giovedì 31 dicembre 2020

Classifica 2020

 Ero indeciso se scrivere o meno una classifica sui film visti questo anno.  Le sale chiuse, la distanza, le mascherine, una certa mestizia soffusa e diffusa da ultimi resistenti. Un gruppo di disperati eroi, ancora convinti che la visione in sala abbia una magia difficile da ripetere in altri luoghi e con altri mezzi. La pandemia ha colpito duramente vari settori economici, messo in crisi il lavoro di milioni . Penso sopratutto agli invisibili, i non qualificati, quelli che lavoravano a provvigione. Tutte quelle persone usate e dimenticate in nome di un classismo  supportato e sopportato anche da quelli che si stracciano le camice per i diritti e il progresso. Quindi non solo un problema culturale, ma sociale. Troppo radicale e radicato per non provare rabbia o compassione, pensando a tutti quelli che ne usciranno con le ossa rotte.

Senza ombra di dubbio i lavoratori, già precari in tempi non sospetti, dello spettacolo sono stati colpiti e bistrattati come pochi. C'è l'idea che cinema, teatro, letteratura, musica e i luoghi preposti ad avvicinare opere e persone, siano cose secondarie, capricci di gente ricca e inabile al vero lavoro.Quel "vero lavoro" che ogni anno sacrifica la vita di centinaia di proletari, nell'indifferenza dei liberisti. Il mondo dello spettacolo non è composto da gente milionaria, da tipi che si possono permettere il lusso di far arte, che tanto che ce frega, abbiamo il culo al sicuro.Sono persone che hanno, a parte un gruppo di fortunati, il problema comune di metter insieme il pranzo con la cena.Per cui se è dura per attori e regist. figuriamoci  gestire un'attività come il cinema, Le sale sono in crisi ancora prima dell'arrivo di Netflix o del Covid-19, questo anno c'è stata anche tanta ipocrita retorica su di esse, ma rimane il fatto che in tempi di nocivo individualismo, la sala è l'unico luogo dove si incontrano e si uniscono le emozioni di persone diverse tra di loro. Unite dall'amore per il cinema e non solo i film,

Proprio per ribadire l'importanza fondamentale della sala, qui di seguito troverete i film che hanno segnato positivamente questo 2020. Opere viste rigorosamente nei vari Principe, Flora,Portico. O in festival come il Florence Korea Film Festvival


-Cosa Sarà


Francesco Bruni scrive e dirige un film toccante e in perfetto equilibrio tra ironia e amarezza. Raccontando una storia di malattia, legami famigliari,  relazioni tra esseri umani,  riscatto e condivisione del dolore, con il tatto e l'umanità, che troviamo in tutti i suoi film. Eccellente Kim Rossi Stuart, bravissima Barbara Ronchi.


-Volevo Nascondermi


Un immenso Elio Germano nei panni di uno degli artisti più tormentati nella storia dell'arte. Film del reale, documentaristico, che annulla la sua forza per dar spazio a una splendida interpretazione.


-Padrenostro



Chi ha deciso che si debbano solo premiare i film riusciti?Chi ha deciso che nell'imperfezione, nel non del tutto riuscito ci debba per forza vedere solo il fallimento? Noce porta sullo schermo una storia molto interessante sul tema della paternità, della figura paterna. In particolare l'importanza del rapporto padre e figlio, mostrando il trauma che provoca un'interruzione feroce e inaspettata.  Non tanto quindi un film sugli anni del terrorismo, che tanto non siamo in grado di farli, ma sul distacco forzato, la perdita, il lutto, la paura della morte che si manifesta prepotentemente nella vita di un ragazzino. Il punto di vista è quello del bambino e l'ambiguità su cosa sia reale o no, è la meravigliosa rappresentazione della mente di un essere umano troppo piccolo per sostenere così tanto dolore e violenza.


- Hammamet


Il film meno compreso da quella massa di diversamente intellettuali che sono i cinefili. L'opera di Amelio racconta la deriva di un uomo troppo innamorato di sé stesso e del potere, per accettare la fine e la colpa.  Un leone ferito e vicino alla morte che cerca di sbranare tutto e tutti, in primis: la verità. Su sé stesso, sul mondo che ha creato, sui danni fatti.  Opera sulla perdita del potere, lo smarrimento di una mente egocentrica quando deve confrontarsi con la realtà.

- Gli anni più belli



Muccino torna a metter in scena l'amicizia, l'amore, la famiglia, narrando la storia di tre amici inseparabili. La storia rimane sullo sfondo, mentre i suoi personaggi scoprono la durezza di diventare adulti tra sogni infranti, tradimenti, famiglie disfunzionali. Fino a un dolce ritrovarsi.  Apprezzo lo stile eccessivo, anche ridicolo, di Muccino, Questa opera rimane tra le cose migliori fatte dal regista romano.


- They shall not grow old





La quotidianità della guerra, la sua mancanza di senso, l'orrore indicibile di milioni di morti. Il dolore e la sofferenza prima che la morte ci cancelli dal mondo. Attraverso materiale dell'epoca e la testimonianza di alcuni reduci. Un Peter Jackson da vedere e rivedere. Imperdibile, commovente, umanissimo.

-1917




Ancora la Grande Guerra, ma questa volta è il cinema a trionfare. A piegare i fatti drammatici di quel conflitto mondiale, in un tripudio di bellezza per gli occhi. La corsa finale del protagonista tra i soldati e le bombe,  rimane una delle cose più belle, travolgenti, toccanti, viste al cinema.


- 387

Certo, il documentario è del 2019, ma da noi è stato possibile vederlo una manciata di giorni, in alcune sale italiane solo codesto anno. Straziante, dolente, opera dedicata alle vittime di un naufragio. 387 morti quasi tutti eritrei. Il film parla di quelle persone che attraverso i miseri resti dei morti cercano di dar ad essi nome e cognome.  Una riflessione necessaria sull'immigrazione, la sacralità della vita, l'importanza di rimanere umani.


- Il diritto di opporsi

Un bellissimo film che tratta il tema dell'ingiustizia nei confronti degli afro-americani. Opera solida, robusta, classico film di denuncia, ma che non scade in retorica e stupori. Il movimento Black live Matters, penso sia la cosa più importante, a livello politico, successo in questi anni. Questo film ci ricorda che sono ancora troppe quelle che vengono distrutte per classismo e razzismo.

- I miserabili.

I francesi. gli va riconosciuto, sono bravissimi a far film che indagano sul malessere sociale e politico. Questa opera è uno sguardo rabbioso e clinico sul disagio nelle periferie, nelle piccole città dormitorio, in luoghi in cui la povertà e l'esclusione denudano l'ipocrisia liberista/liberale.  Imperdibile.

- A little princess.

Uno splendido melodramma coreano, sul rapporto tra generazioni e l'accettazione della malattia, della morte. Commovente, toccante, dolcissimo.

- The Battle: a roar to victory


Travolgente, epico, potentissimo film bellico, che narra un episodio fondamentale per la storia della Corea sotto la dominazione giapponese. Ottimo film di genere, maestoso e straordinario nelle sue scene d'azione.


Questi i film che hanno segnato un anno così terribile.  Sperando che il 2021 sia meglio. 

Buon anno a tutti e a tutte.

giovedì 1 ottobre 2020

SPECIALE FLORENCE FILM FEST: PREMI E FILM DI CHIUSURA: BRING ME HOME.

 Siamo giunti, anche questo anno così insolito e complicato, alla conclusione del Festival.  Come sempre io e mia moglie abbiamo assistito a tutte le proiezioni in sala, facendo una vera e propria grande abbuffata di cinema.

Per ragioni ovvie e comuni, avevamo un vero e proprio bisogno fisico di stare in una sala cinematografica, veder i film su grande schermo,  avvertire negli altri spettatori le sensazioni durante la visione. Per questo è stato importante esser presente, dar sostegno all'organizzazione del Festival, esserci.

Che dire? Per alcuni un anno forse in tono minore, con pochissimi film da voti davvero alti.  In parte è vero, tuttavia ho visto dei film buoni, con qualche impennata verso l'ottimo.  D'altronde l'industria cinematografica per funzionare al meglio punta a sfornare film medi, e la nostra società -seppure in parte ossessionata dal capolavoro- punta a una visione da fast -food, usa e getta. Non importa passare alla storia, ma che tu sia sazio durante il periodo che passi a veder quel film o serie tv. Lamentarsi ora, dopo che abbiamo sostenuto... anzi avete, il liberismo in tutte le salse e la sua produzione per il profitto immediato, non ha senso.

Nondimeno il cinema, con buona pace di molti cinefili,  crea prodotti capaci di smuovere in noi emozioni, sensazioni, riflessioni, che vanno al di là del suo reale valore.  Lo stesso discorso vale per tutta l'industria dello spettacolo e della cultura. Per questo motivo, anche in questa edizione, ho trovato pellicole davvero interessanti che mi hanno conquistato. Molto bella e valida la sezione K-story, quest'anno legata in modo particolare alla questione dell'occupazione giapponese. I nipponici ci fanno sempre una bruttissima figura.

