mercoledì 29 novembre 2017

Riflessione indisciplinata: Personaggi che io reputo persone reali

Eh, una volta qui era tutta campagna, e la gente sapeva distinguere il vero dal falso! Bei tempi quelli, madama cara!
Oggi viviamo tempi molto strani. Il confine tra vero, verosimile, inventato ma basato su fatti veri, e tutta quella miriade di horror tratti da storie vere, come è vera la merce falsa venduta a Napoli, è sempre più incerto e sottile.
Il che mi permette di scrivere un post, che un tempo sarebbe stato classificato come "prova di malattia mentale", ma ora è allegramente weird.
No, magari! Questo post è solo un altro delirio da occhialuto

1
Tutti abbiamo avuto un'infanzia (sai quella cosa del tutto implausibile e campata in aria che alcuni malviventi di Holywood si ostinano a rubarvi)ecco, par strano, ma tutti abbiamo vissuto quel periodo.
Rammento con gioia quando pensavo che ero ormai abbastanza grandicello per potermi gustare un bel Complesso d'Edipo, starmene rinchiuso in un appartamento - altro che le corse di un bambino col suo amico più sincero , un coniglio dal volto bianco e nero. Rubentino maledetto- ed essere istruito dalla versione sadica della signorina Rottenmeier.
Non ero un bimbo particolarmente vivace, prova sia che per tutto il primo anno di scuola non ho parlato quasi mai. No, no, aspetta! Togli il quasi.
Proprio in quei brillanti giorni ho costruito una specie di muro invisibile tra me e il resto del mondo. Osservavo, guardavo, m'incuriosivo. Però a distanza.
Il distacco tra un ambiente famigliare come la cascina, dove stavo coi miei nonni, e quel mondo così grigio, chiuso in sé stesso che era il condominio,  di fatto mi ha  portato a chiudermi in me stesso
Questa è la versione cut, il director's cut lo riservo alla mia psicologa eh!
Dunque a quella età un bambino si riconosce in qualche figura paterna. Meglio se entusiasta ed entusiasmante, meglio se vincente. Quella è l'età in cui i nostri padri, diciamo la verità, se lo prosciugano a manate quel cafone di Acquaman. Così mentre tutti i bambini crescevano inneggiando ed immedesimandosi in eroi e affini, io , a sei anni, ero l'amico del cuore di  

-Charlie Brown
Quel bimbo così sfortunato, che non eccelle in nessun campo,  depresso eppure molto profondo e arguto, mi piacque subito. Lui e Lucy, di quel cartone animato erano i mie personaggi preferiti. In lui però trasferivo tutti i miei giorni di bronchiti, stupidi giochi in cui perdevo sempre o arrivavo ultimo, o cazzo (come nel caso di nascondino) mi scoprivano immediatamente. Tutte quelle delusioni della vita, che un bimbo percepisce, ma non sa come spiegare Sopratutto lo ritenevo, e lo ritengo ancora oggi, un personaggio tenerissimo. Per compensare a volte ero convinto che Lucy fosse mia sorella, o simile. Perché, piano piano, si faceva strada in me il super potere del sarcasmo.

Colpo di culo: l'infanzia finisce! E sai che ti capita? Comincia l'adolescenza! Wow! In quel preciso istante della tua vita, ti ritrovi a vivere le cosiddette "CRISI"
Un piccolissimo momento delle nostre vite che vanno da quando hai 14 anni fino al giorno della tua morte. Casomai ci fosse il paradiso... Niente paura: ti becchi il remake delle tue crisi. Per l'eternità.
Diciamo che un bimbo simile non è che improvvisamente, da adolescente, ti diventa un figo pazzesco, di quelli che lo vedi subito, hanno il destino segnato: Venditore porta a porta di farlocchi contratti Eni. Li noti, questi piccoli imperatori delle scuole e dei bus italici, che sono diretti ad alta velocità verso l'unica frase che impareranno in tutta la loro vita: "Me la fa vedere la bolletta?"
Io, però, avevo imparato una cosa: il tuo ruolo è quello di simpatica macchietta, di straordinaria sagoma.Ho ricordo di quanto m'impegnassi a essere spiritoso e divertente.
Sempre timido, sempre scazzato, sempre colla passione per la musica, il cinema e la letteratura.
Mi fa piacere che molti abbiano avuto un'infanzia e adolescenza di merda, che rivendicano con ostinata felicità anche oggi che siamo in coda verso l'ingorgo della Vecchia e Morte. Quelli che " ti ricordi che belli i film.." e tirano fuori terrificanti titoli di robe brutte brutte in modo assurdo. Io, con coerenza, sono sempre stato un isolato, allontanato, sfollato, daje de idrante aho, occhialuto amante del cinema d'autore.
Eh, mentre voi vi trombavate le più belle della scuola, poracci, io - lo dico con umiltà e tatto, non voglio risvegliare in voi sentimenti di inferiorità che avete fatto fatica a lasciarvi alle spalle-  mi guardavo le opere di Bergman, tanto per dire! E mentre voi (ma veramente, cioè ce le avete tutte ma proprio tutte le sfighe di questo mondo) passavate una meravigliosa infanzia a giocare spensierati e a far le maratone col Vic 20, io alla veneranda età di dieci anni, mi commuovevo per il finale di Paris, Texas.
Giusto per dirvi quanto sia magnifica la vita di un occhialuto, rispetto a il resto del mondo
In questa età, così delicata hai bisogno di trovar qualcuno in cui riconoscerti. Qualcuno che ti sia d'aiuto.
Molti hanno gli amici del gruppo, tantissimi qualche atleta o rockstar.
Io mi rivedevo in questi personaggi:
Michele Apicella e Don Giulio
Michele Apicella, è stato come il fratello maggiore, o una versione più adulta di me. Io capisco ogni sua parola e gesto, comprendo il suo dolore così radicato da esser parte della quotidianità, la voglia di essere felici e la fiducia negli altri che si scontra pesantemente col naturale fallire degli esseri umani. Il disprezzo per le bugie banali, piccole tanto quanto per quelli che non rispettano l'assoluta bellezza e giustezza dell'amore.
Se Dante per il suo viaggio no alpitour nell'Inferno, aveva come guida Virgilio io, in quel inferno mediocre e senza scossoni  che è l'adolescenza degli occhialuti, avevo come  Sommo Maestro lui: Michele Apicella.
Forse, sarebbe stato il caso di chiamare il team di Mindhunter


Don Giulio invece era l'amico fedelissimo  e capace di apprezzare la mia cieca fiducia nella gioia, negli esseri umani, ma che non soccombeva al pessimismo e alla sofferenza come Michele. Rivedevo in lui un maestro di etica e morale, uno che come me ha o ambisce ad aver la coscienza immacolata. Uno che vuol far del bene e il bene degli altri, ma è incapace di cambiare le cose
Incapace, come lo sono io in diversi campi dell'esistenza umana.


Visto che anche l'adolescenza, in un modo o nell'altro, l'abbiamo lasciata alle spalle ( io sono un'enciclopedia di difetti umani alcuni anche marziani vivente, ma non ho la sindrome di Peter Pan) si entra in quella fase della vita in cui sei adulto e maggiorenne ma fondamentalmente sei ancora un ragazzino delle superiori, insomma: i venti anni.
Proprio a quell'età, non so se come penso nel 96 o 97 , vidi un film che mi sconvolse sia come spettatore che come piacente e sbarazzino giovin uomo brianzolo: Le Onde Del Destino
Fulminazione! Illuminazione sulla strada per Damasco: io sono
  Bess
Non vi ho mai detto che ero un campione nella disciplina della " gola bruciata"? No? Ecco, questa disciplina consiste nel trattenere e spegnere dentro di sé ogni emozione che trascini al pianto. E quando questo si presenta, sempre mai invitato e senza portare nemmeno una bottiglia di vino, cancellarlo. La gola brucia, perché il pianto vorrebbe uscire, ma tratteniamo va! Si, anche questo è uno dei classici della mia terapia. 
Vedendo questo film ho fatto fatica a trattenermi. Tanto era l'identificazione con lei, da una parte, quanto era la rabbia contro gli altri. Contro quel mondo che distrugge una persona splendida come Bess. Tutte le volte che vedo questo immenso capolavoro, questo film della mia vita, vorrei salvarla.Questo è il sentimento più forte: la protezione. Perché la comprendo, capisco, so quanto sia giusto sacrificarsi perché la felicità degli altri è più giusta e forte della mia. 
Per anni ho pensato questa cosa, oggi grazie anche a un matrimonio più fortunato di quello rappresentato in questo film, riesco a vivere un rapporto affettivo e sentimentale con maggior equilibrio. 
L'incontro con Bess, però è stato forte e profondo. Mi risulta ancora oggi difficile spiegare in modo chiaro cosa mi colpisse, cosa mi facesse partecipare con tanta forza a quel suo sacrificio.  Commozione e rabbia, totale coinvolgimento empatico e rabbia feroce, incontrollabile contro tutti i responsabili della sua rovina.

