lunedì 19 febbraio 2018

LA FORMA DELL'ACQUA di GUILLERMO DEL TORO

Sai come comincia? No? Vabbè, te lo spiego.  Da bambini ti dicono di non piangere, che è roba da femminucce. Non una volta, te lo ripetono spesso, così, a cuor leggero. Sei un bimbo e i bimbi non si lasciano travolgere dalle lacrime. Cazzo! Il dolore a noi non ci sfiora.
Non siamo femminucce.
Giorno dopo giorno, anno dopo anno.  alla fine non piangi. Tua nonna, tua mamma, tua zia, la vicina che si prende cura di te, te l'hanno ripetuto talmente tante volte, che da bravo bambino hai imparato la lezione. Solo che il "non piangere" non è legato solo al dolore fisico. A volte ci commoviamo e lacrimiamo anche per gioia. Perché ci par impossibile che una vita tanto mediocre, fatta solo di duro lavoro, bollette da pagare, soldi da mostrare a tutti, come simbolo di benessere, abbia anche un piccolo spazio per la meraviglia.
Sissignore, io mi meraviglio! E mi commuovo, anzi peggio: mi esalto per la gioia e la felicità degli altri. Uomini o personaggi di un film, non importa. Si chiama empatia, o anche - in certi casi- capacità di immaginare, lasciarsi travolgere dalla storia, dai personaggi, ma si, dai! La vogliamo tirare in ballo? Dalla magia del cinema.