Devo dire anche che- a parte Move the grave che non mi è garbato- non c'era nemmeno un film davvero immondo come l'anno scorso con The Uncle o il film di un Kim Ki Duk in discesa libera. Ripeto si è dato spazio e sostanza al buon cinema medio.

Questa edizione è stata vinta da Moonlit Winter. Un bellissimo e profondo film che parla di relazioni e amore, con un tocco leggero ma non trattenuto. 

Menzione speciale e premio del pubblico è andato a un altro film decisamente indipendente e con una forte appartenenza al cinema d'autore: Lights for the youth. Un film amarissimo, che sa analizzare molto bene le contraddizioni e derive in un mondo dominato dal capitale,  da lavori disumani e spersonalizzanti. 



 Il premio del pubblico, da parte degli spettatori online invece ha premiato un bellissimo film, che fa cinema davvero. Cioè un'opera pensata per un vasto pubblico, senza fronzoli fin troppo artistici, con un tema impegnato e fondamentale, parlo di Mal-mo-e. Opera che parlando della difesa della lingua coreana diventa un inno universale alla lotta per la difesa della identità sotto l'occupazione. Bellissimo, davvero.


Questi i premi principali, per il cortometraggi ha vinto un'opera molto divertente su un condizionatore rotto che è situato in un ufficio delle nazioni unite, in un paese che di fatto è il confine tra nord e sud. Una commedia divertente e ben girata, davvero spassosa.

Tuttavia a me preme parlare del bellissimo, magnifico, straordinario, film di chiusura: Bring me home.



Kim Seung-woo è un regista da tenere in assoluta considerazione, perché è riuscito a trasportare su grande schermo , una delle storie più sconcertanti e inquietanti di tutto il Festival, Sono rimasto conquistato e scosso da un'opera così potente, cruda, travolgente dal punto di vista emotivo per lo spettatore. 

L'opera segna il ritorno sullo schermo, dopo 14 anni di assenza, dell'attrice Lee Young-ae, indimenticabile e indimenticata protagonista di Lady Vendetta. Anche in codesta occasione, costei riesce a creare un personaggio memorabile, di assoluto spessore e ricco di sfumature quasi impercettibili.  Certo aiutata da una sceneggiatura di ferro  e una regia impeccabile, ma quanto talento e bravura da parte sua!

Questo è il mio film dell'edizione 2020 ed ha vinto pure la nostra- mia e di mia moglie- personalissima classifica delle opere migliori in concorso.

Quale è il tema affrontato in questa pellicola? La storia di una donna caparbia e testarda che da anni ricerca il figlio scomparso. Un giorno grazie a una soffiate viene a sapere che si trova in un villaggio di pescatori, dove è tenuto prigioniero e costretto non solo a lavori faticosi, ma è soggetto a sevizie di ogni tipo.

La donna parte per riportarlo a casa ed, ineluttabilmente, si scontrerà contro questi squallidi, ignobili, esecrabili, esseri.


Opera che rammenta ai presunti geni cinematografici greci, e ai loro sostenitori, che si pavoneggiano come maestri nel costruire opere deflagranti di dolore e situazioni estreme, di scansarsi quando che passa il cinema coreano. Umiltà cari greci, continuate a impegnarvi sulle olive, ma per carità quando si parla di cinema crudele e del dolore, lassa perde!.

Non c'è attimo di tregua alle sventure che capitano alla protagonista.  Vittima di lutti inaspettati e spiazzanti per lo spettatore, di violenza da parte di un'umanità che davvero tocca il fondo e va oltre, ma di tanto.  Un posto dove non hai altra scelta che la violenza per porre fine a certi incubi.

Però non manca nemmeno una piccola speranza, nel finale,  e non dimentica l'importanza dei legami e dell'aver amato. I ricordi delle persone che significano tanto per noi, ci rammenta che non dobbiamo mai arrenderci e combattere sempre. Senza retorica, ma -miracolo-senza nemmeno il disastroso cinema anti retorico, trattenuto,  asettico e inconsistente. 

 L'opera funziona assai bene anche come thriller e in un certo senso, anche come folk-horror. Visto che c'è una comunità- per quanto piccola- di deviati e una donna che entra in contatto con le loro usanze criminali.

Un finale migliore per questa edizione, non si poteva trovare.

Per questo anno è tutto. Ci risentiamo a marzo 2021, per la nuova edizione.  Pianificherò un modo migliore per scrivere dei film e nel frattempo, guardate tanti film e se potete andate al cinema.


mercoledì 30 settembre 2020

SPECIALE FLORENCE KOREA FILM FEST: SESTO GIORNO . MARTEDI 30 SETTEMBRE 2020

 Il remake di un film di To, un'avvincente thriller/black commedy e un horror sulle possessioni demoniache con alcune soluzioni interessanti.


- The Believer

diretto da Lee Hae-young.

Un festival che offre spazio, giustamente, a remake e affini considerandoli operazioni cinematografiche degne di attenzione. Cosa che non verrà mai compresa da una certa parte dei cinefili, ma che per me non è da considerare affatto come il male assoluto.  The Thing era un remake, per esempio. Come sempre è il chi e il come che contano. Che il prodotto sia originale o meno.  Questo preambolo per dire che anche questa pellicola è un remake. Di un film diretto da uno dei miei registi preferiti: Johnny To. Purtroppo non ho visto Drug War, per cui non posso far confronti. Per questo motivo- gatta  che ha deciso di dormire sulle mie gambe permettendo- scriverò alcune cise sulla pellicola coreana, come se fosse un film a parte.Anche se certe atmosfere alla To si avvertono.

Il film è la storia di un onesto poliziotto della narcotici che è ossessionato dalla caccia al misterioso Mr Lee. Un imprendibile e ferocissimo boss del narcotraffico, colpevole anche della morte di una giovane tossica, a cui il nostro eroe era particolarmente legato. Per prenderlo si affida a un giovane, unico sopravvissuto in un attentato in una fabbrica per la produzione di droghe.

Il film è un buon thriller. Nulla di particolarmente imperdibile, ma ha il senso e il gusto dello spettacolo, sa creare personaggi in grado di sfiorare  un certo senso dell'epica. Le sfumature del personaggio principale creano una sottile atmosfera ambigua, sul confine tra bene e male, ma non c'è quella pigrizia attuale in cui non c'è differenza alcuna tra bene e male. Qui piuttosto si indaga sul mezzo adatto per raggiungere un buon fine.. Certo, diciamo la verità: a metà film già si capisce chi è il vero Mr Lee, ma questo non toglie il fatto che l'opera sia assai interessante. Buon cinema d'intrattenimento.




-Hard Day

diretto da Kim Seong-Hun

Opera che ha partecipato, nel 2014, al Festival di Cannes. Narra le vicende  Go Geon -Soo, non proprio uno stinco di santo, il quale investe un uomo uccidendolo sul colpo. L'uomo cercherà di far sparire il cadavere ed evitare grane, ma subito qualcuno comincia a ricattarlo.

Ho apprezzato molto questo film. Credo abbia tutti gli ingredienti per poter piacere a buona parte del pubblico, ed è un altro esempio di come il cinema, inteso come industria, sia in grado di compiere al meglio la sua missione di donare agli spettatori  storie e personaggi capaci di farci dimenticare le grane quotidiane, le brutture del mondo, per un paio di ore.  Kim Seong -hun crea un meccanismo perfetto tra ironia, tensione,  thriller puro. Basti pensare alla lunga scena in cui  Go Geon decide il posto migliore in cui nascondere il cadavere dell'uomo che ha investito, ma l'ha davvero ucciso lui? O c'è un'altra verità?

Ci si affeziona al nostro eroe, si spera che ce la faccia anche perché ha come antagonista, un personaggio che è l'incarnazione del male. Certo i toni da commedia nera stemperano in parte anche la carica violenta e crudele del villain, come sempre interpretato benissimo da  Jo Jin.hung , attore a cui è dedicata la retrospettiva di questa edizione, davvero un grandissimo artista; tuttavia non manca la violenza e le consuete spettacolari scene d'azione.

Per me uno dei migliori film di questa edizione.




- Metamorphosis

diretto da Kim Hong-sun

Ecco il momento horror, cioè quel bellissimo momento in cui so che non dormirà per tutta la notte, causa lo stremizi, cioè lo spavento, dovuto alle atmosfere inquietanti del cinema dell'orrore coreano.