Il film che mi ha fatto conoscere Lars. Un legame fortissimo quello col cinema del regista danese, esattamente con la stessa intensità e partecipazione emotiva che ho per le opere di Moretti, che continua anche se ora sono molto più disneyano-buonista-virzianiano .
Sono anni in cui adoro i film tragici e radicali. Perché, si andava costruendo, una mia spiccata predisposizione per le sceneggiate e l'ira iraconda, che trasformavano i litigi in opere degne di una combinazione tra Merola e Von Trier.
A parte l'arte, l'unica cosa che mi dava un senso, mi dava delle regole precise e mi dava anche una identità precisa, era la politica.
In quegli anni mi impegnavo molto politicamente, anche ora, e se dovessi pensare ai momenti in cui davvero mi sentivo vivo e utile, erano proprio quelli delle manifestazioni, delle assemblee, dei direttivi. Gli anni in cui si comprende che per fortuna non sei né fascista né di sinistra giovanile che  peraltro saluto!
Per cui, potete immaginare come mi sia sentito coinvolto, come abbia perso cognizione di cosa sia vero o irreale, quando ho visto :

Rosetta


In un colpo solo, i meravigliosi fratelli Dardenne, mi hanno donato la compagna di tante lotte, di tanti giorni precari. Già nella scena iniziale quando aggredisce il suo datore di lavoro o quando si dice sorpresa: "oggi rosetta ha trovato un amico", ci trovavo tutto il furore per le condizioni di sfruttamento e isolamento praticate dalla precarietà sulla mia generazione, sia lo stupore che mi colpiva, ancora oggi mi colpisce, quando qualcuno manifestava interesse per me. 
Esattamente come  Lucy era la mia alternativa a Charlie Brown , o Don Giulio a Michele Apicella, Rosetta rappresentava benissimo me nei momenti di forza e rabbia, in alternanza a Bess.


Comunque: come arrivano, se ne vanno. Dico : i ventanni.
Mi sono ritrovato a trentanni: impegnato politicamente. tanto da distaccarmi anche da Moretti, perchè troppo borghese; precario nel magnifico mondo della promozione/vendita.  Faccio anche una piccola collezione di diplomi, che francamente, non mi serviranno a un cazzo: uno in "esperto delle politiche attive del lavoro", cioè il selezionatore in qualche agenzie interinale, l'altro come A.s.a. Bello, eh! Questo corso lo concludo con un punteggio altissimo, il più alto del corso. Però io e i lavori manuali non andiamo molto d'accordo e in più : la malattia, più la vecchiaia, più la morte, mi coinvolgono fin troppo.
Compro l'edicola, però!
In poco tempo il negozio diventa un punto d'incontro e io mi affeziono ai miei clienti.
(Si ci vuole poco per far in modo che io mi affezioni a qualcuno).
Grazie al rimandar a domani, quello che puoi far oggi, invece di occuparmi del negozio, un giorno comincio a navigare a cazzo di cane nel mondo dei blog. Finisco su uno in particolare.
Tra i tanti che commentano, c'è anche una donna particolarmente arguta e sagace.
Mia moglie

Non dimenticherò mai, la sala del Capitol, che è un po' il nostro cinema preferito in quel di Monza, quando andammo a veder Alabama Monroe
Eravamo io, lei, una coppia e il loro figliolo di tre anni.

-Didier
C'è una scena in particolare: quando, durante un concerto, lui smette di suonare e piano piano sclera contro il mondo, contro tutti, per via della morte della sua bambina e per la fine del suo matrimonio. Quella mano che cerca nell'altra la forza e non trova nulla. Questo è il classico personaggio che fa scattare il crocerossino in me, si si non è una cosa che fanno solo le donne eh. A esser sinceri, tutti i personaggi in cui mi identifico o verso cui provo una fortissima empatia li vorrei proteggere e salvare. Poi mi identifico anche nelle loro debolezze.
Didier è un peesonaggio fantastico e meraviglioso, una sorta di fratello maggiore che ha bisogno di un po' d'amore 


-George Valantine

Perché lo sapete: tanta tragedia, ma anche tantissimo Musical. Tanto impegno politico e tantissima testa fra le nuvole, perso in romantici sogni e illusioni. Per cui, è ovvio che un film come The Artist mi abbia conquistato. Ed è normale che nella parabola discendente di Valantine,  ci ho visto e provato cose che voi umani.. Forse potremmo vederlo come la faccia positiva di Didier, come sempre mi capita: star in equilibrio tra personaggi tragici e altri più positivi
La danza finale conferma quanto dico da secoli: la vita è un musical!


Una cosa che sanno solo i miei animali: io canticchio sempre. Accenno anche passi di danza, di tanto in tanto. Non posso immaginare un mondo senza musica
Non è un caso quindi che, felicemente fidanzato e con un lavoro che mi rompe le palle, ma mi permette di cazzeggiare tanto, sia nelle condizioni per dire: Addio, Gola Bruciata!
Ribadire il concetto: "Ma che cazzo me ne frega a me se gli uomini non devono mai piangere!"
Ci voleva un musicaal e il suo finale, ma ero già sulla buona strada, quando ascoltando questa canzone, portandola al maschile e alla mia vita, mi sono riconosciuto nel personaggio di

- Eponine




A volte, perché non abbiamo fiducia in noi stessi, o perché non ci riteniamo degni di nota, non so.. Capita di vivere grandi amori, senza confessarli. Per paura di esser rifiutati. Col risultato di chiudersi, di ritenere normale  non esser corrisposti, ma sopratutto affinando una grande arte per il canto  e le canzoni più tragiche e tristi che si possano immaginare. Come quella di Eponine



Succedono cose anche bellissime, sopratutto quando non le cerchi con ostinazione. Par che la vita avendo un grande senso dell'umorismo, voglia dirti: " Tu eri quello che pensava di morire più solo della solitudine? Quello che era  convinto che il suo cadavere lo avrebbero scoperto dopo mesi? Quello che passava notti a immaginarsi il proprio funerale e quante persone avrebbero partecipato?"
Ecco: L'amore! Non solo, ecco: il matrimonio!  Insomma: come sempre non avevo capito un cazzo della mia vita.
Ho fatto cambiamenti notevoli e positivi, certo non posso dire di eserere la persona più equilibrata di questo mondo, che non ho ancora ben capito chi sono e via dicendo, ma dai : mi sto impegnando a ricominciare da capo.

Con mia moglie condivido l'amore per il cinema, con lei sono andato a veder per la prima volta in sala, molte pellicole di autori che piacevano solo a me.
Tra questi Paolo Virzì.

- Donatella


La sequenza del carnevale di Viareggio, ogni volta che la vedo, mi fa pianger lacrime di rabbia. Per quanto facciano schifo gli uomini, per come la vita sia feroce e crudele contro alcune persone. 
Persone come Donatella, così fragile, pronta ad amare chiunque le mostri un po' di attenzione. Una che si racconta la storia del padre tanto amorevole, quando è il contrario.  Ho visto questo film, con mia moglie, ben cinque volte al cinema. Più una tramite dvd. Sempre, rimango colpito da questo personaggio. La vedo e sento, vivo, come una sorella, un'amica, e in quel  sono nata triste"mi si spezza il cuore . Ti capisco e ti voglio tanto bene, Donatella.


Così arriviamo ai giorni nostri. Sono un uomo che vive decentemente la sua età. Non uno che va sempre alle superiori. Ma non sono nemmeno così matusa, come mi piacerebbe.  Anzi, aspetta: sono un uomo sposato. Perché questa cosa mi riempie di gioia e orgoglio: esser sposato, aver testimoniato col matrimonio, davanti a tutti, che io sono felice di appartenere a mia moglie. Che siamo una coppia.
Se fossi meno disastrino, se non rovinassi a volte le cose per mia manifesta cretineria, potrei anche vendervi la storia della coppia più felice del mondo. Lo siamo. Con alti e bassi, ma questo capita a tutti.
Vado in terapia, spesso penso che la mia dottoressa vorrebbe rammentarmi che la terapia non è il "Davide Viganò Show", ma lo spettacolo è avvincente. Così non mi dice nulla.
Abbiate pazienza: uscirà il dvd per Natale !

-Rebecca


Questa folle, incontrollabile, disastrosa stalker è l'ultimo dei personaggi femminili che vedo come se fosse mia sorella o una mia amica. 
Una sorella e amica che comprendo benissimo, visto che abbiamo delle cose in comune, e che vorrei aiutare e sostenere, perché merita di esser amata e felice. Questa cosa dell'esser amati, considerati, ricambiati, che nessuno mi/ci abbandoni, è un tema forte nel mondo tra commedia e musical del sottoscritto.  Per cui appena ho saputo che hanno fatto una serie con queste dinamiche: eccomi!
Ex Crazy Girlfriend è per me la migliore serie tv, per quanto riguarda le "commedie".
E in più hanno composto il mio inno, il modo in cui io vedo e vivo la relazione sentimentale con mia moglie e la mia idea di cosa sia l'amore

Ok, ho davvero concluso. Il potere del cinema e dei personaggi che mette in scena, è davvero forte. Talora uno sconosciuto riesce a capire chi sei e tu (ri)trovi parti di te o persone che, se fossero vere, sarebbero tuoi/ tue ottimi/e amici/che.

E voi? In quali personaggi vi rivedete o vi piacerebbe che fossero vostri amici nella vita reale?





martedì 28 novembre 2017

Riflessione Indisciplinata: La vita è cinema La vostra, di che genere è?

