lunedì 26 ottobre 2015

CRIMSON PEAK di GUILLERMO DEL TORO

Siamo portati, in questa epoca di democratizzazione imposta , a creder che siamo tutti in grado di scrivere libri, fare film, recitare. In genere ogni cosa abbia a che fare con l'intelletto, l'arte, la cultura, è cosa da poco. Che ci vuole? Prendo dei personaggi e li sbatto in un certo contesto e il gioco è fatto. Sopravvalutazione della propria mediocrità, in cerca di lauti ricompensi economici, e disprezzo per un'attività che impiega : fantasia, immaginazione,una certa preparazione nell'uso dei linguaggi, duro e noioso lavoro di revisione e tanto altro. Poi c'è una cosa che in tv par cresca sugli alberi, ma non è così: il talento.
Ora uno a furia di far le cose potrebbe anche arrivare a un prodotto dignitoso, in serie, cose che guardi e dici: "non male"  Ma tutto ciò è destinato all'oblio
Il talento è quella cosa che da un : voglio riportare il Gotico,accompagnato da un buon bicchiere di letteratura vittoriana, sullo schermo, da un progetto pieno di buffonate in costume, a una vera e propria lezione sul genere. Un omaggio che non rielabora il gotico e compagnia macabra, ma lo riporta con la stessa potentissima carica emotiva ed evocativa, sul grande schermo. Vuol dire saper ricostruire quel tipo di immaginario, saperlo manovrare benissimo e aggiungere quei tocchi di ineluttabile modernità, senza mostrare la corda: cioè siamo nel duemila e mi sto sparando le mie pose su un momento ben preciso, senza che ne abbia le adeguate conoscenze. Crimson Peak,  par fratello della Dama in bianco e di quei libri lì. Grande Del Toro. Qui c'è tanto mestiere e tanta genialità

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Ci sono tutti gli elementi classici: una giovane donna, orfana di madre e figlia di un arricchito yankee, un raffinato baronetto inglese, la prova che Del Toro sia un grande regista? Guardatevi la scena del valzer eseguito tenendo in mano una candela. Quella scena mi ha conquistato sia prima, durante e dopo. Impeccabile e magistrale.
Aggiungete una sorella minacciosa e misteriosa, una casa decadente, neve, argilla rossa che esce dalle fessure delle pareti e pavimenti, che par debba ingoiare la casa e i suoi abitanti, e fantasmi. Certo, i vecchi, cari, fantasmi, i quali evocano anime in pena, che hanno subito morti violente o che sono messaggeri di cattive notizie. 
Pensate bene a che vita eterna di merda fanno costoro! Ma come figliola mia: vengo a dirti di non andare a Crimson Peak e te ci vai? Con tutto il traffico che trovo per tornare nel tuo mondo? Oh! Ma d'altronde il destino, il fato, la nostra tragica fine è scritta: nelle nostre scelte scellerate.
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Prima cosa: i personaggi. Certo, oggi ci sembrano un po' superati e stereotipati, ma anche qui entra in campo il talento. Un regista qualsiasi, uno di quei mestieranti che par, in questi ultimi anni, diventati così fondamentali per il cinema, che fa? Te li riporta sullo schermo dei manichini fuori tempo, superati dal contesto storico in cui l'immaginario collettivo lavora. Sarebbe una di quelle pellicole che vorrebbero riportare in auge un certo genere, ma ne fan risultare solo i difetti . Uno con il talento di un immenso autore come Del Toro, ti prende quei personaggi tagliati con l'accetta, stereotipati, e infonde a loro un po' di anima. Quel poco per render questo personaggio già visto, conosciuto, archiviato, qualcosa che valga la pena di seguire, entusiasmarsi.
I personaggi di questo film sono così. Pur rimanendo inchiodati nelle regole consolidate, cercano una via di comunicazione con lo spettatore. Non tutti, quelli più sensibili e quindi indisciplinati.
Merito del cast, davvero notevole: Mia Wasikowska, è impeccabile nella figura della donna in pericola. Fragile, ma anche di sani e solidi principi morali: vuol farsi strada come scrittrice di romanzi che parlano di fantasmi, ma in quanto donna deve per forza pubblicare storie d'amore. Cerca di ribellarsi alle regole del suo tempo, ma è anche legatissima ad esse. Ha un bellissimo rapporto con il padre: una ragazza molto credibile, sono ed erano tante, a mio avviso, le ragazze come costei. Mia la rende palpitante e viva. Tom "Tommolino" Hiddleston, ha la giusta dose di ambiguità per un personaggio che nasconde risvolti anche inaspettati, ma a ben vedere non tanto. Comunque, dona una certa classe inglese. Ha un lato positivo e sognatore e l'altro più pericoloso, ma vittima di un rapporto non proprio sano con la sorella.
La sorella.. Apro una piccola parentesi, eccola: codesto anno, tra le tante meraviglie, sono stato profondamente colpito e scosso da due personaggi femminili, che sono entrate nella mia personale stanza del cuore dedicata a quei personaggi cinematografici, ma che io reputo vivi e ci parlo pure, talora. Una è Viola, da Suburra, l'altra è la magnifica, straordinaria, Jessica Chastain e il suo personaggio: Lucille Sharp. 