La pellicola in questione fa parte di una categoria del genere che non mi ha mai entusiasmato più di tanto: le possessioni demoniache. A parte qualche pellicola, lo trovo un sotto genere abbastanza tedioso,

Invece con questo film non ci si annoia,  perché il regista pone dei piccoli, ma assai avvincenti, cambiamenti al filone di riferimento. Prima di tutto specifica bene che il diavolo si fa strada in persone abbandonate alla rabbia, al senso di colpa, all'odio.  Questa spiegazione offre una maggior chiave di interpretazione verso il personaggio del prete protagonista. Uomo segnato dal fallimento di un esorcismo, distrutto da senso di colpa. Inoltre la famiglia protagonista si intuisce esser abbastanza disfunzionale, senza dover per forza entrare nel merito e lasciando allo spettatore la voglia di comprender i loro problemi. Principalmente, come capita in molti nuclei famigliari, dovuta a cattivi rapporti con i parenti, in questo caso lo zio prete che ha gettato la vergogna sulla famiglia del fratello.   Il nostro esorcista, quindi, è il tramite/simbolo del male che si insinua nella famiglia protagonista della pellicola, perché la sua presenza è un non rimosso, un argomento scivoloso e doloroso che scatena colpa e rabbia. Una buonissima intuizione.

 Come si manifesta il demonio? Che volto umano avrà?  Ecco l'altra bellissima idea.  Il male prende le sembianze delle persone che conosciamo,  o dei vicini di casa.  Non rimane sempre bloccato in un corpo legato al letto, ma ci confonde e colpisce trasformando le persone da noi amate, in esseri orribili e crudeli. Spiazzandoci, facendoci sentire insicuri all'interno della nostra casa, famiglia, i luoghi più sicuri per molti di noi.

Anche a livello estetico, di pura immagine cinematografica l'ho trovato davvero riuscito.  Suggestiva tutta la scena in cui il padre di famiglia si trova a vagare per la casa del vicino. I cadaveri degli animali, la sporcizia immonda, sia fisica che morale,  l'orrore che si palesa. 

Inoltre non lesina su un certo effetto gore, in particolare nel make -up delle e degli indemoniate/i. 

 Oltretutto è un film di genere che punta a creare uno spettacolo rutilante, anche rozzo in certi momenti, senza voler per forza voler essere il capolavoro del genere o cambiare del tutto le regole del genere.

Un ottimo film medio. Che non è garbato agli spettatori che si sentono critici cinematografici, e nel peggiore dei casi lo sono, incapaci di godersi un film per quello che è,  ossessionati dal mostrare al mondo la loro intelligenza e il loro buon gusto, per gli altri, gli spettatori normali, invece sarà una pellicola di buon intrattenimento.

ps:  non possiamo nascondere i difetti di questo film. Chiari e limpidi, ad esempio spesso si dimenticano di qualche figliolo/a , anzi un fatto assai tragico praticamente passa quasi del tutto inosservato, Tuttavia, forse non lo sapete, ma i vostri genitori non è vero che vi considerano tutti uguali. Per cui la mancanza di un figlio o una figlia si fa sentire, di altri/e no. Una tragica verità svelata, buttata lì, così de botto.

Io vi suggerisco di vederlo come un film di puro intrattenimento, senza rifletterci sopra, godendo dello spettacolo e ridacchiando per le cose sbagliate. 

A me è piaciuto.






martedì 29 settembre 2020

SPECIALE FLORENCE KOREA FILM FEST: QUINTO GIORNO. LUENDÌ 28 SETTEMBRE

 Un documentario sugli animali in uno zoo coreano,  un delicato e profondo film sul tema dell'amore  e un bellissimo, meraviglioso film bellico legato ad avvenimenti reali.



-GARDEN ZOOLOGICAL

diretto da Mincheol Wang

Opera in precario equilibrio tra delicatezza e fragilità che sfiora temi anche importanti, ma il tutto rimane in superficie, poco approfondito.

Il documentario racconta il lavoro dei guardiani e dei veterinari di uno zoo coreano.  Il loro rapporto con gli animali, basato su rispetto e amore, va a scardinare un po' una certa visione dello zoo. Nondimeno la domanda che scorre sotto traccia per tutta la visione dell'opera è: " Questi animali in via di estinzione causa bracconaggio e cambiamenti climatici, vivono meglio in libertà, ma in balìa di questi pericoli, o accuditi, curati, seguiti, però nello spazio ristretto di una gabbia? Sottoposti anche alla maleducazione di molti visitatori che gettano a loro di tutto?".  Sarebbe stato un bellissimo modo per mostrare la vita, la dinamica del lavoro e dei rapporti tra uomini e animali in uno zoo, con alcuni spunti sulla libertà e la cattività.

Invece questi discorsi vengono solo toccati, sfiorati.  Certo, nonostante non sia un'opera del tutto riuscita a me è garbata perché gli animali mi commuovono e divertono sempre. Ho trovato interessante che nello zoo, trovino rifugio i gatti selvatici. Fa parte di un progetto per riportare il gatto selvaggio ad aumentare la sua presenza sul territorio. Infatti in questo zoo li inseminano artificialmente, con il fine di far nascere nuovi cuccioli. Commovente anche la storia del tigrotto nato e cresciuto dentro lo zoo. Le lacrime sgorgheranno copiose per la sorte di codesto meraviglioso essere vivente.  Una certa tenerezza e dolcezza soffusa è presente in tutto il film, come viene spiegato bene il rapporto tra custodi e animali, ma è tutto troppo inconsistente e fragile, a mio avviso, per essere davvero un film imperdibile.


- Moonlit winter

diretto da Dae Hyung Lim

Opera delicata, ma intensa e profonda, che punta molto su una soffusa, impalpabile, malinconia, per narrare la storia di un viaggio, in un paesino giapponese, intrapreso da una figlia e una mamma. La destinazione gioca un ruolo importante nella vita della donna, legato a un fatto del suo passato. Un fatto assai doloroso.

Il regista e sceneggiatore è bravissimo nel descrivere i personaggi, a renderli completi, mai macchiette stucchevoli - come ad esempio in Move the grave- o a renderli fin troppo schiavi di un messaggio, per quanto giusto e bello.  La complessa semplicità - mi si perdoni l'ossimoro- dei rapporti tra esseri umani è messinscena con una cura ed empatia non comune.  Ogni personaggio è alla ricerca di una sua dimensione, felicità, hanno amarezze e rimpianti,  in equilibrio tra tristezza e voglia di esser sereni.  S'indaga il rapporto madre e figlia, la diversità che accomuna queste due donne. O la relazione quasi genitoriale che una vecchia zia ha con la nipote, per dire che la famiglia non è solo quella in cui sei nata, ma dove cresci.  Ci sono le delicatezze e gli impacci delle relazioni giovanili, persino un ex marito che non è poi così tanto cattivo.

 Amo questi film che non cedono al cinismo d'accatto o pretendono di dover per forza far una guerra tra sessi campata in aria.  C'è un bellissimo sguardo caldo, in punta di piedi, pudico, ma non restio  ad affrontare certi argomenti. Usando le parole di una lettera per parlare di esistenze spezzate dal bigottismo reazionario, E di come, con fatica, sia possibile rimettersi in piedi.


- The Battleship Island

diretto da Ryoo Seung- wan

Mi mancava ancora il film che mi entusiasmasse come un ragazzino. Con quella limpidezza, gioia, partecipazione emotiva totale e stupore per la bellezza delle scene.

In questa edizione le pellicole migliori erano presenti nella categoria K-story. Questo film ci rientra totalmente visto che è ambientata su una vera isola, a forma di nave da guerra,  in cui i coreani erano costretti a far lavori pesantissimi- in miniera, nelle fabbriche- sfruttati senza pietà alcuna dai giapponesi,  sottoposti a torture da parte dei collaborazionisti coreani. Sorte orribile che toccava a uomini, ragazzini, bambini e donne. Queste ultime, anche le bambine, costrette a prostituirsi con le truppe giapponesi.

Battleship è Cinema.   Spettacolare, epico, solenne, avvincente, rutilante.  Una continua gioia per gli occhi, e randellate come se non ci fosse un domani al nostro cuore, per la crudeltà che i protagonisti subiscono per colpa dei nipponici e dei traditori.

Tante storie si uniscono su questa isola, per raccontare le peripezie del popolo coreano. Dal musicista donnaiolo e mascalzone, ma anche ottimo padre, il quale si esibisce con la figlia prima di finire entrambi nell'inferno dell'isola. Questo rapporto è descritto benissimo ed è difficile non commuoversi per la loro sorte. C'è il gangster che alla fine decide di lottare per gli altri, la donna che ha subito troppe violenze e cerca solo un attimo di pace, il giovane soldato in missione speciale. 

Un'opera robusta, non originale, certo, ma chi se ne frega dell'originalità quando si assiste a un ottimo, strepitoso, eccellente spettacolo per due ore e passa?

Quando la musica di Ecstasy of gold, accompagna le scene di battaglia - precise, limpide, nonostante le tantissime comparse e le cose che accadono una a presso all'altra-  il mio cuore è esploso di gioia assoluta.