Oggi quando vai al cinema si va con l'intento di santificare o demolire, a prescindere, un'opera e il suo autore. La figura dello spettatore che partecipa al rito della visione, con i limiti e le gioie che esso offre, è sostituito da scafati esperti, maestri della tecnica, figure che ti spiegano cosa ti piace o no. Così si perde quel rapporto basato sulla fantasia, il sentimento, lo stupore; cose che per me stanno alla base della visione di un'opera. Sopratutto quando comprendi che non stai vedendo Antonioni, per cui : non rompere i coglioni. Detto con affetto, stima e umana pietà per la scomparsa di un'attitudine anche infantile, anche da poracci che non capiscono nulla, da proletari in libera uscita. di andare al cinema.
Tu però sei abituato a non piangere, a non fare la femminuccia. Per cui, come fai a capire una piccola emozione, a empatizzare per il dolore che vedi sullo schermo? Fai fatica e per questo ti attacchi ad accuse ridicole di "buonismo". Perché sei cresciuto negli anni 90, periodo in cui pessimi intellettuali- chiedo scusa agli intellettuali- scorretti ( ma correttamente inseriti nel sistema) ti hanno insegnato- in tv, al cinema, sui giornali- che la bontà è ipocrisia, il romanticismo roba da pirla, l'empatia tipo l'ebola ma più pericolosa. Migliaia di vite mediocri, che un po' di lavoro per lo sviluppo di fantasia e sentimenti avrebbero rese eccelse, che si credono fichissimi per i loro triti r ritriti post "irriverenti-cinici" sul Natale, San Valentino, fino ai migranti e alle minoranze. Cuccioli in cerca d'affetto, porelli loro, che devono far sentire a tutti il loro ruggito del coniglio.
Poi quando si trovano di fronte a film che mettono in evidenza i sentimenti, la meraviglia, il romanticismo, sbarellano di brutto! E allora vai di: buonismo, ruffiano, furbo! Molti si danno da fare per evidenziare che le accuse sono sciocche. No, ma perché? Semmai andrebbe fatto notare a questi che non tollerano il buonismo, che la furbizia e l'astuzia- vista da loro- è alla base dell'industria cinematografica. Sfruttare, in modo ruffiano e furbo, dei sentimenti è un atto di raro cinismo, per cui questa è proprio la loro pellicola. I detrattori non ci arrivano.
Ma allora, che razza di film è " La Forma dell'acqua" ? Oh, bene: parliamo del film. Un'opera che come tutte le pellicole cinematografiche divide tra entusiasti e detrattori. Ognuno colle sue ragioni, e le sue cazzate.
Io non so se è un capolavoro, non ho questa ossessione di far sapere a tutti che vedo "capolavori". Sono uno spettatore che col mezzo cinematografico ha un rapporto anche immaturo, se la cosa vi dovesse far sentir bene potrei anche ribadire la mia mancanza di preparazione tecnica e universitaria,  basato sul sentimento, l'emozione, la meraviglia di perdermi in una storia e sentire i personaggi come amici o fratelli.
Io ho amato questo film, non ai livelli de "Il labirinto del fauno, ma mi è piaciuto tantissimo.
Perché il fantastico non viene usato come metodo per far caciara, degli effetti che stordiscono, roba che guardi mentre mangi i pop-corn. Qui il fantastico è dentro a un contesto verosimile che riconosciamo.
Eh, badate bene: non è la Guerra Fredda. Non è nemmeno una pellicola sui diritti civili di gente con difficoltà a farsi accettare da una società " sana, normale, per famiglie", come dice il ragazzo che lavora al negozio di torte al vecchio omosessuale.
No, in questo film si parla di una cosa che tutti conosciamo nell'epoca della grande comunicazione e dei mille amici su Facebook: la solitudine.
Anzi, dirò di più: l'abitudine a esser soli. Ti capita di sentirti così quando da bimbo non è che ci sia la fila per farti giocare a pallone, eh! E allora prendi i tuoi giocattoli e inventi una cosa per non farti rimanere male. La vivi quando da adolescente e da giovane, per vari motivi non hai un vero gruppo di amici, una ragazza o ragazzo speciale, e va bene, io troverò un modo per andare avanti
Così ti ritrovi anziano, solo, con tanta voglia di dir un " ti amo" o mandare a fanculo il cretino di turno. Non lo fai, hai degli impegni da rispettare
Per la protagonista è: svegliarsi, masturbarsi, far colazione, andar al lavoro e una volta a casa, far compagnia al vicino di casa. Un uomo anziano, omosessuale, che vive coi suoi gatti.
La solita vita che alla fine diventa un alibi, un modo per tirare avanti. Lontani dal mondo.
Fino a quando l'amore entra nella tua vita. E vi posso giurare, per esperienza personale, che hai voglia tu di aggrapparti alle tue abitudini, alla bellezza di esser soli, non puoi controllarla. Almeno non ci riusciamo noi poveri buonisti, e infatti finiamo tutti male: con qualcuno al nostro fianco, che ci accoglie la sera quando siamo stanchi, che ascolta i nostri sogni di gloria e l'amarezza delle nostre sconfitte. Che fine orribile, cari cinici da social, niente in confronto alla bellezza dei vostri post,eh!
La svolta nella vita di questa giovane donna e delle persone che le vogliono bene, giunge inaspettata e in modo singolare.
Ella, come professione, si occupa delle pulizie in un laboratorio governativo/dei servizi segreti o una cosa simile. Qui un giorno viene portato uno strano essere. Una sorta di dio acquatico, trovato in un fiume del Sudamerica. Questa creatura fa gola all'esercito americano e ai meravigliosi agenti del kgb ( d'altronde siamo in piena guerra fredda).
La giovane donna si innamora di questo essere, ridotto a una penosa vita in catene, piena di sofferenza, totalmente solo. Comprende che come lei, costui ha bisogno di vivere. Ha bisogno di un po' d'amore. Anzi: lei ha bisogno di innamorarsi e vivere una relazione, va bene anche un mostro della laguna nera.
Un amore sessuale, passionale, fisico, oltre che sentimentale.
Questo sentimento sarà alla base di una decisione tanto coraggiosa quanto pericolosa che vedrà un gruppo di buoni per caso lottare contro un nemico feroce, crudele, immagine assoluta del male: Micheal Shannon. Garanzia di personaggi folli, non proprio amichevoli, qui supera sé stesso in una interpretazione magistrale.
Strickland, a ben vedere, in altri film sarebbe il "buono". Anzi, lui è il classico eroe americano, o meglio ancora la visione che il cinema e il popolo statunitense ha di sé:  fedele alla moglie e alla patria, con una bella casa, una cadillac, due bambini sani. Il ritratto del buon americano. Viceversa lo scienziato sovietico, infiltrato nel laboratorio, sarebbe il classico cattivo. Il nemico del mondo libero, civile, lo spione subdoilo.  Del Toro sovverte l'immaginario collettivo mentre lo mette in scena, rispettando le regole.
La Forma dell'Acqua,  ci ricorda che il cinema di  genere, quando è fatto bene, ha la stessa dignità di opere giustamente ritenute di alta qualità. Non si svilisce il cinema d'autore o più ricercato, quando si ammette la bellezza di pellicole popolari, ma non rozze e cretine. Del Toro è un Autore, con una sua poetica precisa e una visione politica del genere, senza che diventi mai un comizio o si perda il gusto per lo stupore.
Opera ricca di citazioni, senza però scadere nel "citazionismo a cazzo" o per supplire mancanze di idee, atto d'amore per il cinema classico, quello delle grandi storie e delle emozioni in Cinemascope.
Non solo, va che il buon Del Toro è un appassionato di Musical, come me,  e non di quelli cerebrali, con canzoncine e balletti degni di una compagnia telefonica, ma quelli di assoluta e totale pulcretudine. Perché la musica, nella sequenza migliore di tutto il film, fa cantare i nostri cuori.. Figurati se non dona la voce a Elisa Esposito, la protagonista di questo film, per dichiarare il suo amore a un essere tanto carino, ma non troppo; visto che mangia i gatti.
Una sequenza che ci riporta sia ai grandi film degli anni 30, che al finale di quel capolavoro che è The Artist, ma sopratutto mi riempie di gioia perché Del Toro vede Netflix e questa bellissima serie