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Fredda, spietata, immagine potentissima del Male, eppure con quei pochi momenti di commozione che regala al fratello, dove alla fine non possiamo non provare pena per questi due.  Jessica Chastain fa un lavoro impressionante e memorabile su questo personaggio, dosando benissimo le espressioni del viso, le occhiate, i silenzi e le esplosioni di rabbia. Un crudele angelo della morte: terrificante e spietato, eppure cosa avrò subito questa donna da bimba? Cosa l'ha resa così? E come mai il Male ci attrae tanto, pur quando il personaggio positivo è scritto e interpretato benissimo e non possiamo augurarle nulla di male?
Lucille è tra le migliori cattive apparse sul nostro schermo. Da ricordare a lungo.

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E poi c'è la casa. Luogo macabro, fatiscente, decadente, simbolo della corruzione e dello sprofondare nella follia, di luogo che ha sepolto orribili segreti, prigione di fantasmi e di diabolici piani. La potenza visiva del film è da togliere il fiato. Puro cinema a massimi livelli: scenografia, costumi, montaggio e fotografia, colonna sonora. Movimenti di macchina da presa sempre raffinati e doverosi, nessun spazio a pleonastici virtuosismi.
Miscela esplosiva di romanzo gotico, fiaba, elementi vittoriani e di cinema classico del genere horror, ci ho visti anche riferimenti a Dario Argento, fanno di questo film un'opera decisamente riuscita. Ora Del Toro, sicuramente, ha fatto anche di meglio e quel meglio è il suo massimo capolavoro: il labirinto del fauno, ma è senza ombra di dubbio una pellicola di straordinaria bellezza visiva, molto interessante come omaggio al genere gotico e non solo, sorretta da un buon cast. Non è affatto poco, credetemi.


mercoledì 21 ottobre 2015

AMERICAN SNIPER di CLINT EASTWOOD

Potrei scrivere: la storia di un coglione. Però sarei troppo "giovane critico irriverente", cosa che disprezzo ancor di più dell'imperialismo yankee. Quindi non scriverò storia di un coglione, per rispetto agli e alle iscritti/e del Nando Mericoni Group, cioè quegli americani di casa nostra, quelli che se gli critichi la politica della sua nazione sono cazzi amari eh.
Infine, perché, essendo una storia vera, non è giusto insultare un uomo, per quanto noi non concordiamo con quello che rappresenta
Eastwood infatti porta sullo schermo la storia del più famoso cecchino americano, durante la guerra in Iraq. Partendo dalla sua infanzia, fino al suo arruolamento, la conoscenza della sua donna.  Prima parte questa che non mi ha esaltato più di tanto.  Il problema è che il tema è stato tratto in modo decisamente più toccante ed entusiasmante da De Palma e sopratutto dalla Bigelow. 

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Per cui il film di Eastwood paga proprio questo suo arrivare per ultimo e non aver lo stile radicale, innovativo, la militanza  del film di De Palma, e nemmeno il rigore e la potenza totale del capolavoro della Bigelow. Ma nemmeno la superba tracotanza di un piccolo classico come Gunny. Però ogni film è cosa a sé, e paragonarlo ad altre opere perché trattano lo stesso argomento, forse non è giusto a livello critico. Non sempre. In questo caso forse si. Perché alla base c'è la voglia di narrare la vita dei soldati americani, come vivono il fronte, cosa devono sostenere e sopportare, l'effetto che la guerra ha su di loro e si mostra anche il rapporto non facilissimo sia con la propria compagna, che con i civili iracheni. E allora cosa non mi conquista? Perché durante la proiezione spesso mi distraggo. Tranne in alcune scene davvero magistrali come lo scontro con il cecchino siriano, mentre Il macellaio - un pericoloso terrorista- tortura con un trapano un bimbo. In quel momento senti l'orrore, la polvere, la follia. Lì.

