mercoledì 22 aprile 2015

CHI HA PAURA DI VIRGINIA WOOLF di MIKE NICHOLS

Mike Nichols è stato un regista importante e fondamentale per la Hollywood degli anni sessanta. Quando, seguendo le suggestioni autoriali del cinema europeo, in america nasceva una nuova prospettiva artistica, nuovi riferimenti sociali e antropologici (cambiano radicalmente i protagonisti dei film. Da eroi romantici e senza macchie, a uomini smarriti e vittime dell'alienazione urbana),insomma - per chi scrive- la stagione migliore del cinema americano.

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Curiosamente è proprio Elizabeth Taylor a recitare in un film con un giovane autore del nuovo cinema americano. Lei che è stata l'ultima protagonista di un classico kolossal storico (Cleopatra) noto come esser stata l'opera dal cui fallimento prese avvio la  new hollywood.
Tratto da una famosa opera teatrale, il film racconta la lunga notte di due coppie, in particolare quella composta da Martha e George. Rapporto che in un certo senso diventa speculare con quello della giovane coppia formata da Nick e Honey.
Da subito ci troviamo ad affrontare una discesa agli inferi dove
il rispetto per sé stessi e l'altro è morto e sepolto. George e Martha
si rinfacciano crudelmente ogni loro errore, sbaglio, vigliaccheria
Testimoni e partecipanti di questa disfatta anche la giovane coppia
ospite. Quasi come se costoro fossero la proiezione di un passato
forse gioioso, immagine distorta di una felicità vagheggiata,ma mai davvero raggiunta
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I dialoghi splendidi e taglienti mettono in scena codesto avvilente gioco al massacro,ma senza compiacersene. Senza voler mostrare a nessuno un gioco ed esercizio intellettuale donde per forza vogliamo far credere che gli esseri umani facciano schifo, che la coppia sia destinata a frantumarsi perché non possiamo vivere in coppia. Svela retroscena penosi, mostra il lento e degradante annullarsi nel rancore,evidenzia le ipocrisie dietro a una coppia di baldi giovani, moderati, carini, eppure distanti e distaccati, ma per tutta la durata della visione è la compassione a farla da padrone.
Ci fanno pena George e Martha. Chissà come erano prima. Quando lui sposò la figlia del rettore dell'università dove insegna, e avevano progetti, sogni. Poi cosa è andato storto? Come è possibile odiarsi tanto? Ma forse (di questo odio) mi stupisco solo io. D'altronde odiare, in modo sciatto e disordinato, è un po' la prassi naturale nell'esistenza dell'umanità occidentale. Temiamo la responsabilità di amare, di dedicarci ad esso e preferiamo rompere, distruggere, star male per sentirci bene.
Così i due porteranno la coppia formata da Nick e Honey ad assistere e partecipare alla devastazione fatta di cattivi ricordi, promesse non mantenute.
Io amo questo tipo di film. A molti annoia perché fortemente teatrale ( ma godetevi la regia di Nichols, è molto cinematografica altro che), mi piacciono i film su famiglie e coppie in crisi, sono sempre spunti di riflessione non tanto per dire: "il mondo fa schifo, meglio rimanere soli",ma per annotare gli errori da non fare.
L'opera alla fine lascia intravedere una probabile, fragile,ma voluta, riscossa
Un nuovo inizio, forse.
A noi non rimane che la bellezza assoluta di un film imperdibile e la bravura di un cast assolutamente perfetto: Richard Burton, Elizabeth Taylor, George Segal, Sandy Dennis.

