venerdì 28 settembre 2018

LABOR DAY- UN GIORNO COME TANTI di J. REITMAN

1987. Henry è un ragazzino di tredici anni che si prende cura della propria madre. Adele, questo il nome della donna, è depressa per colpa della fine del suo matrimonio e soffre di agorafobia, per questo vive pressoché reclusa in casa. Il ragazzino ama tantissimo la sua mamma e cerca in ogni modo di rendersi utile, ma la situazione non è per nulla idilliaca.
Un giorno, il giovedì che precede il week end del Labor Day,  Henry costringe la madre ad andar a far la spesa nel supermercato del loro paese. Qui incontrano un uomo, ferito, che chiede a loro ospitalità per qualche tempo. Egli è un evaso .
La donna per paura che costui possa far del loro del male, sopratutto al suo figliolo, accetta malvolentieri di dar rifugio al delinquente.
Sarà un lungo week end dove capiteranno cose inaspettate.
Prima di tutto, una mia piccola digressione: date un Oscar al giorno a Kate Winslet! Fareste solo del bene al cinema. La totale dedizione che mette ogni volta nella rappresentazione dei personaggi è qualcosa di straordinario. Anche perché risulta sempre vera, credibile, non ci si ferma quasi mai a dire" Ecco Kate che fa.." ma riesce a farti amare il personaggio di quel film.
Ok, ora parliamo del film. Per me un'opera riuscitissima.
Il merito è da dividere tra regia, sceneggiatura e cast.  Infatti in questo film tutti recitano bene, a partire dai protagonisti.
Menzione speciale a Josh Brolin, il suo Frank è un personaggio pieno di chiaroscuri, un uomo che all'inizio quasi si teme non sapendo nulla di lui, ma che piano piano porta alla luce una certa bontà spiccia e proletaria, ma che ci lascia capire quanto non sia affatto cattivo.
Infatti se a scatola chiusa si pensasse di veder un classico film con degli innocenti tenuti in ostaggio di un criminale, questa certezza crollerebbe quasi subito.
E qui entrano in gioco i pregi della sceneggiatura e della regia.
Reitman punta sui dettagli, i piccoli particolari e ci guida- prendendo tutto il tempo necessario per farci amare questi personaggi- alla nascita di un nucleo famigliare.
Un possibile nucleo famigliare, la dolce certezza che la felicità sia a portata di mano.
Per cui si parte pensando di assistere a un dramma famigliare, a un film di genere già visto diverse volte e si finisce con l'assistere alla rinascita dei personaggi.
Frank costringendo Henry ed Adele a comportarsi come una vera famiglia, per non destare sospetti ma sopratutto per passare il tempo e rendersi utile, costruisce un solido legame con entrambi. Il ragazzino è nell'età delle insicurezze, un'età in cui è fondamentale una figura paterna che gli dia sicurezza, lo faccia sentire in  grado di gestire la vita. In  poche parole: un padre. Il loro rapporto è descritto benissimo. Attraverso piccole cose pratiche, poche parole dell'adulto che non critica mai il ragazzino ma lo incoraggia a superare le paure. Ah, quanto ho amato il personaggio di Frank!
Per la donna è invece la riscoperta della vita. Tutto qui. Capire che il dolore non è eterno, non dura per sempre. Comprendere che dopo la caduta vi è per forza la risalita.
C'è solo un piccolo particolare (non da poco) l'uomo è un evaso.
Attraverso dei flashback vediamo la sua storia, cosa l'ha spinto all'omicidio, e parallelamente veniamo alla conoscenza del dolore profondo che ha portato alla fine del matrimonio di Adele. Questi fatti ci spingono a voler per loro un lieto fine.
Anche in questo caso, come in "Un affare di famiglia" di Kore-eda, troviamo il tema della famiglia e della legalità. Perché per quanto Henry ed Adele arrivino ad amare Frank, ricambiati dall'uomo, egli è un evaso e la società vorrebbe nelle migliori delle ipotesi rispedirlo in galera, nelle peggiori ammazzarlo. Non rimane a loro che fuggire lontano, pretendere dalla vita la felicità che meritano.
Per molti il fatto che un film suggerisca la possibilità di una felicità ritrovata, non va proprio giù. Non tanto perché, come me, sono amanti del melodramma. No, perché costoro vedono la gioia, la felicità, come cose estranee alla loro vita e quindi anche a quella degli altri.
Per questo parlano di film consolatori, ricatti morali, buonismo. Costa fatica e durissimo lavoro ammettere che le cose possano anche andar abbastanza bene. Vedi le polemiche per il finale di "Carol", in cui era per molti impensabili che l'amore di due lesbiche non finisse in tragedia.
A volte ci scordiamo che essere consolati non sia una cosa brutta, ma un atto di gentilezza e generosità nei nostri confronti. A volte dimentichiamo che, pur non come ce lo siamo immaginato, non tutto è destinato ad andare male per sempre.
Per questo ringrazio questi film. Consolatori, buonisti? No, a loro modo veri e sinceri.