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Poi cosa succede? Soldati che perlustrano, che sono sotto minaccia, parlano tra di loro, una coppia in crisi- forse- e dialoghi che vorrebbero dare spessore alle scene,ma rimangono nello sfondo. Didattici ed esemplificativi, ma mai evocativi. Il protagonista non è mai un momento empatico, ma se è per questo nemmeno Maya o i ragazzi di Hurt Locker lo sono, eppure hanno sostanza, ci interroghiamo su come vivano, su cosa vogliano davvero, partecipiamo.Qui non capita. C'è un texano che ha un dono eccezionale per centrare l'obiettivo, pieno di retorica patriottarda e morta lì
Latita pericolosamente anche la tensione. Tranne in rari momenti, ma non sono mai con il fiato sospeso. Tutto è meccanico,ripetitivo. Ma non crea mai una percezione di paranoia ed alienazione, 
Sicché non ci piace perché lo reputiamo un film di propaganda in sostegno alla guerra imperialista americana?No. Lo dico sul serio. Io adoro i film propagandistici. Molti sono fatti bene e spesso gli americani ne fanno di gustosi. Qui ci sono tutti i passaggi obbligatori di un film del genere, ma non vanno mai oltre la corazza. Si fermano prima. Una rappresentazione di tutto quello che potrebbe capitare in guerra e a casa per colpa della guerra, ma manca l'epico, l'avvincente, o una forte introspezione e caratterizzazione dei personaggi, Certo c'è tanto professionismo nella messinscena, ma per quanto apprezzabili, onore al merito di Eastwood che sa girare scene d'azione alla sua età, è superato da altri registi che sanno dare maggior adrenalina, tensione emotiva e potenza visiva alle sparatorie, che qui sono ripetitive in modo tedioso


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Mi piacciono i film di guerra, trovo interessante quelle pellicole che parlano di soldati, come di poliziotti, comunque gente che "per difendere la democrazia" o " garantire la sicurezza" rischiano la vita e compiono anche gesti disumani. Mi piace perché ti pongono domande, riflessioni, dubbi morali. L'ordine va sempre rispettato? La divisa ti rende immune da ogni giudizio etico e invincibile? Tante belle cose. Poi vabbè, mi piacciono, i film di guerra anche per le scene d'azione. Sapete? Si dividono in due gruppi: i grandi film spettacolari tipo I cannoni di Navarone, o quelli decisamente più realistici, crudi, spesso di aspra denuncia dell'inutilità della guerra. E poi c'è Il Grande Uno Rosso di Fuller e La Croce di Ferro di Peckinpah. 
Quindi aspra denuncia, nichilismo scintillante, potenza e suggestione di battaglie. Uomini o macchine da guerra.
Sicché non posso nemmeno dire: eh, il genere non ti piace. No, non è la propaganda o il genere. 
Allora cosa è? Il già visto. La rappresentazione che rimane su pellicola, i dialoghi nelle scene famigliari che sono "recitati", come da copione, così diligentemente, ma non c'è mai brivido. Non ci interessa mai una singola volta della vita dei personaggi. Tranne alcuni brevi momenti davvero di grande impatto, ma è Eastwood, può sbagliare film, ma mai non sapere come si fa cinema 
In questo caso non ho mai brividi cinematografici, mai. Nemmeno nella lunga sfida con Mustafa. Che dovrebbe esser una lotta speculare, tra due invasati, immagini riflesse di cosa possa fare la guerra alle persone, ma che è debole. Roba che mi ha fatto venir voglia di rivedere "Il nemico alle porte"
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Sinceramente lo reputo, esattamente come la pellicola che lo aveva preceduto: Jersey Boys, un film decente, ma mai all'altezza delle altre pellicole fatte da Eastwood. Per colpa di dialoghi banali, poca empatia per i personaggi, ripetizione delle scene di battaglia che sono girate in modo fin troppo classico e poco emozionanti. Si, latita lo spettacolo e l'approfondimento dei personaggi. Questa cosa anche per colpa degli attori. Un quarto di bue di nome Bradley Cooper, che nonostante tutto non riesce mai a farci capire nulla del personaggio, Cosa prova? Per questo ho scritto prima: storia di un coglione e ripeto: mi dispiace assai per usare un termine così volgare e inadatto, ma non saprei come spiegare meglio quello che ho visto La stessa Sienna Miller, insomma...
Per cui gli ultimi dieci-quindici minuti ci mostrano quello che diventa un uomo in guerra, ma per me ormai è tardi. E anche questa parte ha dei dialoghi che non mostrano, rivelano, denunciano,nulla. Ma servono luoghi comuni, rassicurazioni e distanza. Tra il film e la mia sensibilità e intelligenza di spettatore indisciplinato.
Io, però non sono contento di dover criticare negativamente una pellicola di Eastwood, che peraltro è piaciuta a tanta gente che stimo. Ma non penso che si debba lodare una pellicola solo perché di un regista che noi amiamo o perché piace ai nostri amici e non vogliamo aver discussioni e grane. Comprendo benissimo che  American Sniper  possa piacere. Lo comprendo davvero, ma io ci ho trovato nulla che mi abbia conquistato, emozionato, coinvolto, interessato. Penso che tra tutti i film degli ultimi dieci anni, ambientati in iraq e non solo, sia tra i più deboli.E superati

