lunedì 26 giugno 2017

CANNES A FIRENZE: LE CINQUE GIORNATE FIORENTINE E LA MARATONA DI DUE CINEFILI

La cosa bella, buona, giusta, di vivere in una città ricca di eventi e cultura come Firenze, è l'imbarazzo della scelta, le varie opportunità, la scoperta di opere e artisti, che par illimitata, eterna, insomma, in poche parole: tenetevi la calma immobilista e pleonastica della campagna, che noi ci teniamo il disordine sociale, le orde di turisti, ma anche la Grande Bellezza di esser circondati da eventi culturali e artistici di grande spessore.

Ora, Firenze ha numerosi e bellissimi cinema. Noi, inteso sia come me, che come me e mia moglie, amiamo andare al cinema. Si, perché vi è una profondissima differenza tra vedere un film su schermo gigante oppure su un tablet o computer, tanto crediamo in questa cosa che pure a casa abbiamo, invece di una tv, un proiettore e un telo. Per veder Netflix come se fossimo al cinema.
Per cui con grande gioia aspettiamo l'estate: si va all'arena estiva di Campo di Marte, ma questo anno di avvenimenti ce ne sono davvero molti
Uno è proprio questa settimana dedicata a Cannes, alla Quinzaine - e non solo: un fuori concorso, un anniversario, tre in cocnorso- perché a detta degli stessi organizzatori, in questa edizione le cose interessanti si trovavano lì. Un totale di 11 film, uno proiettato due volte, ma va bene così.

Ci dovrei mettere mesi e mesi per scrivere le emozioni, la gioia, la rabbia sociale e civile, che ho provato vedendo codeste pellicole. Ognuna di esse meriterebbe un post a parte, ma in realtà vorrei solo incuriosirvi, sempre tenendo fede alla radice di questo blog: il punto di vista personale, soggettivo, attivo, di uno spettatore con coscienza di classe e visione, l'unico modo per parlare e scrivere di cinema, che conosco. Ma nella maggior parte siamo tutti spettatori, questo vale anche per critici- quelle persone a cui devo la mia formazione cinematografica- e cinematografari. Fallibili, schiavi di una visione parziale, e così via. Non è un difetto se usata bene, questa cosa, per cui godetevi le mie riflessioni indisciplinate, nella speranza che vi venga voglia di una visione.

LUNEDI

HOW TO TALK TO THE GIRLS AT THE PARTIES

Cominciamo male, nonostante sulla carta la pellicola facesse intendere di aver molte cose buone da proporre e mostrare: il punk, la fantascienza, un romanzo di formazione dissacrante, irriverente, l'amore che supera le barriere dello spazio.
Mitchell mi aveva in parte conquistato colla sua prima opera, se non sbaglio, "Hedwig" un buon musical, con almeno un paio di brani memorabili.
Inoltre il film è tratto da un lavoro di Neil Gaiman, autore di fumetti e libri, tra i migliori in assoluto, visto che piace anche a me, che di fumetti e roba simile interessa assai poco.
Il risultato? Un filmetto innocuo, inoffensivo, esile, insulso. L'epopea del punk, la sua rabbia scomposta e oltraggiosa, anche verso sé stesso e i suoi potenziali idoli, lascia spazio a degli idioti totali: volgarotti e scemi come non mai. I tentativi di emozionare, rimangono in superficie, come anche la natura dissacrante e irriverente.  Come se tu stessi vedendo dei ragazzini che vogliono scioccare o addentrarsi in territori che non sanno gestire.
Il film, a mio avviso, risulta tanti chiassoso quanto superfluo, non scaldando il cuore e l'immaginario di sano sovversivismo e non donando emozioni legate alla scoperta dell'amore, del passaggio all'età adulta e non stupisce col suo mischiare generi