domenica 19 aprile 2015

MIA MADRE di NANNI MORETTI

Sai cosa? Un tempo ero più coraggioso. Prendi, ad esempio: la morte. Non la temevo, mi sembrava fosse una cosa giusta e normale, d'altronde cosa era la vita se non una vuota e tragicamente buffa aspettativa verso la chiamata finale? Mi sembrava tutto così ipocrita. L'uomo inventava l'amore, le ambizioni, tutto per non arrivare nudo alla tragica verità: non esiste la vita, ma solo la morte. Tanto naturale e giusta, che non ho mai pianto alle notizie della morte di persone a me particolarmente care. E l'oblio? Perché sono ateo. Si questa cosa che poi scompari nel nulla, spengi la luce e poi : stop. Niente di te rimane. Mi garbava codesta idea, tanto che dovrebbe rimanere di me? Chi se ne frega di me.
Poi (perché tu voglia o no c'è sempre un poi ) cosa è successo? Da quando hai cambiato idea? Da quando mi sono innamorato e sono stato ricambiato. Di un amore forte, profondo, con gli alti e i bassi, ma cristallino e limpido. Da quando ho Achille. Da quando accetto la vita e i suoi cambiamenti naturali.
Ecco da allora, sta cosa della morte come elemento naturale, vero, concreto, si insomma....Non è che mi garbi più di tanto. Perché per quanto imperfette, per quanto piene anche di auto inganni e solenni cazzate, ci sono sempre delle vite. Vissute da persone che hanno amato, sperato, uomini e donne che avrei voluto conoscere meglio. Sopratutto se avessi la macchina del tempo e potrei tornare indietro... Ecco, io le piangerei tutte le lacrime che non versai . Per i miei nonni, e non solo. Perché la morte fa piangere e disperare, ci allontana definitivamente un nostro simile e per sempre. L'oblio, il fatto che spariremo dalla memoria collettiva, perché sostituiti da altre persone, altre generazioni, mi terrorizza. Questo un punto che gli atei dovrebbero sviluppare meglio.Non mi basta: si è vissuto. Io voglio vivere anche da morto, perché avrei ancora un po' d'amore da dare.
E voglio piangere ai funerali! Ah, questa terribile bestemmia! Questa onta per i brianzoli
Ok, ora dovrei fare una recensione dell'ultima opera di Moretti. Dovrei, perché a proposito di morte, anche la critica è morta. Uccisa dal pensiero debole del relativismo, dell'opinionismo, dalla rivalutazione alla cazzo di cane. Sono pensieri e riflessioni. Tutto quello che sinceramente posso darvi

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Un film sul lutto, la perdita di una figura fondamentale come la madre. Questo il tema portante,ma a mio avviso è solo un aspetto di una pellicola ancor più complessa, sfaccettata, ricca di simbolismi concreti e di sfuggente e straniante realtà.
Moretti mette in scena in questo suo dodicesimo film, tanto la morte materna quanto un'amara e tagliente riflessione su sé stesso e il suo cinema. Lascia che sia una straordinaria (come sempre) Margherita Buy a rivestire i panni consueti del "Michele Apicella" di turno, per raccontarsi con pudore e massima sincerità. Cosa che ai più attenti e appassionati sostenitori del regista romano, è sempre parso il cinema morettiano.
Come se di fronte alla morte non ci sentiamo autorizzati a smascherarci,a denunciare la nostra naturale essenza, a cercare un rimedio , qualche cambiamento, per poter dire: sono vivo. E sono vivo proprio perché il mio destino lo posso modellare. Quanto è vero tutto questo?

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Così se da un lato, Margherita, non accetta la inevitabile fine del genitore, dall'altra (attraverso sogni e pensieri) si ritrova a rivedere la sua posizione nei confronti del mondo.
Naturale fine anche del percorso artistico di Moretti: tutti i suoi film hanno questo tema di fondo, lo dico ai suoi detrattori superficiali e presuntuosi: la ricerca di una felicità idealizzata, assoluta. Proprio per questo dolorosissima e proprio per questo non resta che divenire: lupi mannari, assassini, o abbandonare tutti e rifugiarsi in un isolamento forzato. Questo era il nostro Michele Apicella e il nostro Don Giulio. Le due anime del cinema morettiano e del suo autore: amore e odio per l'umanità,ma sopratutto per l'incapacità di amare in modo così potente e incondizionato. Come (quasi) sempre ci ama una madre.
In questa pellicola, infatti, si mette in discussione Michele, e quindi Nanni. Questa sua evoluzione, questo sua riflessione sul suo cinema, è parallela alla scomparsa imminente della madre. Ci vuole suggerire che tutto cambia nella nostra vita. Tutto muore e tutto continua.

