martedì 29 settembre 2020

SPECIALE FLORENCE KOREA FILM FEST: QUINTO GIORNO. LUENDÌ 28 SETTEMBRE

 Un documentario sugli animali in uno zoo coreano,  un delicato e profondo film sul tema dell'amore  e un bellissimo, meraviglioso film bellico legato ad avvenimenti reali.



-GARDEN ZOOLOGICAL

diretto da Mincheol Wang

Opera in precario equilibrio tra delicatezza e fragilità che sfiora temi anche importanti, ma il tutto rimane in superficie, poco approfondito.

Il documentario racconta il lavoro dei guardiani e dei veterinari di uno zoo coreano.  Il loro rapporto con gli animali, basato su rispetto e amore, va a scardinare un po' una certa visione dello zoo. Nondimeno la domanda che scorre sotto traccia per tutta la visione dell'opera è: " Questi animali in via di estinzione causa bracconaggio e cambiamenti climatici, vivono meglio in libertà, ma in balìa di questi pericoli, o accuditi, curati, seguiti, però nello spazio ristretto di una gabbia? Sottoposti anche alla maleducazione di molti visitatori che gettano a loro di tutto?".  Sarebbe stato un bellissimo modo per mostrare la vita, la dinamica del lavoro e dei rapporti tra uomini e animali in uno zoo, con alcuni spunti sulla libertà e la cattività.

Invece questi discorsi vengono solo toccati, sfiorati.  Certo, nonostante non sia un'opera del tutto riuscita a me è garbata perché gli animali mi commuovono e divertono sempre. Ho trovato interessante che nello zoo, trovino rifugio i gatti selvatici. Fa parte di un progetto per riportare il gatto selvaggio ad aumentare la sua presenza sul territorio. Infatti in questo zoo li inseminano artificialmente, con il fine di far nascere nuovi cuccioli. Commovente anche la storia del tigrotto nato e cresciuto dentro lo zoo. Le lacrime sgorgheranno copiose per la sorte di codesto meraviglioso essere vivente.  Una certa tenerezza e dolcezza soffusa è presente in tutto il film, come viene spiegato bene il rapporto tra custodi e animali, ma è tutto troppo inconsistente e fragile, a mio avviso, per essere davvero un film imperdibile.


- Moonlit winter

diretto da Dae Hyung Lim

Opera delicata, ma intensa e profonda, che punta molto su una soffusa, impalpabile, malinconia, per narrare la storia di un viaggio, in un paesino giapponese, intrapreso da una figlia e una mamma. La destinazione gioca un ruolo importante nella vita della donna, legato a un fatto del suo passato. Un fatto assai doloroso.

Il regista e sceneggiatore è bravissimo nel descrivere i personaggi, a renderli completi, mai macchiette stucchevoli - come ad esempio in Move the grave- o a renderli fin troppo schiavi di un messaggio, per quanto giusto e bello.  La complessa semplicità - mi si perdoni l'ossimoro- dei rapporti tra esseri umani è messinscena con una cura ed empatia non comune.  Ogni personaggio è alla ricerca di una sua dimensione, felicità, hanno amarezze e rimpianti,  in equilibrio tra tristezza e voglia di esser sereni.  S'indaga il rapporto madre e figlia, la diversità che accomuna queste due donne. O la relazione quasi genitoriale che una vecchia zia ha con la nipote, per dire che la famiglia non è solo quella in cui sei nata, ma dove cresci.  Ci sono le delicatezze e gli impacci delle relazioni giovanili, persino un ex marito che non è poi così tanto cattivo.

 Amo questi film che non cedono al cinismo d'accatto o pretendono di dover per forza far una guerra tra sessi campata in aria.  C'è un bellissimo sguardo caldo, in punta di piedi, pudico, ma non restio  ad affrontare certi argomenti. Usando le parole di una lettera per parlare di esistenze spezzate dal bigottismo reazionario, E di come, con fatica, sia possibile rimettersi in piedi.


- The Battleship Island

diretto da Ryoo Seung- wan

Mi mancava ancora il film che mi entusiasmasse come un ragazzino. Con quella limpidezza, gioia, partecipazione emotiva totale e stupore per la bellezza delle scene.

In questa edizione le pellicole migliori erano presenti nella categoria K-story. Questo film ci rientra totalmente visto che è ambientata su una vera isola, a forma di nave da guerra,  in cui i coreani erano costretti a far lavori pesantissimi- in miniera, nelle fabbriche- sfruttati senza pietà alcuna dai giapponesi,  sottoposti a torture da parte dei collaborazionisti coreani. Sorte orribile che toccava a uomini, ragazzini, bambini e donne. Queste ultime, anche le bambine, costrette a prostituirsi con le truppe giapponesi.

Battleship è Cinema.   Spettacolare, epico, solenne, avvincente, rutilante.  Una continua gioia per gli occhi, e randellate come se non ci fosse un domani al nostro cuore, per la crudeltà che i protagonisti subiscono per colpa dei nipponici e dei traditori.

Tante storie si uniscono su questa isola, per raccontare le peripezie del popolo coreano. Dal musicista donnaiolo e mascalzone, ma anche ottimo padre, il quale si esibisce con la figlia prima di finire entrambi nell'inferno dell'isola. Questo rapporto è descritto benissimo ed è difficile non commuoversi per la loro sorte. C'è il gangster che alla fine decide di lottare per gli altri, la donna che ha subito troppe violenze e cerca solo un attimo di pace, il giovane soldato in missione speciale. 

Un'opera robusta, non originale, certo, ma chi se ne frega dell'originalità quando si assiste a un ottimo, strepitoso, eccellente spettacolo per due ore e passa?

Quando la musica di Ecstasy of gold, accompagna le scene di battaglia - precise, limpide, nonostante le tantissime comparse e le cose che accadono una a presso all'altra-  il mio cuore è esploso di gioia assoluta.

Per ora, il mio film di questa edizione 2020.


Ps: stasera c'è l'horror. Non dormirò per due settimane, minimo.

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