Pellicola : fuori concorso

GLI SPIETATI

Non basterebbero nemmeno dieci volumi per poter spiegare e descrivere la fondamentale importanza di questa opera immensa ed epocale.  Un film che fa da spartiacque, che ridisegna e riforma l'epopea western. Merito di Eastwood, senza ombra di dubbio, ma mi piace rammentare che spesso dietro a un grande regista, vi è un grande sceneggiatore- categoria un po' sottovalutata, in particolare di questi tempi- e in questo caso dobbiamo davvero applaudire David Webb Peoples, per aver scritto un copione assolutamente perfetto: nella costruzione di personaggi, storia, e messaggio. Tutti e tre ben definiti e trasportati sullo schermo, e cosa ancor più importante, nel cuore degli spettatori.
"Unforgiven" è di fatto la celebrazione della Storia del Far West, e per farlo celebra e distrugge la sua Leggenda. Opera quindi che dissacra il genere che più di altri narra la gloria della nazione americana, ma con un profondissimo e intenso rispetto per quella storia e per quelle leggende
Demistifica sia la figura del bandito, che quella del cacciatore di taglie, e l'idea di giustizia che si aveva in quei tempi, ma lo fa attraverso personaggi "più grandi del cinema e della vita", parla sopratutto, per me questo è il vero tema, della disillusione e di come possa esser positiva o nociva a seconda dei casi, ma necessaria e fondamentale per resistere e stare al mondo. Ci dice che le cose vengono sempre manipolate e distorte. che il raccontare- per immagini o per iscritto non conta- è azione di menzogna, necessaria per creare quei miti che tanto piacciono alle masse di ogni classe sociale.
Un western con tutti i crismi del genere, dove  si uccide un uomo mentre è al cesso, o dove la vanteria di un giovane innamorato delle storie e delle leggende sui grandi banditi, si sgretola appena si spara a un uomo
Dissacra, perché, svela la faccia sporca e debole delle grandi narrazioni fatte dal cinema e dai romanzi su questi uomini, ma colpisce a fondo perché questo è un lavoro fatto da uomini e non da ragazzini che pensano di sconvolgere o aver qualcosa da urlare a cazzo di cane, qui si scopre il fascino di un cinema complesso, duro, amarissimo eppure anche umanissimo e straziante



MARTEDI

ALIVE IN FRANCE

Bastano dieci secondi di visione di questo documentario per comprendere la differenza fra ragazzini che giocano a far gli autori e un vero, grande, immenso, Autore.
Abel Ferrara è la versione oscura, bluesy, punk di Martin Scorsese, questa è una mia idea perché vedo una sorta di legame tra questi autori: la religione, la violenza, la musica, tanto per citare tre elementi
Alive in France è un diario di viaggio, un film concerto, una riflessione sguaiata e malinconica sul cinema e la musica.
Sono canzoni piene di esclusi, emarginati, tipi violenti, in cerca di pistole o redenzione, è omaggio alla colonna sonora dei film, come parte fondamentale per una buona riuscita del film.
Sopratutto è un distillato di Abel Ferrara: regista, musicista, amico e padre. Sembra un tizio uscito da un film anni 70 su Little Italy, eppure tra le righe vedi anche il grande uomo di cinema, l'anima tormentata e chiacchierona, entusiasta e tagliente, accomodante e iraconda, vedi anche un Uomo.
Per quelli che come amano profondamente il blues, le sue storie nerissime e rammentano i film per le colonne sonore, questa opera è da non perdere;tutta la magia del cinema meno convenzionale, più profanamente autoriale, e la passione per la musica, esibirsi davanti a persone non sempre ben disposte, lo spettacolo di anime che si ritrovano a suonare due accordi su un palco. ecco qui sta tutta la grande potenza di questa pellicola


HAPPY END
Da cosa riconosci che stai vedendo un FILM D'AUTORE  e non un film d'autore?Dal numero di colpi di tosse in sala. Che per i cinefili è tipo un punto esclamativo, un dimostrare con quanta attenzione si segue l'adorato profeta del vero e grande cinema. A giudicare dal numero di improvvise riscoperte di tosse in sala, eh devo dir la verità: QUESTO è UN FILM D'AUTORE
Ed Haneke il profeta salvatore del vero e grande cinema. Voglio subito mettere in chiaro che questa pellicola non è all'altezza di altre sue opere, ma dobbiamo anche esser seri e sinceri: qui ci troviamo di fronte all'ennesima opera importante di un autore che con implacabile coerenza porta avanti un discorso filosofico, morale, etico e anche politico, che non si abbandona mai a facili soluzioni e banalità pseudo intellettuali
Lucidissimo, chirurgico, distaccato, ma non distante, Haneke mette in scena il declino di una ricca famiglia francese attraverso il crollo fisico del loro cantiere e quello morale, fatto di separazioni, tradimenti, incapacità di amare. Una condizione che unisce i giovani - la nipotina che va a vivere nella casa del nonno, causa il ricovero in ospedale della madre- e i vecchi- il patriarca ormai deluso dalla vita, cinico per noia.
Sullo sfondo, in sottofondo, il mondo: coi suoi immigrati, che si palesano solo due volte, creando un cortocircuito interessante sia nell'opera che nei personaggi,  mentre in primo piano va in scena una nuova caduta degli dei, non causata stavolta da eventi storici spiazzanti, ma dal malessere sottile, le incapacità umane, la solitudine deviante. Non è un film che cattura subito, gli dobbiamo dare tempo e spazio, dobbiamo cercare un punto di vista nella confusione di personaggi allo sbaraglio, ma è come sempre un grande intervento sul mondo, sulle nostre esistenze. Un mondo dove si ammazzano, forse, i propri famigliari, dove ci è impossibile decidere anche della nostra morte. Dove siamo prigionieri di falsi miti e libertà. Mentre fuori bussano i dannati della terra
Pellicola in concorso