lunedì 19 ottobre 2015

SUBURRA di STEFANO SOLLIMA

Anno davvero memorabile, codesto 2015. Tantissimi i film degni di nota, da rammentare, portare con sé, visioni che ci hanno commosso, divertito, terrorizzato, ammaliato, davvero molte. Tra queste anche un buon numero di pellicole italiane. Assai diverse tra di loro, che però ci fanno capire quanto di buono siamo ancora in grado di fare. Nonostante rosiconi, parolai a perdere e gente così. Non ascoltiamoli né leggiamoli. Parla la qualità delle pellicole che abbiamo visto. Conta solo quello. 
Credo che i segnali buoni siano quelli che ci mostrano un'industria che diversifica i prodotti in uscita, tenendo sempre conto che ogni nazione, per indole e tradizione, è naturalmente portata a un genere, che poi non è altro che una visione della vita e del modo di viverla. Noi italiani siamo commedianti. Tragici e cialtroni, ma sempre commedianti. Questo non vuol dire che non sia possibile fare altro. Abbiamo avuto e abbiamo ancora oggi grandissimi autori. E artigiani di lusso. Altro che rozzi mestieranti e i loro momenti di gloria postuma, assolutamente ridicoli.
Il cinema di genere richiede una grandissima professionalità messa al servizio di un prodotto di alto spessore tecnico e di grande impatto emotivo. Non è terra per far soldi in fretta e furia, con approssimazione, pressapochismo, truffando e sporcando la visione, quindi l'emozione di uno spettatore. Troppi i furbi che hanno girato pellicole orribili, giusto per incassare i quattrini e scappare. Questo modo di fare uccide il cinema e il cinema di genere è una componente importante per la nostra arte preferita. Per questo non possiamo che esser felici quando in regia non c'è un pirla, ma un grandissimo autore come Sollima.
D'altronde il padre era un ottimo uomo di cinema. Quante pellicole davvero immortali e notevoli, come "Faccia a Faccia", "Revolver" e tante altre ancora, abbiamo visto ed amato.
Non è detto, però, che esser figli di un grande regista aiuti. Non è solo quello. Stefano Sollima è bravissimo di suo. Un ottimo professionista, uno che sa come girare, cosa mettere, quando staccare e quando colpire. Non c'è mai nulla di gratuito o immotivato nelle sue opere. Violente, certo, ma mai ciniche, mai cattiviste da happy hour, c'è dolore e sofferenza. Una visione amarissima della vita. Ma a modo suo anche etica e morale. 

Suburra  è così.

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Tratto da un libro scritto da Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, la pellicola è un canto funebre, un fiume in piena che travolge le persone, le loro vite e la nostra fragile Nazione. Opera nerissima, non soltanto per il bellissimo campionario di fascisti e post fascisti che vediamo agire tra criminalità e politica, ma sopratutto per la visione profondamente amara che offre del paese e dei suoi abitanti. Certo, il rischio di un discorso qualunquista, del " tutto un magna magna", dell'insistere su un solo aspetto e cercare di renderlo universale, c'è. La bravura di Sollima è proprio questa: arrivare al limite e ritirarsi prima di precipitare.
Perché possiamo anche avere un'idea diversa sulla nazione e sugli italiani, possiamo dire che non tutto è Suburra e i suoi personaggi, che esiste anche una nazione più sana, pulita, persone decenti. E nello stesso tempo amare profondamente codesto film. Sia da un punto squisitamente cinematografico, azzardo " tecnico", che per altre ragioni. Tipo farci partecipare emotivamente a certe scene. In particolare, per me, l'ultima che vede in azione un ottimo e superbo Elio Germano.