Per ora, il mio film di questa edizione 2020.


Ps: stasera c'è l'horror. Non dormirò per due settimane, minimo.

lunedì 28 settembre 2020

SPECIALE FLORENCE KOREA FILM FEST: DOMENICA 27 settembre

 Un film che par una rielaborazione coreana di Quasi Amici, l'importanza delle parole per formare un popolo e quindi la nazione e infine, il remake di un ottimo film italiano .


- Man of men

diretto da Yongsu.

Opera prima di un giovane regista coreano, Man of men, è una commedia con momenti drammatici e commoventi.

Narra la storia di due uomini profondamente diversi, per estrazione sociale e carattere, che si ritrovano a doversi frequentare per forza. Dopo le prime incomprensioni nasce una profonda amicizia che arricchirà entrambi.

Trovo molto interessante che in Corea del Sud si affidi un progetto abbastanza costoso e con un cast di attori molto popolari, a un regista che esordisce.  Vuol dire aver fiducia  e seguirne il lavoro con attenzione.  Infatti il film si regge principalmente sulle prove degli attori Jo Jin -ung  in modo particolare. 

Un film medio, che non lascerà forse tracce profonde negli spettatori, ma che dona un buon intrattenimento per tutta la sua durata.  Perché in fin dei conti, le grandi industrie cinematografiche ( coreana, indiana, francese, per dirne alcune) si fondano su tantissimi film che non aspirano alla storia, alla gloria, all'arte, ma sono prodotti di intrattenimento in grado di incassare . 

La cosa importante è non offendere l'intelligenza dello spettatore, evitare di esser troppo grossolani, poco professionali. Poi ben vengano anche pellicole di questo tipo.

- Mal-Mo-E: The secret mission

diretto da Eom  Yu- na.

Film diretto dalla sceneggiatrice di quel capolavoro autentico che è " A taxi driver", pellicola che denunciava le repressioni del regime militare e fascista sud-coreano. Passa dietro la macchina da presa per narrarci una storia assolutamente intensa e meravigliosa, capace di creare momenti di riflessione nello spettatore su un tema poco frequentato dal cinema: la lingua, le parole, la grammatica di un paese.

In questa edizione del Festival ho amato moltissimo la sezione K-Story, perché non si parla, come di consueto, del conflitto nord-sud, ma dell'occupazione giapponese.  Una storia lunga e brutale, fatta di continui soprusi, violenze, massacri, da parte dei nipponici.

Come fatto anche dal nostro esercito durante la seconda guerra mondiale, in Jugoslavia e Grecia, cioè l'italianizzazione dei nomi, la sostituzione della nostra lingua con quella del posto,  i giapponesi costrinsero i coreani a non usare le loro parole, la loro lingua, ma quella del Sol Levante. Arrivando a far cambiare i nomi e cognomi ai cittadini della Corea.

Due uomini, uno colto e l'altro semi analfabeta, lotteranno insieme ad altri resistenti per archiviare, catalogare e salvare i dialetti coreani e la lingua nazionale.

Alternando commedia e dramma, il film ci spinge a riflettere su come noi siamo la lingua che parliamo, sia quella nazionale che i nostri dialetti. Che i nostri nomi e cognomi ci definiscono come uomini e donne, ci danno una identità, ci dicono chi siamo. Cancellare la lingua di un popolo significa distruggerlo per sempre (come hanno fatto con gli schiavi africani in America) . Significa fargli perdere la memoria, le leggende, la storia.

La giovane regista è bravissima a creare una storia interessante su questo argomento. Unendo politica e spettacolo, il film ci fa conoscere una parte della storia coreana che molti non conoscono.

Continueranno a non conoscere visto che anche film validi al botteghino come questo, non vengono minimante distribuiti. Peccato.


- Intimate strangers.

diretto da Lee Jae-gyu

Perfetti Sconosciuti è un film che amo molto. Ero andato a vederlo con la morte nel cuore, perché non mi garbavano i film di Genovese, sono uscito entusiasta.  Una commedia perfetta, con una sceneggiatura di ferro, dialoghi spassosi e scritti assai bene e un cast eccellente.

Il film ha incassato molto, sopratutto ha il record di remake: ben diciotto. Se non dovessi errare, ma sarebbe comunque un numero assai alto.

Il remake coreano è pressoché identico, qualche cambiamento per adattarlo meglio alla loro società, ma per il resto le battute e a volte anche le inquadrature sono identiche.  Certo ho preferito l'originale, ma ci troviamo comunque di fronte a un prodotto che è valido per le sue interpretazioni, anche se il cast italiano mi è garbato di più,  un'opera ormai classica e conosciuta da tutti.

 I cambiamenti-pochi-rispetto all'originale, li ho apprezzati abbastanza. C'è maggior cattiveria nel metter in scena i rapporti tra i personaggi femminili e un finale- per una delle coppie- più "sereno" rispetto alla pellicola originale.  Piacevole, ma anche dimenticabile.



domenica 27 settembre 2020

SPECIALE FLORENCE KOREA FILM FEST: TERZO GIORNO 26/09/2020

 Tre film che affrontano, usando stili e generi diversi, la società coreana. Dalla fine della dittatura, al mondo ferocissimo del mercato, fino all'uso distorto del potere. Tre opere molto interessanti, a mio avviso da vedere.


- 1987 : When the day comes.

diretto da Jang Jun-hwan

Non è che in Corea esista solo il regime del nord.  Per molto tempo, con il sostegno del mondo libero, nel sud c'è stata una feroce dittatura fascista. Miglia di oppositori eliminati, controllo dell'informazioni, tuttavia- come capitava in quei tempi, vedi il Sudamerica del Piano Condor- quelli erano i nostri figli di puttana. Li abbiamo accantonati e condannati, dopo. Quando ormai il sistema economico capitalista era pronto per una democrazia liberale e poi liberista.

1987 affronta l'anno in cui le cose cominciarono a cambiare, il controllo spietato delle squadre anti-comunismo dà i primi segni di cedimento. Tuttavia per arrivare a questa situazioni altre persone moriranno o soffriranno.

Il film è un robusto, solido, dramma politico e storico.  Opera solenne, che narra i metodi repressivi della dittatura senza risparmiare nulla e puntando molto sul coinvolgimento emotivo dello spettatore. Cosa che apprezzo sempre molto, non amando il distacco cerebrale, intellettuale ad ogni costo.  Qui si narra la storia di uno studente ucciso barbaramente dalla polizia politica, di come la sua morte abbia colpito la vita di numerose persone, non solo gli antagonisti o attivisti, ma di procuratori, poliziotti, direttori di carceri, semplici ragazzine.   I legami sentimentali contano anche in questi contesti. Servono per farci capire che nonostante tutto, l'umanità migliore resiste, anche se sepolta sotto tonnellate di paura. 

Un film travolgente dal punto di vista emotivo, in particolare nella parte finale. Certo Ordinary person e A Taxi driver sono migliori, ma è un esempio di cinema rigoroso dal punto di vista del messaggio e dei contenuti, che non ha paura anche di essere spettacolare, retorico, spudoratamente sentimentale e popolare in molti punti.


. Light for the youth.

diretto da Shin Su-won

Una volta liberata dalla dittatura, terribile e feroce dei militari, come si è evoluta la società libera e democratica? Cedendo alla dittatura morbida e per molti piacevole del libero mercato. Sono ormai trenta e passa anni che godiamo dei frutti del liberismo e del capitalismo. Certo, è diventato green, il posto di lavoro è condiviso con la tua "famiglia", mi metti i tavoli da ping pong o mi fai scegliere che musica ascoltare nel tuo magazzino del cazzo.. Ma di fatto è un mondo padronale. Svenduto dai nostri dissidenti democratici, la risposta light che ci serviva per ripulirci e sistemare a nostro vantaggio la storia.

Sul lavoro c'è tantissimo da dire. Mi esprimerò meglio in altri post. Ora il tempo è poco e lo spazio ristretto, ma se anche voi considerate la situazione dei lavorati dipendenti pessima, ecco questo film fa per voi.

La regista è un'affermata scrittrice e una delle poche registe donne attive in Corea del Sud. La sua abilità di narratrice si manifesta totalmente nella costruzione della storia e dei personaggi. Certo la regia è autoreferenziale, intellettuale e da cinema d'autore e indipendente, ma  in questo caso è un valore aggiunto per certe scelte precise.

La disumanizzazione di un paese è rappresentata metaforicamente attraverso la storia di un ragazzo, Jun, che lavora per un call center di recupero crediti.  I ritmi martellanti del lavoro, i turni opprimenti, un ambiente spersonalizzante e alienante, sono ben rappresentati.

Un giorno il ragazzo scompare e questa scomparsa crea problemi professionali e umani alla sua diretta superiore. Una donna che vorrebbe far carriera in un mondo competitivo e maschilista. 