MERCOLEDI

MOBILE HOMES

Film nomade di esistenze travolte dai loro sbagli, dal stare dalla parte sbagliata della strada, senza giustificazioni o pietismi, ma semplicemente mettendo in scena  le loro vite.
Il punto di vista è quello di una madre e del suo figliolo, vagano a bordo di un furgone in compagnia di un poco di buono, malvivente di mezza tacca, legato alla donna. La quale, come tante altre donne, non riesce a troncare una relazione così dolorosa e controproducente.
Vendono roba rubata, allevano galli da combattimento e guadagnano cogli incontri di lotta clandestina, spacciano un po' di droga; nel frattempo il bambino, di soli otto anni, cresce troppo in fretta e amaramente. Fino a quando, par di potersi ricostruire una vita, seguendo un gruppo di persone che vivono nelle case mobili, come si intitola questo bel film, il quale alterna momenti di pedinamento zavattiniano e dardenniano, a immagini di rara bellezza lirica, lasciando allo spettatore la responsabilità di una risposta a questa domanda: il rapporto tra madre e figlio può persistere e durare anche quando lei è del tutto inadatta a dar un futuro economico degno al bambino? L'amore può quanto meno arginare i danni?
Il film di Vladimir de Fontenay, nome  che ho segnato perché ammaliato sia dal tema che dallo stile di questo autore, mostra e mette in scena dei fatti concreti, quotidiani. Dolorosi e duri, ma con uno sguardo che giudica senza cattiveria aggiunta.



PATTY CAKE$
Non credete mai a chi vi dice, col fare da impiegato annoiato, che il cinema non compie miracoli,, ma è solo un prodotto industriale da vendere come si vendono i contratti eni allo stand dei Gigli, ad esempio. No, signori e signore: il cinema compie grandissimi miracoli.
Io ne sono testimone e protagonista: mi sono esaltato, emozionato, arrabbiato e rattristato, vedendo e amando una pellicola che parla di hip hop, la seconda cosa che odio più al mondo, insieme al punk.
Per cui, se non stiamo parlando di miracolo compiuto dalla settima arte, di che parliamo?
L'opera narra la storia di una ragazza che fa la barista in quel del New Jersey, posto assai popolare e depresso, come parte della provincia americana, ma reso anche celebre da quel disco capolavoro, uscito mi sa trenta e passa anni fa, dei Bon Jovi.
Terra che ha visto e dato i natali anche ad altre celebri star del rock, comunque non così affascinante come New York, o Los Angeles e la California.
Qui, Patty, sogna di sfondare nel mondo hip hop, adorando come un dio il rapper Oz, e condividendo la sua passione con un ragazzo di origine indiana.  I suoi sogni di gloria devono far i conti con una realtà fatta di stenti, debiti, una nonna tanto adorata che si avvicina alla morte, e una mamma che ha lasciato alle spalle il sogno di diventare una rockstar e vive di espedienti, e di alcol. A darle una mano, oltre la nonna, anche un ragazzo afro americano che ha una spiccata attitudine artistica, ma anche forti problemi di comunicazione col prossimo.
Il film alterna momenti più crudi e realistici dove i sogni muoiono ancora prima di raggiungere l'alba a momenti più divertenti, sentimentali, che tanto piacciono al sottoscritto. Non si può e non si deve rimanere indifferenti davanti a un'opera così diretta, sentita, urgente, certo: ruffiana e tanto americana nel voler dar altre possibilità ai suoi protagonisti, ma quando è tutto fatto così bene e i personaggi sono irresistibili, che ce ne fotte? Non possiamo altro che dire: Yo! Bro!

