martedì 30 gennaio 2018

MADE IN ITALY di LUCIANO LIGABUE

Alcuni cantanti o attori, dai retta a un pirla, è naturale criticarli a priori. La critica è pretesa e voluta da quelle forme di vita evolute, le quali possono solo inorridire di fronte a certi che non danno scandalo, non provocano, non arrivano afoni a sessanta e passa anni a furia di " Eh! Ehhhhh!"
Costoro si battono per l'arte, il rock, la vida loca, essendo tutti rinomati e sofisticati libertini, ma con una "capa tanta".
Così si decide che un film sia brutto perché Accorsi non sa recitare e Ligabue...Maremma cangura accecata! No, Ligabue no!


Certo, il titolo mi ha fatto venire in mente un classico del cinema italiano degli anni 60.  Nanni Loy dirigeva un cast di primo ordine ( Manfeedi, Sordi, Magnani) in una serie di episodi divisi in quattro o cinque settori, non ricordo bene, per parlare dei nostri vizi. Uno spaccato forse troppo tendente alla macchietta, ma efficace del nostro paese.
Ligabue, in un qualche modo, compie un'operazione simile. Non tanto negli episodi, quanto nel voler raccontare una parte d'Italia. Senza però essere un film politico e d'indagine, il che potrebbe essere un limite, in questo caso è invece un pregio.
Perché attraverso le piccole storie, forse, potremmo comprendere anche la storia colla S maiuscola.
Il film è proprio questo: un piccolo racconto. La storia di un uomo qualsiasi, né integerrimo né farabutto, che vive in provincia e lavora come operaio. Toh, va chi si rivede! Un lavoratore che fa un lavoro non fico e moderno, ma uno di fatica e tedio.
Rico con quel lavoro ci campa. D'altronde che puoi fare in un paese come quello? Una piccola vita, ai margini dell'universo. Per alcuni un paradiso ( tranquillità, amicizia vera e tutte quelle menate lì), per altri un inferno. Io sto nel mezzo. Mi piace quella vita semplice e diretta, però ho bisogno della città: i negozi, cinema, teatri.
Ok, torniamo al film! Non è facile o serena la vita di Rico. Il rapporto con sua moglie è logoro, litigano, c'è qualcosa tra di loro che è andato storto e non è stato superato. Un suo caro amico, Carnevale, è un artista che si incasina la vita, e il posto di lavoro non è sicuro.
Rico non è un uomo felice, anche se cerca di nasconderlo. Ha paura di perdere il posto, è intrappolato in un rapporto che par destinato a finire. L'unica forza che lo sostiene è la famiglia e i suoi amici.
Il film parla di un uomo qualsiasi che perde ogni stabilità e cerca di riconquistarsela. Non è un eroe, non siamo in un film americano. Rico compie tantissimi errori, si perde, cade a terra e non si rialza facilmente.
Tuttavia, questo per me il maggior pregio della pellicola, non assistiamo nemmeno a quei film che ci consolano e coccolano dicendoci: "La vita fa schifo! Siamo soli nella sofferenza!" Per fortuna non c'è traccia di questo nel terzo film del cantante emilano
Il messaggio potrebbe essere: " La vita non è comoda per nessuno, quando vuoi assaporarne tutto il profumo", la citazione di De Gregori, a mio avviso illustra benissimo la morale delfilm
Appunto quella di ricordare a noi stessi che vivendo soffriremo e penseremo di essere arrivati al capolinea, ma che le relazioni umane, vissute fino in fondo, ci possono dare una mano a vivere
Il film descrive benissimo l'amicizia che unisce i personaggi, l'amore alla base della famiglia di Rico, arriva persino a mostrarci come i rapporti di coppia possano anche arrivare a un punto, in cui si auspica la rottura, ma che possono sempre aggiustarsi, maturare, evolversi.
Un'opera semplice, piena di calore, passione, un inno alla nostra quotidiana sopravvivenza. Certo non parliamo di un film che ci colpisce per prodezze tecniche o per una trama avvincente e innovativa, ma di una pellicola media, di buona fattura.
Un film che ci rammenta che solo cogli altri possiamo farcela. In questi tempi di single e di gente chiusa in sé stessa, è un messaggio davvero ottimo

venerdì 19 gennaio 2018

ELLA E JOHN di PAOLO VIRZì

Noi viviamo in mondo che ha scordato l'empatia. Disinteressato al dolore degli altri, poco rispettoso verso la morte o la malattia. Crediamo che una battuta cinica ci salverà.
Un mondo sotto la dittatura degli infelici che si sentono pure tanto cool.
Per questo ci viene naturale criticare ogni forma di compassione, bontà, interesse, nei confronti degli altri, come : buonismo. Un gesto generoso, occuparsi di un'altra persona, la generosità? Tutta roba ipocrita e politicamente corretta.
I film con valori e sentimenti positivi? Sentimentalisti, ruffiani, "ricatto morale!"