Felice di smentirti ancora, triste signora blu
non è la vita ad ispirare le canzoni come credi tu
son le canzoni che costringono la vita ad essere com'è
e come non è
E allora mi dirai "Perché si piange? Cosa si ricorda?"
che i sentimenti, a questo punto, i sentimenti
sono solo merda!
E invece no, guarda come ti posso far soffrire con una finzione,
senti qui che passione!

Quanto tempo della nostra esistenza passiamo a lamentarci della vita? Distratti da problemi inutili, uno su tutti: il buonismo, tralasciamo tutti quelli che non fanno altro che sottovalutare questo dono che è appunto la nostra vita.
Preciso: uno di quei doni che, appena possibile,  rifileresti ad altri. Però ormai hai aperto il pacco, gettato lo scontrino, cerca di farci qualcosa con quello che hai!
In fin dei conti essa è composta perlopiù dai nostri desideri, speranze, obiettivi, e.. Ah, si! Anche tristezze, sconfitte, lavori che facciamo domandandoci: "Perché?" O relazioni precarie e sbagliate.
Ci abituiamo ad essa, e la subiamo.
Ti incarognisci, spegni ogni immaginazione e ti metti in fila, insieme agli altri piccoli uomini, disperati e nudi. Perché non siamo più capaci di emozionarsi, reinventare una giornata, avere dei piccoli e sgangherati ideali.
Oppure non riusciamo nemmeno ad esser così asociali,  da inventarsi un mondo proprio dove vivere. Un mondo che a ben vedere sembra un film!
Da quando nasci a quando muori la società del benessere e del capitale sbarazzino, pensa a te. Cosa vuoi leggere e cosa non vuoi, quale opere d'arte ti piacciono e quali no.
Che lavoro fare, quale posizione sociale conquistare, quali e quanti oggetti sono indispensabili affiché tu possa sentirti "protagonista del tuo tempo".
Anche questo modo alienante di dominar le nostre vite, se ci pensi , è molto legato al cinema.
Cosa facciamo noi in una sala al buio? Guardiamo una storia. Comodamente seduti, non dobbiamo fare altro che farci prender per mano, dai personaggi e dalla macchina-cinema, e goderci lo spettacolo.
La nostra vita, è come quella degli spettatori al cinema. La passiamo a  guardare.
Questo tema è antico, tanto che nella Parigi del 1800, era una tesi tmolto cara al poeta Charles Baudelaire. Il quale riteneva che in un'epoca di grande sviluppo tecnologico e di senso del meraviglioso, le città fossero diventate centri di svaghi, spettacoli,  tali da rendere l'esistenza umana al pari di un'esperienza cinematografica.  Le vetrine dei negozi, le luminarie, i piccoli universi di persone dentro ai bar, portano alla luce un nuovo modello umano: l'uomo che guarda. Egli è affascinato da tutti questi colori e novità tecnologiche, tanto da restare ammaliato ad osservarle senza alcuna partecipazione pratica. Questa nuova società e nuove città, devono tanto anche alla nascita del cinema.  Proprio grazie ad esso che si rafforza la distinzione tra chi guarda e il soggetto ammirato. Questo metodo verrà riprodotto anche una volta usciti fuori dalla sala, nei confronti dei luoghi in cui gli uomini comprano oggetti o quelli in cui vivono la loro esistenza
Per questo, più che pecore, noi siamo spettatori: di vite altrui, di tragedie e gioie, morte e vita.
Ci limitiamo a guardare, bombardati da immagini ed emozioni pianificate, ammaestrate, passive.

Io invece penso che noi siamo il film trasmesso sul telo. Siamo la storia che commuove, fa indignare, ridere. Siamo parole e immagini in movimento, attori candidati a tutti i più ambiti premi in circolazione
La nostra vita è un film e noi siamo Spettatori Indisciplinati che non stanno fermi a subire le immagini e ad applaudire a comando.

Proprio perché, andando contro alla cultura di passività sociale che impera nei nostri tempi, siamo gli unici e soli registi/sceneggiatori/attori, di questa roba chiamata vita. La quale non sarà molto ma nemmeno la butterei nel cesso
Basterebbe essere un po' curiosi, non creder che gli altri- questi fantomatici nemici senza forma e sostanza, ma tanto presenti nei nostri deliri- siano noiosi, scialbi, come in fin dei conti è quello che pensiamo di noi stessi.
Ogni essere umano è importante perché è un potenziale film. Hanno storie allegre, tristi, chi punta tutto sul melodramma sfrenato, chi sul "trattenuto". Abbiamo vite in Panavision e Technicolor, oppure traballanti e dal ritmo ansiogeno, come se fossero girate colla mdp a mano.
C'è la commedia romantica e quella più demenziale, i grandi drammi borghesi sul tema dell'esistenza, quasi tutti pensano di vivere in un porno, ma non è così!

Immaginare alla propria vita come a un film, significa non accettare il ruolo - imposto e doveroso- di essere uno spettatore. Vuol dire scegliersi la propria sceneggiatura, il proprio stile di regia.
Questo non significa che debbano esser tutte delle opere indimenticabili. No, alcune sono mediocri, sciatte.  Troppo commerciali e stereotipate, o fin troppo marginali e indipendenti.
Ci sono i campioni di incassi, a volte meritati e a volte no, e i flop. Ecco, ho simpatia per questi ultimi, a un patto però: che siano enormi, clamorosi, flop.
La società e la vita stessa ci impongono ruoli da recitare e posti in cui dobbiamo rimanere. Perlomeno rendiamoli sempre più nostri, in questo il cinema è d'aiuto.
Certo, il cinema è anche quella forza che ci tiene inchiodati alla sedia :passivi. Ma in fin dei conti è pur sempre possibile passare dall'altra parte dello schermo, no?
Quanti sono le opere che riflettono su questo tema? Da Pleasantiville a Last Action Hero, a La Rosa Purpurea del Cairo?
Perché il legame tra le immagini di vite inventate e quelle che viviamo in prima persona è molto stretto e fragile.
L'arte condiziona la nostra vita. La plasma, la rielabora, ci dona i mezzi per spezzare le catene del grigiore quotidiano, di una realtà passiva-aggressiva, la quale ci offre solo piatte esistenze, apparentemente lisce, piegate a subire tempi e ritmi di produzione, apatia, delusione, fughe verso vizi di seconda mano, scontati e banali.
Pensare di essere il regista/attore/protagonista di un vostro film, un vostro capolavoro che viene trasmesso tutti i giorni, per tanto tempo; potrebbe essere il modo migliore per non lasciarsi travolgere dal malessere sottile che è alla base di troppe esistenze.

Io, per esempio, quando mi sento particolarmente giù di morale, penso di essere il protagonista di una commedia musicale.
Sì, la mia vita è una specie di musical unita alla commedia "alleniana"   Un uomo incasinato, un disastrino occhialuto, megalomane e pigro,  eterno vecchio bambino. Uno che crede nel potere del musical, e le sue disavventure che traggono ispirazione da Allen, Baumbach, un pizzico di Ben Stller
In poche parole la vita di uno che ha problemi col proprio ego, le relazioni cogli altri, l'affettività e che - come i migliori maniaci dello schermo- ha un'assurda, immotivata,  ottusa, voglia di vivere.
Cosa che lo porta ad esaltare, enfatizzare, ogni situazione che lui reputa fonte di gioia.
Ed è il momento del musical

Questa sarebbe la mia vita se fosse un film. E a immaginarla, devo dire: mi piace parecchio

venerdì 24 novembre 2017

Riflessione indisciplinata: cosa è il week end? Il cinema e il fine settimana

Il fine settimana , è il traguardo tanto agognato e sospirato da masse di lavoratori di tutto il mondo.  Due giorni di riposo, pace, tranquillità. Già il pensiero mette di ottimo umore, non trovate?
Ci ricorda che siamo esseri umani, non dei fottuti robot,  e come tali abbiamo una nostra vita fatta di allegre scampagnate fuori città,  lunghissime dormite, alcuni fanno scoperte eccezionali, tipo: "Ehi, quella strana presenza che avverto in casa...E' mia moglie!"
Insomma, in un mondo che ha perso il gusto del sacro, il fine settimana, è forse l'unica cosa davvero sacra che abbiamo.

Abbiamo? Scusa, o adorabile scrittore occhialuto, ma mi vuoi spiegare a chi ti riferisci? Li vedi i centri commerciali, ristoranti, negozi? Ok, tu dici: " Ma quelli hanno fatto delle scelte!" Certo, ma quelli, per caso, non sono anche loro esseri umani? Naturalmente, infatti io difendo l'idea che la domenica i centri commerciali possano rimanere chiusi.  Per far la spesa ti organizzi,  è solo questione di abitudine.
Perché non ci sono più né lavoratori, né cittadini, ma bambini viziati e capricciosi, noti col nome in codice di: Clienti.
D'altronde un sistema tanto opprimente e repressivo, classista- ma nel senso errato: di classe dominante che schiaccia quelle meno abbienti- il lavoratore è una sorta di automa che deve solo obbedire e ringraziare i datori di lavoro ( che c'è la fila fuori per far sto lavoro di merda)
Essere sempre disponibili Questa è la regola. Avrete letto che in Germania si è messa in discussione la giornata lavorativa di otto ore, no? Pare che, almeno così si mormora, i lavoratori e aziende avessero il cattivo vizio di non portar a casa, con essi, il lavoro, dopo le ore dedicate ad esso in ufficio
Il fine settimana, come ho scritto sopra, era sacro. Lo dedicavi alla famiglia, a te stesso, a non far un cazzo, che è sempre la cosa migliore.
Ora invece cinque coglion..ehm, saggi, hanno pensato che i nostri tempi tecnologici, non sanno che farsene di tanto tempo sprecato a non produrre.
Produrre cosa? Rotture di palle per i dipendenti e tante idee sciocche da parte dei capi
Ricordatelo:" Non sarai mai un ottimo capo, se non hai idee sciocche da offrire ai tuoi sottoposti"

Per cui il fine settimana è diventato questo: l'ufficio delocalizzato, tutto qui.