Si, vedo Crazy Ex Girlfriend in ogni ove! Vabbè, questo per dire che La Forma dell'Acqua è un omaggio profondo, sincero, travolgente, alla magia del cinema. Di un tempo dove si entrava in sala, non per whatsappare a cazzo o veder quanti barbatrucchi riesco a sgamare, ma per lasciarsi travolgere dalla bellezza della fantasia e delle immagini. Quando eravamo spettatori capaci di innamorarci di un personaggio, di una vita rappresentata sullo schermo.
Eh, bei tempi quelli!






giovedì 15 febbraio 2018

A CASA TUTTI BENE di GABRIELE MUCCINO

Premessa: non amo il cinema di Muccino. A parte il dittico del " Bacio", però per anni ho criticato il suo cinema: urlato, eccessivo, argomenti un po' così.
In più il regista romano non è proprio simpaticissimo e si sa, noi in Italia votiamo o lodiamo a seconda della simpatia. Te puoi esser il peggio figlio di mignotta, ma se sei simpatico o entri in simpatia, stai certo che troveremo un modo per valutarti bene.
Mai mi sarei aspettato di andar a veder un'opera di questo regista al cinema. Mai. Fatale è stato il mio entusiasmo per "Bella senza anima" e la presenza di molti attori o attrici che stimo assai. Mia moglie ha colto la palla al balzo e a nulla son serviti i miei barbatrucchi, per evitarne la visione.

Ipotetico terzo capitolo sulla famiglia, il matrimonio, l'impossibilità di essere felici e il dannarsi a cercarla codesta felicità; la pellicola è un concentrato di malinconia rabbiosa e gioia dolorosa. In poche parole la nostra vita quotidiana, forse mai così totalmente drammatica, però nemmeno troppo lontana dai fatti narrati.
Questo blog si chiama " Spettatore Indisciplinato", perché vuol essere il diario di un appassionato di cinema, con gusti anche terribili e repentini cambiamenti d'idea . Io sono convinto che vi siano molti modi di avvicinarsi al cinema. Ci sono quelli che lo studiano e fanno i critici, quelli che ci lavorano e noi.
Quelli che si esaltano, emozionano, ridono, piangono, perché in un film riconoscono sé stessi. O forse solo i loro sogni.
Io mi sono emozionato vedendo questo film. Non un'emozione a buon mercato, alla buona. No, ho vissuto una vera empatia nei confronti dei personaggi.
Così infelici, sciocchi, crudeli eppure umanissimi. Ti senti in imbarazzo quando Riccardo, un bravo Gian Marco Tognazzi, cerca di farsi riassumere nel ristorante dei cugini, avverti totalmente il dolore della bambina che trova la madre tra le braccia di un altro uomo, ti commuovi quando Paolo ( straordinario Massimo Ghini) dice alla moglie che può anche mandarlo in ospizio, e si scusa per la sua malattia.
Certo, lo so e lo comprendo: ci piacerebbe che la nostra vita famigliare avesse la nobiltà e dignità dei drammi di Bergman e invece, con stupore, scopriamo che al massimo siamo un film di Muccino. Le grida isteriche da tanti condannate, non sono forse le stesse che usiamo anche noi, quando litighiamo? Gli affanni, il parlar concitato, non appartiene a un modo di rapportarsi agli altri, quando siamo ansiosi, angosciati, temiamo di crollare? Forse sono solo io che comprendo tutto questo, perché le urla, la rabbia incontrollata fanno, o facevano, parte della mia vita. E non mi disturbano viste in un film.
Durante la visione ho pensato al dolore dei personaggi e spesso lo sentito mio. Non tanto quando scoppia la tragedia vera e propria, ma in quei momenti in cui - dannata illusione- magari pensi che se ti fossi comportato in altro modo, ecco avresti potuto aver un minimo di felicità. Ho pensato che anche a me piacerebbe una vita normale. Essere contento di me, saper gestire la quotidianità, e non perdermi in sogni di gloria anche un po' ridicoli. Ho pensato, guardando il film, come spesso anche noi ci comportiamo come i personaggi di Stefania Sandrelli o di Sabrina Inpacciatore: ci ostiniamo e ci condanniamo ad essere felici. Un dovere morale,  più che una reale condizione umana.
Ho visto in questi personaggi la mia fragilità, la mia debolezza, e la rabbia nei confronti del dolore che gli altri mi provocano. O che mi procuro da solo.

