domenica 3 aprile 2016

FUOCOAMMARE di GIANFRANCO ROSI


In fin dei conti, a parte le distanze geografiche, cosa divide gli esseri umani? Non abbiamo tutti qualcuno (un amico, una famiglia, un cane) a cui siamo affezionati tantissimo? Non piangiamo per dolore e non ci trema il sangue nelle vene per amore? Oltre le religioni, le lingue, i regimi politici? Non siamo questo? Penso di sì. Io mi sono innamorato e arrabbiato, come si innamora un uomo nigeriano o una donna siriana. Per cui le fredde ragioni politiche a un certo momento lasciano il passo a un semplice fatto di umanità: in questo mondo siamo tutti legati. Dal fatto di essere vivi, di essere umani.
 Su questo preuspposto Gianfranco Rosi,  il regista del film avrebbe potuto girare un film- verità utile e didascalico, educativo.Perché il popolo occidentale, addormentato e anestetizzato verso il mondo "altro e oltre" per riscoprirlo solo per i suoi elementi più nocivi,  ha bisogno di educarsi all'apertura e amore verso il "diverso" che tanto diverso in fondo non è. Avrebbe potuto far incontrare al giovane Samuele, un ragazzino arabo o africano, costruire un rapporto di amicizia. Non avrebbe assolutamente sbagliato, intendiamoci, ma il cinema non lo decide lo spettatore o le nostre aspettative. Il cinema, certo meraviglioso cinema, lo decide il suo autore.

Così mi piace pensare a questa pellicola come a un'opera geometrica, di linee parallele, di storie che seppure hanno un luogo in comune non si incontrano mai. Due film, due esperienze, due mondi.  Davvero la vita degli altri ci tocca in automatico? Davvero sappiamo dell'esistenza e tocchiamo con mano le esperienze altrui? Cosa ci divide? Ci tiene lontano?.
Eppure nel paese si vive di fatica, si vive di mare. Vedi che è proprio l'acqua, il mare "che fa bestemmiare", come cantava Pierangelo Bertoli, l'elemento in comune. Mare che devasta vite colpite da guerre, miserie, scontri espansionistici imperialisti o di bande di criminali che si nascondono dietro la religione. Che raccontano di viaggi nel deserto, di prigionia in Libia, quella che è stata liberata dal "feroce dittatore" per esser devastata da bande di fanatici e assassini, vittime dell'incapacità occidentale. delle sue guerre democratiche, bombe civili, rivoluzioni colorate . Uomini e donne, che non hanno altro che la loro vita da difendere.
Il film ci mostra codeste vite: sono uomini che non riescono a stare in piedi, sono donne che piangono, sono uomini radunati in gruppo che in un canto collettivo sfogano la paura e la rabbia di esser vivi.  Le immagini sono lì. Nude e crude. Nessun primo piano è sciupato. Perché il cinema è rappresentazione del reale, ogni storia e di qualsiasi genere, dal momento che la riprendo, è vera/verosimile. Figurati il documentario.
Ogni uomo è cinema. Ogni storia è letteratura, ogni parola musica. L'ESSERE UMANO è opera d'arte. Lo si rammenti fino alla morte eh!

E poi esiste il mare come fonte di lavoro, di mesi in mezzo al mare, sottocoperta, come ci stanno gli altri, per soldi, per campare. Un mare venerato perché fonte di sostegno economico, ma anche detestato perché ti lega totalmente ad esso.
Questo forse il punto in comune, che ci spiazza e unisce le storie, oppure è l'illusione del cinema e della nostra comprensione ed è vera la teoria delle linee parallele.

La vita semplice del giovanissimo Samuele, i suoi giochi così antichi, fuori dal mondo tecnologico che conoscono benissimo bimbi anche più piccoli di lui, una certa chiusura e incapacità intellettuale che rende puri o quanto meno simpatici al pubblico borghese che tanto ama i piccoli e buoni selvaggi,ma Rosi rende un piccolo miracolo anche la vita di questo ragazzino e dei suoi parenti, Ci fa sentire l'essenza del vivere di immigrati, pescatori, abitanti dell'isola.
Ed è cinema: grande, possente, travolgente cinema. Riconosciuto all'estero, non dai soliti pirla di casa nostra, ma voglio bene anche a loro eh!
Film fondamentale, importante, necessario. 

2 commenti:

Kris Kelvin ha detto...

Film bello e importante. E' perfino riduttivo chiamarlo "documentario": come tutti i film di Rosi è il diario di un'esperienza (terribilmente umana), che andrebbe fatto vedere soprattutto a chi si lancia in teorie assurde e razziste verso chi cerca di scappare dall'inferno. A dimostrazione che il razzismo è prima di tutto un fatto di ignoranza più che di cultura... ma è un bel film anche dal punto di vista strettamente cinematografico: come dici te sarebbe potuto diventare un semplice film-verità, invece Rosi lo "umanizza", ci rende partecipi e riesce a colpire emotivamente lo spettatore. Tanto di cappello.

babordo76 ha detto...

esatto concordo. Un film che va oltre a ogni tipo di etichetta.