Ecco la domanda delle domande: Cosa è il week end? Se lo chiede l'adorabile e accomodante, Cugina Violet, ma la domanda è assolutamente attuale e importante ancora oggi.
Visto che su google ho trovato pure chi, di professione, fa il " week end planner. Vorrei sapere che pianifica e per  chi ! Sicuramente non per le masse di lavoratori costretti alla reperibilità continua.
Io e mia moglie facciamo parte dei fortunati che possono ancora godersi il fine settimana. E credetemi vuol dire tanto
Perché hai tempo per riposare, pensare alla coppia, pianificare lavori, vedere film, far un giro in città o partire per un piccolo viaggio
Sono solo due giorni, ma ci rammentano che  NON siamo  il lavoro che facciamo, ma tutto il resto.
Per quanto mi riguarda ho sempre lavorato nei week end, e devo dire che il giorno di riposo in settimana, è quanto di più deprimente ti possa capitare. Sopratutto se vivi in Brianza.
"Sono tempi moderni, ormai si vive così, bisogna accettarlo, è il progresso"Già la sento la voce di quelli che "ci stanno troppo dentro" e per cui ogni pensiero altro e oltre è roba da populisti ( la scusa con cui schiacciare ogni protesta).
Vero, avete ragione voi. Poi, da vecchi, quando sarete sul punto di morire, vi verrà in mente che l'azienda, il tempo da sacrificare per il lavoro, non vi hanno dato nulla. Lascerete dei soldi che non avete avuto tempo di spendere, rimandando a data da destinarsi ogni momento dedicato ai vostri desideri.
Fino a quando vi accorgerete di non aver più desideri Però, cazzo, appena chiama il capo: taaac! Presente.
Forse è per questo che anche al cinema vanno di moda dei giocattoloni senza arte né parte, senza guizzi di fantasia, pathos, sono fatti per voi.
Voi che vi considerate dei super eroi perché siete sempre sul pezzo, sempre pronti ad obbedire o comandare. 

Io ricordo tempi migliori.  Tempi in cui ti accorgevi di vivere, di aver sogni e ambizioni, o più semplicemente: la gioia di aver qualcuno. Una donna, un figlio, una famiglia. Passare tempo con loro. Pure litigare e rovinarsi gli unici giorni di riposo, ma era sempre comunicare.
Sopratutto era tempo per il cinema, in sala o a casa, ed era dolce per me naufragare in quel mare.

Proprio per questo, ho deciso di mettere quelli che reputo i film più divertenti o inquietanti sul tema del week end. Quelli che per un motivo o l'altro mi son piaciuti. Sopratutto quelli che ricordo. Sapete la mente a un certo punto gioca brutti scherzi e non si ricorda quasi più nulla. Beata dimenticanza aka smemoratezza
E voi? Quale è il vostro rapporto col fine settimana? Mi auguro protetto o platonico, che di questi tempi.. E quali sono i film ambientati nel fine settimana, che rammentate con piacere?

Ecco i miei magnifici tre

- Un Tranquillo Week- End di Paura di J. Boorman


Un classico che raccomando per chi, novello ragionier Filini, abbia il pallino di organizzare belle gite fuori porta.
Qui il link a una mia vecchia recensione, urge un remake di essa!



- Week End con il morto di T. Kotcheff
Hai presente un film scemo, brutto, insulso, ma che - per mille ragioni- hai visto e rivisto tante volte? Ecco, per me questo è : Week End con il morto. Una pellicola assolutamente imbarazzante, che si trascina stancamente verso il finale, ma che mi fa ridere tantissimo. Almeno quando avevo venti anni, ma ero già un buonista radical chic eh!  Esiste anche un secondo capitolo, ma non l'ho mai visto


- Il Gioco di Gerald di M Flanegan
Il 2017 è stato un po' l'anno di Stephen King.  Dal tanto atteso e pubblicizzato It, fino a due opere uscite direttamente per netflix, che mi hanno conquistato totalmente.
Parlo di: 1922 e Il Gioco di Gerald
Questa ultima pellicola in modo particolare, riesce con pochi mezzi e tantissimo ottimo mestiere a render mozzafiato, avvincente, inquietante, e , ma si dai: disturbante, una storia assai complicata da portare sullo schermo.
Mike Flanegan si mostra un vero e proprio autore del genere horror. Uno capace di gestire le dinamiche, i temi, le regole di ogni etichetta legato al genere. Ci riesce benissimo anche in questa pellicola, che fa passar la voglia di eccitanti week end isolati  ^_^


mercoledì 22 novembre 2017

BOOMSTICK AWARD 2017

Ora possiamo bem dire che dei premi non ce ne frega nulla, che noi siamo indipendenti e marginali e tutte queste cose commerciali, ma chi se ne fotte! Questi sono i discorsi dei perdenti. E non quelli che piacciono a me: romantici, nobili, colla coscienza immacolata.
No, questo è il pensiero di chi non venendo considerato per mancanza di mezzi propri decide di prendersela con tutto il mondo.
A me fa piacere quando il mio diario pubblico sul cinema, riceve qualche premio. Fosse anche il Premio Osmannoro International.
Non faccio di essi lo scopo principale della mia vita, tanto meno di questo bellissimo blog assolutamente personale, su cui scrivo quando sento il bisogno di scrivere.
In ogni caso Francesca  mi ha assegnato questo premio molto importante nel magico universo dei bloggers. Sono contento per le parole che lei ha speso e mi par giusto segnalare quelli che sono i blog che leggo con più o meno frequenza.

Ecco le regole


1 – i premiati sono 7. Non uno di più, non uno di meno. Non sono previste menzioni d’onore
2 – i post con cui viene presentato il premio non devono contenere giustificazioni di sorta da parte del premiante riservate agli esclusi a mo’ di consolazione
3 – i premi vanno motivati. Non occorre una tesi di laurea. È sufficiente addurre un pretesto, o più di uno, se ne avete
4 – è vietato riscrivere le regole. Dovete limitarvi a copiarle, così come io (Germano) le ho concepite

Io ho scelto codesti blog
Il cinema è rito collettivo. Contro la figura del blogger singolo, individualista, leggete e fate leggere il miglior blog di cinema d'Italia e non solo
Non concordo sempre cole recensioni di Sauro, ma è un blog davvero ben fatto. Rubriche interessanti e una visione ben precisa del cinema.  Oltretutto è scritto molto bene
La Finestra di Hopper è quel blog/sito che fa la differenza col resto del mondo. Grazie all'intelligenza e sensibilità della sua autrice: Francesca. Non solo cinema, ma tante riflessioni interessanti. Oh, leggetelo e basta!
Fra gli scrittori di genere ci sono i ragazzini, anche se hanno cinquanta e passa anni, con i loro racconti che scimmiottano la moda del momento e il cattivismo da happy hour, e ci sono gli uomini. I Signor Scrittori.
Fabrizio fa parte di questa categoria. Taccuino è uno di quei blog che devono esser letti e conosciuti!
Perché è stato uno dei primi blog di cinema che ho seguito e letto con interesse.
Perché Lucia mette talmente tanta passione nelle cose che scrive, che anche quando non son per nulla concorde, mi appassiona a quello che scrive e mi fa anche riflettere sopra. In più, grazie a questo blog ho conosciuto mia moglie! Per cui mi è impossibile non metterlo
Perché mi diverte, ma non ha l'angoscia di essere divertente e particolare a tutti i costi.  Il dono dell'ironia è spontaneo e piacevole. 

Vabbè abbiamo finito! Ciao e alla prossima.

martedì 21 novembre 2017

PADDINGTON 2 di PAUL KING

A volte si avverte il bisogno di tornare un po' bambini. Non tanto per aver di nuovo sei anni, no! Dio ce ne scampi! Io a quell'età andavo a scuola e la mia maestra era di una severità..Ok, non sono qui per scrivere la mia vita! Voglio dire: arrivati a una certa età tutti pretendono che tu sia adulto e ti comporti come tale. Niente di male, ma esser adulti per molti significa non stupirsi più, o commuoversi, o gioire per un piccolo film.
Un piccolo film dove la maraviglia è di casa in ogni inquadratura. Certo, la parte adulta avrà da ridire, ma lasciamola a far i conti, pagare le bollette, cercare di essere un tossico all'ultimo stadio in fatto di " mission" da concludere per la propria azienda.
I bambini e gli orsi parlanti, col cazzo che hanno di questi problemi! A loro è permesso ancora credere in qualcosa di buono; anche di magico.
A loro è permessa una purezza assoluta nello sguardo e nel cuore. Bastano a volte solo queste cose per far un ottimo film dedicato a tutti i bambini
Anche quelli un po' cresciuti

Il film comincia raccontandoci dell'incontro tra Paddington e sua zia " Lucy"  Lei lo salva dal pericolo di annegamento, poiché il cucciolo è attaccato a un ramo di albero in balìa delle correnti di un fiume nei pressi di una cascata.
Questo gesto instaura un rapporto profondissimo fra i due orsi. La pellicola, in sostanza, parla di questo
Paddington ora vive in quel di Londra. Ha trovato una famiglia che lo ama e lui ricambia totalmente questo sentimento. L'orsetto è ben voluto da tutti i vicini,  a parte uno.
I problemi per il nostro eroe cominciano quando decide di comprare un pop-up book dedicato a Londra , per spedirlo a sua zia Lucy.
Quel libro infatti nasconde la mappa di un ricco tesoro e fa gola a un ex stella del teatro, ormai finito a recitare in ridicoli spot pubblicitari.
A causa di questo vil fellone, Paddington finisce nei guai.