Gli haters vi diranno le solite cose ( ho letto critiche ad Accorsi che sclera quando non succede mai) avranno anche ragione, ma penso che alcuni autori stiano sulle palle a prescindere. Ammetto anche di non essere immune a questa tendenza, riconosco di sbagliare quando mi capita di giudicare senza vedere o ascoltare, leggere, l'opera di un autore. Quello di Muccino è un cinema senza ombra di dubbio non trattenuto, ma assai eccessivo e viscerale. anche sentimentalista,  Ripeto molti suoi film non mi piacciono, ma qui vi ho trovato l'amarezza urgente, necessaria, sincera di una bellissima opera come " Baciami Ancora"
In questo film l'aspetto malinconico è più marcato ed a mio avviso non si eccede mai in scene madri indigeste. Ogni scatto di rabbia, ogni scontro è ben calibrato ed è funzionale al film e al suo messaggio finale. Non è un'opera consolatoria, c'è tanto rimpianto per aver perduto la possibilità di vivere un'altra vita ( ben rappresentata nella bellissima scena in cui lo smemorato Paolo chiede all'ex moglie di Favino da quanto tempo vivono insieme e lei immagina una bellissima vita non vissuta realmente), ci sono le ipocrisie e i tradimenti.
Ed è tutto diretto, crudo, perso nella incomunicabilità e dell'incomprensione.
Come se la felicità fosse una cosa evanescente, eco lontano di una canzone cantata insieme e persa nella rabbia e nel dolore di vivere.
Sì, a me codesto film è garbato assai. A volte dar fiducia anche ad autori che, di solito, non apprezziamo o seguiamo, è un atto che non danneggia noi stessi e le nostre idee, ma può donarci qualcosa di interessante, bello, utile, commovente. Mettiamoci in gioco più spesso