il film è stato proiettato di nuovo venerdi 23

GIOVEDI

LA DEFENSA DEL DRAGON

Opera dai tempi assai dilatati, ad un passo dal cinema trattenuto che tanto detesto, ma che ha una sua piccola e fragile anima al suo interno, una certa partecipazione per i suoi tre protagonisti, che la rende in qualche modo interessante
Ambientato in Colombia, tratta la storia di tre amici,  uomini di strati sociali più o meno diversi, ma uniti dalla passione comune per gli scacchi e da una difficoltà di vivere la vita. Problemi di lavoro, ma sopratutto di relazione, di saper gestire i sentimenti, dar senso alle loro esistenze.  L'opera li segue nei loro giorni passati davanti a una scacchiera, al casinò, o in un negozio che si porta avanti con noia e rimpianti, pensando alla moglie defunta o non pensando assolutamente nulla.
Il quotidiano, la parte noiosa della vita, qui è protagonista assoluta. Perchè anche essa vale la pena raccontare e mostrare.
Tutto è cinema, ogni cosa è filmabile e proiettabile, senza nessun problema di sorta. Qui vediamo la vita di tantissimi esseri umani, anche la nostra volendo. Persone ormai anestetizzate a ogni sentimento, incapaci di gestirli e sopratutto: viverli.
Nondimeno la regista, verso il finale vuol donarci qualche speranza

L'INTRUSA

Continuate pure a parlar male del cinema italiano, così perché dovete per forza aprire bocca. Continuate a dire : eh, ma all'estero, continuate pure.
Intanto vi perdete la meraviglia assoluta di imbattervi in opere straordinarie come questo magnifico film.
Opera che pone domande importanti, dure da gestire e quasi impossibile da rispondere perché hanno a che fare col tema del : giusto e ingiusto, di colpe e redenzione, di aiuto e allontanamento.
A Napoli, una donna gestisce, con alcuni volontari, un centro di accoglienza per bambini. Un dopo scuola finalizzato ad allontanare i più piccoli dalla vita del camorrista,  da una vita dura e ingiusta che spesso colpisce uomini giusti e lavoratori. Qui, attraverso l'inganno, trova rifugio una donna colla sua bambina. Costei in realtà è sposata con un killer della camorra, il quale viene arrestato proprio all'interno del centro d'accoglienza. In una specie di casa affittata alla consorte.
Il ritorno alla sua " casa" da parte della donna e della figlia, fa nascere divisioni e scontri, sia tra i volontari che colle mamme degli altri figlioli e figliole.
Da una parte una donna e la sua bambina, sole, ma non del tutto in grado di inserirsi, sopratutto la madre, dall'altra la parte "onesta" che per mano di quelle persone ha perso cari o non vuole che i propri figli crescano come loro o si ritrovino al centro di incidenti fatti per vendetta contro l'occupante e la sua infante.
La pellicola ci mostra anche la voglia della bambina di inserirsi, i tentativi di far amicizia e le problematiche che trova.
Questo è il cinema che piace a me: profondamente politico e militante, civile, sociale,  asciutto, ma non privo di emozioni.
Opera che ci spinge a riflettere, a domandarci cosa faremmo noi? Quali sono i i diritti delle vittime? E chi è la vittima? L'intrusa è un titolo che possiamo legare al personaggio della madre, una vera intrusa in quella piccola oasi di vita sana e alla sua direttrice che si ritrova a non comprendere i suoi concittadini, i suoi assistenti, per una visione idealista e forse troppo radicata, ma giusta.
Per me film da vedere e far vedere, troppo importante e bello, per scegliere altre e più rassicuranti visioni.
WEST OF JORDAN RIVER

Avvertivo la mancanza di un film di Amos Gitai. La sua lucidità nel descrivere gli errori, sbagli, mancanze, tragedie dello stato israeliano nei confronti non solo dei palestinesi, ma verso anche i suoi cittadini, la sua funzione in una zona così delicata.
Lo so, questo documentario non piacerà ai liberali di ogni schieramento, a chi è convinto che l'occidente e i suoi alleati siano immuni da sbagli e tragedie, a chi non vuol vedere, approfondire, conoscere, e a quella razza di esseri umani assai curiosi che vengono denominati: lettori ben informati attraverso le ultime prove di Oriana Fallaci.
Gitai intervista politici, giornalisti, uomini e donne comuni sia israeliani che palestinesi, mettendo al centro la possibilità di legami, condivisioni, per quanto pressoché improbabili. Lo fa mostrando un gruppo di donne ebree e arabe legate dal lutto che hanno formato un'associazione dove si incontrano e cercano di uscire dal loro dolore, ad esempio.
L'autore rimpiange il fallimento della svolta voluta da Rabin, mostra l'ottusità contro producente di alcuni politici israeliani, e il lavoro di alcuni giornalisti ebrei nel favorire la conoscenza del nemico e la separazione da questi colle frange estremiste, terroriste.
 Sopratutto protagonisti sono i popoli e le persone israeliani e palestinesi, separate da odio e rancore, dall'occupazione e colonizzazione, da un sistema che censura ogni antagonismo, e da un altro che mette in testa idee assurde di martirio a un bimbo di dieci anni.
Film- documentario che andrebbe visto, rivisto, per non lasciare che la disattenzione verso gli altri rispetto a noi, vengano del tutto dimenticati e dipinti come feroci assassini , facendo di ogni erba un fascio.
VENERDI