La sua nuova famiglia però non l'abbandona e farà di tutto per smascherare il vero colpevole. Nel frattempo, contro ogni previsione, l'orsetto in carcere trova nuovi amici ed è ben voluto da tutti.
In fin dei conti, cosa vuol insegnarci questo film per bambini? Che le persone buone, le quali fan del bene per il piacere di farlo, senza pretendere nulla, se non amicizia e affetto, riusciranno sempre ad aver la meglio su qualsiasi situazione brutta capiti a loro. Non esiste un luogo che sia talmente brutto, da non avere o trattenere in sé del buono.
Ai piccoli insegna che i detenuti sono esseri umani, bisognosi anche loro di sognare o esser amati. Di aver amici e ritornare un po' innocenti.
Certo, so già cosa direte: " Ma la vita è durissima! I buoni sono i primi ad essere eliminati!"Sì? Ok, allora tenete questo mondo e lo schifo che ne deriva.
La forza assoluta del cinema sta nel suo sovvertire la realtà. Anche attraverso un linguaggio antico, ma sempre utile, che è quello della fiaba.
Ci insegnano a esser cinici , a credere che ogni manifestazione di bontà sia ipocrita, facciamo battaglie ridicole contro falsi nemici come il "buonismo"
Perché questo per molti vuol dire essere adulti: dei pirla.
Io credo invece che film come Paddington 2 facciano solo bene agli spettatori. Coscienti di vedere una fiaba, di assistere a uno spettacolo con intenti anche morali, ma per piccini.
Il cinema può aiutare i bambini a comprendere i sentimenti, a far lavorare l'immaginazione e sviluppare la fantasia
Per questo vi invito a riscoprire anche il libro da cui è tratto il film: Paddington di Micheal Bond.
L'ho letto due anni fa. Un piccolo, meraviglioso classico, che Paul King ha saputo portare sullo schermo, rielaborando e inventando molte situazioni, ma tenendo intatto e riconoscibile lo spirito alla base dell'operazione letteraria.
In Inghilterra "Paddington" è un classico
Non so quanto sia noto e famoso da noi, ma avvicinandosi Natale, direi che sarebbe un regalo davvero ottimo per i piccini.
Libro e dvd del primo film, poi di corsa a veder questo alto gioiellino
Si, un gioiellino: per la recitazione divertita e divertente di tutto il cast, in particolare un ottimo e strepitoso  Hugh Grant, nel ruolo del villain.  Questo personaggio è una garbata presa in giro dei vecchi attori tromboni, in bilico tra buffoneria ed egocentrismo sfrenato.
Grant ha le giuste doti di auto ironia ed ironia, ed è perfetto nel ruolo. Un giorno dovrò scrivere un lungo post di auto critica su costui.
Il resto del cast è funzionale alla trama e alle esigenze del film, ma sono tutti impeccabili. A me sta particolarmente a cuore Hugh Boneville per il fatto che sono un grande fan di Downton Abbey.
Quello che stupisce, a mio avviso, è l'uso della tecnologia, della c.g.i per dar vita all'orsetto.
Una vera meraviglia per gli occhi, quello che son riusciti a fare anche in questo film. Paddington sembra vero: le sue espressioni, i dettagli anatomici, come si incastra a perfezione nelle scene con attori in carne ed ossa. Dovrebbero insegnare come si usa bene la c.g.i al buon Muschietti, visto che in It è particolarmente mal fatta.
In poche parole: un ottimo seguito, forse anche meglio del pur brillante capitolo uno. Opera che saprà deliziare gli adulti che san tenere in sé ancora un briciolo di meraviglia per le fiabe, un po' di cuore puro e resistenza al cattivismo un tanto al chilo che domina la nostra società
A volte è davvero utile tornare bambini





venerdì 17 novembre 2017

DOWNTON ABBEY

Risulta pressoché impossibile scrivere un "articolo" per un blog di cinema,  dedicato a una serie tv così piena di personaggi e fatti.
Tanto che già una volta riposi nel cassetto delle cose che dovevo fare o dire, ed invece ho abbandonato all'oblio,  l'idea di scrivere su di essa
Rivedere dal principio tutta la serie, mi ha dato la forza per riprendere in mano il progetto. Dopotutto questo è il blog di un appassionato spettatore di cinema, non di un raffinatissimo studioso, per cui possiamo procedere senza l'ansia accademica di dover scrivere cose profonde, intelligenti, documentate al 100%.
Sì, come sempre ha trionfato il mio motto: Caa me ne fotte (in realtà ripreso da Ciro dei The Jackel)

Downton Abbey basa gran parte del suo interesse nella costruzione della storia. Il lavoro di scrittura è molto forte e preciso sia sper quanto riguarda le  ambientazioni storiche e sociali del periodo in cui è ambientato, sia nell'evoluzione dei personaggi lungo tutte le stagioni. Non mancano nemmeno sapienti colpi di scena, in particolare nella terza stagione, dove scompaiono due personaggi fondamentali.  Proprio come nella vita vera c'è un continuo via e vai di uomini e donne, ma ognuna, anche se appare per pochi episodi e solo in una stagione, pensiamo ad esempio al signor Lang , valletto che sostituisce per poco lo storico aiutante del conte, parlo di quel bellissimo personaggio che è Bates, rimane impresso per bene nella nostra memoria.
Lang, ad esempio è il simbolo degli orrori della guerra, dei traumi, non possiamo che provar pena per lui, proprio mentre si celebra il glorioso sacrificio di una generazione di giovani e proletari.
Perché l'astuzia e furbizia in sede di sceneggiatura sta proprio  nel miscelare bene la Storia, colla fiaba malinconica e romantica di una famiglia di nobili dello Yorkshire, che si ritrovano a vivere un passaggio storico, il quale prevede grandi cambiamenti per la classe aristocratica, mentre - purtroppo- si fa largo quella dei borghesi. Che sciagura! Vero Cugina Violet ?
Artefice del successo di questa serie, per me sono due elementi essenziali per ogni film, serie, rappresentazione teatrale: "sceneggiatura" e cast.
Concentrandoci sul primo elemento, quello dello script, dobbiamo rendere onore al creatore della serie:  Julian Fellowes.
Attore, scrittore, sceneggiatore, premio Oscar nel 2002 per la sceneggiatura di quel capolavoro che è  Gosford Park,  si è occupato anche di scrivere per il cinema opere come  Il falò delle vanità, Young Victoria, la serie di Downton Abbey e del Titanic, facciamo finta che The Tourist l'abbia firmato il suo maldestro cugino, attualmente al cinema vi è un'altra sua opera: Mistero a Croocked House.
Nato a Il Cairo,  il 17 agosto 1949, ha natali nobili, essendo Barone Fellowes di West Stafford.
Questo titolo gli è servito per trovare la dimora adatta dove ambientare la serie, visto che è amico di lunga data della famiglia proprietaria.
Inizialmente costui era stato contattato per portare sul piccolo schermo il suo celebre romanzo: Snob,  opera in cui si diverte a svelare e prender in giro i rituali della nobiltà, o di quello che rimane, durante il periodo che va dalla Thatcher a Blair, almeno questo mi è parso di comprendere, cercando notizie in giro.
Poi si è deciso di far altro: una nuova storia che prenda in considerazione il periodo che va dal naufragio del Titanic fino a metà anni 20.
Diciamo che ha avuto una buona idea!
La serie infatti si apre colla notizia del tragico naufragio del Titanic, a bordo del quale vi era il promesso marito della prima figlia del conte Robert e di sua moglie, la ricca americana Cora, l'accomodante e sempre serena : Mary ( scherzo ovviamente).
Tutta la serie si basa su questo cercare marito, poi lo trovi, poi lo perdi, poi arrivano degli spasimanti per allungare il brodo, poi toh va sposati questo e abbiamo finito. A mio avviso, per quanto basilare e fondamentale per la serie stessa, tutta questa parte non è molto interessante.
Le parti interessanti sono i dialoghi, i personaggi, mischiare elementi di romanzo popolare, le disavventure dei miei amatissimi Anna e Mr Bates colla prigionia di lui, la violenza che a un certo punto subisce lei, e il trionfo dell'amore, echi di nostalgica narrazione vittoriana,  e una visione politica ben precisa: mantenere equilibrio tra tradizione e progresso, accettazione di certi diritti individuali, le figlie sono portate a confrontarsi colla società, ma la più piccola, la nostra amatissima Sybil, unica ad avere un'idea forte di adesione allo sviluppo sociale del popolo, tanto da aiutare una cameriera a diventare segretaria e sposare l'autista socialista e irlandese, Tom, andando contro alla famiglia, pagherà colla vita. Mentre le altre due vivranno grandi drammi, rimanendo a metà strada tra mondo moderno, occuparsi dell'amministrazione della terra o dirigere una rivista femminile, e appartenenza all'aristocrazia. Forse dalla quarta stagione in avanti vi è un tentativo rafforzato di mostrare i benefici della borghesia coi suoi diritti civili un tanto al chilo, e persino una piccola incursione nel mondo jazz, che mi par davvero messa lì un po' a caso
Non dimentichiamoci che parliamo di una serie assolutamente Liberal-Conservatrice, lo si nota nell'evoluzione del personaggio di Tom, autista di idee socialiste, ma queste idee rimangono espresse più a parole che manifestate realmente, o della lunga presenza dei "poveri rifugiati russi" cioè quelle mer..quelle persone, nobili parassitari che avevano sostenuto le truppe zariste e le potenze nemiche durante la guerra civile dopo la Rivoluzione.
Da questo punto di vista è un frullato dove ci capita dentro di tutto e di più.
Sbagliamo, però, se la giudichiamo da un punto di vista storico e politico.
E qui dobbiamo ripetere quanto detto all'inizio

