venerdì 27 dicembre 2013

DOPPIA RECENSIONE:AWAY FROM HER di SARAH POLLEY.

Vero che in tv non c'è nulla ormai da guardare,ma è anche vero che dipende da noi. Sai che esiste una cosa chiamata telecomando? Ecco usalo. A volte ci sono delle belle sorprese.
Per esempio è grazie alla tv che ho visto uno dei film più belli,profondi,emozionanti,commoventi,che mi sia mai capitato di vedere.
Io con il cinema ho un rapporto quasi umano. Nel senso che certi film li amo proprio, e li ringrazio perchè mi hanno aiutato a maturare,o a riflettere,insomma per mille cose. Questa pellicola è una di quelle.



Il tema trattato è quello di una coppia come tante, ( ma come? mi dirà il solito disfattista, questi mica litigano, mica si coprono di insulti e rabbia! Eh, già . Lo so. Ma io sono convinto che diamo troppo spazio ai perdenti per quanto riguarda i sentimenti. Troppo. E per esser perdente non è che devi esser solo, semplicemente basta non saper amare. E pretendere. Questo fanno alcuni e alcune e piuttosto che farsi una bella autocritica cercano di sputtanare gli altri parlando di ipocrisia. La scusa idiota di gente idiota), con al passato forse una probabile disattenzione da parte del marito nei confronti della moglie,ma che hanno saputo riprendere la loro storia e viverla con la quotidianità dolce di chi si ama. L'amore per me è una cosa decisamente profonda, è legata ai gesti quotidiani ,al poco che diventa tanto , alla normalità. La complicità,avere gusti in comuni e insomma quando la persona ti manca non perchè è andata via,ma perchè è lì con te e non pensi sia possibile separarsi.

Poi arriva il destino, ( qualcuna vi dirà di no , ma credetemi esiste il fato),e quello che pareva un sereno e indistruttibile rapporto di coppia, si incrina e si rovina.
L'Alzheimer è una malattia terrificante e ingiusta, non c'è niente di  peggio che vedere una persona che amiamo o conosciamo perdersi, non ricordarsi nulla di noi, della sua vita , trattarci malissimo,e poi scomparire nel delirio o in un silenzio che urla la sua disperazione.

Cosa può fare un uomo di fronte a questo? Fuggire. Certo, perchè no? Perchè ritenere questa cosa negativa? Non siamo tutti eroi, non siamo tutti santi ed  veramente qualcosa di troppo pesante avere una persona con questa malattia. Perchè fa soffrire tantissimo la gente intorno. Il dialogo crolla,si spezza, talora per breve tempo sembrano tornare normali,ma tutto poi precipita. E non esiste rimedio. Non puoi farci nulla se non soffrire tantissimo.

Grant decide di restare con la moglie e il film ci mostra come il rapporto venga modificato dalla malattia, ma non l'amore . Che conosce momenti difficilissimi, smarrimenti,eppure l'uomo è sempre lì. Non da eroe, da persona che sa quello che fa,ma da essere umano. Pieno di interrogativi,amarezze,e questo l'ho visto fare da tanti,avendo lavorato per un po' con gli anziani. La gente non è così cattiva come la dipingono

Solo che ci hanno abituato a credere che si è vivi e sinceri solo se si è stronzi. Comodo, pratico,dici : non è colpa mia, sono così. E le cose buone, le brave persone diciamo che sia solo buonismo e ipocriti.
Non vogliamo prenderci la responsabilità di amare e di riconoscere l'umanità che è anche quello che non riesce a portare avanti una certa situazione e allora è giusto che chieda aiuto.

 

