giovedì 3 settembre 2015

IL GRIDO di MICHELANGELO ANTONIONI

Come potremmo catalogare una pellicola come questa? Film che contamina un discorso esistenzialista, di malessere sentimentale, di amore perduto ma fermo nella memoria, a una sorta di on the road nella bassa padana tra veneto ed emilia-romagna?Non lo so. L'unica cosa che posso dire è che di fronte a certe opere non possiamo fare altro che abbandonarci davanti a cotanta bellezza.


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Il film ci mostra un'umanità in cerca d'amore (e di lavoro) ma abbandonata a un'esistenza di attesa, aspettativa, instabilità assoluta dal punto di vista sentimentale ed emotivo. Il lutto del cuore è sempre presente in codesta opera, attraversata da momenti di amore assoluto e totale, il rapporto tra padre e figlia in certi attimi e quello della bambina con il vecchio, ma tutto è destinato a perire e a distruggersi per la impossibilità di saper gestire i propri sentimenti. Mentre il cuore avrebbe le parole e i gesti, l'uomo (in questo caso Aldo) rimane bloccato a una sua incapacità di gestire l'amore e di saperlo esprimere. Tace, si arrabbia, cerca un oggetto da prendere a calci. Come moltissimi di noi fanno nella vita reale.
Oltre allo smarrimento del singolo, si avverte una società precaria e instabile. In viaggio sulle polverose strade provinciali, annaspando in lavori che non si amano, in amori rapaci di gucciniana memoria. Rimane, forte e accecante, un ideale di amore assoluto che però il tempo, l'incapacità di cogliere l'infelicità altrui, hanno spazzato via.



La storia : Aldo è un operaio che da anni convive con Irma. Lei ha un marito che vive lontano, in Australia, che non vede mai. I due hanno una figliola: Rosina. Un giorno alla donna viene data la ferale notizia della morte del legittimo consorte. Notizia che la mette in crisi con il suo concubino. Tanto lui vuole sposarla e avere una famiglia, una vita normale, quanto lei non se la sente di sposarlo e di vivere con lui. Ha un altro nel suo cuore. La notizia fa impazzire di rabbia Aldo, così decide di partire con la figliola, forse per un lavoro, forse per rifarsi una vita, forse solo per il viaggio, forse perché non sa nemmeno lui cosa vuole.
Incontra diverse donne, ma con tutte prima o poi l'amore e la complicità finiscono. Il lavoro è scarso e non offre nessuna soddisfazione, lui è tormentato dal ricordo di Irma. Ricordo che lo porterà a una scelta radicale.




La pellicola non ha quei momenti metacinematografici , di dissoluzione e ricomposizione scenica e cinematografica, che rendono opere come L'Eclissi o La Notte, oggetti filmici misteriosi e inquietanti, tanto che il finale de L'Eclisse pare quasi un Fontana prestato al cinema, con la pellicola che graffia il video per uscire, come se il film scappasse da sé stesso, dall'industria. No, questo in codesto film non c'è. Ma cosa abbiamo in cambio? Un film che mescola Bergman e Rossellini o De Sica: esistenzialismo neo realista. Quindi l'ambiguità dell'essere umano: dentro e fuori da sé e dal contesto sociale.
Che appare chiaro nel finale, con gli operai che scioperano per "solidarietà" al fianco di contadini che potrebbero esser dei kulakki e Aldo, operaio e proletario lui stesso, ma assorbito completamente dal suo Io, dalla sua esperienza di vita, cieco di fronte alla vita che ti chiama con prepotenza. Non possiamo che amarlo un film simile, che rischia, sperimenta, spiazza, ma nel frattempo è condivisibile, comprensibile, parla a un pubblico capace di coglier le sfumature, ma cerca - vanamente- un altro dialogo anche con le masse amorfe. Forse.
Nel film spicca il cast di attori e di comparse, facce giuste, tipi non cinematografici ma strappati dalla realtà. Ottimo Cochran, e memorabile la benzinaia di Dorian Gray, nota per i film di Totò, che qui offre una bella interpretazione. Intensa anche Alida Valli nel ruolo di Irma.

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