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Ci svela come le persone siano le proiezioni della loro leggenda (il grande John Torturro elemento comico e anche dolcemente tragico del film) ci dice che non possiamo pretendere il controllo delle vite e della nostra vita. Ma che forse possiamo amare. E abbandonarci al dolore. La gente ha l'alibi del ricatto morale, del buonismo,di tantissime cazzate,perché egocentricamente vuol stare chiusa nei propri alibi. Teme di aprirsi di "rompere almeno uno degli schemi che hai", tanti vivono così tutta la vita.
Questo film ci dice altro e la bellissima battuta finale è quanto di più umano, pacificato, struggente si sia mai sentito al cinema in questi ultimi anni.
Poi se volete continuare a guardare il dito delle vostre scemenze un tanto al chilo,perché non avete mai compreso il cinema di Moretti,ma cazzo voglio esprimere il mio futile e cretino pensiero, fatelo.Vi siete solo persi un grande esempio etico e morale di cinema e di assoluta sincerità umana. Lo avete perso per dodici volte e chissà,magari...Domani.

martedì 7 aprile 2015

SECOND CHANCE di SUSANNE BIER

Susanne Bier ha uno stile ben preciso: questo modo di fare cinema, la sua rappresentazione dell'umanità, le tematiche, possono non piacere a moltissime persone. Ma io non sono "moltissime persone", basta e avanza quello che sono: sicché (cari miei) non perdetevi questa ultima buona prova della danese.
Prodotto dalla casa di produzione Zentropa (garanzia in questi ultimi decenni di grandissimo cinema proveniente dalla terra di Lars Ulrich , fondata da quel genio assoluto che è Lars Von Trier), il film in questione non è diverso in nulla, rispetto a quanto fatto dalla Bier fino ad ora.

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Il melodramma estremo, quasi sadico nel metter una dietro l'altra situazioni esasperanti ed esasperate, è la superficie dell'anima di questa pellicola e del cinema della regista. Infatti le critiche puntano tutto su questo aspetto. Scatta subito il meccanismo di difesa dello spettatore: " ricatto morale", "perfida e ridicola insistenza", "moralismo d'accatto", perché così possiamo sopravvivere alla visione e non porci domande che ci metterebbero in imbarazzo, che ci farebbero molto male.
Così viviamo, così ci illudiamo. Io amo invece proprio questo suo sbatterti in faccia le cose, questo non darti possibilità di fuga e di inchiodarti alla sua classica domanda: " e tu che faresti?"

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La storia in breve: un poliziotto è il padre felice di un bimbo di pochi mesi. Durante un controllo in casa di uno spacciatore scopre (chiuso in un armadio) un piccolo dell'età del suo figlio. Il bimbo risulta in condizione igieniche disastrose.
Purtroppo un giorno suo figlio muore e così al poliziotto non rimane altro che fare scambio d'infanti. Dando origine a una tragedia devastante.
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Chi siamo noi per definire chi sia o no una buona madre e un buon padre? La morale individuale, per quanto spinta da ottimi presupposti,è altro rispetto alle conseguenze sociali, etiche, al mondo esterno?
Sono queste le domande che il film impone, facendoci passare una via crucis di dolore devastante, dove i rapporti umani paiono ridotti alla rabbia, alla violenza, eppure.. C'è Simon (eccellente Thomsen ) l'amico e collega del protagonista, che combatte una sua battaglia contro l'alcol e un matrimonio fallito alle spalle, il suo percorso di rinascita è simbolo della possibilità umana di ricrearsi una vita, di avere appunto una seconda possibilità, anche se per alcuni questa cosa non è proprio vera. 


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Lo stesso vale per la madre snaturata, drogata, vista come persona da condannare (al pari del violento e criminale marito) eppure davvero in grado di amare il figlio. Certo c'è bisogno di un aiuto esterno, di assistenza, ma questo è solo un nuovo inizio. Forse.

Tu cosa faresti, o caro spettatore indisciplinato? Io come sempre sono vittima del mio giustizialismo spiccio e poi ci ragiono su e comprendo di sbagliare. Non perdono, non sono tollerante, se dall'altra parte non avverto un tentativo di miglioramento, anche campato in aria e difficoltoso, ma almeno la comprensione di vivere in un modo indegno per sé e per gli altri, quindi ero concorde con il protagonista: prendi il bimbo e salvalo. Però mentre la pellicola  procede, ecco...Come puoi pensare che un bimbo possa sostituire il tuo? Come puoi condannare a prescindere una persona che per te non è valida? E allora cominci a fare autocritica, a riflettere e guardare in faccia le tue debolezze e responsabilità, cominci a pensare e a pesare le tue scelte.
Tutte cose che a molti danno fastidio, quindi meglio perdersi a criticare gli elementi superficiali e difendersi come possiamo. Voi, che siete ben disciplinati. Non io, che mi son goduto un film importante e assai bello. Nonostante il dolore . E che Susanne faccia di tutto per farsi odiare.