venerdì 22 luglio 2016

A DRAGON ARRIVES di MANI HAGHIGHI

Strano, misterioso, conturbante, inquietante, e magnifico oggetto filmico, questo lavoro di un laureato in filosofia che tornando nel suo paese d'origine, decide di metter in scena una pellicola che è genere, ma lo supera, rielabora, devasta, ricostruisce, per esser ancora qualcosa di altro e oltre. Horror? Film politico sotto metafora e simboli? Documentario? Manipolazione di generi e realtà?
Tutto questo e molto di più !


L'Iran è un paese affascinante, ricco di contraddizioni, di storia, leggende, bellezza, molti pensano che codesto stato sia un regime teocratico repressivo, una simpatica donna - in lista per diventare un presidente di una anzi Della più grande democrazia del mondo- vorrebbe annientarla dalla faccia della terra, sta sempre nei primi posti di quei gruppi contro la pena di morte e così via. L'italiano medio con una medio bassa preparazione politica, la mette sempre in compagnia di quei stati pericolosi per le nostre magnifiche oasi di pace,  tranquillità, stabilità mentale, morale, economica. Inutile dir che spesso parliamo così, alla cazzo.
Però non ha avuto nemmeno una vita semplice questa nazione. Ha conosciuto copi di stato contro un governo socialista, la monarchia tanto amata dagli occidentali meno dagli iraniani, e poi la rivoluzione del 1979. Tragedie, massacri, tutto.
Ed è proprio durante uno di questi periodi, intorno al 1960, precisamente nel 1965, che è ambientata questa pellicola.
In un paese in allarme, dove è stato appena assassinato il primo ministro, un agente della polizia iraniana decide di vederci chiaro sul suicidio di un prigioniero politico esiliato in un villaggio isolato e poco raccomandabile. L'uomo si era rinchiuso in una vecchia nave abbandonata all'interno di un antichissimo cimitero, forse era anche impazzito. Fatto sta che in quella zona, solo in quella zona, succedono strani fenomeni: dei terremoti tanto potenti, quanto localizzati solo all'interno del cimitero. Fenomeno che si ripete dopo ogni sepoltura.Con l'aiuto di due "amici" cercherà di scoprire il mistero. Nel frattempo si scopre che una ragazza è scomparsa dal villaggio e che essa era legata al prigioniero scomparso.
La trama è appunto quella di un classico thriller/horror e a modo suo, ma molto suo, lo è. Poi il regista sceneggiatore inserisce delle parti in stile documentario con tanto di interviste ai protagonisti  per avvallare la tesi che sia una storia vera, raffinatissima presa in giro di una certa moda cinematografica, ma anche riflessione sul mezzo cinematografico che rende vera ogni cosa, basta filmarsi e filmare. Oppure nulla è reale tutto è solo un ennesimo spettacolo e mi pare che questo pensiero, da decenni, sia alla base della società occidentale.
A modo suo è anche un film politico, ambientato prima della Rivoluzione del 1979,  mostra un paese tanto libero nel modo di vestire, apparire, quanto prigioniero dei servizi segreti, non penso sia cambiato in meglio dopo, ma non ho abbastanza dati validi per confermare questa mia idea.


"A dragon arrives" è sopratutto una bellissima esperienza visiva, vuoi per i luoghi suggestivi e inquietanti, vuoi per l'uso del rallenty capace di dar spessore a ogni sequenza,  per le ipnotiche musiche, è un prodotto che nulla ha da invidiare al cinema europeo, tanto per dire.  La sua forza è esser difficilmente catalogabile, sfuggente, eppure assai sostanzioso, potente e possente.
Cercatelo per torrenti e muli, oppure non perdetelo se dovesse passar per qualche arena estiva, come è capitato a me e a mia moglie. Da vedere

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