mercoledì 26 settembre 2018

UN AFFARE DI FAMGILIA di H. KORE-EDA

Cosa è una famiglia? Da chi è composta? Cosa ci rende padri e madri o fratelli e sorelle? Il fatto di aver messo al mondo un figlio, ci rende automaticamente genitore? Queste domande compaiono spesso nei film di Kore-eda. Il regista nipponico, infatti, ha da sempre sviluppato un profondo interesse per la famiglia, la sua composizione e le difficoltà che essa vive all'interno della nostra società. I suoi protagonisti non sono eroi, le sue famiglie non sono quasi mai perfette, eppure (pur non nascondendo i limiti e i difetti dei suoi personaggi) c'è sempre tanta empatia nella descrizione di vite spesso difficili o quasi mai risolte.
L'ultima sua opera (vincitrice della Palma d''oro nell'ultima edizione di Cannes) rispecchia in pieno lo stile e le tematiche classiche dell'autore giapponese. Protagonista una coppia sotto proletaria che campa di lavoretti e furti. Costoro nel tempo hanno creato un nucleo famigliare non legato dal sangue, ma dal destino che li ha fatti incontrare, creando con le altre persone una vera e propria comunità, una famiglia particolare che copia le dinamiche e la costruzione di una tradizionale. Un giorno nella loro vita entra una bambina piccola. La bimba è figlia di una coppia di scellerati. Persone che continuano a litigare tra di loro e maltrattano fisicamente la loro figliola. Per questo motivo la coppia di ladri decide di "adottarla" e farla crescere nel loro sgangherato ma affettuoso ambiente famigliare..
Vagamente questa è la trama del film. Il resto vi consiglio di scoprirlo andando al cinema perché le opere di Kore'eda meritano di essere viste al cinema. Non tanto perché vi siano azioni spettacolari, o per via di un uso della macchina da presa virtuosistico, ma per il semplice fatto che un tipo di cinema così sinceramente "umano", così rigorosamente empatico, va difeso ad oltranza.
Sopratutto è molto interessante il modo in cui il regista descrive questo nucleo famigliare"alternativo". Uno facendoci capire che non esiste nessuna alternativa, nessuna famiglia diversa o particolare, alla fine qualsiasi tipo di composizione abbia si ricalca fedelmente le dinamiche ed istanze di quella tradizionale. Perché le gioie e i dolori, le esigenze di confronto e distacco, l'affettuosità e la stanchezza, sono identiche per tutte le famiglie.  Per cui questi uomini e donne imperfetti/e che campano di lavori moralmente poco piacevoli ( vedi la ragazza che si masturba vestita da scolaretta per dei pervertiti che stanno dietro a uno specchio) di furti o ricatti, sono capace di amare e comprendere la sofferenza altrui. Mentre la coppia "borghese", inserita nella società, i veri genitori della bambina, non hanno remore a dar sfogo alla violenza per liberarsi delle loro frustrazioni quotidiane. Giudicare da un punto di vista legale,  in qualche caso, è assolutamente sbagliato. Perché le persone non agiscono secondo leggi scientifiche, matematiche, ma con l'istinto del momento, attraverso i loro valori e ideali, lasciandosi trasportare dal caos dei sentimenti. Per questo il film ti sbatte in faccia un dubbio, che poi è un finto dubbio: a chi affideresti la bambina? A persone che le giudichi da un punto di vista borghese le condanneresti a cinque mila anni più le spese? O a una famiglia naturale, classica, tradizionale, in regola per la legge, ma assolutamente disfunzionale per quanto riguarda tutto il resto?
Sono opere come queste che io giudico importanti e fondamentali. Quei film che ci spingono a farci domande, a riflettere su temi seri,  che danno spazio alla riflessione civile, sociale, etica, da parte dello spettatore.
Non perché sia lasciato spazio al pubblico di "arrivarci da solo". Per fortuna questa enorme cazzata viene snobbata, ma mostrandoti una storia, gli effetti che le scelte dei protagonisti hanno sulla loro vita, le responsabilità enormi che si sono presi, la messinscena dei loro difetti e vigliaccherie, alla fine sei costretto a domandarti che faresti in quel contesto. Ti vedi rappresentato da loro o dai poliziotti? Sei sempre convinto che per essere padri e madri si debba esserlo dal lato biologico soltanto o che padri e madri siano quelle persone che si occupano di un figliolo? Attraverso l'educazione, certo, ma sopratutto amandolo, insegnando a lui l'importanza dell'affettuosità fisica e "spirituale", facendolo sentire amato e benvoluto?
Io sostengo questa linea. Il mondo è pieno di pessimi padri e pessime madri che vedono i figli come loro oggetti. Peggio come una sorta di continuazione dei loro progetti. Il figlio non è una persona, ma l'immagine di me stesso che ora può soddisfare le proprie esigenze e sogni. Così costringono i figli a studiare materie che per loro sono importanti, che decidono le amicizie, sempre con la scusa squallida di "averti dato la vita". Ecco costoro non sono genitori, ma piccoli e frustrati dittatori. Impediscono la crescita e l'autonomia della loro figliola o figlio che sia. Questo è un caso, ce ne sono tantissimi altri. Io credo che un figlio appartenga a chi li sappia educare, li ami, li sostenga per quello che sono: persone.
Il film è essenziale e ben bilanciato. Non trattiene nulla, ma non eccede nemmeno nel voler insistere su certe cose. Mostra in modo chiaro e limpido quello che succede all'interno/esterno dei personaggi. Attraverso di loro si critica la società giapponese, si suggerisce una possibile utopia ben presto spezzata dalle regole e dalla vita. Sopratutto non si enfatizzano i protagonisti. Essi compiono anche cose riprovevoli, vivono crisi dilanianti, eppure c'è della bontà in loro.
Che aggiungere? Di nuovo un bellissimo film da parte di questo immenso e straordinario autore.

