sabato 21 giugno 2014

MIELE di VALERIA GOLINO

Non è tanto la perfezione della e nella forma , a rendere buono un film, quanto il messaggio che esso libera e sprigiona attraverso le immagini.
Messaggio che potrebbe usare le regole del melodramma esasperato ed esasperante, ( pratica che amo assai),  oppure gelare la materia scottante e trattarla con un certo distacco partecipato.
Distacco partecipato? Che ossimoro del kazoo è codesto? Guarda questa opera prima e capirai.

Il tema è di quelli importanti e assai rischiosi da trattare, sopratutto in un paese come il nostro. Non abbiamo mai avuto il senso della lucidità, della razionalità ed oscilliamo pericolosamente tra libertà individuali e bigottismo. Sbagliando clamorosamente in entrambi i casi


Esiste un limite di sopportazione oltre il quale la vita smette di esser tale? Si può dire con sicurezza oggettiva: da questo momento non sei più un essere umano? Dare la morte a una persona che soffre è un gesto di estrema dolcezza o levarsi un peso ? Per dare la morte vi è una differenza fra chi soffre di tumori o malattie fisiche e chi è depresso?  Il suicidio è condannabile ?
Sono tante le domande che questo film pone agli spettatori. Già per questo è un'opera da tenere in alta considerazione. Sai perché ? Per il semplice motivo che ti spinge a interrogarti, riflettere e discutere con altri.
Lo spettatore deve essere sempre colpito, affondato, e portato a reagire. A fine visione deve pensare su quanto visto e trarre le sue conseguenze, prendersi la responsabilità di aver assistito a una visione non doma, non consolatoria,ma piena di problematiche e domande


Perché il film in questione non offre nessuna risposta. Mostra. Tu devi metter la sensibilità e intelligenza che da sempre ti appartiene, ma non vuoi usare che costerebbe fatica e "dolore", per arrivare alla tua conclusione.
Miele è il nome d'arte di Irene, una bravissima Jasmine Trinca, la quale come lavoro offre assistenza a malati terminali che saggiamente e giustamente decidono di perire, piuttosto che vivere" una vita senza vita ". La vediamo nelle piccole cose quotidiane, nel suo lavoro, nei suoi viaggi. Una ragazza in realtà solitaria, invisibile , ( non solo per questioni di lavoro, ma anche per paura di vivere, innamorarsi, aprirsi a quanto di meglio possa darti la vita. Probabilmente per un lutto nel passato non ancora superato), una sorta di triste angelo consolatore e della morte.
Un giorno si trova a dover assistere un vecchio ingegnere. L'uomo non è malato terminale, ma è depresso e non ha nessuna ragione per vivere. 
Da quel momento molte cose cambiano.


Valeria Golino gira una storia sofferta, difficile, complessa, con abilità e destrezza. Non cede a scene madri, ( peccato, ma è una mia questione di gusti), ma nemmeno gela troppo i drammi dei malati e di Miele, è attenta al rapporto tra ,Miele e il vecchio ingegnere, ( uno straordinario Carlo Cecchi), usa un modo di girare indie e minimalista, che rende la pellicola quasi europea, perfettamente comprensibile e universale.
Una buonissima prova e un decente debutto. A parte un paio di attori che ti invogliano a chiamare l'accalappiacani , poi il film funziona benissimo

Proprio il suo distacco partecipato  , ( che significa in soldoni: la giusta distanza), rende il film importante  e fondamentale. Ci pone davanti a quesiti fondamentali: è lecito dire " condannato a vivere" quando parliamo di un malato? E cosa è una malattia? Può anche essere la depressione? Non aver più stimoli o interessi per continuare a vivere?
Io sono favorevole alla eutanasia, e anche al suicidio. Non possiamo inventarci il piacere di vivere e non possiamo imporlo ad altri. Nondimeno le cose cambiano. La vita non è mai la stessa.

Io da tempo avevo pensato che una volta invecchiato mi sarei suicidato. Non avevo nessuno, credevo che nessuno sarebbe mai arrivato per me. Così , oltre a pensare al mio funerale tutte le sere, ero giunto alla fine all'idea di suicidarmi quando la vecchiaia mi avrebbe reso del tutto idiota. 
Temo la vecchiaia. Non ci vedo nulla di buono e non parlo della decadenza fisica, ma di quella mentale.
Perché farmi vivere , (in solitudine e malato), quando posso porre rimedio a tutto questo dolore insensato? Non una sofferenza che mi aiuti a crescere, ma una inutile condanna?
Poi ho trovato l'amore. Forte, limpido, potente, di quelli che ti cambiano come uomo, come persona.
Quindi come è possibile darsi una risposta definitiva? Pur rimanendo favorevole all'eutanasia e rispettando chi decide di togliersi la vita.


Miele è un ottimo debutto, un film da guardare e da discutere. Non è difficile trovarne così in Italia, se non fossimo abituati a parlare male a vanvera della nostra cinematografia 
Pensando che da noi ci siano solo stupide commediole. Non è così. 
Per fortuna.

2 commenti:

Valentina Orsini ha detto...

Ne parlai anche io bene, e condivido proprio la delicatezza e la forza di un film che senza presunzione di avere le risposte, porta a riflettere, a porsi domande. Un debutto importante per la Golino, inaspettato direi. ;-)

babordo76 ha detto...

Anche perchè non è anti retorica del dolore che diventa compiacimento di sé, come per esempio in "la guerra è dichiarata", ma è partecipazione emotiva in punta di piedi
Lei osserva con noi la vita di Miele e dei suoi "clienti".
Perché poi c'è anche il tema di una vita che non è tale se "improduttiva" e insomma non è facile sostenerla a spada tratta.
Rimane la nostra singola visione delle cose.Io non so se fossi in grado di dar la morte a qualcuno,ma per me: ecco un minimo di dignità. Chiederei l'eutanasia