THE RIDER
 In fin dei conti lo devo ammettere, prima di tutto a me stesso e poi agli altri: ho un profondissimo rapporto di amore e odio verso gli stati rurali e del sud degli Stati Uniti. Posti davvero orribili, con bar e attrazioni di dubbio gusto, gente ottusa e reazionaria, eppure tutto questo mi affascina anche.
Sì, quello che i borghesi americani de noantri, non capiranno mai: l'america è il paese degli elettori di Bush e Trump.  Non c'entrano hackers e robe simili, basterebbe conoscere un po' la natura rurale, bucolica, alcolica e chiusa in sé di molti stati americani.
Questo film è un piccolo gioiello, narra la storia assai triste di un giovane addestratore di cavalli e piccolo eroe dei rodei, il quale a seguito di un incidente grave forse dovrà rinunciare a cavalcare.
Intorno a lui una famiglia composta da un padre vedovo e che cerca con difficoltà ed enormi sbagli di occuparsi dei figlioli, una sorella oligofrenica, che ha bisogno di esser seguita ed amata (bellissima la descrizione del rapporto molto profonda tra costei e il suo fratello) un amico segnato a vita dopo un incidente in seguito a un rodeo dove costui cavalcava un toro, e tantissima noia di provincia, lavori all'aperto, piccole e insignificanti case, serata passate in mezzo al nulla, bevendo e cantando tristi canzoni country.
Opera malinconica, amara, ma mai troppo implacabile nel voler insistere sul dolore. Commovente quando riprende le fantasie di nuove cavalcate, o l'ultima col cavallo tanto amato.  Film  che dichiara amore verso l'epopea della figura malinconica, triste del cow boy.
Tocca il cuore attraverso primi piani di occhi equini, o espressioni dei suoi attori, trasmette un senso di perdita, e lotta per la sopravvivenza, portata avanti giorno dopo giorno, mentre ci abbandoniamo alla vita che dobbiamo vivere e non quella che amiamo veramente. Ma nessuno ci impedisce di sognare il vento in faccia, la prateria che scorre veloce, cavalcando il nostro amatissimo e fedele amico di tante imprese e vittorie, un cavallo simbolo di assoluta libertà
LOVELESS

Se avete amato e visto Il ritorno o Leviathan, già sapete cosa aspettarvi dal suo autore. Devo dir che le vostre aspettative non saranno affatto deluse.
Loveless è uno sguardo duro, crudele, amarissimo, sia sulla Russia che sui rapporti personali, mostrando un mondo vuoto di amore, cinico, spietato, incapace di prendersi cura dei più deboli che sono sempre minori
La storia narra la vicenda di una coppia in procinto di divorziare, come molti arrivano a questo punto trascinando rancori, rabbie, risentimenti. Annebbiati dall'odio, sicuramente, ma anche dalla incapacità di provare amore per sé e per gli altri: che siano consorti, genitori, figli.
Un giorno, il figlio di dodici anni della coppia scompare improvvisamente.  Questo fatto farà esplodere ancora di più i conflitti della coppia, trascinando in parte anche i nuovi compagni, mentre una squadra di volontari si dà da fare per trovare il piccolo.
Film glaciale, penetrante, doloroso, mi porta a meravigliarmi di come le persone siano in grado di farsi tanto male, nonostante forse un tempo si amassero, di come sia naturale distaccarsi dagli altri, o veder il figlio come un  peso che ha frenato le nostre libertà.
Senza amore sono tutti i protagonisti di questa meravigliosa pellicola, vittime e carnefici delle loro scelte o non scelte, di rapporti sbagliati, incapaci di costruire qualcosa di buono, profondamente distaccati verso il mondo, che si affaccia con preoccupanti notizie in tv, e gli affetti più cari.
Un film  che parla di solitudine privata e sociale, ben radicata nel nostro modo di vivere
Pessimista, duro, agghiacciante, visione doverosa per ogni cinefilo.

Il film era in concorso


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