Chiaro che vivo circondato da teste di cazzo. E infatti ridono quando sentono battute penose!  ( satira!)

Io credo invece che la capacità di prestare attenzione alla vita e al dolore altrui, aiutare come possiamo qualcuno che sta male, siano cose importanti.
Come, lo sono per me, anche la tenerezza e la dolcezza.

Molti scrivono e pensano che questo sia il primo film "americano" di Virzì. In realtà aveva già girato una pellicola nella terra dei "bombardiamo per la vostra libertà. Che poi è la nostra di fregarvi le materie prime": My Name Is Tanino. Un film quasi mai citato, quando si scrive o parla del cinema di questo straordinario regista.
Comunque, in questa nuova pellicola,  il livornese ha a disposizione due grandissimi attori: Donald Sutherland e Helen Mirren. La loro recitazione , in questo film, è davvero deliziosa e commovente.
Non è facile recitare con tatto, ma senza voler essere trattenuti, un ruolo come quello del malato di demenza senile. Sutherland dona la suo John, una tenerezza, un smarrimento infantile e dolce, per nulla lezioso o costruito. C'è un uomo, il quale ha vissuto una tranquilla vita da professore universitario, che una malattia odiosa e feroce, sta distruggendo pezzo dopo pezzo. Non c'è nulla di peggio che vedere una mente brillante disperdersi, fissare gli occhi di una persona che non sa più dove si trova, chi è. Vederlo scomparire giorno dopo giorno, mentre tu sai benissimo chi è lui. Tuo padre, tuo nonno, tuo marito. Cercare di stare calmi quando va in escandescenza, quando si sporca come un neonato, quando ti prende a parolacce
Tutto questo è un dramma devastante, che non puoi affatto nascondere.
Però puoi decidere come metterlo in scena. 
Puoi decidere cosa mostrare: l'orrore della malattia (solo quello) oppure lasciar intravedere qualcosa di dolce e tenero, dietro a tutta quella sofferenza.
Io sono un sostenitore della seconda scelta. Non dico che sia vietato mostrare gli effetti della malattia, anche quelli pesantissimi. Va benissimo, ma l'essere umano non deve mai scomparire
E sapete una cosa? Come esseri umani, noi amiamo

L'amore che trova il suo manifestarsi più giusto e consono nel rapporto di coppia. Lo so, non va troppo di moda nei tempi in cui  preferiamo lamentarci che non troviamo nessuno, piuttosto che impegnarci a portare avanti una relazione
Però sono sicuro che l'abbiate capito: " La vera libertà sta nell'essere in due" Forse libri, film, convenzioni sociali, ci fan apparire esso come un ostacolo difficilissimo da sostenere, o qualcosa di così perfetto, che noi poveri mortali non possiamo gestire ed apprezzare. Per i pigri, c'è in offerta la promozione: l'amore non esiste e noi siamo destinati alla solitudine
Ella e John ci mostrano il contrario. Paolo Virzì, di nuovo vi mostra quanto mendaci e fallaci siano le vostre teorie negazioniste; cari miei nazisti sentimentali
L'amore sta nei gesti quotidiani, in certi viaggi lungo l'autostrada dove non serve nemmeno parlarsi. Perché non sono le parole dell'altro, a farci sentire bene. Ma la sua presenza.
L'amore è anche routine, così la chiamano i mai contenti a prescindere, invece essa non è altro che stabilità. Sapere che se il mondo intorno ci spaventa, angoscia, a casa ci sarà qualcuno in grado di farci sentire bene e al sicuro
Costa fatica e bestemmie, si paga in lacrime e sangue, però vale sempre la pena passare un nuovo giorno colla persona che abbiamo scelto e sposato.
Non è per i vigliacchi e le codarde, non appartiene a chi scappa a gambe levate. Non l'avranno mai chi è terrorizzato da aver problemi.
Costoro, pur ritenendosi liberi e troppo avanti rispetto alle "persone comuni", non capiranno mai una cosa semplice: tutto il dolore e la sofferenza, svaniranno di fronte al sorriso e all'aiuto che riceverai da tua moglie o tuo marito.
L'amore è prendere un vecchio camper e fare un ultimo viaggio insieme. Prima che la malattia ( demenza senile per lui, tumore per lei) possa piegare e distruggere per sempre quello che si era, quello che si è ancora.