L'opera rappresenta benissimo sia il problema del mondo del lavoro, stravolto da leggi e comportamenti orribili, sia la solitudine umana in un mondo di luci e opportunità, di libertà tenuta al guinzaglio da catene invisibili. Ma pur sempre catene.


-Idol

diretto da Lee Su-jin

Un thriller assai complesso, complicato, al limite del macchinoso, ma di grande forza visiva e suggestivo per quanto riguarda tutto il reparto tecnico.  Un film che funziona anche come rappresentazione dei personaggi, attraverso i quali comprendiamo la deriva della società coreana.  Il lato oscuro e maligno del potere, di come si rigeneri e sorga dalle proprie ceneri. 

La storia è quella di due uomini, un politico in carriera e un un piccolo commerciante.  Ad unirli il fatto che il figlio del politico abbia investito e ucciso il figlio oligofrenico del proletario.  Da questo evento, visto in moltissimi altri film, l'opera prende vie inaspettate e sconcertanti.  

Per cui dobbiamo donar ad essa tutta la nostra attenzione, perché non è un film che vuol spiegare, ma lascia in sospeso, lo spettatore deve arrivarci usando la sua intelligenza. La mia è diesel, per cui lo capirò tra due mesi. Forse.

Tuttavia vale la pena guardarlo. Perché è un film che spiazza, sconcerta, colpisce con la sua violenza e amarezza,


sabato 26 settembre 2020

SPECIALE FLORENCE KOREA FILM FEST: SECONDO GIORNO. VENERDÌ 25 SETTEMBRE

 Un film di denuncia sulla repressione post-guerra civile costruita come un giallo classico,  un pleonastico film indie e un biopic contaminato con il prison movie. Questi sono i film visti durante la seconda giornata del Florence Korea Film Fest.

-The 12th Suspect

diretto da  Ko Myoung-sung.

Ho un debole per i film ambientati prettamente in un unico luogo.  L'atmosfera claustrofobica,  il lento svelarsi della reale natura dei personaggi, il tempo sospeso. Sono tutti elementi che arricchiscono la visione di un'opera cinematografica.  Mi riferisco in particolare ai film gialli, thriller, dove la tensione e la ricerca della verità, pongono lo spettatore in un'atmosfera ambigua, ricca di sfumature, particolari rilevanti da scovare. 

12th Suspect rientra pienamente in questa categoria di film. Una locanda, ritrovo di artisti, un  cliente misterioso che si rivela un agente dei servizi segreti militari e un doppio delitto ( vittime un poeta e una ragazza amata da gran parte della clientela maschile).  I riferimenti sono i classici gialli logico-deduttivi alla Agatha Christie,  in cui ogni ricordo, parola, punto di vista, subisce un cambiamento radicale.  Opere in cui quello che si è visto e si ricorda, spesso non coincidono.

Per cui assistiamo a questo giallo classico e perfetto, ci domandiamo chi sarà mai l'assassino del poeta e della ragazza. Fino a quando, a metà film,  12th suspect svela la sua reale natura, il suo vero scopo. Un colpo di scena potente, tanto repentino e veloce da scombussolarci. Se prima eravamo spettatori esterni di un'indagine, ora veniamo gettati con forza e violenza all'interno di una feroce, sadica, crudele, caccia alle streghe. E le streghe siamo noi.

 Il film racconta un periodo storico particolarmente difficile per la Corea: la fine della guerra civile. Il paese diviso in due, la paranoia e ossessione di veder spie comuniste in ogni luogo, in ogni persona.  Per cui il simpatico investigatore nasconde una natura ben diversa e per nulla pacifica.  Attraverso il suo personaggio assistiamo a come spesso i patrioti, sono solo degli opportunisti. E che dietro la morte del poeta e della ragazza, si cela un orribile segreto che ci riporta all'occupazione giapponese. 

Un film amarissimo, sconvolgente, radicale nel suo pessimismo. Un'opera che riflette sulla repressione, l'oppressione, nascoste dietro la difesa della patria. 



-Move the grave 

diretto da  Jeong Seung Oh

Prima o poi capita. È una regola ineluttabile, imprescindibile, un volere del destino, chiamatelo come volete, ma prima o poi succede. Cosa? L'arrivo del film indie. Una sciagura cinematografica degna dei migliori assalti da parte delle cavallette.

Il film narra la storia di quattro sorelle e un fratello, che devono tornare nel loro paese d'origine perché si deve rimuovere la tomba del loro padre. Un buon spunto, da cui si potrebbe creare una commedia sul senso della famiglia, dei ricordi, agrodolce. Invece è il nulla totale per un'ora e mezza di proiezione.  Inetto, inconcludente, insulso, pieno di un femminismo d'accatto, visto che le figure femminili sono delle ridicole figurine e non diventano mai reali personaggi. Nemmeno i dialoghi ci vengono in aiuto.  Non graffiano, non divertono, sono assai banali. Il primo film terribile, quello che ti chiedi : " ma non c'era nulla di meglio rispetto a questo?" è per ora codesto Move the grave. Spero sia il primo e anche l'ultimo.


- Man of will.

diretto da Won Tae-Lee.

 I film biografici non raccontano mai la storia di un uomo, ma la loro leggenda. Non sono opere storiche, che - almeno in teoria- dovrebbero narrare i fatti e gli uomini nella realtà degli eventi.  I film biografici sono il ricordo nazionale, le emozioni del fan di un cantante, il simbolo per le lotte o i cambiamenti che una persona è diventata. 

In questa ottica possiamo anche sostenere la retorica, il didascalismo,  la santificazione dei protagonisti.  Elementi nocivi per gli stomachi delicati di una certa critica, ma fondamentali per gli incassi della pellicola. 

Ammetto che dopo il nulla trattenuto, ma allo stesso tempo esibito con fastidiosa presunzione, di quella pellicola terribile che è Move the grave, un film epico, di grana grossa,  anche un po' ruffiano in certi punti, è un vero toccasana.

È cinema. Gaglioffo, ribaldo, e tante altre parole di cui non conosco il significato, ma cazzo se suonano bene. 

Il genere usato per narrare la vita di Kim Goo, eroe nazionale dell'indipendenza coreana, è il prison-movie. Infatti l'uomo finisce in un carcere, un vero inferno a cielo aperto, dopo aver assassinato un giapponese, reo- secondo il coreano- di esser responsabile dell'omicidio dell'imperatrice coreana. Tutta la prima parte ci racconta il calvario del nostro Kim. L'impatto visivo è molto forte e potente. Il cinema coreano è molto fisico,  per cui non ci viene nascosta nessuna violenza fisica subita dai detenuti. L'opera cambia quando Kim decide di scrivere una petizione per un suo compagno di sventura e prigionia  Egli è talmente bravo ed istruito, che riceve richieste d'aiuto sia dai prigionieri che dalle guardie.. Non solo, visto la sua abilità e il potere che ha su alcune guardie, decide di insegnare a scrivere e leggere ai detenuti e ai secondini.

Ho apprezzato molto questo film. La sua natura classica, il rifarsi a un cinema solido, robusto, per le masse. Sopratutto quest'anno il Festival mi sta insegnando parecchie cose e storie meravigliose sulla Storia Coreana.




venerdì 25 settembre 2020

SPECIALE FLORENCE KOREA FILM FEST : PRIMO GIORNO GIOVEDÌ 24 SETTEMBRE.

 

Un'edizione alquanto strana, diversa, insolita, quella del Florence Korea Film Fest del 2020.  Specchio di questi tempi di pandemia, paura,  tensione. In questa ottica anche innocui, inoffensivi, film catastrofici ( come Exit in gara ieri sera) assumono un valore di riflessione sui pericoli imminenti, la sopravvivenza, l'eroismo di persone normali. 

Tuttavia le misure di sicurezza, veder i film indossando la mascherina,  la mancanza fisica di registi, attori, uomini e donne del cinema coreano, da una parte si fa sentire- c'è nell'aria una certa sottile mestizia- dall'altra non inficia più del dovuto la pulcretudine di questo evento culturale tanto amato ed apprezzato non solo dai fiorentini, ma da tutti gli amanti del cinema.

Da oggi comincerò a scrivere un post di riflessioni indisciplinate dedicate ai film in concorso.  Una cosa semplice, senza fronzoli di sorta, giusto per poter far conoscere opere  che difficilmente possiamo  veder in altri contesti. Suggerimenti di visione, riflessioni più profonde laddove ve ne sia bisogno.

Tenete anche conto che il sottoscritto ha superato la mezza età da un po', per cui la stanchezza si fa sentire e le migliori intuizioni/intenzioni svaniscono con le prime luci dell'alba.  Per questo cercherò di far piccole recensioni nel quale vi spiego la trama, dando una mia interpretazione.

Perché il cinema parla sempre al singolo, anche se si rivolge alle masse. E ogni spettatore vive l'emozione di assistere a un racconto per immagini alla propria maniera.