lunedì 5 febbraio 2018

THE POST di STEVEN SPIELBERG

Credo che si possa far qualsiasi tipo di critica al cinema di Spielberg; più o meno, da quaranta e passa anni, sono sempre le stesse.
Il cinema mette in gioco la nostra sensibilità e visione del mondo, per cui è naturale che un modo di filmare ci piaccia e un altro no.
Non mancheranno quindi le accuse di retorica, uso sdolcinato dei bambini, dai! Le solite cose, appunto.
Eppure, c'è bisogno assoluto delle opere di Spielberg. Lo dovrebbero comprendere anche i suoi detrattori, di cui una volta - mi piace vantarmi- facevo parte. Perché il suo sguardo così limpido, cristallino,  sulla vita delle persone normali, è un dono che , in questi tempi, sarebbe meglio non lasciarsi sfuggire.
Ora, lasciatemi spiegare una cosa: non c'è nulla di male, offensivo, oscurantista, nel definirsi o voler rappresentare su schermo, delle persone normali. Oggi pensiamo che costoro siano uomini o donne grigi, noiosi, un po' bigotti e un tantino ammuffiti. Dobbiamo eccedere in stramberie varie, in originalità light e trasgressioni di seconda mano.
Tutti noi abbiamo un amico che abita in un posto dimenticato dalla amnesia, in cui al massimo si beve uno spritz di origine sospetta, che si fa un selfie come se fosse Mick Jagger degli anni che furono. Tutti amiamo apparire selvaggi, irriverenti, e sopratutto: interessanti. Per cui è una gara a chi è il più strano e originale della compa. Creando un curioso caso di conformismo dell'anti-conformismo.
Ci sono anche tanti registi che ci tengono ad apparire sempre provocatori, innovativi e chi cazzo siete voi, ecc.. Spielberg e la sua opera è altra cosa e si occupa di ben altro.
Nei suoi film è sempre presente il Male, ma noi non ne subiamo mai il suo fascino. Non ci sono strizzatine d'occhio al cinismo da happy hour, perché a lui sta a cuore un'altra cosa: la forza del singolo. Il cittadino medio, il quale si prende le sue responsabilità di fronte a qualcosa che minaccia la collettività.   Nei suoi film è fondamentale la difesa delle relazioni umane, di un mondo non perfetto o sempre giusto, ma sicuramente migliore. O migliorabile
Che siano sceriffi timorosi dell'acqua, ragazzi  divisi del loro cavallo, robot alla ricerca della mamma, o industriali che si oppongono al nazismo, tutti questi personaggi hanno una cosa in comune: lo straordinario che nasce dall'ordinario.  Vite che possono essere le nostre. Uomini e donne che possono essere nostri amici o parenti. Perché quando il gioco si fa duro, i duri vanno a farsi una birretta, le persone normali rimangono al loro posto. Non possono andare da nessuna altra parte.

Per cui ti senti riscattato da tutte le giornate noiose, dal fatto di guardarsi allo specchio e chiedersi: "Ma io cosa faccio? Non ho nulla di speciale"
Poi capita che fai la storia, così ..Nello spazio di una telefonata.