Sarah Polley è una grandissima attrice,mai premiata dal calore del pubblico come meriterebbe, ed è ancora di più una notevolissima regista. Dopo "Orlando" della mia amatissima Virginia Woolf, si cimenta con un racconto della Munro. Alle doti di direttrice e attrice vanno sommate quelle di sceneggiatrice,perchè è proprio la storia e i personaggi che rendono grande questa pellicola.
Due persone che si ritrovano loro malgrado a perdersi per colpa di una malattia, la gelosia e il dolore dell'uomo perchè teme di perdere la sua amata che nella casa di cura ha trovato un altro uomo e si dedica amorevolmente a questo . Come se la malattia creasse una divisione netta tra noi e loro,e quindi non ci fosse possibilità alcuna, non sei del circolo.
La lotta di questo personaggio maschile scritto benissimo da due donne, ( e si perchè care mie, molto spesso anche voi donne non sapete descrivere i maschi eh!), e reso memorabile dalla grande prova di Gordon Pinsent. Un personaggio maschile lontano dai clichè del dramma sentimentale odierno, che ha qualcosa dei vecchi eroi peckinpiani e del western crepuscolare, forse anche per l'ambientazione natalizia, struggente nella parte di uno che non vuole arrendersi, non vuole che la malattia faccia scomparire la persona che tanto ama. Ed è così umano nella sua gelosia anche campata in aria per l'amico improvvisato di sua moglie.
Julie Christie d'altronde è superba nel ruolo di Fiona. Non una prova ricattatoria accentuando la drammaticità del ruolo,ma una dolcezza clamorosa, un abbandono tristissimo, basti la scena in cui non ricorda la parola vino. E la caparbietà di chi sa che è malata e con il ricovero vorrebbe lasciare vivere il suo uomo.
Ecco, che belli questi personaggi! Che bello questa voglia di sana e sincera commozione. Quanti interrogativi sull'amore, la vita di coppia, la malattia, il destino,quante riflessioni. Racconto popolare,perchè l'amore è il più forte e cristallino dei sentimenti popolari,ma mai banale,ricattatorio, convenzionale,sempre vero e diretto.
Eppure anche pudìco e tenero.
Quanto abbiamo ancora da imparare sull'amore? Sul vivere per gli altri? Sulla forza di questo sentimento che ci porta a combattere nemici troppo forti e imbattibili come le malattie?
Ecco se dovesse esister una pellicola fondamentale per chi si ama, per chi ama, per noi in quanto persone è proprio questa.

Ora come sempre ,vi lascio alle parole di Valentina

Ho visto diverse volte il film di Sarah Polley, anche se adesso era passato un bel po’ di tempo dall’ultima, ma, tutte le volte, resto inevitabilmente colpita ed affascinata dalla bellezza di Julie Christie in questa pellicola. Una bellezza che infonde al personaggio di Fiona un’umanità totale e coinvolgente e che permette allo spettatore di provare empatia per questa donna fiera e coraggiosa.
Lontano da lei racconta una delle più grandi paure che tutti noi abbiamo, quella della malattia, di diventare incapaci di intendere e di volere come se la dignità umana consistesse nelle proprie facoltà intellettive. Invece il film fa capire che c’è altro e che, benché la protagonista, Fiona, perda progressivamente sempre di più la ragione, le resta quello che lei è, la sua capacità di amare, di accudire, di occuparsi degli altri. E, da questo punto di vista, è bellissima e significativa la scena in cui il marito la osserva mentre siede accanto al suo nuovo amico nella casa di riposo, mentre giocano a bridge. Nella cura con cui lei si occupa di lui Grant riconosce completamente sua moglie, quella che lei è, le sue caratteristiche umane, i motivi per cui lui se ne è innamorato. Amare veramente una persona non significa possederla ma significa volere che lei esprima pienamente se stessa, che sviluppi e tiri fuori le sue potenzialità. E quando ti rendi conto che ciò avviene non puoi fare a meno di sentire prepotente quell’amore che provi nei suoi confronti.
E infatti, all’interno della pellicola, Grant ribadirà che lui non ha mai desiderato stare lontano da lei e, in un’altra occasione Fiona afferma che, in quarantaquattro anni di matrimonio, non sono mai stati lontani. Anche il tema della separazione è un altro di quelli cardini del film perché il protagonista non accetta questa separazione e, non potendola colmare sul piano della distanza emotiva determinata dalla malattia della moglie, tenta di annullarla dal punto di vista fisico andandola a trovare ogni giorno, nella casa di riposo dove lei si è volutamente ritirata. Tanto che Fiona stessa, non riconoscendolo, gli dice più volte che è un tipo veramente insistente proprio per la sua presenza fissa. E anche questo fa riflettere. Come si può riuscire a stare separati da una persona dopo esserle stati accanto per quarantaquattro anni?
La Polley affronta questa storia di vecchiaia e malattia in maniera diretta ma ponendo sempre l’accento sull’amore, sull’affetto, sui sentimenti positivi che, anche in una situazione del genere, possono persistere. E lo fa con una regia asciutta, estremamente classica ed illuminando tutto con una luce molto forte e sempre presente, quasi a voler trasfigurare ambienti e volti.

2 commenti:

Valentina Orsini ha detto...

Bellissima recensione, illumina anche chi non ha visto il film, come me. ;-)

babordo76 ha detto...

grazie da parte mia e da Valentina ^_^

film che comunque va visto, merita tantissimo