mercoledì 14 giugno 2017

La preda perfetta di Scott Frank

Il noir è il genere più pessimista tra tutti i generi cinematografici o letterari, ancora di più del melodramma- che spesso parla di grandissimi amori, per quanto sfortunati- o del genere horror- dove l'elemento paranormale ci permette di staccarci dalla visione, tanto son cose non vere.
Non che il noir sia verità e niente altro che verità, ma la forza con cui mette in scena un mondo perduto, sporco, crudele, senza pietà e riscatto per vittime e carnefici, tanto prima o poi gli altri siamo noi, è così radicale e radicata, messinscena o scritta con tanta ostinata rassegnazione da far apparire Leopardi uno spielberghiano ante litteram, citazione in latino a cazzo, ma va bene così.

Tratto dal romanzo del 1992, "un'altra notte a Brooklyn" dello scrittore Lawrence Block, il film è ambientato nel 1999, l'anno che portò alla fine il secolo e il millennio, anno in cui si parlava del Millenium Bug, anno che francamente è passato così, senza nulla di esaltante, a parte che tutti i cantanti dovevano per forza dire la loro sulla fine del secolo, in canzoni o dischi trascurabili.
La storia è sempre quella: un ex poliziotto, con problemi di alcol, ora si è in parte ripreso e tenta di vivere una vita normale. In passato, per fermare tre banditi, ha commesso qualcosa di orribile, che l'ha distrutto, ma ora, cerca di ricostruire una parvenza di normalità. Un giorno, un suo conoscente delle riunioni per alcolisti e drogati, lo contatta per un lavoro: scoprire chi ha ucciso la moglie di suo fratello.
Le indagini porteranno l'ex sbirro nei bassifondi della città e a lavorare per i trafficanti di droga, visto che i cattivi di turno, rapiscono, torturano, ammazzano in modo orribile, le mogli di costoro.
Qui si manifesta una regola del genere: cosa è la giustizia? Moralmente come la concepiamo? Certo le donne sono vittime innocenti di due mostri orribili, ma i loro mariti? Accettare i soldi di chi avvelena le vite di numerose persone, per soddisfare la loro vendetta o placare la loro paura, è giusto?
Il film rimane vago su questo punto, come è giusto che sia.
Per funzionare, deve anche aver degli ottimi personaggi, Qui ce ne sono almeno un paio. Il primo è inutile dirlo, è quel colosso irlandese che risponde al nome di Liam Neeson, il suo Matt Scuder entra di diritto nel pantheon degli eroi dannati del genere, perché non è una figurina ostentata come quelle di una celebre coppia di investigatori di una serie tv tanto nota e amata, quanto da me saggiamente detestata, ma è un uomo in lotta coi suoi demoni che alterna umanità a furia. Un personaggio che è pura rappresentazione del genere, ma credibile, toccante per certi versi. L'altro è quello del suo piccolo aiutante afro americano. Un ragazzino che è costretto a vivere da grande, con una bella anima sensibile ed artistica, il quale si affeziona a quel tizio che fa un lavoro così avventuroso come il dectetive privato, senza licenza.
Altra cosa importante: i cattivi. Devono essere l'emblema, il paradigma perfetto del male, e questi due assassini sadici, feroci, automi senza anima e colpa, sono meravigliosi; fanno paura e suscitano odio, voglia di vendetta
Terzo elemento: non c'è giustizia, ci si limita alla vendetta. Una vendetta quasi biblica, come se abbandonata ogni speranza, ogni appiglio istituzionale, sprofondati nella feroce solitudine che avvolge vittime e carnefici, che tanto prima o poi gli altri siamo noi, non rimanga che una giustizia altrettanto spietata. Il fine giustifica i mezzi e se per dare pace alle vittime dobbiamo superare i carnefici, ecco: siamo in pieno noir.
Scott Frank è uno sceneggiatore di tutto rispetto, tra gli altri rammentiamo Minority Report, che mostra anche mano sicura come regista.
Per chi ama il noir e le storie "dure", accomodatevi: niente originalità, ma cinema di genere robusto e ben fatto



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