Ps: Sì, pirlettta caro, ho visto anche tutti i film di Ozu.

SHIMMER LAKE di Oren Uziel

Oggi la maestra ci ha dato un compito: fate un film non alla "fratelli coen" ma come se foste voi i fratelli Coen. Senza H.
Ha vinto Oren Uziel con questo Shimmer Lake. Una coproduzione canadese- americana che narra la storia di una rapina finita particolarmente male e dei suoi effetti sui rapinatori.
 L'opera è strutturata in una serie di flashback che a ritroso ci spiegano cosa abbia portato alla morte dei rapinatori, e il motivo di fondo. Alcuni elementi giudicati non importanti in un capitolo, diventano fondamentali in quello successivo . di modo che non abbiamo mai la certezza di come siano avvenute le cose. Il protagonista è Zeke, lo sceriffo della piccola cittadina protagonista della rapina e relativi omicidi, l'uomo conducendo le indagini scopre che tra i rapinatori c'è anche suo fratello Andy, un piccolo e mediocre avvocato di provincia. L'uomo è stato coinvolto in un brutto affare con uno spacciatore locale rimettendoci la carriera. La rapina potrebbe cambiare la sua vita e quella dei suoi complici, tutti legati a una bruttissima storia che vide un bambino di soli cinque anni morire tragicamente.
L'unica persona che non ha superato il lutto è Steph, la giovane madre del bimbo. Ad aggravare la situazione vi è anche il fatto che ella sia sposata con Eddie, lo spacciatore locale e padre del bambino, colpevole della fine prematura dell'infante.
Il film ci mostra un gruppo di uomini stupidi, irrisolti,  mediocri, che cercano di rifarsi una nuova vita grazie ai soldi rubati in banca. Uomini decisamente squallidi che hanno dimenticato di aver negato giustizia a un bambino. Finiranno per ritrovarsi persi e imprigionati in un intrigo che li dividerà e porterà a galla rancori, rabbie,  una desolante rappresentazione del genere umano. Meglio di loro appare sopratutto Zeke, un onesto sceriffo che cerca di portare giustzia. Ma non è detto che sia davvero così.
Il film punta molto su un'ironia caustica, corrosiva ma che non sempre offre spunti interessanti. Come dicevo all'inizio di questa riflessione, Uziel copia lo stile e le tematiche dei Coen, però senza raggiungere quei livelli. Rimane, in ogni caso, un film assolutamente interessante. Perché anche in questa pellicola ritroviamo i temi della colpa, della punizione, di un possibile rimedio per rimettere le cose a posto, che però non passa per immacolate strade di purezza etica. Si vuol mostrare come siano piccoli e meschini, decisamente sciocchi gli uomini che fanno del male, si suggerisce la strada della vendetta come qualcosa di non giusto, ma unica punizione efficace contro la corruzione dei tempi e della società. Il tutto però con un tono ironico che a volte rende la pellicola depotenziata rispetto alla durezza di alcune situazioni. Il lutto per la morte del bambino, ad esempio, mi appare suggerito, ma non così deflagrante e potente come a mio avviso dovrebbe essere.
In ogni caso, una pellicola non brutta o mal riuscita. Pe chi ama il genere.