Una persona normale è l'impiegato della difesa, che fotocopia i dossier segreti, nei quali è descritto il gioco sporco della politica estera americana in Asia. In particolare  nel Vietnam.  Una donna normale è anche la proprietaria del Washington Post. Certo, ella è ricchissima, presenzia a feste dove sono ospitate le personalità più influenti della politica e cultura americana. Però, alla fin dei conti, è esattamente come molte altre donne, in particolare di quel periodo. Una moglie, una madre, una persona piacevole per una conservazione, ma che poi si faccia da parte! Ci pensano i ragazzi!
La bellezza del film sta tutto nel personaggio di Kay Graham.  Per la sua crescita costante, la trasformazione da donna impaurita, timida, quasi naif, a persona che prende il destino e la sua vita nelle proprie mani e si mette in gioco. Non è un'eroina, non è una donna "colle palle" - bruttissimo modo per definire delle docili rompicoglioni, no scherzo!- è una persona che sente di poter combinar qualcosa, ma è anche insicura e spaventata da ciò che la circonda.
La scena della telefonata ( dove deciderà di fare la storia e di farsi sentire da tutti) non è magnifica solo per la bravura di Meryl Streep, o per i dialoghi,  o la regia. Quella scena è magnifica perché parla a noi. Sì, a noi. Anche se dubito che io possa salvare il mondo o far uno scoop clamoroso. Mi fa riflettere sul fatto che si debba sempre tentare, lottare, azzardare; sopratutto quando il mondo ti intimorisce o sei costretto/a dentro un ruolo scelto da altri, con l'unico scopo di svilire le tue potenzialità.
The post è anche un grande film politico, che omaggia le indimenticabili pellicole liberal degli anni 70. C'è tanto "Tutti gli uomini del presidente  "ma anche "Diritto di cronaca". Certo Lumet, da noi mai abbastanza glorificato, non ci riempiva i suoi film di bimbette che fanno la limonata e successiva scena in cui conta quanti dollari ha fatto. Ma è altro cinema, altro regista. Semmai, ancora una volta, si nota il profondissimo amore che Spielberg ha per il cinema. Tutto il cinema. Per questo, "The post", non sembra mai una pellicola derivativa, un omaggio forzato. Perché c'è tanta conoscenza e passione del e per il cinema, che non si deve stupire nessuno. Basta la storia, i personaggi, il messaggio.
C'è anche molta amarezza in questa pellicola. Forse questo è il tratto di distinzione rispetto alle pellicole civili del passato. Allora si pensava a un cambiamento sociale, etico, fra sessi e etnie, di classe. che non si è avverato. Sono arrivati gli anni 80 e ci siamo giocati gusto e cervello. La restaurazione alla lunga ha vinto. Chi faceva film d'impegno sociale, all'epoca aveva una rabbia sconosciuta oggi.
Spielberg gira un film malinconico, nonostante la frenesia e la forza dei personaggi, perché sappiamo che a volte si vincono delle battaglie ( che passeranno alla storia ma sono battaglie) mentre la guerra continua. Sopratutto ci viene mostrato come in certi ambienti l'amicizia non significhi molto. Il bellissimo dialogo, dove il direttore del Post descrive la natura della sua amicizia con J. F. Kennedy (alla luce dei documenti che inchiodano anche l'amatissimo presidente a colpe infamanti) è un esempio di come non esistano eroi o stagioni dell'innocenza. L'abilità di Spielberg è nel non calcare troppo la mano, ma nemmeno omettere questo grande disagio e profonda delusione.
Però anche questa volta il suo cinema morale, etico, profondo, ci insegna a non lasciarci andare. Non desistere e combattere con costanza e  fiducia nei propri mezzi. Portavoce di questo pensiero "spielberghiano", quasi il suo alter-ego nella pellicola, è Ben Bradlee. Un uomo che dirige un giornale importante, ma non ai livelli del blasonato New York Times, che ha successo nel suo ambiente, ma non è nemmeno il giornalista più idolatrato o apprezzato. Eppure, fiutando il caso dei dossier, si butta con determinazione e spirito. Vincendo una battaglia.
Non da solo, e anche questo è un buon messaggio da lanciare in tempi di individualismo esasperato.
The post è un film sul ruolo fondamentale dell'informazione. Ci ricorda quanto sia importante  pubblicare la verità- qualsiasi sia e a qualsiasi costo-e  battersi per una causa giusta. Io non credo che la stampa sia del tutto libera. Ci sono finanziatori e gruppi economici che detengono la proprietà dei giornali. Non credo che si pubblichino notizie contro i propri padroni. Puoi usarla anche malissimo questa libertà. Ad esempio scegliendo di raccontare frottole sulle armi chimiche, inventare nemici della nostra civiltà. Puoi farlo dalle pagine on line della tua oscura rivista o sulle colonne del Times. Però, quando delle persone libere e giuste, si incontrano e decidono di iniziare una giusta battaglia, l'informazione è un'arma  forte e potente come nessun altra. Succede pochissimo, ma succede.
Grazie a uomini e donne normali, che accettano la sfida in nome del potere al pop.. Ooops, sto facendo propaganda elettorale!
Noi abbiamo bisogno di questi uomini e queste donne. Noi abbiamo bisogno del cinema umano e sentimentale di Steven Spielberg.

giovedì 1 febbraio 2018

The man who would be a polka king/ the polka king

Il cinema può filmare la verità?Gli è concesso il potere di riprendere ciò che è assolutamente reale, oppure è solo mistificazione e falsificazione della vita vera?
Esiste un limite in cui la rappresentazione di una storia accaduta veramente, non dovrebbe essere superato? Attraverso il mezzo cinematografico, possiamo stravolgere i fatti, riderci sopra, sminuire le colpe, di persone che hanno rovinato la loro vita e quella di altri? La fantasia nella ricostruzione dei fatti, deve tener conto di qualche regola precisa, in ambito etico, oppure è tutto show? Quanto è credibile la redenzione tramite un film comico (quando non ci sarebbe nulla da ridere) ?
Sono tutte domande che mi son posto (e che pongo a voi) dopo aver visto il bellissimo documentario di John Mikulak   e  Joshua Brown :The man who would be polka king.



