyoming, durante una battuta di caccia. scopre il cadavere di una ragazza. La fanciulla è morta mentre cercava di scappare da qualcuno. Morta soffocata nel suo stesso sangue,  perché correre di notte quando la temperatura scende sotto i 30 gradi, porta delle spiacevoli conseguenze ai polmoni. Che peggiorano respirando l'aria gelida.
La ragazza è stata violentata, per cui si indaga per scoprire chi è l'autore della violenza e dell'omicidio.
Arriva sul posto una giovane agente dell' F.B.I. una ragazza volenterosa, ma inadatta ad ambientarsi in quel posto dimenticato da dio
Il posto è una riserva indiana. Sai quei paradisi in terra dove i civilissimi e democratici statunitensi hanno rinchiuso, dopo anni e anni di massacri, i veri proprietari di quelle terre?Sì, sto parlando dei pellerossa.  Sto scrivendo che gli Stati Uniti sono nati, cresciuti, prosperati, grazie al genocidio di quei popoli e lo schiavismo ai danni degli africani. Questa è la Storia, questa è la Verità. Non ti dico che tu faccia male a trovare alibi e raccontarti balle sui tuoi adorati yankee e il sogno americano,  lo puoi fare. Ognuno di noi difende le cose che ama. Abbi solo la decenza di non ergerti a persona di buon cuore, a campione di umanità quando parli dei tuoi " fari della democrazia occidentale contro il buio di questi tempi". O quando, da libertario a cazzo di cane, parli di " sacri valori occidentali".
Le riserve sono posti dimenticati dagli uomini e da dio, dove è difficile vivere.
" La neve e il silenzio, sono le uniche cose che non siete riusciti a portare via ala mia gente" Queste bellissime parole, dette dal cacciatore a un figlio di puttana colpevole di un reato orribile, descrive bene quella zona. " Qui o sopravvivi o soccombi" Anche queste parole spiegano benissimo che inferno in terra è quella zona.
Neve, silenzio, una magra vita da allevatori, troppo alcol, tanta rabbia. Uno rischia di impazzire e commettere atti ignobili.
Cory Lambert, un ottimo Jeremy Renner, il cacciatore protagonista di questa pellicola, è un uomo piegato dal lutto.Sua figlia è morta come la ragazza trovata cadavere ( a sua volta figlia di un suo carissimo amico) l'abilità di Sheridan consiste nel non darci troppe informazioni sulla morte della ragazza, ma di certo anche lei è stata vittima di violenza. L'uomo cerca una sorta di rielaborazione impossibile non tanto dal lutto, ma penso, dal senso di colpa trasformandolo in aiuto alle indagini, per vendicare l'amico, sé stesso, o solo perché a un certo punto sei talmente avvolto dal dolore e distante dal mondo che dovrai far qualcosa, per trovare o dare un senso.
Tanto lo sai che alla fine la vendetta non sistema le cose, ma d'altronde cosa c'è da sistemare quando tutto è crollato, frantumato, in mille pezzi'
Opera dolorosa, dolente, che colpisce e affonda lo spettatore. Senza scader nel morboso, o strumentalizzare il senso di perdita che avvolge la storia e il film.
Non è nemmeno un film di vendetta. Cory non è rancoroso, come la donna del Missouri, non odia il mondo, ha accettato di viverci per sempre col dolore e - in una breve sequenza di rara bellezza- lo dice anche al suo amico Martin.
Wind River, è un film di personaggi. Ognuno ha una sua umanità feroce e dolente, ognuno di loro rimane impresso. Partendo dai due ottimi personaggi principali ( Elisabeth Olsen è magnifica nel dar copro al personaggio di una giovane donna persa in una terra ostile, che tenta di agire e farsi sentire. Ma rimane estranea a quel ambiente e a quelle persone),  io ho amato molto anche lo sceriffo locale. Un vecchio saggio, il  quale, pur sapendo che lui non ha nessun tipo di mezzi e non conta nulla, è in prima linea a compiere il suo dovere. Come mi ha commosso molto il finale, con il povero Martin truccato per il suo funerale, che desiste dall'uccidersi perché ha pur sempre un figlio.
Un figlio che non sente da troppo tempo, visto che ha deciso di annullarsi nella droga, ma che forse  dopo la morte della sorella, forse ha deciso di cambiare vita
Forse.
E la vendetta? O è giustizia quella che vediamo compiersi alla fine? Io penso che certi dettagli tu possa aver il lusso di notarli proprio perché non hai avuto modo di essere vittima di una violenza o di perdere qualcuno in modo violento. Non faccio nessuna colpa ai garantisti, innocentisti, anzi riconosco a loro una forza morale, etica, civile, che è la doppia della mia
Dico solo che quando non avevo nessuno, potevo anche dire: "Eh, ma che risolvi in questo modo?Non vedi povero che sta piangendo?" Ripeto chi pensa queste cose ha tutto il mio sostegno, lo dico sinceramente. Io non posso farcela. Perché se mi portassero via in quel modo una persona che amo, sarei morto anche io. Ucciso dai ricordi, dal rimorso, dalla colpa.
E far morire in malo modo il colpevole, sarebbe l'unica cosa che mi darebbe un... No, non mi darebbe nulla, ma è rabbia per rabbia, odio per odio, che poi se vedi bene nell'antico testamento c'è anche scritto: occhio per occhio e così via.
Per evitare tutto questo viviamo in città civilizzate, dove ti affidi alla polizia e tu passi i giorni al buio, andando in terapia, scacciando o rielaborando la rabbia e la voglia di vendetta.
In un posto dimenticato dal diavolo, le cose funzionano diversamente.
Come? Non c'è nessuna redenzione, scampo, alla fine tutto quello che puoi fare è piangere tua figlia e chiedere a un amico se per caso ha tempo da darti. Per aspettare insieme, perché l'unica cura è non chiudersi e isolarsi, ma aver il coraggio di chiedere aiuto.
Sopratutto noi uomini allevati da donne che ci insegnano a non piangere e da maschi per cui un corpo femminile è un oggetto e non una persona.
Forse piangessimo di più i nostri dolori, forse...

