mercoledì 20 settembre 2017

A Ciamabra di Jonas Carpignano

Quello che da sempre mi affascina sono le vite delle persone. L'indagine di un microcosmo parallelo alla società borghese, o i tormenti di chi è nato nella borghesia. In fondo non è detto che la felicità segua sempre il danaro, ma nemmeno che senza soldi si viva per forza in un mondo di cuoricini e libertà. L'individuo è frutto della sua classe, per quanto si possa sforzare, anche il sesso o il credo religioso hanno un loro peso. Eppure vi è anche nei posti più squallidi un barlume di bellezza
Almeno in quasi tutti.

Mostrare un mondo che non vogliamo vedere o che non conosciamo affatto, non vuol dire aver nei suoi confronti un rapporto carico di empatia a tutti i costi. Giustificare le loro azioni, declassarne le colpe o evidenziare lo squallore in cui nascono, crescono, finiscono in galera e muoiono generazioni di uomini e donne.
Il cinema mostra, indica un giudizio, una simpatia, ma poi lo spettatore indisciplinato ci aggiunge le sue riflessioni e considerazioni. Questo è il grande merito di un film: emozionare o far riflettere.
Opera seconda di un regista italo americano,  che vede tra i produttori esecutivi un certo Martin Scorsese,  A Ciambra è un film che potremmo definire infelicemente : docufiction, ma non gli renderemmo giustizia.
Spesso ci interroghiamo su come si possa riprendere la realtà in un film. La risposta è sempre molto incerta, dubbiosa oppure didascalica, dogmatica, ma il bersaglio ci sfugge sempre.
Da molto tempo ad esempio vi è uno scontro su oggettività e soggettività, in parte, molti che sostengono il bisogno di esser oggettivi, nascondono dietro questa pretesa la paura di una discussione e messa in gioco di idee radicate, dall'altra spesso la soggettività è solo una mera opinione senza alcun valore.
Per questo quelli che hanno al cuore una certa dose di realtà in un libro o in un film, come possono metterla in scena o in pagina, senza che si finisca per far solo la rappresentazione di un'idea soggettiva e quindi anche fragile e non del tutto veritiera?
La macchina da presa cattura attimi di vero, in un fiume impetuoso di immagini pensate, scritte, fotografate, montate e musicate, da una o più persone. Eppure quel piccolo momento di verità, seppure filtrato passa.
Perchè, come direbbe Paolo Coelho, ma va bene anche Fabio Volo: la vita è una recita.

La famiglia Amato con o senza sceneggiatura e mdp sarebbe diversa da quella vista su pellicola? Non credo. Il cinema fornisce i tempi, stacchi, monta le loro esistenze, ma con o senza una storia "inventata" loro sarebbero sempre loro.
Così l'occhio cinematografico riprende impietoso il vivere in un degrado e squallore assoluto, in un non luogo, forse anche in un non tempo se non fosse per gli i phone, ha un che di magico e irreale seppure sia profondamente e radicalmente reale. Ogni parola, ogni scontro, ogni irruzione della polizia.
Però l'ambientazione crea un cortocircuito tra noi e il loro mondo. Rimaniamo sconvolti, colpiti, interessati e distaccati da quel mondo di furti, machismo, famigliarismo, eppure così unito, forte, solidale.
Non c'è lo sguardo indignato verso la comunità di rom di Gioia Tauro, non c'è traccia di giustificazione, di abbellimento, quel voler dire a tutti i costi: ma quando mai rubano! L'occhio della mdp è presente, sta addosso ai personaggi, ma è anche scientifico, distaccato: " Guarda, questo è il mondo loro"
Mondo collegato anche alla malavita locale, con i quali intrattengono rapporti di affari e subordinazione.
Sono chiassosi, eccessivi, estremi, vedi bimbi che fumano e bevono, il legame di sangue è potente, forse l'unica cosa che abbia davvero importanza. Ma non sono "buoni selvaggi": compiono quelli che noi più o meno cittadini medi, riteniamo atti criminali. Quella è la loro vita.
Il film descrive anche i rapporti non sempre buoni con gli immigrati africani, i rom li schifano un po', e l'aspetto davvero interessante di questa opera è il bellissimo rapporto che Pio ha con un ragazzo del Burkina Faso, questo rapporto scritto, diretto e interpretato dai due "attori", davvero benissimo è alla base di un brusco passaggio di Pio dall'età adolescenziale alla vita da uomo.
Passaggio che non indica affatto una maturazione o che, ma semplicemente l'accoglienza nella banda dei grandi per una vita dedicata a rubare rame o automobili.
Quanto pare l'idea del film è venuta al regista dopo che i rom gli hanno rubato la macchina con dentro gli attrezzi di lavoro, arrivato a riprendersi la sua auto, costui ha conosciuto Pio e la sua famiglia, da qui l'idea di girare un film, tra opera di finzione e documentario, su questa famiglia
Per quanto mi riguarda A Ciambra è un film necessario e utile di questi tempi, una sana riflessione su mondi paralleli, sui limiti e le possibilità di agire in certi contesti. Non solo vedetelo, ma fatelo vedere

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