Il documentario è il ritratto amaro di un mediocre con grossi problemi di ambizione. Jan scappa dalla Polonia comunista, per ricominciare una vita nel paese delle meraviglie: L'America. Per realizzare il suo sogno fa mille lavori, zelo e costanza, come a gran parte dei mediocri, non mancano a questo dissidente tanto vivace e col dono della simpatia. La sua vita cambia quando si trasferisce dal Canada, agli Stati Uniti. Egli è venuto a sapere, che in Pennsylvania ,  vi è una grande comunità di polacchi. Perché non cominciare da lì, fra connazionali, la sua scalata verso il Successo?
Fino a qui è una classica storia americana: lo straniero che dopo tante fatiche ed ostacoli, fa i soldi e trova il grande amore.
Un classico, vero?Solo che la narrazione americana non si basa solo sulla rappresentazione fantasiosa di un paese, alla base vi è una vera e propria mistificazione, falsificazione, manipolazione dei fatti. Due cose assolutamente diverse.
Lo notiamo benissimo se mettiamo in confronto questo documentario, col film tratto da questo lavoro. Da una parte ci viene mostrato quello che è Jan e la sua comunità,  nella pellicola si assume Jack Black, la si butta in farsa, si usa la simpatia che suscita l'attore per riabilitare un criminale.

Il documentario ci mostra la sua scalata attraverso una truffa economica ai danni dei suoi ammiratori. Uomini e donne anziane, che si fidano di quel tizio così cordiale, alla mano, disponibile con tutti. Jan inventa un sistema che non sa gestire e governare, viene pure avvisato una prima volta di non vendere cambiali senza autorizzazione statale. Lui invece di fermarsi complica e rovina le cose. Oltre alla musica, apre un tristissimo negozio di souvenir polacchi, finanzia viaggi in tutte le capitali europee ( duranti i quali lascia intendere ai partecipanti di quanti soldi potrebbero guadagnare se investono nella sua società).  In breve ottiene una vasta visibilità.
I due registi dipingono un amarissimo affresco di gente comune, divorata dalla loro mediocrità e peggio ancora, dalle loro smodate ambizioni.
Jan e sua moglie, sono persone davvero piccole, incapaci di gestire le loro azioni criminali. Non vi è un reale pentimento in loro,  al massimo riconoscono di aver esagerato " a un certo punto". Però risultano poco credibili, così come i loro sogni, in fin dei conti, sono davvero penosi.
La mania di grandezza di lui fa sentire la moglie in ombra e che le viene in mente, per trovare un suo spazio? Partecipare a un concorso di bellezza. Perché solo diventando Miss Pennsylvania, ella trova conferma delle sue qualità. Il desiderio di una quindicenne, nel corpo di una donna di trenta e passa anni.
La partecipazione della donna al concorso, porta i primi veri guai all'imbroglione polacco.
Fino al declino totale.

Sicché il documentario decide di seguire non solo un uomo, ma un'intera comunità. Portando a galla tutto lo squallore, la mediocrità, la cattiveria ignobile, i tradimenti e le falsità; da parte di Jan e dei suoi investitori.
Lui non diventa mai un santo, al massimo gli si concede di esser un pirla. Uno ossessionato dal denaro, dal successo, che ha usato un metodo illegale e ne paga le conseguenze. Però nemmeno i truffati risultano delle persone a cui affezionarsi, fosse solo per il senso di giustizia. Davanti alla macchina da presa sfilano i classici vecchi bramosi di soldi facili, di guadagni illimitati, gente non sprovveduta, come molti pensano, ma avida. Talmente ossessionati dal denaro di fidarsi del primo che passa, ma che " parla bene", "è simpatico". Per cui non sono delle persone ingenue, ma classici rappresentanti della piccola borghesia.
Una classe in cui la sete di danaro, da accumulare e non toccare, è la base della loro superflua vita.
Alla fine della visione, l'opera dura solo sessantasette minuti, ti ritrovi colpito e affondato da così tanto squallore. Comprendi di aver visto un lavoro in cui si tenta, cosa non da poco, di lasciar passare un messaggio preciso, una visione forte e dolorosa, sulla bassezza di una certa comunità.
Miseria senza nobiltà che si spande dalla Pennsylvania e colpisce tutto il mondo occidentale.
Quanti biechi truffatori hanno spillato danaro a omuncoli assettati di guadagni vantaggiosi, facili? Quanti hanno affidato il loro danaro a gente disonesta, piuttosto che affidarsi a canali più legittimi?