Per tutti questi motivi "Wind River" è un film eccezionale, ottimo, che va visto e vissuto senza difese, e pensando che fortuna abbiamo noi a non vivere nello stato del Wyoming!


venerdì 6 aprile 2018

A TAXI DRIVER di HUN JANG (Korea film festival)

Ti ricordi cosa diceva quella canzone? Ma sì, la cantavamo spesso e volentieri durante le trasferte dalla nostra Brianza a Roma. Ogni manifestazione era preceduta da questo canto collettivo sul bus, non ricordi? Aspetta ti cito le parole:" Gli eroi sono tutti giovani e belli!" Appena le ripetevi per tre volte consecutive ti pareva quasi di vederlo questo eroe, vero? Alto, biondo, sguardo fiero, nobilissimi ideali e sprezzo del pericolo. Gli eroi non hanno paura, non temono la vita.
Perché non ne hanno una da perdere.Sono un po' dei coglioni gli eroi, sai? L'ho sempre pensato e infatti ho sempre trovato più avvincenti le storie di quelli che, se avessero potuto, col cazzo che avrei perso la vita per la patria, dio, o altre invenzioni umane.
Però la figura dell'eroe e del super eroe, ci serve e non possiamo farne a meno. Deleghiamo a loro le asprezze della lotta, il rumore dell'acciaio e delle pallottole, la presa di posizione. Così possiamo vivere mangiando pop-corn e prendendocela coi "politici".
Eppure la vita a volte ci costringe a non rimanere nascosti,  a vivere premiando la convenienza e non il riscatto, la redenzione, il semplice gesto di umanità che non ci rende complici.