Dwonton Abbey è una fiaba che narra la fine di un'epoca, avendo cura di evidenziare le storie, ora tragiche ora buffe, ora commoventi, dei suoi personahggi


Che siano simbolici come i nostri amati, da me e mia moglie, Anna e Bates, i quali per tutta la serie dovranno vedersela colla cattiveria del fetente Thomas, e con svariate disavventure, molto pesanti. Però la loro forza, unione, serve, per un messaggio preciso e forte: l'amore può e deve superare le difficoltà della vita, Anna non è "troppo buona", ma è una donna forte anche senza manifestarlo attraverso le classiche cretinate borghesi, perché si fa forza grazie all'amore che prova per il suo uomo e viceversa, perché la stessa cosa vale anche per lui. Ci ricordano che pur essendo dei "servi", sono persone in carne ed ossa, ma anche personaggi che riprendono le regole dei romanzi più popolari e di consumo.
Il filo conduttore della bontà che viene premiata, è evidente sopratutto nella descrizione della classe lavoratrice al servizio dei nobili. Basti pensare a un altro personaggio cristallino, limpido, vittima anche lui di circostanze non proprio favorevoli, ma che alla fine riuscirà a conquistare un posto degno di nota: parlo di Mosley


Da valletto/ maggiordomo del futuro erede di casa  Crawley , a disoccupato dopo la morte del suo padrone, fino a una lenta risalita, che lo vedrà alla fine realizzare il suo sogno.
Costui è un po' l'anima buffa della serie, si ubriaca durante un ricevimento dandosi a sfrenate danze, si tinge malamente i capelli di nero, un uomo buono nel senso più alto e nobile del termine.

Funzionale al discorso tanto caro al creatore di Downton Abbey: puoi essere un servitore, ma se ti impegni potrai dar una svolta alla tua vita. Un discorso morale e paternalista, tanto caro ai liberali e estremizzato dagli americani, ben presente durante tutte le stagioni. Ma non dimentichiamo, mette nero su bianco le righe scritte in piccolissimo nel contratto, che tutto quello ottenuto, è si frutto del vostro impegno, ma è voluto e accettato dal buon Conte Robert e famiglia. Per cui bravi proletari, ma ringraziate sopratutto i padroni che ve lo consentono
Questo elemento è chiaramente indulgente e frutto di fantasia, la vita dei domestici non è esattamente quella vista in questa, peraltro, bellissima serie.

Perché essendo romanzo, fiaba, quasi - cito l'amico  Fausto di Cinefatti- una soap opera, visto gli intrighi di cuore di Mary e di Edith, colle disavventure segnate dalla morte degli amati, figli da nascondere per evitare lo scandalo, e  tutte quelle cose che servono per un racconto di massa; questa magnifica serie punta a commuovere, far partecipare emotivamente, lo spettatore.
La morte di alcuni personaggi che abbiamo tanto amato, riesplode ogni volta che ci capita di rivederle, anche se sappiamo benissimo cosa accadrà. Eppure è un durissimo colpo.
L'emozione per personaggi come Anna, Mosley, o Daisy, che sfidano la sorte per costruirsi una vita, così ben definiti da ritenerli quasi dei parenti o amici.

Sopratutto Downton Abbey, è un fiume in piena che trascina con sé la storia, la letteratura alta e bassa, la bellezza dei vestiti e quindi l'omaggio all'eleganza, la nostalgia di un tempo forse mai davvero esistito.
Downton sono le maniere e manie dell'indimenticabile maggiordomo  Carson, uomo dal passato di guitto teatrale, che dopo una delusione sentimentale decide di irrigidirsi nel ruolo impeccabile del maggiordomo.
Fino a una svolta sentimentale e un'uscita di scena che celebra, nell'ultima puntata, la fine totale di un mondo e l'inizio di un altro, peraltro nelle mani di un personaggio che detesto ma che evidentemente andava premiato!
Sono tantissimi i personaggi, le cose da scrivere e dire su questa magnifica serie. Davvero troppe. Potreste aggiungere voi qualcosa nei commenti, ne sarei felice, davvero!
Rimane il fatto che una serie di questo tipo segna il netto miglioramento avvenuto in questi ultimi tempi, per quanto riguarda il mondo delle serie televisive. Le quali, mi par banale scriverlo ma io sono banale per cui lo scrivo, non saranno mai il Cinema, o la nuova strada di esso, però hanno fatto un enorme balzo in avanti sotto tutti i punti di vista e questo va premiato!

Detto questo salutiamo i padroni di casa il fantastico conte Robert e consorte, Cora.
E torniamo alle nostre vite precarie, piccolo borghesi, ma ricche d'amore e travagli, come quelle dei personaggi di questa serie

Un saluto in particolare alla bellissima Iside <3 p="">

mercoledì 15 novembre 2017

Il cinema che lavora: film e fabbrica

Di seguito condivido l'articolo che scrissi per la rivista online Il Becco. L'argomento affrontato è come il cinema abbia/ sia riuscito a rappresentare la classe operaia nel tempo. Quale e quanto interesse per i cambiamenti, spesso in negativo, che hanno subito i lavoratori.

Vi auguro buona lettura e vi consiglio di seguire la rivista www.ilbecco.it


Il cinema nasce come intrattenimento popolare. Uno spettacolo buono per bambini, plebaglia varia e buon ultime le donne. Oramai tutti sono a conoscenza della storia, secondo la quale, persino il padre dei fratelli Lumière non credesse affatto nella longevità della creazione ad opera dei suoi due figlioli. Questa storia però si è subito scontrata colla voglia di “narrare” storie per il pubblico, diventando di fatto la grande industria di sogni, illusioni, fantasia al potere, che ogni cinefilo o spettatore indisciplinato ama tanto.