martedì 25 settembre 2018

SMALL TOWN CRIME di The Nelms Brothers

Mike Kendall è un uomo giunto al capolinea. Un alcolizzato incapace di dar un senso alla sua vita. Un tempo era un poliziotto.  Un tempo lontano che non riesce a dimenticare. "Saresti un buon poliziotto se non avessi problemi con l'alcol" gli disse il suo amico e collega prima di morire per colpa di Mike. Come già non pesasse la morte di un collega, Mike nel rispondere al fuoco contro il criminale di turno, uccide una donna innocente.
É la fine, lui pare accettarla. Non fa nulla per rimediare. Gli unici che lo sostengono sono sua sorella adottiva ( lui è stato adottato da piccolo da una famiglia di afro americani. Forse l'unico bianco in America dai tempi de Lo straccione) e il cognato.
Mike un giorno scopre per caso scopre una giovane donna ferita gravemente. La porta in ospedale, fa di tutto per salvarla ma non ci riesce. Per questo decide di occuparsi del caso. Vuoi per giustizia, vuoi per dimostrare agli altri e a sé stesso di essere un valido poliziotto, l'uomo si getta a capofitto nelle indagini. Come alleato trova il nonno della ragazzina uccisa. Costui paga Mike per avere l'unica vera giustizia che uno possa volere dopo una perdita così dolorosa: vendetta.
Infinite sono le vie per la redenzione e infiniti i casini che provochi quando cerchi di redimerti.  Non c'è un manuale che ti dica come far le cose per bene. Non ci sono preghiere giuste per un dio che abbia imparato l'empatia. Nemmeno un destino che ci dia la garanzia di un finale alla Frank Capra.
Nondimeno Mike decide di far la cosa giusta. Costi quel che costi. Anche perché nel frattempo vi sono altri morti.
Vittime che la società non vuole piangere e che le famiglie vorrebbero dimenticare in fretta. Tossiche, prostitute, vite che non meritano di esser protette e salvate.
Per questo Mike è costretto a collaborare con persone non proprio piacevoli. Ma chi se ne frega! Come diceva quel tale? " Il fine giustifica i mezzi" O i mezzi giustificano i mezzi? Boh, comunque: vale tutto per portare giustizia nelle vite delle persone colpite da un grave lutto. Per loro, per le vittime.
Il film fa questa variazione - i compagni di avventura del protagonista- che spostano il tema su un territorio più ambiguo.Non c'è un eroe senza macchia che con l'aiuto di qualche uomo di rispecchiata moralità salda i conti contro i cattivi di turno.
L'opera oscilla tra momenti d'azione, altri buffi e altri malinconici. Alla fine è "noir" visto da gente che fa cinema indipendente. Non sempre è garanzia di opere riuscite ma questa lo è.
Per tanti motivi, ma principalmente per il cast. John Hawkes ha il fisico giusto per l'eroe di questa storia. Un viso sofferto, un corpo teso.  Robert Foster pare che si sia affezionato ai film che abbiano nel titolo "small" o "crime", in questo film interpreta un uomo ricco che vuol vendicare la morte della nipote.
Niente di nuovo, ancora. Ci sono i cattivi che fanno i cattivi e un lurido mucchio selvaggio di eroi senza gloria che cercano di combatterli. Il ritmo non manca, come i riferimenti al cinema poliziesco degli anni 70.
Tuttavia non è troppo derivativo, seppure non brilli per originalità.
Il risultato è un buonissimo film di genere, con un buon ritmo e un protagonista a cui ci affezionerete subito.