Il tema è un classico del cinema americano: il viaggio, o la fuga, alla ricerca di una felicità perduta. Non finiremo mai di elencare film, canzoni, libri su questo tema. Per cui questo film non vi conquisterà, sicuramente, per via della sua "originalità"  
Ma come ebbe a dire Quentin Tarantino, nel finale di "Tutto può accadere a Broadway": "L'originalità non esiste. Fanculo l'ossessione per l'originalità, essere alternativi, disturbanti, devastanti.
La cosa difficile è mantenersi umani, misericordiosi, compassionevoli, mai paternalisti, quando affronti certi temi.
Ella e John sono due persone. Non santi, non eccezionali, una coppia come tante. Chi lo dice che essere come tanti, significhi non aver storie che valgano la pena di essere narrate?
Il cinema per me è : personaggi, storia, messaggio. Qui i personaggi son descritti talmente bene, sono così vivi, che si passa sopra a una serie di situazioni ripetitive; tipiche del genere portato sullo schermo.
Il tema è quello della morte e della malattia,  che ci portano a ripensare alla nostre vite. Trovo bellissimo che costoro ogni sera rivedano le diapositive della loro relazione. Da fidanzati, freschi sposi, genitori. Le foto non mentono, le foto ci donano l'effimero dono della eternità. Sono le ultime cose che lasceremo agli altri e le prime che corriamo a vedere, quando ci sentiamo tristi.  I nostri amici, i nostri amori, ognuno di noi ha delle foto a cui tiene in modo particolare. Non tutti la possibilità di aver delle diapositive, ma vabbè il ragionamento è lo stesso
Io e mia moglie abbiamo amato molto questo film. Vuoi perché buonisti e politicamente corretti, vuoi perché abbiamo il dono dell'empatia, vuoi perché Virzì ci garba assai. Io in realtà, lo ammetto, per un periodo assai disgraziato della mia vita, lo contestavo, ma è stato assai breve! Per fortuna.
Ho amato questo film per il rispetto, il tatto, l'umana delicatezza, con cui mette in scena due vecchi, ormai giunti alla fine delle loro esistenze. Mi è piaciuto perché mostra il dolore, la solitudine e il peso che comporta invecchiare e ammalarsi, ma senza dimenticare una soffusa tenerezza. Perché da qualche parte, la persona che abbiamo amato, non ci ha abbandonato del tutto, rimane con noi. A sprazzi, brevi istanti, però vive ancora con noi.
Non condivido la scelta finale dei protagonisti, ma la comprendo e capisco. Così come comprendo e capisco che possa non piacere. Non mi interessa
Per l'ennesima volta devo ringraziare Virzì e i suoi collaboratori: Francesca Archibugi e Francesco Piccolo, per l'ottimo lavoro fatto
Perchè fanno cinema per chi non si vergogna di commuoversi e piangere per la felicità di due persone qualsiasi, ma che terremo nel nostro cuore a lungo.

martedì 16 gennaio 2018

TRE MANIFESTI AD EBBING, MISSOURI di MARTIN MCDONAGH

"La rabbia genera sempre altra rabbia"
Una frase semplice, forse anche banale, pronunciata da un personaggio secondario. Eppure, che ci crediate o no, il cuore pulsante di questo film, sta tutto qui.
Nulla come il dolore ci fa sentire arrabbiati con noi stessi o gli altri. Non importa l'entità della nostra sofferenza, quello che sappiamo è che a un certo punto non abbiamo più il controllo della situazione.
Forse comincia una mattina, magari mentre stai bevendo la tua tazza di caffè. O forse quando sei in fila al supermercato. Senti insinuarsi lentamente in te questa terribile forza, che ci incatena e immobilizza ( una persona arrabbiata o rancorosa è immobilista in tutto e per tutto, teme di spostarsi anche di pochi millimetri, perché la sua sofferenza e rabbia sono le uniche cose che la tengono in vita e che le offrono stabilità) riducendo tutta la vita a una sola missione, un solo valido motivo per vivere.
Questo modo di rovinarsi la vita, credetemi, non è affatto così raro. In moltissimi decidono di lasciarsi travolgere dall'odio, dal dolore rancoroso, da un senso frustrante e crudele di rabbia autolesionista, che rigettano sugli altri. I motivi sono tantissimi e , visti da fuori, a volte anche sciocchi.
Però quando stai male, quando pensi che la tua vita è rovinata, è facile perdersi. Non ci vuole molto che un piccolo caso monti a livelli di furia incontrollabile, contro chi riteniamo colpevole delle nostre sofferenze
Pensa se ti dovessero uccidere qualcuno che ami. Pensa di aver come ultimo ricordo di quella persona ancora in vita, una litigata. Non una semplice, ma di quelle in cui si dicono cose cattive e volgari.
Pensa di vivere col rimorso il resto della tua vita. Come puoi rimediare a tutto questo? Ce ne sono tanti, però penso che mantenere vive le indagini, sia l'idea migliore.