Vincitore del premio della giuria e premiato come miglior film dai voti degli spettatori in sala, del Korea Film Festival, da poco concluso,  A Taxi Driver, è un' opera di grande spessore e potenza. Proprio come il secondo classificato (Ordinary Person) anche qui ci troviamo di fronte a una pellicola che contamina genere e impegno politico. Un giusto equilibrio tra la commedia e la denuncia del massacro di Gwangju, dove una lunga protesta popolare venne soffocata nel sangue ad opera dei soldati.
Casomai vi voleste informare meglio sul massacro, ecco un linkhttps://it.wikipedia.org/wiki/Massacro_di_Gwangju

Il film ci mostra la vita di Kim. Chi è costui? Un uomo medio, anche mediocre. Non certo una persona informata di quanto accada dopo il colpo di stato del 12 dicembre 1979. Lui pensa a lavorare e mantenere sua figlia. Il tassista è un vedovo e non è facile crescere una bambina da solo.
Kim a inizio film se la prende con un gruppo di studenti che manifestando viene caricato dall'esercito. Per lui, quelli, sono solo dei fannulloni, figli di papà, che non sapendo cosa fare rompono le palle alla brava gente come lui
La brava gente vive bene anche sotto una dittatura militare.
Un giorno attirato dal danaro decide di accompagnare uno straniero, un reporter tedesco- se non ho capito male della D.D.R.-  nella città di Gwangju.

Il viaggio non comincia benissimo.  Il reporter è un po' arrogante e sprezzante nei confronti del tassista e questo ultimo pensa solo ai soldi che guadagna con quel lavoro.
Una volta giunti in città, però, le cose cambieranno. Kim toccherà con mano la ferocia del regime, vedrà molti ragazzi e cittadini trucidati, vivrà sulla sua pelle l'orrore della dittatura fascista. Sopratutto comprenderà che noi non siamo nati per vivere separati dal mondo. Non siamo isole, non possiamo pensare solo ai nostri cari, alla nostra salvezza. L'arrivo di una maturità politica e umana coincide con i momenti più emozionati e drammatici dell'opera. Il ridanciano tassista diventa un uomo che per il bene di gente innocente e per salvare quel cliente abbandonato a far una brutta fine, si mette in gioco.
La cosa bella di questa presa di coscienza è che non si manifesta in modi retorici e da supereroe. No.
Kim rimane un uomo normale, non particolarmente sagace o forte, uno di noi. Perché talora il ruggito di un coniglio può coprire quello del leone.
Kim capisce che in certi momenti non ci si può tirare indietro. Non è una comprensione intellettuale e razionale, ma assolutamente sentimentale. Ha degli amici, ha conosciuto colleghi e cittadini che lo hanno accolto come uno di loro. Per questo decide di aver un minimo di coraggio e di aiutare il giornalista tedesco.
La cosa davvero bella di questo film è che se ne sbatte di apparire retorico, commovente, ricattatorio e tute quelle stronzate tanto care ai fans del cinema trattenuto.
A Taxi Dirver è un film carico di emozioni, scene madri suggestive e sequenze che fanno bene al cuore e agli occhi.  Cinema popolare, per masse, ma che svolge anche il compito preciso di istruire il pubblico attraverso l'uso della memoria.
Difficile trattenere le lacrime nella sequenza in cui Kim, ormai fuori dagli scontri in piazza, a bordo del suo taxi non sa se ritornare indietro o portare in salvo sé stesso e il suo cliente.
Basta inquadrare gli occhi dell'immenso Song Kang-Ho per mettere in scena indignazione, rabbia, impotenza, amarezza.
Il film è tratto da una storia vera. Giusto per ribadire che davvero noi possiamo essere migliori rispetto a quello che siamo costretti ad essere, ogni giorno della nostra vita.
L'opera si chiude con un filmato che riprende il vero reporter tedesco, il quale chiede di aiutarlo a trovare quel tassista, quell'inaspettato amico, che non vede da decenni.
Giusto per dar più amarezza a una pellicola commovente, toccante, che mi ha fatto conoscere una storia quasi dimenticata o mai sentita, sopratutto in  Occidente.