lunedì 5 marzo 2018

IL FILO NASCOSTO di PAUL THOMAS ANDERSON

Sì, quando al cinema arriva una pellicola di Anderrson possiamo anche parlare di capolavoro. Oppure di opere talmente perfette da avvicinarsi al termine più inflazionato, ed odiato, nel mondo dei cinefili da tastiera.
A me è dispiaciuto che non abbia ricevuto il premio per la miglior regia, va detto che Del Toro però è un ottimo vincitore, perchè sarebbe stato il giusto riconoscimento a una carriera invidiabile e sempre in ascesa.
Lo stile di Anderson, col tempo, si è modificato e ha trovato nuove strade. Basti pensare al ritmo vorticoso, il virtuosismo tecnico, di opere come Magnolia o Boogie Nights, fino a questa seconda parte della sua carriera dominata da uno stile più rigoroso, austero, solenne, quasi statico.

Questa nuova opera potrebbe esser vista come un'azione di sovversione dell'immaginario fiabesco. Proprio mentre trionfa la bellissima favola sociale di Del Toro, Anderson prende alcuni elementi del racconto fiabesco e li frantuma in un mondo aspro e privo di amore.
Reynolds Woodcock come una sorta di orco, intrappolato nel suo castello e legato in modo sospetto alla sorella, trova in Alma una sua vittima predestinata e la porta nel suo rifugio. La donna appare isolata e debole nel suo nuovo ambiente, ma alla fine si dimostrerà meno vittima di quanto possa apparire.
Questa è solo un'ipotesi, un'idea nata durante la visione.
Il film, ambientato negli anni 50 in Inghilterra, si avvicina molto come tematiche a una delle opere più riuscite di Anderson: The Master.
Mentre in quella pellicola si metteva in scena il rapporto schiavo-padrone, e la fortissima dipendenza che si lega tra i soggetti, in un ambito collettivo e sociale, in questo caso tutto è rinchiuso nelle pareti domestiche.
Come se l'amore non fosse altro che un gioco di rapporti di forza. Due persone per stare insieme hanno bisogno che qualcuno sia dominato e l'altro domini. Ma in questo film, chi è il vero dominatore?

Reynolds pensa di essere un uomo forte, uno che ha la situazione in pugno, capace di gestire lavoro ed eventuali sentimenti. Un uomo in assoluta simbiosi colla sua professione, un perfezionista, ad un passo dalla malattia mentale. In Alma che vede? Un modello su cui provare gli abiti? Una compagna? Un suo tentativo maldestro di avere una relazione? In parte si, ma credo che l'ossessione assoluta per lo stilista sia proprio il suo lavoro. Come un padroncino brianzolo qualsiasi,  Woodcock vive nel palazzo che usa come posto di lavoro. Un uomo che si sente invincibile, ma che tradisce tutta la sua fragilità quando sta male, ridiventa il bambino ossessionato dalla madre scomparsa e cerca affetto tra le braccia della sua compagna.
Alma ci appare come una ragazzina di provincia, una persona delicata, forse timida. Nonostante l'impegno nel cercare un suo spazio, anche all'interno dell'attiività del suo "amato",  appare quasi sempre inadeguata, fuori posto
Un classico ritratto femminile di una donna fragile. Eppure dimostra, nella parte conclusiva del film, di aver la situazione in pugno, di non essere così debole,  e di essere matta tanto quanto il buo Reynolds.
 L'amore come sappiamo ha mille volti, sicuramente qualcuno, vedendo codesto film, potrebbe definirla una storia d'amore. Forse, Sopratutto da parte di Alma, non penso che il sarto sappia che significhi amare qualcuno. Il punto è: quando un sentimento diventa malato, possiamo ancora parlare di amore?
Penso che questa sia una delle tante domande che il cinema, quando è fatto ad altissimi livelli,  possa donare agli spettatori.
Un duello tra due persone legate da una visione di dominio e sottomissione della vita di coppia e non solo. Anderson ci accompagna nelle loro vite, tenendo una giusta distanza sia etica che cinematografica. Non si trattiene dal mostrare le derive umane dei suoi personaggi, ma non ha nemmeno bisogno di sottolineare, esemplificare, semplificare. In scena ci sono due personaggi assai complessi, sfaccettati. C'è un mondo che, dietro a una severa idea di eleganza, cade a pezzi (la bellissima scena del matrimonio) un universo di persone completamente sole, incapaci di relazionarsi agli altri.

Un mondo perfetto per un melodramma raggelante, essenziale, eppure profondo e toccante, in alcuni brevissimi attimi di sconfortante umanità, che ha dalla sua un cast formidabile.
Cosa dire ancora sulla bravura di Daniel Day Lewis? Questo suo addio alle scene avviene con un personaggio bigger than life, come si dice a Cesano Buscone, una recitazione perfetta. Non uno sterile gioco di sottrazione, ma nemmeno la ricerca continua di far troppo. Equilibrio, sobrietà, eleganza. Un vero idolo.
La vera sorpresa, per me, è Vicky Krips. Prima di tutto, perché è lussumburghese di nascita, suo nonno era presidente del partito operaio socialista lussemburghse ( ci sono gli operai in quel di Lussemburgo !)  ha all'attivo diverse partecipazioni in numerosi film internazionali, ma ha lavorato molto in Germania.
Ho trovato che la sua interpretazione sia davvero sublime. Capace di passare a momenti di abbandono, fragilità, a una sorta di rivalsa e rivelazione della sua follia, davvero assai potenti.

Io ho amato molto questo film, come tutto il cinema di Anderson, sono sempre più convito che il regista americano sia uno degli ultimi grandissimi autori in circolazione.
Uno dei pochissimi per cui si possa anche parlare di "capolavoro", ad ogni uscita di una sua opera.

2 commenti:

Fran ha detto...

Bellissimo articolo Davide! Concordo su tutto!

babordo76 ha detto...

Grazie mille!