Per questo motivo la protagonista di questo eccellente film, decide di affittare tre cartelloni pubblicitari, dimessi da lungo tempo, per ricordare alla polizia locale di continuare le indagini sull'omicidio della figlia. I toni sono polemici e forti, in più la donna è devastata dalla rabbia, chiusa in un suo soffocante mondo di dolore e rancore.Come non potrebbe esser così, visto la perdita enorme e il senso di totale abbandono che lei avverte, da parte delle forze dell'ordine? Questo scatena dei conflitti che vedranno coinvolti anche altre persone
Perché tutto quello che facciamo o diciamo, ricordiamocelo sempre, scatena delle azioni. Spesso poco piacevoli, dobbiamo subirle e riceverle come segno delle nostre scelte.
Devo dire che quando ho letto in giro, affermazioni tipo: " politicamente scorretto" o "commedia nera", mi son un po' tremate le mani.Credo che il politicamente scorretto sia il rifugio infelice di chi sente il peso di esser troppo "corretto" per inclinazione a subire la vita, o in seconda istanza, il tentativo ridicolo, di intellettuali da quattro soldi per farsi notare. Commedia nera, spesso, mi sa tanto di buttare in caciara cose serissime. Per cui alla fine: tanto scandalo e rumore, ma per conservare e consolare. Non tocchi l'umanità dei personaggi, la durezza di una storia, ti senti figo e un po' un bad boy; torna a casa e a cuccia
Per fortuna questo bellissimo film non fa assolutamente parte di codesta categoria.
Perché l'ottimo Martin McDonagh usa il " il politicamente scorretto" e la commedia nera, in modo assolutamente intelligente, per arrivare a farci ragionare sul bisogno di aprirsi agli altri, aiutarci, solidarizzare e non rimanere prigionieri della propria rabbia.
Questo percorso di stentata, difficile, dolorosa, redenzione è protagonista delle lettere che lo sceriffo del paese, un bravissimo Woody Harrelson, spedisce alle persone più coinvolte da questa storia. Tanto i tre cartelli sono simbolo di sofferenza, rabbia, rivendicazione feroce, tanto le lettere dello sceriffo cercano di portare un po' di sensatezza, empatia, vicinanza. A esser sinceri nella prima c0è tutto un ragionamento su un suo gesto, non ne parlo per non fare spoiler, perà è innegabile che quando il suo poliziotto più ottuso, violento, cretino, insomma più "americano", compie un percorso di cambiamento,  di lavoro su sé stesso, che sicuramente lo porta ad essere un uomo migliore. Non nel senso spielberghiano,  rimane sempre un po' un pirla, ma almeno a fin di bene
Dixon, per me è il miglior personaggio di questo film. Dove si nota un grande lavoro di scrittura, un'attenzione ed empatia verso ogni persona, da parte dell'autore dello script, che ti porta a provar pena e compassione, per uno che fino a qualche minuto prima consideravi un coglione senza speranza.
Invece in questo film esiste, la speranza.
Nascosta dietro la violenza, la morte, le battute acide, i pestaggi ai neri, la bruttezza di vivere in certi paesi di provincia. Eppure esiste e ci mantiene umani
Il finale aperto, ci fa riflettere proprio su questo: siamo davvero costretti ad usare la violenza, la giustizia sommaria, per lenire e superare un dolore troppo forte e insostenibile? O, come nel caso di Dixon, per cambiare vita ed essere una persona migliore?
Non lo sapremo mai. Però una cosa l'abbiamo capita: anche nel profondo Missouri ci sono persone che non si lasciano catturare dall'odio e l'indifferenza. Basterebbe ascoltare le parole dello sceriffo, oppure notare quel nano pieno di dignità e amore.
In fin dei conti siamo liberi di decidere come vivere: nel rancore, cercando vendetta. O convivendo con la rabbia e cercando il sostegno e l'aiuto degli altri
Forse uno potrebbe anche tornare indietro. Forse andare fino all'Idaho, non placherebbe il rancore verso sé stessi e non renderebbe giustizia alla memoria di una figlia
Tutto quello che possiamo fare è decidere. Subendo le conseguenze delle nostre scelte.

