giovedì 12 giugno 2014

Doppia recensione: LADY VENDETTA di PARK CHAN WOOK

Siamo giunti, infine, all'atto conclusivo della celeberrima trilogia sulla vendetta. Opera , vista nel suo insieme, di inestimabile  valore. Perché in tutti e tre i casi, si riflette profondamente sul genere umano,le sue debolezze, le sue miserie , prigionieri di un Male sottile e profondo che investe le scelte dei protagonisti. La vendetta non risolve i problemi, non porta nessun riscatto- tranne forse in questo ultimo capitolo che ha decisamente un finale forse più positivo-ma accumula violenza e desolazione. Non c'è, sempre tranne in questo caso, una vera e propria salvezza.
Cinema di altissima qualità che attraverso le storie dei suoi personaggi getta un'ombra sul sistema della società coreana, del capitalismo, e si interroga sulla decadenza,smarrimento, dell'umanità. La sua incapacità di governare reazioni, sentimenti, di comprendere l'altro , di prendersi le proprie responsabilità.
Ecco a  voi quindi l'atto conclusivo con la consueta doppia recensione ad opera mia e di Valentina.




LADY VENDETTA di Valentina Nencini

Il capitolo conclusivo della Trilogia della Vendetta di Park Chan-wook è, sicuramente, il capitolo visivamente più elegante e raffinato, sia dal punto di vista estetico che dal punto di vista tecnico, per le scelte di regia, fotografia e colonna sonora.
Il regista coreano riesce qui a regalarci un’ulteriore sfaccettatura del tema della vendetta rispetto a quanto già declinato nei due precedenti capitoli (Mr. Vendetta e Old Boy). Il carattere quasi mistico della pellicola è già evidente dalla bellissima locandina che raffigura la protagonista come un’icona sacra, quasi una Madonna seppure impassibile e sanguinaria. In questo ultimo capitolo la vendetta è, infatti, associata al tema della redenzione  e vendetta e giustizia finiscono per fondersi quasi in un unico concetto inserendo il film nel filone del revenge movie di matrice statunitense in cui vendetta e giustizia sono quasi sempre rappresentate come due facce della stessa medaglia, cosa che nella filmografia orientale non accade quasi mai, basti pensare anche soltanto ai due precedenti capitoli della trilogia di Park.
La storia è quella della detenuta Geum-ja (la bellissima ed altrettanto brava Lee Yeong-ae) che, dopo essere stata incarcerata per tredici anni, esce di prigione con la ferma intenzione di vendicarsi di colui che, ricattandola, l’ha costretta a confessare un delitto che non ha mai compiuto. Ma questo intento strettamente personale si trasformerà presto in un qualcosa di più universale quando Geum-ja si imbatterà nel responsabile del delitto di cui è stata accusata (il sempre immenso Choi Min-sik) che si è macchiato di numerosi omicidi di bambini. E’ a questo punto che la vendetta personale si trasformerà in una sorta di catarsi collettiva regalandoci uno dei migliori finali mai scritti e mai girati.
Come già sottolineato Lady Vendetta è la pellicola più occidentale della Trilogia proprio per il modo di affrontare il tema della vendetta, che si fa meno sfumato e complesso che nei precedenti capitoli. E questo, benché lo renda più incisivo e potente agli occhi di uno spettatore occidentale quali noi siamo, è anche ciò che lo rende più debole perché la vera forza del cinema orientale sta nelle sfaccettature, nel sottolineare come la vita non sia mai una cosa così definita come ci piace credere per non smarrire la strada sicura delle nostre certezze. La vita è un fiume in movimento e, come diceva saggiamente Eraclito, è impossibile bagnarsi due volte nella stessa acqua. Questo è ciò che il cinema orientale ha sempre colto in maniera così evidente lasciando quasi sempre allo spettatore il compito di confrontarsi e, spesso, di fare i conti con le proprie emozioni e le proprie contraddizioni. Difficilmente si esce fuori dalla visione di un film orientale con delle risposte; ma se ne esce quasi sempre con delle domande. Ed è proprio per questo che io, personalmente, amo tantissimo questa cinematografia.
Tutto questo per dire che Lady Vendetta è sì un film esteticamente affascinante, molto incisivo e denso ma sembra quasi voler riappacificare lo spettatore con se stesso, collocando il male che ognuno di noi ha dentro di sé in una dimensione ben precisa che tende a giustificarlo, esattamente come in occidente siamo tanto bravi a fare. Al cinema e nella vita.

 

La Versione di Babordo 76

Redenzione e purificazione del peccato, ricongiungersi con l'amata figlia, lasciarsi alle spalle quanto di brutto fatto. Espellere le proprie colpe. Quanto costa? Sono cose che puoi ottenere attraverso le strade comode di una confessione a qualche prete e con dieci ave maria, oppure ci vuole un sacrificio? Ci vuole dolore? E per arrivare a tanto, cosa dobbiamo perdere?
Noi stessi. La capacità di provare compassione, pietà, di sapersi dare un limite e limitare la nostra bestialità. Che è naturale. E qui dovremmo anche interrogarci sul significato di : " è naturale". In tempi dove mancano le risposte andiamo a ricercarle alla cazzo nella natura. Come mero giustificazionismo. Eppure la trilogia ci dice e mostra altro: il fatto che sia naturale è un'aggravante. E pesante. 
Perchè l'uomo come essere pensante, razionale, lucido, dovrebbe esser capace di gestire la sua rabbia violenta e disciplinare la sua ira feroce , anche quando subisce un torto pesante. Per fare questo, però, ci rammenta , deve funzionare la società
In questo film, come nelle pellicole precedenti, invece vediamo proprio questo: la vendetta è causa dell'istinto dell'uomo, ma è sopratutto dovuto alla mancanza di forza delle autorità - qui lo sbirro aiuterà addirittura la donna ad auto denunciarsi e alla fine non potrà fare altro che assistere e dar il suo consenso alla vendetta. Ma non perchè si senta il bisogno del consenso della legge,ma proprio perchè sconfitto e pesantemente- e delle istituzioni di difendere e prevenire.
Non c'è quello spirito di protezionismo nei confronti della protagonista e della vendetta come si vede nelle pellicole americane. Lo si nota,certamente, ma è filtrato dal pessimismo coreano. Non c'è eroina o eroe che tenga, non c'è giustificazione che non sia passata attraverso un fortissimo e violento dolore.
Se , ad esser sincero, per più di metà film ero conquistato più dalla tecnica sbalorditiva di Park, non riuscivo più di tanto a sentirmi coinvolto emotivamente dall'opera. Ma la parte finale, i lunghissimi ultimi 30 minuti sono quanto di più straziante si possa costruire intorno al tema della vendetta, forse meno dirompente di Old Boy e meno implacabile -fatalista di Mr Vendetta, ma in quel lungo finale si avverte il peso gravoso e insostenibile di compiere un massacro sul corpo di un uomo tenuto prigioniero. Per quanto infame egli possa essere e per quanto meriti di morire nel peggiore dei modi.
Ma io , a freddo, avrei coraggio di farlo? E infatti il regista non ci porta subito all'esecuzione,ma ci gira intorno mostrando i modi di reagire delle persone coinvolte. Talora gente devastata, distrutta, disumanizzata.  Lupi che attaccano un lupo ferito.
Ed è feroce, poco consolatorio quanto ci viene mostrato.
 Poi sul finale arriva la dolcezza o la sua percezione,ma non ci si dimentica che per quel tipo di redenzione ,una donna ha perso la sua umanità E cosi chi l'ha seguita.




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