Leggendo le altrui parole, però, possiamo trovare affinità e riscontri con i nostri sentimenti e pensieri. Spero possa capitare con voi; che le mie parole vi possano spingere ad amare il cinema coreano. Magari a venire a Firenze per la visione di questo meraviglioso festival.


I FILM

- A Little Princess.

diretto da Heo in-moo

Il primo film della nuova edizione del Florence Korea Film Fest è un'opera che mescola la commedia e il dramma, senza trattenersi mai. Questo per me è un valore aggiunto molto importante, visto che detesto il cinema trattenuto, il quale  ostenta la sua anti retorica come fosse una virtù, quando è solo mancanza di coraggio nel mostrare le cose e le persone, i loro sentimenti, le loro gioie e paure.  In gran parte del cinema coreano, in particolare quello con tendenze smaccatamente popolari, questo non avviene mai.

Scrivo questo per avvisarvi che passata la prima parte del film, decisamente leggere e divertente, con la seconda entriamo nel melodramma/dramma sentimentale decisamente spudorato.

Il film verte e trova totale sostegno nelle magnifiche interpretazioni delle due attrici protagoniste. La giovane star ( è nata il 26 gennaio 2006) Kim Su-an - vista anche in Train to Busan- e la veterana Na Moon-hee.

 Nei ruoli di una ragazzina  che insieme alla sorellina di pochissimi mesi si trasferisce dalla nonna, causa la morte della madre, e l'anziana signora che le accoglie avendone la vita cambiata.

L'opera affronta il tema delle relazioni famigliari, di quanto poco conti il legame di sangue, in un certo senso, perché quello che ci rende genitori o nonni, è l'esempio, l'affetto, il sostegno, la condivisione della vita quotidiana e dei suoi splendori o miserie.

Nella prima parte il tocco è quello della commedia. Il regista ci presenta una Buson non invasa dagli zombi, ma abitata da persone comuni, tutte alle prese con l'amore, la famiglia - da ricostruire o da costruire- i legami solidi. C'è empatia, compassione,  un senso profondo di appartenenza al genere umano, raccontato attraverso l'importanza dell'amore.

Nondimeno è presente, in modo molto forte e marcato, il dramma. La malattia, la vecchiaia, la morte, la paura di perdere una vita che ha ancora tanto tempo davanti a sé. Ogni personaggio è alla ricerca di qualcosa che ha perduto. Di fatto tutti i personaggi sono alle prese con qualcosa che manca o ha perduto nella loro vita. Per qualcuno è la famiglia, per altri l'amore, per altri ancora la memoria. 


In fin dei conti A Little Princess, ci mostra la vita. Con le sue stagioni, l'inizio e la fine, la voglia e il desiderio che tutti noi abbiamo di amare ed essere amati. Non nasconde mai il dolore, la sofferenza. È un film spudorato, che non trattiene nulla. Un'opera estremamente sentimentale. 

Un tipo di cinema di cui io sento sempre il bisogno.



- The Battle : roar to victory.

diretto da Won Sin -yeon

Il regista di questo magnifico, epico, spettacolare ed avvincente film storico, debutta nel cinema come stunt man. Dopodiché passa alla regia. Il suo primo film è un horror " The Wig" poi si specializza in opere thriller-action.  

Il dinamismo, il movimento dei corpi e della mdp, sono infatti elementi essenziali anche in questa opera che celebra e rilegge una vittoria fondamentale per le forze indipendentiste coreane, durante l'occupazione giapponese.


Ci troviamo di fronte a un'opera in cui l'azione è preponderante, serve per delineare e marcare le differenze fra i coraggiosi combattenti coreani- contadini, pastori, soldati, anche banditi redenti- che lottano per la libertà e l'amore per la propria terra e i crudeli, sadici, feroci giapponesi.  I personaggi quindi diventano simboli, sono la quintessenza del loro ideale. Li dobbiamo analizzare e comprendere attraverso non tanto un discorso di empatia e partecipazione umana ( come nel caso di A Little princess) ma  come incarnazioni di ideali,  idee, fede.  La contrapposizione tra la violenza di chi deve liberarsi ed è oppresso e quella degli occupanti.

Un irritante discorso di pacifismo ad oltranza, di non violenza assoluta, non tiene mai conto che la Storia va in altra direzione.  Dire che un combattente per la libertà della Corea è uguale a un giapponese che in quel paese violenta, sevizia, uccide, per il gusto di terrorizzare e sottomettere gli innocenti, è sbagliato.  Profondamente errato.

 Le occupazioni si concludono in un solo e unico modo: con la guerra di liberazione.  Impossibile che dei fascisti crudeli, come erano i giapponesi- non per nulla nostri alleati nella Seconda Guerra Mondiale-  comprendano i loro errori, si pentano delle loro crudeltà, avendo dalla loro parte il potere e la forza militare, politica, economica. 

Questa pellicola carica di pathos ( la straziante scena del massacro nel villaggio di contadini)  momenti divertenti e spettacolari, avvincenti, scene d'azione, ci parla di questo: quanto sia fondamentale lottare per essere liberi.

Quello che mi ha colpito nel profondo è lo stile suggestivo, solenne, che avvolge la Storia, e il dinamismo delle scene d'azione . Mai esagitate, confuse, sempre molto ben chiare, distinte e travolgenti. La cura per l'inquadratura e l'estetica, che però non diventa mai un puro vezzo fine a sé stesso, ma conferisce spessore all'opera.

- Exit

diretto da Lee Sang- geun.

Una parte importante del cinema coreano è formata da pellicole di puro, intonso, limpido, intrattenimento. Opere che hanno solo un unico scopo: intrattenere lo spettatore.  Questo modo di intendere il cinema è da sempre divisivo. Nel senso che ci sono i cinefili raffinati,i quali magari hanno anche studiato cinema o diretto qualche corto, per cui  far film sia  creare opere d'arte. Per cui il cinema deve esser fatto in un certo modo, al contrario vi sono altri che son sostenitori dell'idea che i film siano prodotti di un'industria destinati a esser messi sul mercato per incassare. L'importante è che siano prodotti professionali, fatti bene.

Col passar degli anni sono sempre meno un ortodosso dell'arte nel cinema, mi interessa sempre di più il processo di produzione. Un film come  prodotto non è necessariamente qualcosa di orribile e squallido, ma può anche essere un'opera fatta molto bene. Un tipo di cinema che appassiona, diverte, commuove, spaventa, gli spettatori senza trattarli da stupidi.

Exit  fa parte di questa seconda categoria.  Un film di puro intrattenimento, che pone tutte le sue forze sul dinamismo, i corpi in movimento, l'adrenalina, tuttavia dopo un inizio promettente si perde un po',.Diventa ripetitivo, i personaggi non hanno dei veri e propri sviluppi, se non automatici, dettati non da una loro reale presa di posizione, quanto dalla naturale piega che la storia deve prendere.


Il film narra le avventure di un giovane senza arte né parte, la cui unica passione è praticare sport. In modo particolare l'arrampicata. Il giovane uomo viene visto come un perdente dalla numerosa e chiassosa famiglia, perché non ha una sistemazione decente. Non ha un lavoro e non sembra nemmeno che la cosa lo interessi più di tanto. Costui vive nel ricordo di un amore a senso unico per una donna conosciuta durante degli allenamenti sportivi. 

L'occasione di diventare un eroe si palesa quando un folle libera un gas letale per le vie di Seul. Il ragazzo mettendo in pratica quello che ha imparato durante le sue giornate dedicate allo sport, sarà di notevole aiuto sia per la famiglia che per la ragazza tanto amata, quanto - all'apparenza- irraggiungibile. 

La prima parte è la migliore. Perché ci viene presentato una classica storia di perdenti in cerca di riscatto, la descrizione della famiglia è divertente e anche le prime sequenze con l'arrivo del gas mortale, creano tensione e pathos.

Peccato che si perda con il procedere della storia.  Il gas da elemento quasi soprannaturale, finisce per essere una "nebbiolina", i personaggi corrono, si arrampicano, saltano, ma tutto questo dinamismo non crea alcuna tensione. 