sabato 22 settembre 2018

SMALL CRIMES di E.L. KATZ

Colpa.
Punizione.
Redenzione.
Questo è il passaggio obbligatorio per riparare ai tuoi errori, o per purificarti dai tuoi peccati. Lo so, non sono cose belle da sentire. Non ora. Non di questi tempi. Tu vorresti passare alla parte più indolore, subito.Ti capisco amico, davvero. Voglio dire, lo vedi anche da te, qui è pieno di bimbetti e bimbette che sono liberi/e di fare e dire tutto quello che vogliono. La loro soddisfazione e la loro voglia di trasgressioni sempliciotte va alimentata. Non parliamo più di responsabilità, di scelta. Figurati tutta quella storia sulla colpa. Colpa che puoi superare attraverso una punizione e poi sei pronto per essere perdonato. Questo vale per ogni nostro errore. Dal più lieve al più orribile.
Joe crede in questo. Si è preso la colpa, è stato punito con sei anni di galera e la perdita della sua famiglia, ora cerca la sua redenzione. Solo che c'è un piccolo problema: non esiste nessuna redenzione, amico.  Lo so dovremmo dirlo fin dall'inizio ma sai... Così ci divertiamo di meno. Joe tenterà di ritrovare l'amore delle figlie, di farsi accettare dalla madre, stare fuori dai guai. Ed ogni volta che pare farcela, stai pur certo che noi faremo in modo che le cose vadano male. Malissimo.
Penso che l'invenzione del libero arbitrio sia una cosa molto divertente. Ti scarichiamo le colpe dei nostri casini, quando- evidentemente ubriachi- vi abbiamo creato. Così per ridere, una idea brillante dopo una sbronza.
Bè, Joe ce la mette tutta. Non è semplice per un ex poliziotto - drogato e corrotto- riuscire a mettersi sulla strada giusta. Sopratutto se i tuoi ex complici ti trascinano con loro nel fango e gli altri ti vogliono morto.
L'uomo non ha più scelte ma solo illusioni. Trova una donna che l'ama ma quello che potrebbe sembrare una nuova occasione non ha gli effetti desiderati.
Il mondo è un piccolo paese dove tutti si conoscono. Un posto in cui la violenza e la morte non ti danno respiro. Sopratutto se sei un tipo debole , qualunque, se non hai un piano di riserva. 
Il film, tratto dal romanzo di David Zeltserman, narra la via crucis di un povero diavolo. In un mondo pressoché indifferente, dominato dalla violenza. Un mondo incapace di amare, che si abbandona alla vendetta e all'omicidio come rimedio per i danni fatti o subiti.
Come se noi umani fossimo delle pedine in mano al destino e a dio, i quali sghignazzano mentre noi ci illudiamo di trovare una salvezza.
Non c'è nulla di originale in una storia simile, ma c'è una lezione sulla sofferenza, sul dolore, sull'impossibilità di essere padroni delle nostre vite, eppure di come sia importante scegliere e battersi per dar concretezza alla nostra illusione di felicità.
Nel cast troviamo voti noti della tv e del cinema di qualche decennio fa, come ad esempio Gary Cole o Robert Foster ( davvero bravo in questo film). Joe invece è interpretato da Nikolaj Coster-Waldau, noto per la sua partecipazione alla serie Il Trono di Spade, ma che io ho amato moltissimo in quel piccolo e meraviglioso film che è Second Chance di Susan Bier.
In ogni caso, se le storie nere, gli anti eroi, dovessero piacervi... Guardate questo film, merita!

mercoledì 19 settembre 2018

Kedi la città dei gatti di Caayda Torun

Negli ultimi anni i rapporti tra umani e animali domestici sono cambiati di molto. Vi è una maggiore coscienza nei confronti dei nostri amici a quattro zampe, oggi è impossibile vederli solo come oggetti di cui possiamo far a meno in caso di vacanze o altro. Una maggior sensibilità che ha anche risvolti negativi quando l'animale diventa il surrogato di un figlio o un compagno che non siamo in grado di avere nelle nostre vite. Inorridisco sempre di fronte a certi animalisti idioti che sperano nella fine del genere umano, colpevole di ogni cattiveria, in favore di un mondo alla disney pieno di simpatici animaletti.  Io amo il genere umano e ogni essere vivente, lotto affinché il debole possa difendersi dagli attacchi del più prepotente. Ci sono tantissimi esseri umani meravigliosi e prima di augurare l'estinzione di ogni uomo, fate un giro da qualche terapista,
Detto questo, la maggior attenzione, rispetto, amore ed affetto nei confronti dei nostri animali è un passo in avanti del genere umano, che rasenta la perfezione quando abbraccia ogni vita presente sul nostro bellissimo pianeta.

Kedi, è un bellissimo documentario che farà stragi di cuori fra tutti gli amanti di questi magnifici felini. La regista segue la storia di alcuni gatti che vivono a Istanbul e i loro " padroni". In realtà la cosa davvero bella e commovente di questa opera è il fatto che questi gatti non appartengano a nessuno, ma sono liberi. Per i pessimisti, razionali, disillusi e insomma tutto il club dei "gne gne": randagi. Vivono nelle strade del quartiere e hanno alle spalle, alcuni di loro, anche storie di lotte per la sopravvivenza. Ma sono così ben voluti dai cittadini, che ognuno di costoro si occupa di uno o più mici.
Chi preferisce stare accanto alle bancarelle del pesce, chi seduto su una sedia in un bar del centro, chi ha dei gattini da crescere, ognuno di questi animali è una storia. Proprio come gli uomini e le donne che si occupano di loro. I razionalisti, pessimisti, disillusi, insomma tutto il club dei "gne gne" avrà da ridere e ridere sul fatto che la storia di un uomo sia accomunabile a quella di un cane o di un gatto. Forse avranno anche ragione ma al livello narrativo, sentimentale, non vi è tutta questa differenza. C'è il pescatore che deve la sua rinascita all'amicizia con un gatto, c'è il gatto che ha combattuto contro tutto e tutti fin da cucciolo. Entrambe le storie sono importanti e belle da ascoltare e narrare.
Proprio il gusto di narrare e narrarsi (tipico delle culture mediorientali) rende unico e speciale anche storie che di fatto appartengono al quotidiano, non all'epica. Però ogni persona intervistata racconta con sensibilità, tatto, trasporto e senso dell'umorismo. Piccole storie che ci raccontano una verità grande o una grande verità (in merito devo interpellare quel grandissimo poeta che è Jovanotti. Scherzo) come l'apertura del nostro cuore verso altri esseri viventi ci renda persone migliori. Impariamo da loro l'uso forte e senza freni dei sentimenti. La gioia o la paura, la difesa dei piccoli, del nostro spazio, la dedizione e fedeltà. Pure la furbizia di far le moine quando abbiamo bisogno di essere cibati. Sul gatto sono state scritte molte cose, tutte vere. Esso è un animale che affascina e meraviglia ogni volte che entriamo in contatto con loro. Molti dicono che sono indifferenti e meno affettuosi rispetto all'irruenza di un cane. Non è vero. Le nostre gatte ( Mirtilla e Scintilla) sono molto affettuose con noi, a volte anche un po' sprezzanti. Tipo la versione buona e alla mano di cugina Violet. Eppure nulla mi fa sentire tanto tranquillo e sereno, come stare con i miei animali domestici. Quando vivevo coi miei c'era il nostro cane-Achille- ho imparato da lui a non temere di esternare i sentimenti, a esser smielato anche, ma sempre votato alla difesa di un senso alto e nobile dell'amore, e dalle mie gatte? Esse mi cancellano ogni ansia, ogni paura, ogni piccola ma dolorosa depressione. Qualora uno dovesse spiegare cosa sia la felicità, ecco, io direi: una gatta che dorme sulle tue gambe o fa le fusa.