Evidentemente, questo tipo di messaggio non è apprezzabile nella terra delle opportunità. Un ritratto così amaro, pessimistico, sotto il segno di una miseria morale quotidiana. deve essere corretto
Ma si! Deve essere proprio così. Basti vedere come un'opera cruda e reale, quale è "Detroit", sia stata messa in un angolo, per le nomination degli Oscar
Agli americani non va di guardare in faccia la loro miseria e le loro debolezze. Lo possono fare solo se addolcite, rese meno pesanti, con una spruzzata di buon umore e sentimento a caso
Per questo motivo, si prende il documentario e lo si trasforma in una adorabile e tipica commedia yankee.
Voglio esser sincero: come film funziona. La classica commedia americana, immancabili luoghi comuni e inni all'amicizia, con un buon ritmo e un discreto cast. Certo, non metto in dubbio il carisma di Jack Black, come sempre trascinante e divertente. Io vorrei sottolineare un altro punto.
Lo so che viviamo tempi in cui la morale è meglio bandirla (d'altronde siamo liberi e spensierati viviamo sfogando le nostre soddisfazioni e "che male c'è?") comprendo che il cinema non è trasposizione della realtà e in un certo senso anche gli autori del documentario, hanno optato per una visione più vicina al loro veder le cose.
Io lo capisco, tutto è show ed intrattenimento.
Però quando si arriva a mistificare, falsificare, una storia vera per buttarla sul ridere, mi par che si compiano solo danni. Al di là della bontà del prodotto (ripeto è una buona commedia).

Jan, di proposito, ha cercato di far soldi in modo illegale. Avvisato più volte dalle autorità del suo stato, ha promesso di smettere, ma non l'ha mai fatto. Ha inventato cifre assurde per attirare gli investitori, alle autorità ha sempre dichiarato un numero assai inferiore di clienti ( al fine di ripagar pochissimo per i danni causati), si è comportato da cretino assetato di danaro e potere. Sopratutto ha coinvolto persone che lo stimavano, mentendo e falsificando, piuttosto che chiedere aiuto quando era il momento di farlo. Per non dire del concorso di bellezza truccato, i soldi portati al Vaticano per un'udienza papale.
Di mezzo c'è andata la gente comune. Complice del giro di Jan, ma prima di tutto vittima.

Nel film tutte queste cose sono filtrate dall'umorismo. C'è un tizio un po' naif che rimane vittima di un piano orchestrato male, ma cazzo è un buon americano! In fin dei conti è sbadato, tenta in modo poco onesto la fortuna, ma è simpatico! Arrivano anche a inventare una relazione tra la suocera e un membro della band.
Ripeto : sono persone vere. Storie vere. Ci vorrebbe più tatto, attenzione, inventare particolari secondari, ma non usare una commedia per la riabilitazione di un delinquente. Dando la colpa di tutto agli investitori. I quali, senza ombra di dubbio, sono colpevoli ma non tanto quanto il fautore della truffa.
Il documentario mostra anche la ferocia delle persone truffate, l'idiozia della legge americana che confonde giustizia con vendetta. Tutto questo nel film non c'è.
Giusto che sia così, d'altronde stai vedendo una commedia.
Però a me lascia l'amaro in bocca.
In quanto è giusto rendere cinematografica una vicenda reale, ma la moda di trasformare persone discutibili in eroi di film leggeri, credo sia del tutto fuorviante. Un po' come quando si trasformano i criminali in eroi romantici.  Puoi far un'operazione di rappresentanza del reale, per un pubblico vasto e cercare la battuta e lo spettacolo, questa è l'industria cinematografica! Ma non cancellare le colpe, lo squallore, la miseria, umana e sociale alla base di certe storie.
Questo modo di fare alla lunga ci porta a non prendere sul serio la vita sociale. Siamo deresponsabilizzati, scusati, giustificati, a vivere in modo leggero con il solo scopo di far danaro ed aver successo. Non esistono rapporti umani sinceri - nel documentario questa cosa è palese- ma persone da sfruttare, per un piccolo e mediocre sogno
In più va segnato come i dissidenti dei paesi comunisti, alla fine, si possano etichettare col marchio: Pirla! Drogati di fama di seconda mano, egoisti e mediocri.
L'operazione simpatia attira il pubblico ma sacrifica un senso civile ed etico, fondamentale anche al cinema.