lunedì 15 gennaio 2018

ACROSS THE RIVER- OLTRE IL GUADO di LORENZO BIANCHINI

Eh, già! Nel post precedente ho scritto in chiari lettere che voglio passare un 2018, cinematograficamente parlando, leggero. Infatti, cominciamo l'anno nuovo scrivendo una riflessione su un horror! Peraltro non uno di quelli che non spaventano nemmeno un bimbo. Ma una pellicola di quelle inquietanti, da vedere in pieno giorno, possibilmente : 1) non in una casa isolata, 2) non nei pressi di un bosco, 3) lontani dal Friuli Venezia Giulia.


Oltre il guado, è il quinto lungometraggio di un regista che ama profondamente il cinema di genere e lo ripropone ambientandolo spesso nella sua terra: Il Friuli Venezia Giulia. Terra che non fa solo da semplice ambiente da utilizzare per comodità o necessità, visto che i suoi film sono spesso indipendenti o sostenuti da piccoli interventi finanziari, ma è la vera e propria protagonista delle pellicole. Sopratutto attraverso il linguaggio dialettale.
Grazie all'utilizzo del dialetto, le sue pellicole hanno avuto un buon riscontro nelle lande friulane. Va sottolineato quanto il suo lavoro sia anche apprezzato nei maggiori festival di cinema di genere e tra gli appassionati di horror.
Non potrebbe essere altrimenti, visto l'alta qualità di un film come  Across the river.
Un horror puro, potremmo denominarlo così,  con una storia lineare e "semplice", però mai scontata o banale. Sopratutto uno dei pochissimi film che riesce a filmare e far provare, la paura al pubblico. Perché la protagonista è proprio lei: Mrs Fear.
Non è facile spaventare filmando degli alberi o una goccia d'acqua che cade dentro un bicchiere.  Eppure in questo gioiello di film, succede. In fin dei conti una storia simile o la butti in caciara o cerchi di intrappolare gli spettatori in una sottilissima rete di rarefatte inquietudini, fino a un finale più forte. Il quale però non eccede in effetti gore e grossolani, palesa solo la fine raccapricciante che fanno le bestie e gli uomini che, per loro immensa sfortuna, attraversano il guado.
Ma di che parla, codesta pellicola? E' la storia di Marco Contrada, un ottimo Marco Marchese, un etologo che durante una giornata di studi, attraversa il guado e si trova imprigionato dalla piena del fiume. Trova rifugio in un paese abbandonato, dove vorrebbe continuare e concludere le sue ricerche. Il ritrovamento del cadavere di un cinghiale, fatto a pezzi con estrema violenza, gli fa credere che in giro vi sia una nuova specie di predatori. Alcuni strani avvenimenti, lo convinceranno che forse questi predatori non appartengono agli esseri viventi, piuttosto a qualcosa di assolutamente maligno ed affamato.
L'opera è la cronaca implacabile del manifestarsi del male. Delle affinità tra esso e le modalità di caccia dei predatori, che seguono anche per giorni, sfiancandola, la propria vittima.  L'ineluttabilità che colpisce i poveri mortali, quando entrano nel regno delle tenebre.  Gli uomini, in particolare quelli di scienza, si trovano spiazzati da fenomeni che non riescono a controllare. Piano piano Marco scompare. Lo studioso, uomo abituato a usare i mezzi tecnologici e la ragione, lascia spazio a una preda, confusa e a disagio. Il tutto è ancor più terrificante, in quanto pare che la sua fine sia scritta nel destino. Per cui risulta complesso trovare una via d'uscita.
Ottima anche l'idea della coppia di anziani sloveni, i quali conoscono benissimo la maledizione che colpisce quella zona, l'uomo avvisa anche i ricercatori su cosa potrebbero trovare in quella zona abbandonata. Tuttavia non possono agire sugli avvenimenti.
Il male è implacabile ed ineluttabile, come scritto poco prima, e non lascia vie d'uscita.
Bianchini, con pochi mezzi a disposizione, riesce a creare un perfetto incubo, impreziosito dall'uso del dialetto sloveno, parlato in quelle zone
Casomai doveste veder il film su netflix, cliccate su sottotitoli per non udenti. L'unico modo per capire cosa dicono l'uomo e la donna, testimoni - senza volerlo- della terribile sorte che tocca a  chi attraversa il guado.