martedì 18 settembre 2018

La Fidèle di Michaël R. Roskam

In tempi emotivamente stitici, nell'impero del cinema trattenuto, resistendo a chi teme di lasciarsi travolgere dalle emozioni e per questo pretende opere distaccate, pulite, rassicuranti (vantandosi di non cedere a una cosa irreale come il ricatto morale),  c'è qualcuno che ha il coraggio di girare ancora dei melodramma.
Certo siamo lontanissimi dai capolavori di un Raffaello Matarazzo o alla grana grossa di un Negulesco. Figuriamoci se raggiungiamo la perfezione di Sirk.
Non sono tempi, cosa possiamo farci? Tuttavia per gli estimatori del genere non mancano una manciata di pellicole che rielaborano il genere, mescolandolo ad altri, donandoci opere a cui si vuol bene proprio perché vanno controcorrente.
La Fidèle è pura manna per chi ama il genere, in virtù del fatto che  Roskam mescola benissimo vari ingredienti e generi senza che si perda il gusto di ognuno di essi.  C'è alla base il meldoramma ( cola sua storia d'amore disperata, sfortunata destinata alla tragedia e a superarla, in un certo senso) ci troviamo il classico polar francese (la banda di rapinatori, i criminali tanto crudeli quanto umanissimi nelle relazioni tra di loro) un pizzico di film sportivo ( la protagonista come seconda professione fa corse automobilistiche).  Come vedete siamo immersi in un universo cinematografico di puro genere.
Tuttavia non è un film citazionista, non si piega su sé stesso attraverso personaggi che vivono in un contesto senza nessun aggancio sociale. Il regista, anche sceneggiatore del film, ci mostra la povertà di Gino, l'adolescenza difficile, la sua voglia di vivere una vita tranquilla che si scontra con la decisione del suo amico fraterno di continuare a far rapine. Non mancano nemmeno zampate contro le grandi famiglie capitaliste, tanto pulite all'esterno quanto marce nei loro rapporti col crimine organizzato.
Gigi e Bibi, i due personaggi principali, sono degli anti eroi che, in nome dell'amore, sfidano il destino, la legge e persino ( in un certo senso) la morte.
In particolare il personaggio di Gino, detto Gigi, è scritto benissimo. Un uomo nato e cresciuto in un mondo di violenza, capace di metter a nudo tutta la sua dolcezza e tenerezza.  Matthias Schoenaerts,  ci dona una grande interpretazione. Molto convincente tanto da essere la forza del film.  Altro punto di forza, a mio avviso, sono le atmosfere che rimandano ai classici degli anni 70 francesi di questi generi, non mi stupirebbe veder spuntare un Lino Ventura, in certi momenti della pellicola.
Purtroppo non ha una buona distribuzione, anche se in certe città potreste vederlo anche al cinema, come abbiamo fatto io e mia moglie a Firenze.
Un peccato perché pellicole del genere sono puro cinema che sa unire in modo equilibrato il genere ad annotazioni sociali. Certo in questi tempi, in cui il romanticismo viene visto come una cosa stupida, un'opera simile ha vita dura.
Insistiamo tanto su piaceri effimeri vissuti in modo meccanico giusto per far veder agli altri quanto siamo trasgressivi, forti, ribelli e poi di fronte alla potenza dei sentimenti crolliamo come giganti d'argilla. No, un film simile ( che ci dice come l'amore superi ogni avversità anche la più implacabile e inevitabile) non lo meritiamo proprio.