Il legame che lo unisce alla letteratura è molto semplice e diretto: avendo bisogno di tante storie, si preferiva prenderle dai libri e adattarli al nuovo linguaggio, legato in modo particolare all’immagine e alla visione. Per cui esso nasce come mezzo di intrattenimento, una forma nuova di spettacolo da fiera. Nondimeno, il mezzo è talmente affascinante e ricco di possibilità che non mancherà molto per far in modo che alcuni pionieri decidano di sfruttare il cinema per parlare anche di altro e andare un po’ oltre. In particolare gli anni dal 10 al 20 sono per me molto fecondi, in questo periodo ci sono alcune opere sovietiche di grande impatto visivo e istruttive dal punto di vista politico Questo nuovo cinema di propaganda politica e analisi dei conflitti economici e sociali, mostra a tutti come far film sia anche un discorso di divulgazione del pensiero critico, di analisi della società, di fiera appartenenza a un’idea. Per cui nei film di Boris Barnet o altri grandi autori sovietici è il Popolo ad entrare in scena, a prender drammaticamente la “parola”, prima attraverso le didascalie poi col sonoro a piena voce. Per cui il cinema ha da sempre avuto questa doppia faccia: un grande spettacolo che nasce come prodotto all’interno di una forte industria e come mezzo di propaganda politica, analisi delle contraddizioni, difficoltà, conflitti nella società. Io penso che non sia una divisione vera e propria: leggi del mercato, linguaggio e grammatica cinematografica, possono anche esser le stesse, in alcuni casi; cambia la risposta alla domanda: “Cosa è il cinema?”. Domanda, che più passano gli anni, più mi viene difficile dar una risposta netta e precisa.
Ora: se un certo cinema comincia già, seppur in modo approssimativo e legato a una visione sottoposta al furore, giusto e nobile, dell’ideologia, a metter in scena il popolo, ci dovremmo chiedere: “Cosa contraddistingue una donna del proletariato, rispetto alle romantiche eroine dei romanzi rosa? Cosa un uomo del popolo da un cavaliere senza macchia e paura?” La risposta è semplice: il lavoro. Mentre nel cinema d’intrattenimento popolare esso è solo un elemento in più che arricchisce la personalità del personaggio, nel cinema popolar-politico esso è il personaggio in modo diretto e prepotente. Perché il lavoro, la fatica, l’alienazione in un tempio della produzione, profitto, a discapito della vita che marcisce in quelle mura, unisce gli spettatori dei ceti meno abbienti. Si vedono sullo schermo, comprendono le dinamiche alla base del loro esser sfruttati, cosa che magari non potrebbe accadere se dovessimo inseguirli brandendo una copia de Il Capitale, di Marx. Non è questa la sede per parlare in modo più approfondito della presenza operaia nel mondo della celluloide, cosa che mi riprometto di approfondire meglio in altri articoli. Qui mi preme, e sicuramente questo spunto verrà ampliato e aggiustato col passar del tempo, della sua presenza- quella del lavoratore salariato rinchiuso in una fabbrica- nel cinema italiano. Cioè cosa abbiamo capito del lavoro a cottimo o alla catena montaggio, grazie a quello che abbiamo potuto veder al cinema? Si può descrivere la vita vera di un operaio, al di là di un documentario ma usando proprio il mezzo cinematografico? Per cui anche la finzione scenica?
La risposta è : “Sì”. Il cinema può far e rappresentare tutto. Anche quando è documentario, in realtà segue una sua “finzione” che è l’idea alla base del progetto. Inoltre, pregio di non poco conto, i film formulano interessanti analisi sociali, che spesso sfuggono nell’eterno presente, nel “localismo” del qui e ora di molte sacrosante rivendicazioni. Per questo sfioreremo, lasciando spazio alla vostra curiosità di spettatori indisciplinati, alcuni film e l’impatto che si può ipotizzare sulla società e viceversa.
Certo l’operaio comparve come protagonista assoluto in quel capolavoro che è Ladri di Biciclette. Il paese distrutto e da ricostruire, la solitudine del lavoratore, il lavoro precario nel senso che le fabbriche sono da ricostruire, deve ricominciare tutto. Anni dopo sarebbe scoppiata la più grande e discussa Contestazione contro il potere economico-politico in mano alla Dc e ai capitalisti italiani. Da noi il padrone, spesso è una sorta di padre-padrone: durissimo, arrogante, prepotente, e in taluni casi ruffiano dei suoi sottoposti, che almeno in quel modo non si iscrivono al sindacato. Nondimeno dopo un decennio e passa di sconfitte e immobilismo, cogli anni Sessanta e un certo relativo benessere, anche la classe operaia, ormai urbanizzata e cittadina quasi del tutto, alza la voce e la testa. Trascinata dai giovani studenti, spesso figli ribelli di una borghesia incapace di comprendere i cambiamenti, come accade spesso. Sono gli anni dell’Autunno Caldo. Chi meglio di Leonardo “ Lulù” Massa, potrebbe rappresentarli?
“La Classe Operaia Va In Paradiso” di Elio Petri è un canto funebre grottesco, allucinato, amarissimo del conflitto portato avanti dalla nostra classe operaia. Non per niente scontentò parte della sinistra e dei militanti extraparlamentari, perché descrive in modo preciso e affilato il rapporto uomo- macchina sia all’interno della produzione che il suo prolungarsi nei rapporti al di fuori della fabbrica. Come se il lavoratore salariato appartenesse sempre al suo posto di lavoro, al suo padrone. Il cognome Massa punta a questo: alla spersonalizzazione, alla disumanizzazione del personaggio, sicuramente “umano, troppo umano”, ma vittima dei meccanismi di produzione, ai quali in un primo momento egli sente anche di appartenere, poiché grazie ad essi, per merito del lavoro a cottimo, ha l’illusione di far parte integrante del Miracolo Italiano. In realtà quel miracolo è costruito da uomini come lui, che prenderanno solo delle briciole concesse dal potere capitalista per tener a freno i sottoposti. Sono il frigo, la tv, la macchina. Il cinema coglie a pieno una parte esistente nel esser un lavoratore appartenente alla classe proletaria: il “machismo” stakanovista che porta lo sfruttato a lodare la sua fatica ripagata con poco, rappresentata da poche battute superbe di un indimenticabile Volontà. Mette in scena anche il conflitto eterno e masochista tra forze di sinistra organizzate e “inserite in una precisa realtà” e le divagazioni massimaliste di chi da fuori intellettualizza, crea tesi e teorie su un mondo che pretende di conoscere bene.
Visto in questa ottica, il film è attuale e moderno ancora oggi. Cambia il peso sociale del lavoratore nelle fabbriche, il suo spazio concreto nella prassi politica delle sinistre e dei tanti partiti e gruppi che in un modo e nell’altro si richiamano al comunismo. Cambia anche la figura del lavoratore, oggi non solo un operaio vive quelle esperienze di assoluta alienazione, di perdita della propria identità, ma tutto questo capita anche in alcuni lavori e mansioni prettamente impiegatizie o di rappresentanza, col peso della provvigione e di contratti farlocchi. Petri in un certo senso domina bene il conflitto reale tra l’indimenticabile Ugo Pirro, vicino ai movimenti, e Volontà più ortodosso e legato al Pci. In questo caso il cinema descrive a livelli altissimi e profondi il mondo del lavoro, la figura di un operaio-simbolo, ma mai astratto o idealizzato, e lo scontro autoreferenziale delle sinistre. Visto che siamo tutti cinefili, queste cose vengono spesso recitate nelle riunioni di partito dalle compagnie amatoriali delle minoranze o delle maggioranze. Per cui questa opera ha un forte impatto non solo per la sua visione del lavoro per nulla romantica e mitizzata, non solo per cogliere debolezze e splendori all’interno di una classe in quel tempo vista come rivoluzionaria a prescindere e fautrice di prossime rivolte, cosa vera perché a quei tempi i padroni temevano davvero una rivoluzione . Per quello con l’aiuto dei fascisti si colpì pesantemente il paese attraverso attentati e omicidi in piazza ad opera della sbirraglia. Il cinema-cinema, come diceva Leone, in questo caso diventa racconto immortale e apocalittico della nostra condizione di proletari, ai quali non rimane che impazzire per cercare una via di fuga, fino a quando fuggire diventerà impossibile.
Forse potremmo veder questo meraviglioso film, come opera troppo sofisticata per un pubblico delle classi meno abbienti, e infatti penso che sia opera di discussione per compagni politicizzati, con coscienza di classe. Per questo motivo credo che l’uscita nelle sale di “Romanzo Popolare”, abbia rappresentato un momento di reale narrazione operaia di assoluta veridicità e realismo ficcante. L’operaio interpretato da Tognazzi, Giulio Blasetti, è meno tormentato, teatrale, allucinato e allucinante del Leonardo Massa di Volontà, anche perché qui non si tratta di una riflessione politica- teorica, ma di rappresentare un pezzo di mondo reale. I luoghi dove vivono, la malinconia e l’orgoglio dell’operaio che vede la ciminiera della “sua fabbrica”, il carattere popolare del personaggio principale e di tutti gli altri protagonisti, il perfetto equilibrio tra commedia e dramma, sono i punti di forza di un film imperdibile e che anche oggi riesce a farci riflettere, non tanto su quel periodo, ma sui rapporti di forza che dalla fabbrica, dal posto di lavoro si spostano in casa. Può un operaio comandato e sfruttato sul posto di lavoro, comportarsi come un padrone con la sua donna? Quanto la classe proletaria è in grado di comprendere dei progressi borghesi in campo di vita sentimentale e sessuale? I conflitti sono solo economici e sociali o anche privati e sentimentali? In un certo senso il film è la storia della celebre poesia di Pasolini, tanto amata dai sinistri liberali di ogni età e varia cretineria, sui poveri poliziotti che pur stando dalla parte sbagliata sono figli del proletariato. Monicelli, col preziosissimo aiuto dei suoi sceneggiatori Age e Scarpelli, aiutati per i dialoghi da Beppe Viola ed Enzo Jannacci, mette in mostra il peso della modernizzazione dei costumi, la precarietà sentimentale, la presa di coscienza della donna, nelle vite di uomini semplici, solidi, che però hanno come campo visivo una vita fatta di cose precise e concrete: lavoro, una donna, il sesso, il gruppo, la partita di calcio. Uomini che possono sembrare moderni, perché imparano a memoria le lezioni di quel tempo, ma che nel concreto in famiglia non sono per nulla libertari. Non è una critica feroce, non c’è voglia di smascherare una moda, un’ipocrisia, è pura rappresentazione cinematografica che ci spinge alla compassione per l’essere umano. Anche in questo caso il cinema mostra le contraddizioni all’interno della classe proletaria, tanto che alcuni di loro prenderanno a manganellate possibili fratelli e amici per difendere la proprietà dei capitalisti, lo smarrimento di uomini semplici di fronte al progresso effimero nei rapporti sessuali e sentimentali. In questo caso si usa temi e toni più malinconici, accentuati dalla splendida fotografia di Luigi Kulvier, e dalle musiche bellissime di Jannacci.; rispetto al capolavoro di Petri, ma anche in questa pellicola vi è una coesione tra società e industria dello spettacolo, che tenta di trasportare su schermo la vita dei suoi spettatori. In quel periodo la figura dell’operaio è centrale e viene analizzata con particolare acume. Poi tutto svanisce colla patetica, ridicola, squallida, marcia di quarantamila borghesi piccoli piccoli, e la sconfitta della classe operaia, fuori i cancelli della Fiat, la paghiamo carissima anche ai giorni nostri. Da quella sconfitta epocale, non capita solo da qualche vecchio e ottuso libertario contento che in quel periodo prese piede l’idea cretina della coppia aperta, poi nascono i tantissimi guai della classe lavoratrice. Diciamolo anche ai compagni che capendo poco o male, son convinti che il problema sia l’esercito di riserva dei migranti.
Il cinema cogli anni 80 vuol lasciarsi alle spalle gli anni di rivolta, terrorismo, rivoluzione armata e scontri furiosi. Vige il comico rassicurante, un po’ sbruffone, un po’ reazionario, con qualche esclusione, qualche comico che si dedica a elementi più intimisti. Prima che la figura dell’operaio rientri con forza e onore nel mondo della celluloide passa molto tempo. Fino al 2003, quando esce nelle sale: Il Posto dell’Anima di Riccardo Milani. Opera figlia dei nostri tempi, certo, con un occhio verso le vicissitudini private, le indecisioni e debolezze dei rapporti sentimentali o famigliari, ma che ha il pregio di portare in scena il conflitto che deve affrontare una classe che ha tentato una rivoluzione e ne è uscita con le ossa rotte. Se il buon Giulio sentiva di appartenere alla fabbrica, e si emozionava davanti alla ciminiera che vedeva dal balcone di casa sua, come se fosse parte effettiva della sua esistenza anche privata, qui si cambia registro. La vecchia guardia e quella nuova. Spesso precaria o che coltiva sogni di gloria personale, già meno Massa, ma pur sempre spersonalizzato. Per cui se i personaggi interpretati da Silvio Orlando e Michele Placido, sono in un certo senso parenti di Leonardo Massa e Giulio Basletti, per via della consapevolezza delle lotte, tanto da andar fino in America e ruggire la loro rabbia contro una multinazionale che chiude posti di lavoro sacrificando vite umane, ci sono elementi invece importanti e di adesione alla realtà nelle figure di Mario e in un certo senso Nina. Il primo è un lavoratore moderno, certo per difender il posto non tralascia di far picchetti e occupazioni, ma - tradito dal mito del “ tutto è possibile se ci credi”, cazzata tipicamente yankee trasportata nel mondo del lavoro moderno, dove tutti siamo potenziali imprenditori di noi stessi, basta buttarsi e aver fede nel mercato- non affezionato a un ruolo sociale e politico preciso, mancando di formazione e storia, per cui si butterà in un’avventura solitaria fino a quando la realtà distruggerà i suoi sogni di gloria. Mario è operaio, ma anche fornaio, ma anche cuoco, ma anche uno che ha idee, che non è legato a nessuno luogo e per questo non ha luogo di memoria e di educazione alla lotta. Mario è tutti noi lavoratori che abbiamo debuttato dopo il Pacchetto Tre, abituati e abbandonati alla flessibilità, mentre i capi si tengono stretti il loro posto. Lavoratori senza lavoro, che non sono capiti dai vecchi, in conflitto ridicolo tra loro, smarriti e costretti a reinventarsi. Vecchi per il mercato, dopo i trentenni, giovanissimi per la pensione, che non avranno mai, visto che par bello crepare sui posti di lavoro a 70 anni. Questo senso di estraneità al mondo classico del lavoro e della classe lavoratrice è ancor più marcato in Nina, la quale non ha direttamente un ruolo in quella fabbrica, ma è appunto una lavoratrice precaria, personaggio che vive di amarezze e tentativi di felicità. In questa opera si porta in scena i risultati dei cambiamenti radicali, voluti dai padroni e dalla caduta del comunismo, che viviamo ancora oggi: tra lavori volontaristici da parte degli studenti - “che almeno fai esperienza”- alla bolgia infernale del settore vendita coi suoi rappresentati di ditte elettriche assolutamente farlocchi e così via. Un timidissimo caso, questo, sommerso da tantissime opere che parlano di architetti, avvocati, creativi di ogni risma, ma opera da conservare per la capacità di cogliere i tempi e metterli in scena.
Nel 2006 un collettivo romano, sotto il nome di Amanda Floor, scuote l’aria un po’ paludata del cinema social paternalista con un film a bassissimo budget, girato tra amici, che ostenta indipendenza e marginalità radicale e militante, avvolto in un bianco e nero "claustrofobico” che denuncia il lavoro nei cantieri e tutte le irregolarità, la prepotenza padronale, il ricatto e la sottomissione dei lavoratori per aver un posto di lavoro. Il film si chiama ironicamente : La Rieducazione. Non tanto di Denis il capo cantiere che non paga i salari, uno dei tanti piccoli caporali della produzione e del profitto, uno di quelli che appunto, non paga, o se lo fa è in nero. Lo sfruttamento viene messo in scena in modo efficace, concreto, senza sbavature. Lo schiavismo moderno è quello mostrato in questa pellicola. Qui i lavoratori sono assolutamente abbandonati a sé stessi, al loro mondo di sottoproletari e di stranieri in terra straniera, sono nelle mani del loro capo e a scoprire questa verità e mondo crudele è Marco. Un giovane disoccupato, uno dei tanti laureati che girano a vuoto, perché non trovano il lavoro adatto a premiarli per anni e anni di studio. Lui è quello che subisce una vera rieducazione , una lezione sul mondo. Cacciato di casa dal padre, costretto a un lavoro massacrante. Eppure il finale non ci svela completamente una sua avvenuta consapevolezza. Ormai i tempi di Lulù e Giulio sono finiti per sempre.
Tanto che nel 2009 esce quel piccolo capolavoro di equilibrio tra commedia e descrizione sociale che è “Tutta la vita davanti” del sempre ottimo Paolo Virzì. La classe operaia esce di scena, ma non l’alienazione del lavoro, l’essere un piccolo ingranaggio in un sistema di sfruttamento e di annientamento della vita sociale del lavoratore. L’operatore di call center, tanto odiato perché ci rompe le scatole colle sue chiamate, è in parte la figura di operaio moderno. Visto la vastità di persone coinvolte, lo stipendio, la spersonalizzazione, il tutto in ambienti moderni, dinamici, famigliari, sorridenti e ottimisti. Marta ha la forza del personaggio-simbolo, come Leonardo Massa, il contesto è diverso, ma il conflitto persona/lavoro è ben presente, pur essendo una commedia. Che amaramente ci spiega come la coscienza di classe sia perduta nelle nuove leve di lavoratrici/ lavoratori, esplicita l’ipocrisia assoluta di un mondo del lavoro gioioso e amichevole, anzi tutto quel essere una famiglia e dar del tu al capo, mostra l’assoluto predominio del padronato sulla vita dei sottoposti. Ancora una volta è la commedia, come ai tempi di Romanzo Popolare, che centra in pieno la crisi del lavoro e della classe lavoratrice.
Per ritornare come si deve all’nterno del mondo operaio classico si deve aspettare un piccolo gioiello di storia, impegno, precisione nella descrizione dei personaggi e delle dinamiche di classe, che risponde al nome de : “7 minuti”. Film tratto da un’opera teatrale e trasportato su grande schermo da Michele Placido, si rifà alla lotta vera e vittoriosa di un gruppo di operaie francesi. In questo caso la pellicola è girata in Italia. Una fabbrica storica viene ceduta dai proprietari a una multinazionale francese, che si prende la responsabilità di non licenziare nessuno, ma in cambio chiede una piccola cosa: 7 minuti in meno di pausa. Dei 15 che fanno. Questa proposta viene discussa dal consiglio di fabbrica e mette in scena la divisione che lacera da anni il mondo operaio. Per molte non è affatto un problema: tanto abbiamo il posto! Altre mettono in evidenza che se lasciano passare questa richiesta, sarà sempre più facile farne altre e più sostanziose. Il padrone vuol valutare la loro forza e cosa si può permettere. Il conflitto è teso e per tutto il tempo si parla di lavoro, poche indicazioni sulla vita privata di queste donne, perché vi è un ritorno alle origini: non sono tanto i personaggi, ma la loro attività lavorativa, il ruolo che ricoprono, che parla per e di loro. I soliti liberali lo hanno criticato parlando di cinema ideologico e quindi fuori dai tempi. Sono gente che per fortuna loro non sanno cosa sia il lavoro salariato e di fabbrica. In realtà “7 minuti” è opera preziosissima. Parla di lavoro e, argomento caldo in questi giorni, di quello che una lavoratrice deve subire quando il padrone decide che anche il suo corpo appartiene a lui. Mette in scena lo scontro tra lavoratori italiani che hanno vissuto le grandi lotte e sanno esser disciplinati nella lotta e stranieri che si sentono sotto ricatto, indeboliti e impauriti. Di nuovo il cinema sceglie di narrare l’esistente, la vita fatta di lavoro, scontri e conflitti col capitale e le contraddizioni della classe operaia.
Non è sicuramente la parte principale su cui si basa da sempre l’industria cinematografica, ma seppur debole e malmesso, l’idea di un cinema popolare, politico, di analisi del reale, non è del tutto scomparsa e ancora oggi- rarissime volte- può aiutarci a comprendere la devoluzione del mondo lavorativo. Non è poco.