Le buone intenzioni del 2018

Ogni nuovo anno si apre con una lunga lista di buoni propositi. Quali potrebbero essere per uno spettatore indisciplinato?
Mi sono posto questa domanda perché ormai è sempre più evidente di come io stia cambiando, anche a piccoli e quasi impercettibili passi, come essere umano.
Il cambiamento è l'ossessione degli occidentali, spesso se riguarda altri popoli e nazioni. 
Curiosamente ci spaventa se tale evento accade a noi stessi o ai nostri amici. 
Ho perso il conto delle volte in cui mi son imbattuto in qualcuno che si spertica in complimenti verso chi è uguale a sé stesso, anche se sono passati decenni e decenni.Mentre si giudica male chi a un certo punto ha deciso che non gli stava più bene un certo ruolo, che qualche idea andava cambiata, o che dopo una gioventù dedicata allo sballo, ne aveva piene le balle di finir la serata a vomitare. 
Che non è affatto rock. Il rock rimarrà sempre quella cosa bellissima che scintilla sulle corde di Jimmy Page. Non io che a 41 anni mi comporto da ragazzino, così gli amici del bar sono contenti di  me.
Probabilmente è tutto scritto, Dio o il Destino hanno scelto come dovremmo vivere la nostra esistenza. A noi l'illusione di credere nel libero arbitrio, nelle scelte. 
Io amo le illusioni.
Credo che la speranza, se vissuta in modo attivo, possa renderci più sostenibile la vita.

Perché essa ci porta a tentare di migliorare la nostra vita ( quando dico migliorare intendo piccoli passi in avanti nulla di grande e rivoluzionario). Fidato alleato della speranza, dell'illusione, della voglia di stupirsi, meravigliarsi, è da sempre il cinema.
Prima parlavo di cambiamento e l'ho buttata sul filosofico usa e getta. Non perderò mai il vizio di usare 10 parole quando ne basta una! In realtà notavo come in questi anni, in cui non mi limito a vivere come posso ma come voglio, anche certi miei pilastri e radici su cui ho fondato la mia formazione di spettatore indisciplinato, siano profondamente modificati.
Non sono più apaticamente pessimista, non riesco più a rifugiarmi dietro a un comodo " ma tanto tutto finisce male", ho capito - ma questo lo sapevo da sempre- che sta storia del buonismo, del cinema che ci ricatta moralmente, la battuta acida ogni volta che ci commuoviamo, non mi interessano più. Né in me, né negli altri.
Se fino a qualche tempo fa citavo alcuni maestri del cinema, per rafforzare la mia tesi su un pessimismo cosmico da discount, ora mi rendo conto che non mi riconosco per nulla nei loro pensieri ( che rimangono sempre alti e nobili poiché parliamo di grandi maestri però mi sarei un po' rotto le palle).
Non mi serve per forza che il cinema sia disturbante, devastante, figurati visionario.  Se questi elementi ci sono e vengono usati bene, mi fa piacere, ma non credo più in un unico metro di giudizio per farmi piacere un film.
I film "buonisti e consolatori" sono ridicoli tanto quanto quelli che a tutti i costi ci tengono a dimostrarsi "cattivi, senza speranza"
Perché è più facile mostrare un gesto negativo, piuttosto che affrontare il tema del perdono, della solidarietà di classe e umana, o mostrare una famiglia in cui non vi siano tragedie e rancori sopiti.
In fin dei conti al cinema cerchiamo conferma della nostra vita. Vogliamo che il film ci dica che abbiamo ragione. 
Vogliamo continuare a vivere senza sforzi.  
Per cui anche il cinema o le serie tv " anti retoriche e non buoniste", ci donano tanta consolazione. Non rivoluzionano nulla e son ben schierate col pensiero dominante di questi tempi: fa tutto schifo ma io non c'entro nulla.

In questo 2018 ho voglia di leggerezza. Non superficialità, che è tutta altra cosa.