lunedì 17 settembre 2018

Mr Long di Sabu

Io non credo che le storie siano infinite e illimitate.  Credo che per ogni genere vi siano non più di tre o cinque possibilità narrative. Su di esse un buon scrittore o un buon regista ci aggiungono delle variazioni o rispettano al massimo le regole. In entrambi i casi possono esser creati dei prodotti quanto meno validi e decenti.
Mr Long è un classico film in cui un killer, dopo il fallimento di una missione, si ritrova solo in un posto sconosciuto in cui, immancabilmente, fa amicizia con un bimbo e la madre tossica dell'infante. Ancora più ovvio che metterà a disposizione del piccolo tutta la sua abilità professionale, quando i cattivi torneranno per sistemare i conti.
Ci sono tantissimi film che girano intorno a questi personaggi. L'uomo silenzioso e letale che riscopre la sua umanità difendendo un bimbo o una bimba. Alcuni sono dei veri e propri capolavori, come ad esempio : Man from nowhere, altri sono dei pasticci reazionari come Man on fire ( pessimo remake di un pessimo film).
Io vado pazzo per queste storie. Il motivo è perché spesso sono molto malinconiche e portano in scena un tipo di giustizia che reputo per nulla sbagliata da un punto di vista etico. Vuoi saper quale è il punto di vista etico? Spesso queste storie sono ambientate in un mondo feroce, crudele, senza umanità, dove dei mascalzoni a tutto tondo distruggono senza un minimo di riflessione sulle loro azioni, le vite di innocenti. In questo contesto non è possibile parlare di legge o giustizia. Infatti mancano del tutto la polizia o degli avvocati, quando ci sono, state sicuri, sono sempre delle canaglie.  Per questo si ricorre a una figura d'Antico Testamento, quello di un Angelo della Morte e della Vendetta. Questi personaggi sono figure bibliche in un certo senso. Vengono dal nulla e spesso ci ritornano, ma quando passano vendicano i deboli e portano all'inferno i cattivi. Una versione profondamente pessimista del mondo, col rischio sempre presente di sfociare nella narrazione reazionaria.
Qui entra in gioco la figura fondamentale del regista. Il come è l'elemento che divide le cialtronate da opere riuscite. Sabu si mostra un ottimo regista con uno sguardo profondo e tagliente sui personaggi e le loro azioni.
Long è un killer di Taiwan. Una vera macchina da guerra: infallibile, veloce, quasi un fantasma. Un giorno ( mentre si trova in missione in quel di Tokyo) le cose si mettono male. L'uomo, ferito e stanco, si rifugia in un quartiere malfamato, composto da case in lamiera, semi abbandonato. Qui viene assistito e curato da un bimbo, immigrato anche lui da Taiwan. Il piccolo è figlio di una tossica che si prostituisce ( toccante il flashback sulla storia d'amore della donna) e ben presto Long si affeziona a loro. Inoltre stringe amicizia con alcuni chiassosi vicini di casa.
Costoro avendo notato l'abilità in cucina di Long, lo aiutano a prender un carretto e tutti i mezzi che gli servono per cucinare all'aperto, all'uscita di un tempio.
Sabu non si limita a narrare una storia già vista tante altre volte. Il regista nipponico allarga le possibilità di redenzione del personaggio attraverso i vicini di casa, inoltre dissemina lungo tutta la pellicola rapide ma precise considerazioni sociali e politiche.
La tratta delle schiave da altri paesi asiatici, il razzismo dei giapponesi nei confronti dei migranti, la divisione in classe, l'abbandono delle zone più povere. Non mancano anche elementi più classici: l'impossibilità di sfuggire al destino e la presenza ineluttabile del Male, che può essere sconfitto solo attraverso una Punizione ancor più feroce nei confronti dei suoi spietati emissari.
Mr Long alterna veloci momenti di violenza, parentesi leggere e comiche e una diffusa malinconia, tristezza di fondo. Che però nel finale diventa quasi un inno alla vita, questo dono prezioso da condividere con gli altri.
Se dovesse capitare di vederlo in qualche cinema andate a vederlo, altrimenti cercate vie diverse. Per me è uno di quei film tanto semplici quanto imperdibili.

martedì 4 settembre 2018

Tallulah di Sian Heder

In fondo non sarebbe male...Lasciarsi trasportare dalla mancanza di gravità e volare in alto. Superare gli alberi, i tetti, far compagnia a qualche uccello e poi perdersi nello spazio, nell'universo.
Sono sicuro che visti dall'alto appariamo tutti piccoli, fragili, goffi. Sono sicurissimo che verrebbe istintivo provare pietà per quei piccoli insetti e per le loro vite.
Se guardassimo attraverso lo sguardo di Dio non potremmo far a meno di provare tenerezza e malinconia per gli esseri umani. Dio è compassione.
E da noi manca. Troppo.