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L'opera continua il discorso iniziato con quel film eccellente, importante, a suo modo particolarissimo e innovativo che è stato Acab, che forse preferisco un pelino di più o forse no, forse sono talmente belli codesti films che non ha senso dire: meglio uno, meglio l'altro. Meglio sto cazzo, direbbero i protagonisti di Suburra.
Indagine sul Male nella nostra Nazione, che dilaga, si infiltra in ogni posto. Sguardo sghembo, obliquo, tra morale e "tipi" da cinema. Però senza mostrare nessun trucco, senza dirti: va che cito un vecchio film con Merli, no ora ti sto citando la frase di quel poliziesco dei 70, nessuna di codeste cazzate post citazioniste che tanto ci hanno rotto le palle. O, meglio, se ci dovessero essere, ben inserite, senza che distolgano l'interesse sulla trama e i personaggi.
Sollima ama contaminare, mischiare,genere purissimo e potente con argomenti di cronaca. Contaminando e sporcando la realtà con il cinema. Non è come spesso accade: cioè il cinema che deve correre a presso alla realtò, ma è essa a esser manipolata, devastata, scomposta, resa presenza di fondo, per esaltare la violenta discesa negli inferi dei personaggi. Non è cinema di denuncia o politico in senso classico, non ha nulla a che fare con esso. Ma lo usa come pretesto per fare un discorso alto sul modo di fare cinema di genere. Questo modo di concepire il cinema lo rende regista unico a livello nazionale e forse non solo

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Film che funzione come storia, come regia, e come interpretazioni. Ha un cast davvero notevole. Alessandro Borghi, l'abbiamo visto nel bellissimo film testamento di Caligari : Non esser cattivo. Pellicola che qualcuno potrebbe aver la tentazione di paragonare con questa di Sollima, ma farebbe un grosso e grossolano errore di giudizio e comprensione dei due films. Profondamente diversi, entrambi a dir poco meravigliosi. Qui Borghi riveste il ruolo di un boss giovane, rampante, violento, una sorta di Tony Montana di Ostia, con una sua banda di fedelissimi tra i quali spicca la sua donna: una magnifica, memorabile Greta Scarano. Meravigliosa angelo tossico della morte e della vendetta.
Certo, appena vediamo il personaggio di Borghi sappiamo che fine farà. Come la storia dell'onorevole che rimane invischiato in uno scandalo sessuale, è già vista e rivista. Ma sbagliamo se ci dovessimo fermare a questo.Perché sono le regole del genere "noir-poliziesco". Si parte sempre da quei due o tre temi, ma bisogno vedere non tanto il cosa, ma il come si mostra, si narra, si mette in scena. Qui siamo ai livelli di Sicario, non tanto di "un cinico, violento, infame ". Per fortuna, direi.

Film apocalittico? Certo. Dall'onorevole con un passato nell'estrema destra, a Samurai, bravissimo Amendola, fino alla banda di zingari che terrorizzano la città, ai nuovi boss rampanti, all'escort, tutti sono animali braccati dal loro destino. Colpiti e affondati dalle loro responsabilità. Dal loro senso di onnipotenza, dalla loro idiozia e vigliaccheria, in certi casi. Eppure non sento nemmeno un discorso moralistico, pesante, di condanna a priori. Momenti di umanità attraversano quasi tutti. 

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Film che fa male, perché impone anche una riflessione su come siamo finiti. Ma non da ora. Da quando si è permesso che si usassero le maniere forti contro operai e studenti in piazza, ma non contro i signori della droga, della morte. Quando per paura, convenienza, abbiamo taciuto e guardato oltre, quando si è votato a cazzo di cane, che tanto la democrazia è solo una crocetta, non un progetto politico. Anzi, la politica fa schifo,ma se abbiamo bisogno vai a far la fila dal politico, per un favore. Come vai da un boss, o un prete.. Popolo che vede eroici i criminali e coglioni gli onesti. O che rigurgita giustizialismo grossolano, o garantismo opportunista e cretino. Sotto un temporale, che dovrebbe anche evocare un castigo divino. Ma pure dio si è rotto le palle di noi. Dimenticati in eterno.