Tuttavia se aveste il desiderio di una visione leggera, disimpegnata, di puro genere,  credo che questo film possa anche garbarvi.


mercoledì 20 maggio 2020

DEREK di Ricky Gervais

"Io mi devo difendere."
Questa frase detta dal personaggio di Michele Apicella in  Bianca, descrive molto bene la maggioranza di uomini e donne che hanno deciso di vivere nell'insofferenza, diffidenza, in una solitudine tanto esibita, quanto nel profondo subita. Perché, non dimentichiamolo "la vera libertà è stare in due" Questa volta a parlare è Don Giulio. Il film quel capolavoro che è La messa è finita.
Ci sono tanti discorsi che pretendono la nobiltà della filosofia o del grande pensiero intellettuale, votate a dar credito a tutto ciò che è pessimista, rancoroso, debole, egoistico, con la scusa che la vita è dura, il mondo fa schifo,  l'amore è una sciocca illusione. Uomini e donne fieri di non essere consolatori, come se consolare fosse una cosa ignobile e meschina,  ma che nella verità si nascondono, fuggono, dietro alibi, giustificazioni, due soldi di cultura buttati via.  Non credete a chi vi dice che siamo soli, che gli altri sono un ostacolo alla nostra felicità.  Sono parole per salvarsi da un dolore che non sappiamo gestire, per cui comprensibile, ma non sono vere. Col tempo quasi tutti ce ne accorgiamo.
Perché ha ragione Derek, la gentilezza è fondamentale e importante, e a parte certi irrecuperabili - per cui attuiamo con gentilezza la giustizia proletaria- la maggior parte delle persone se trattate con rispetto, attenzione, affetto, si dimostrano meglio di quello che sono.
Il giorno della nostra morte arriverà implacabile. Una seccatura, come quando sei costretto, da piccolo, ad andar a pranzo dai parenti.  A noi piacerebbe un finale in grande stile, perché in fin dei conti la vita è una meravigliosa recita ed è venuto il momento di salutare il pubblico. Purtroppo non per tutti è possibile andarsene con stile, dicendo le ultime famose parole. Si boccheggia, nella semi incoscienza, in un letto che non è il vostro, un anonimo giorno di pioggia feriale. La gente lavora, si perde in mille scemenze, ha paura di tutto, non si fida di nessuno. E voi morite.
Per cui potreste dirmi: vedi che muori solo? Lo diciamo perché diamo per scontato le cattiverie ed assenze altrui. Dando poco peso a tutto il bene, le attenzioni, la mano che ci sfiora prima di morire, donata a noi dagli altri.
Ci siamo abituati che esser sinceri significa essere teste di cazzo. Ci siamo abituati ad ascoltare per far polemiche sterili, che dobbiamo blasterare, mi raccomando!  Negli altri vediamo il nemico, colui che ci impedisce di essere felici. E allora ditemi, quale felicità vi ruba una persona che si mostra gentile con voi? Le piccole esigenze personali, la vigliacca fuga da una analisi lucida e spietata dei nostri problemi, tutte cose che ci servono per resistere ai duri colpi della vita.
Ci vuole troppa disciplina, fermezza, decisione, organizzazione per essere teneri, affettuosi e gentili con noi stessi e gli altri.  Troppa. Meglio consolarci con i nostri disastri, le mancanze, le ossessioni, che pretendiamo di normalizzare.
Lo so, perché lo faccio anche io.  Mi sento inadeguato, stanco, sono convinto di essere sempre  e comunque un peso, il peggiore dei peggiori, e allora mi lascio andare. Mi scorre addosso la vita, la gioia, il dolore, tutto.  Lontano dal mondo, da ogni essere vivente. Perché? Anche io devo difendermi. Da chi? Da me, dai miei disastri, dal coro greco di persone che nella mia testa me ne dice di tutti i colori. Mi limito a osservare il disastro che sono, che è il mondo in cui vivo. Detto questo, ho anche cominciato un lungo percorso di miglioramento personale, vado in terapia, faccio piccoli e significativi passi in avanti, che poi nego a me stesso quando "sto male", ma li faccio per quanto trascurabili agli occhi degli altri. Li faccio perché ho capito che intorno a me ci sono molte persone che mi vogliono bene e che ognuna di loro con gesti piccoli o grandi mi rende la vita migliore, degna di essere vissuta.
Che nessuno uomo è un'isola. Certo, ho dovuto incontrare mia moglie, il faro illuminante della mia vita. La persona che ha dato inizio alla mia rinascita.
Perché esistono persone stupende come Derek che non ha alibi, giustificazioni, non campa di masturbazioni mentali. Riconoscono il dolore, la sofferenza, ma cercano di accompagnarci nella nostra vita piena di tribolazioni con la loro gentilezza, generosità, amore.  Lo fanno perché sanno che ognuno di noi merita di uscire dalla scena con qualcuno che applaudi alla sua vita, a quello che ha sognato, desiderato, perduto.
Dietro alle risate ( e in questa serie si ride tantissimo) c'è la malattia, la morte, le vite colpite e spezzate dei perdenti. Uomini sconfitti e non come succede nei film americani, cioè rielaborati affinché il pubblico benestante possa rendersi conto che esistano gli altri, ma che costoro sono solo un po' particolari e fondamentalmente comici.  Qui ridiamo delle battute e per le situazioni, ma i personaggi sono tutti tragici. Sopratutto non addomesticati, ripuliti. Sono squallidi, ripugnanti, osceni, volgarissimi e odiosi. Eppure sono proprio loro che meritano la carezza, l'abbraccio, il sostegno totale e assoluto casino dopo casino.
Tutto questo lo noti nel bellissimo, meraviglioso, straordinario personaggio di Kevin - interpretato benissimo da David Earl-  un alcolizzato senza gloria, un viscido e squallido maniaco sessuale, un uomo volgarissimo. Uno che non fa nulla, beve e dice cose sessualmente imbarazzanti . Eppure in tutto questo orrore di uomo c'è una cosa che io ho colto al volo, ma l'avranno colta tutti quelli che pensano di non meritare nessun tipo di amore, cioè un fortissimo desiderio d'amore, la voglia di esporla alla luce del sole tutto l'affetto, la dolcezza di cui è capace. Per questo il rapporto con Derek è fondamentale, lo aiuta a non sprofondare di più. In una serie in cui, come pubblico, siamo portati a piangere moltissimo, il personaggio di Kevin è quello che mi ha commosso di più in assoluto. Mi ha ricordato quel passo delVangelo, forse di Luca, in cui parlando delle opere di bene, del far del bene per gli altri, ci esorta a farlo per chi odiamo, i nostri nemici. Perché quello è il gesto che dona davvero importanza a far il bene: essere disinteressati e muoversi solo per evitare che gli altri stiano rinchiusi nel loro dolore.
Kevin è il personaggio verso cui il bene che fa Derek diventa azione quasi mistica, quasi divina.
C'è anche un bellissimo discorso sulla vecchiaia e gli anziani. Proprio ora che sono tra i più colpiti dal Covid-19, in un momento in cui nazioni che di solito stanno al primo posto tra gli esterofili di sta cippa, in cui ritenendo che la vita non sia sacra- che enorme cazzata- si reputa che la perdita di persone che comunque hanno già vissuto la loro vita, sia una perdita accettabilissima.
Derek va controcorrente. Ci rammenta che c'è vita fino all'ultimo, che gli anziani hanno il diritto e il dovere di vivere serenamente i loro ultimi anni su questo pianeta, di ridere e scherzare, forse anche innamorarsi,  aver qualcuno che li ascolti e li accolga con trasporto e una esibizione cristallina delle emozioni.
La casa di riposo gestita benissimo da Hanna, bravissima Kerry Godlman,  è la rappresentazione dell'ostinazione, l'amore per la sua professione, della donna e dell'amore purissimo che Derek riesce a dar a ogni ospite, collega, persona ed essere vivente che incontra nella sua via.
Quando riesci a far ridere, piangere, rendere i personaggi non degli stereotipi senza vita, ma persone a cui ti affezioni, vuol dire che stai facendo davvero un ottimo lavoro.
Gervais si conferma, dopo After Life e un buon numero di film riusciti, come uno tra i migliori autori di commedie venate di dramma, attualmente operativi.
Consiglio questa serie tv che non teme di essere sentimentale.
Opera  melodrammatica, volgare e comica, mantiene  sempre un livello alto; la consiglio perché sarebbe un grosso errore perderla. Derek non ha paragoni di sorta, è altro e oltre.
Vita rappresentata con dolore, partecipazione, umanità.
Penso che tutti abbiamo bisogno di queste cose. Di toglierci il peso della sofferenza fine a sé stessa e puntare a una sana  e reale redenzione.