Non è facile vivere, nessuno ci ha assicurato il contrario. Noi cerchiamo di evitare ogni tipo di giudizio, critica,  cullandoci nelle nostre debolezze. Diamo la colpa al destino,  a Dio, a chi vuoi tu. Convinti di poter ballare la canzone dell'eterna giovinezza e di una libertà dissoluta, ubriacandoci di desideri e sogni di seconda mano. E poi ci sono quelli abbandonati a sé stessi, i miserabili che temiamo e disprezziamo perché sono ladri, bugiardi, ok... Ma non è questo. Quello che detestiamo di Tallulah è la sua povertà esibita, la mancanza di regole, una pecora nera in un mondo di lupi.
Tallulah vive alla giornata. Vuole solo sopravvivere. Per questo ruba e vive di espedienti. La sua è una vita per nulla libera ma una vita da outsider senza gloria.
Ce ne sono tante e tanti come lei. Vivono nelle nostre città. Non li vediamo mai, perché facciamo di tutto per evitare di incrociare il loro sguardo e sentire le loro parole. Non ci raccontano mai storie entusiasmanti ma bugie ridicole, sono pessimi attori.
Una come Tallulah nemmeno merita un euro di gentilezza spicciola. Non ha nulla di speciale ed è anche fastidiosa. Lei è convinta che debba per forza vivere una vita senza scopo, ai confini del vivere decentemente.
Chissà che avrà avuto in testa? Quando si presenta dalla madre del ragazzo che l'ha mollata, perché stanco di quella vita balorda. Non c'è nulla di bello nel magiare cibo preso dalla spazzatura.
La donna è una persona istruita che fa parte del mondo intellettuale, liberale, eppure è così sola. Vive in un appartamento che non le dovrebbe appartenere e non riesce a lasciarsi alle spalle la fine del matrimonio.
Anche lei è una di quelle persone che ci capita di incontrare spesso nelle nostra vita. Uomini e donne che hanno una vita di agi borghesi, una buona cultura, idee anche accettabili, eppure sono persi/perse in esistenze grigie, piene di un sottile rancore e troppi rimpianti.
Gente che potrebbe vivere bene e invece è prigioniera della propria tristezza, infelicità.
Il destino o Dio però ha piani misteriosi per ognuno di noi. Noi che siamo così sicuri di aver capito chi siamo, cosa vogliamo e cosa dobbiamo fare per ottenerlo.  Ora tra le tante cose che ci rendono la vita difficile, la maternità sta nei primi posti. Chiedetelo alla donna che affida la sua figliola a una ragazza che non conosce affatto, confondendola per una cameriera dell'albergo.
Una donna che si sente sconfitta dal tempo, di aver perso tutto quello che la gioventù e la bellezza potevano darle. Una donna debole, senza carattere, vuota.
Il mondo è pieno di uomini e donne che stanno male, che hanno problemi perché cresciuti da madri sgangherate. Quando hai un figlio non ci sono più scuse. Devi prenderti cura di lui o lasciare che vada a vivere in altri posti
Non hai più giustificazioni.

Ecco questo piccolo, grande film mette in scena la vita di tre donne imperfette e di un mondo indifferente, senza evitare le sgradevolezze di costoro. Non ci sono ammiccamenti e leggerezze nel tono e questo è un bene.
Lo spettatore, come qualsiasi cittadino, non vuole sporcarsi troppo, non gli va di vedere l'aspetto peggiore delle persone. Per cui, va bene parlare di emarginati o di persone incapaci di vivere, a patto che siano facilmente digeribili. Che non mi ritrovi a imbattermi nella negatività
Questi personaggi sono negativi e hanno tante colpe. Eppure... Qualcuno o qualcosa che ci guarda dall'alto ci porta a focalizzare lo sguardo sui particolari. E qualcosa cambia.
La giovane sbandata e ladra sa amare e prendersi cura di una bimba, una donna che vive chiusa in sé stessa evitando ogni tipo di relazione prova ad aprirsi e una madre degenere capisce cosa voglia dire avere una figlia.
Perché non c'è una persona buona o una cattiva senza qualche peccato inconfessabile o qualche sorprendente virtù.
Siamo noi, sempre più pigri e portati a un giudizio frettoloso che diventa verità assoluta, a non vedere quanto possiamo brillare. Quanto amore sappiamo dare.
Tallulah è tutto qui. Un film sincero, duro, opera che non nasconde mai le debolezze delle sue protagoniste ma non le giustifica. Non sono "puttane sante", ma piccole donne anche mediocri in alcuni momenti.
Però a nessuno è negata la capacità di amare, di donarsi per qualcuno.  Le relazioni sono importanti, più ne hai, più hai modo di conoscere gli altri, aiutarli e meno ti viene da dire, che ne so... Ruspa!