mercoledì 13 maggio 2020

Aftermath di Elliot Lester

In questi mesi di pandemia ho avuto la conferma di vivere in una società di persone che non hanno senso del bene comune, persone che badano alla soddisfazione delle loro esigenze. In realtà non credo nemmeno che siano tantissimi, tuttavia sono rumorosi  e fastidiosi. Per costoro la vita non è una lunga serie di conseguenze che dobbiamo gestire o pagare per le nostre scelte e responsabilità, è solo una questione di libertà personale.
Tuttavia le cose non stanno così.  E il conto da pagare c'è sempre.
Cosa rende davvero piena la vita di un uomo? Quali sono quelle cose per cui vale la pena vivere? Cosa succederebbe se un giorno dovessimo perderle, all'improvviso, per colpa di qualcuno che non conosciamo, ma che un po' alla volta diventa il responsabile della nostra fine? Queste sono alcune domande che mi sono posto guardando questo notevole film che ci dona un Arnold Schwarzenegger davvero straordinario in un ruolo decisamente drammatico.
Il popolare eroe di tantissimi film di successo degli anni 80, in questa pellicola interpreta un capo cantiere edile, di origine ucraine, che vive per la famiglia e il lavoro. Un uomo semplice, gentile, una persona normale, come moltissimi di noi,  Uno destinato alla vita del lavoratore, del padre di famiglia, un tizio senza grilli per la testa.
La sua vita crolla quando moglie e figlia muoiono in un incidente aereo.  Colpa di un addetto alla torre di controllo.
 Improvvisamente Roman perde tutto, si trincera dietro al silenzio e al dolore, ha solo uno scopo: che qualcuno si scusi con lui. Invece il linguaggio dei responsabili è burocratico, basato su un assistenzialismo del tutto ipocrita, in cui il suo dolore ( e quello delle altre vittime) è solo questione di evitare un processo e di pagare pochi spicci per una cosa che non ha valore: la vita umana,
Tuttavia non è solo Roman a soffrire, a sentirsi perduto e senza una vita. Le stesse sensazioni le vive sulla sua pelle il responsabile del disastro aereo, un uomo come tanti anche lui di nome Jack. Costui è un uomo felicemente sposato con una donna che ama ed insieme hanno un figlio.  Anche Jack vive per la famiglia e il lavoro, solo che durante un turno notturno di lavoro, per colpa di tante piccoli problemi e disattenzioni, non nota che due aereoplani sono in rotta di collisione. Quel suo errore costa la via ad oltre duecento persone.  Da quel momento è il nemico pubblico numero uno. La gente gli imbratta la facciata della sua casa con scritte cariche di odio, la tv lo bracca e lui passa le giornate a letto. Perdendo lavoro, famiglia,tutto.
Fino a quando riesce con molta fatica a ricostruirsi una vita. Ma le conseguenze del male che facciamo, anche senza premeditazione o desiderio di farlo, non si cancellano da sole.  Non c'è salvezza e redenzione per il dolore e la sofferenza che provochiamo. 
La conseguenza che è la rabbia e l'odio sfociano in violenza. La quale non può che portare altro rancore e bisogno di vendicarsi. 
Sì, perché se vi aspettate un film ridondante, strumentale,  morboso, sul senso e il bisogno di vendetta, avete sbagliato opera. 
Aftermath è un film disperato, cupo, in cui il dolore è diffuso in ogni sequenza, dialogo, non ci sono personaggi del tutto buoni o cattivi. Sono uomini travolti dalla tragedia che hanno causato o subito.  Sono persone condannate alla solitudine, al pensare e rivivere la perdita dei propri cari e la certezza di esser un uomo bravo e innocente.
Durante la visione ci sente particolarmente partecipi per il dolore che provano sia Roman che Jsck. In particolare l'interpretazione essenziale, sobria, ma carica di dolore imploso, senza fine,  del buon Arnold, scava nel nostro cuore, portandoci a riflettere a lungo su come ci saremmo comportati al suo posto. Cioè quando la razionalità, l'idea di perdono, la voglia di ricominciare, riprendersi la vita, svaniscono e rimane solo il desiderio di vendicarsi, anche se non lo ammettiamo nemmeno a noi stessi. Ci diciamo che le scuse possano bastare. Ma non è così.
Lo sappiamo benissimo noi che abbiamo trovato una donna che ci ha cambiato la vita, ci ha donato una serenità quotidiana prima quasi sconosciuta, con la quale giorno dopo giorno costruiamo il nostro futuro. Una donna che ci fa commuovere, ridere il sangue nelle vene, e poi un giorno qualcuno ce la porta via. Ha senso vivere? Ha senso superare la sofferenza? Per approdare dove? Quale salvezza o redenzione potremmo mai ottenere dopo una simile tragedia?
Forse dal momento che siamo sopravvissuti a una perdita tanto importante, moriamo anche noi. Continuiamo a mangiare, dormire, guardare la tv, ma dentro di noi siamo finiti e spacciati. L'unico sussulto di vita che possiamo provare è eliminare la causa del nostro dolore. Solo che dalla vendetta non nasce nulla di buono, non c'è una soluzione ai nostri guai o dispiaceri.
 Mi sono sentito molto vicino a Roman, ho provato il suo dolore. Ed ho avuto pietà e compassione per Jack, ma non gli posso perdonare il suo errore di non volersi sentire colpevole, di non accettare la punizione inevitabile che è conseguenza del suo gesto. 
Per quanto il gesto di vendicarsi ala fine crei solo altra rabbia, altri risentimenti. Quindi la soluzione è il perdono. Forse, ma nemmeno quel gesto  potrebbe non cancellare gli anni di violenza soffocata.
Ogni gesto che facciamo, ogni colpa, ogni mancanza, ha una sua amarissima e feroce conseguenza. Ed è impossibile uscirne.
Un film intenso con un grandissimo e credibile Arnold, opera che ci spinge a riflettere e soffrire con i personaggi. Da vedere.
Lo trovate su Netflix.

venerdì 8 maggio 2020

CHI LE HA VISTE MORIRE? di ALDO LADO.

La stagione selvaggia, breve, folgorante del giallo italiano ci ha donato una manciata di pellicole davvero degne di nota.  Film in cui oltre al classico meccanismo noto come "whodunit", cioè la scoperta dell'assassino solo alla fine e dopo una lunga indagine, si sposa magistralmente con elementi più horror, in quanto la violenza è messa al centro dell'azione. Nessuno in questo tipo di film muore in modo che non sia quantomeno doloroso e spettacolare.
C'è una certa urgenza estetica nella ricerca di metodi sempre più efferati di mostrare la crudeltà di cui noi umani siamo capaci.
I padri fondatori di questo genere sono Mario Bava e Dario Argento, anche se come spesso succede vi sono anche altri registi che si adoperavano a costruire le fondamenta del giallo italiano.  Infatti c'è quasi l' imbarazzo della scelta., visto l'alto numero di film che in quel periodo sperimentavano nuovi confini, spostavano sempre oltre l'asticella del dimostrabile e sostenibile.
Tra i tanti ottimi film, c'è anche questo piccolo gioiello di un ottimo artigiano del miglior cinema di genere italico: Chi le ha viste morire?
Il film narra la storia di Franco, uno scultore che vive a Venezia. Un giorno riceve la visita di sua figlia Roberta, che non vede da un po' di tempo. Dopo alcuni giorni passati in totale gioia e allegria la bambina scompare.  L'uomo comincia a cercarla nella speranza che non sia successo nulla di grave, purtroppo non è così. Roberta è stata assassinata.
Sconvolto dalla morte della figlia, lo scultore comincia un'indagine solitaria con lo scopo di trovare l'assassino. Troverà delle analogie con la morte di una bambina in Francia, scoprendo che una sua conoscente lavorava per la famiglia della piccola vittima.  Tuttavia ogni volta che avvicina qualcuno che possa dargli una nano, costoro finiscono uccisi in modi brutali per mano di una donna  vestita di nero, con il viso nascosto da un velo.
La soluzione sarà  a dir poco sconvolgente
Il film si basa su un meccanismo oliato alla perfezione. Ogni elemento è necessario e utile per far un passo in avanti nella trama, infatti non manca mai la tensione, la voglia di scoprire chi sarà mai il colpevole e quali le sue motivazioni.  Lado è straordinario nel metter in scena i vari delitti, tutti abbastanza macabri, ma senza esagerare.  Un perfetto equilibrio tra suspense e violenza.  Oltretutto, prima di far sparire la bambina, la sceneggiatura ( alla quale ha collaborato anche Francesco Barrili  regista di Pensione Paura  tra le altre sue opere) e la regia creano un'atmosfera di grande tenerezza tra il padre e la bimba. Ci affezioniamo a loro, tanto da sperare che Roberta continui a salvarsi dalle mire omicide della misteriosa signora.
I personaggi sono funzionali alla trama, che ben presto punta  a una denuncia esplicita della buona borghesia veneziana, regno di depravazioni sessuali e altro. 
Lado è un  ottimo regista, come abbiamo scritto in precedenza, qui è aiutato anche da una bellissima colonna sonora di Ennio Morricone, e da un cast valido. Protagonista troviamo quel Geroge Lazenby, chce ha interpretato 007 tra un Connery e un Moore,  qui se la cava decentemente nel ruolo di Franco, speriamo sempre che riesca a metter le mani addosso all'assassino. C'è anche un giovane e già molto bravo Alessandro Haber,  nel ruolo di un prete.
Ho trovato vaghi echi di "Non si sevizia un paperino" e altre pellicole analoghe del periodo, ma questo non è un difetto. Anzi.
L'opera la potete trovare su Youtube. Attenzione che c'è una copia in cui manca il prologo, bellissimo, controllate nei commenti che un buon samaritano ha messo una copia intera del film.
Buona visione.