Io amo profondamente i Musical. Anzi, definiamo bene la questione: adoro veder la gente ballare e cantare e se non ci fosse nessuno di questi due elementi, mi basta che vi siano dei musicisti. Credo che la musica abbia delle ripercussioni magiche-sentimentali sulla nostra esistenza.. Lasciare a casa ogni inibizione e vergogna e abbandonarsi a danze e canti, nella società occidentale forse è una richiesta di troppo. Perché queste attività sono troppo legate a intimità radicate nel nostro esser più segreto e profondo, quel bambino di "pascoliana memoria" ( calma non c'entra un cazzo ma dà un tono intellettuale al tutto) quella purezza e dolcezza anche infantile, se volete discriminarla e ridicolizzarla a tutti i costi, che ci appartiene; ma che preferiamo soffocare dietro a un nichilismo quotidiano di sterile realismo, annoiato cinismo, precarietà degli e negli affetti
Per piacerti, il Musical ti chiede solo una cosa: devi essere una persona romantica, capace di esser felice senza eccedere nelle illusioni della cultura dello sballo, devi essere sensibile e sognare.
Ecco su questo punto dovremmo dilungarci un po', ma sono stanco e poi vi offro troppe cose nuove e interessanti insieme, che - grandissima tragedia- non sono oggettive o scritte da uno laureato in cinema, no sono solo dei miei pensieri. Potrei esser accusato di grillismo eh!
Però si! Vi faccio la sinossi: credo vi sia un problema di fondo su cosa significhi per noi: sognare
Io personalmente mi chiederei anche il significato di : successo. Cosa evocano in noi queste due parole così importanti per la nostra cultura? Comprendiamo il loro vero significato, o seguiamo regole economiche-capitaliste? Che deformano il senso più puro delle parole. Basti vedere, nel concreto, cosa sono diventate e a cosa servano, parole bellissime come: rivoluzione, democrazia, libertà, civiltà. Parole che esprimono un concetto determinante per ogni uomo e donna.
Il sogno oggi non lo vedo così intonso dalle regole televisive, spicce, legate a un momento, al tutto e subito, ma un buon sogno può durare tutta la vita. Esso è la forza che ci spinge a non mollare un obiettivo nel tempo, certo veniamo a patti con la dura realtà, ma non cediamo. Semmai doniamo a lui più impegno e costanza affinché una sua parte si possa realizzare. Non è un'illusione campata su un progetto troppo grande. Il sogno è l'atto pratico e reale di prenderci cura di noi stessi. Quando abbiamo un sogno, ci vogliamo bene.
Il successo vuol dire realizzarlo quel sogno. Non è solo una questione monetaria, ma vederlo nascere, crescere e farsi strada all'interno di quel pubblico che abbiamo scelto come referente delle nostre emozioni e felicità.
Questo è il tema portante del film: sognare non significa campare di illusioni, ma costruire con fatica la tua strada verso il successo. Anche a costo di perdere qualcosa lungo questa strada, come certi affetti, amicizie, sopratutto la cosa bella è che esprime codesto concetto: il successo è un fatto assolutamente personale. Per alcuni è riempire gli stadi, per altri suonar la musica che ama nel suo locale. Questo concetto di felicità-sogno- successo è spiegato benissimo anche in quel piccolo tesoro prezioso che è il brano : "Il violinista sul tetto" di Roberto Vecchioni. Sarebbe piaciuto a Seb? Spero!
Ok, ora ci tengo a precisare tre cose per me importanti: 1) Non è un capolavoro codesto film(e) . Capisco e apprezzo l'entusiasmo di critica e pubblico, ma i capolavori si palesano con il tempo, attraverso una lunga riflessione e a ben vedere forse son ben altre pellicole che possono concorrere al titolo di capolavoro
Questa ossessione assolutista, questa voglia di essere quelli che hanno visto la luce manco fossimo dei cazzo di Jake Blues, al cospetto del reverendo James Brown, un po' è figlia dell'esagerazione dei nostri tempi. Ci dobbiamo salvare dalla crisi evidente delle democrazie liberali, dal nostro esser incapaci di amar una persona che non sia la rappresentazione di idee astratte sull'amore. Per questo dobbiamo credere in qualcosa di assoluto e totale. I cinefili hanno il Dio del Capolavoro.
Ripeto ci sono tantissimi film che meritano rispetto per il semplice fatto di esser buoni, persino ottimi ma non capolavori. Poi c'è una parte soggettiva che rispetto sempre, ad esempio per me "Silence" è un capolavoro, altri ci ritrovano da ridire. Va benissimo così: il cinema è l'arte che parla a noi stessi e ci fa conoscere agli estranei. Ha moltissimi punti di unione con la filosofia e la psicologia, più di quanti molti fissati con l'oggettività tecnica possano credere.
"La la land", non è un capolavoro perché la parte legata al musical o il suo aspetto romantico, la rievocazione di un periodo d'oro hollywoodiano, non è così ricco di possanza o maraviglia come meriterebbe. Ha una profonda incertezza su cosa voglia essere, ma questo è anche il suo fascino per me.
2) le parti musical, possono piacere a chi ne ha visti ben pochi, o non ama il genere. Normale amministrazione. Le basi, i rudimenti, per costruirci uno spettacolo che richiede sforzi e fantasie enormi, in particolare quelli dell'epoca dei Fred Astaire e co. 3 ) Non è una storia d'amore, visto che qui l'amore è rappresentato debolmente, non avverto nessun trasporto per la loro relazione. Stanno insieme o no? Non ho elementi che mi aiutino a comprendere quanto sia forte e profondo il loro amore. Però anche qui vale come prima: ognuno ha il suo metro di romanticismo, ognuno ha il suo bagaglio di film romantici visti.
E allora cosa è La la land? Che tipo di riflessione indisciplinata ha stimolato nello Spettatore?
Credo che sia un complesso e affascinante esperimento estetico-concettuale-intellettuale, fatto da uno studioso. Un saggio sul potere del sogno, inteso come impegno assoluto, costanza, gavetta. Non tanto sull'illusione romantica, rappresentata dai pochi momenti più musicali e "romantici". La Vecchia Hollywood ci donava illusioni, che sono utili se servono per c ostruire un sogno che diventi obiettivo, oppure rimangono momenti sospesi di grande felicità. Però essa è evanescente.
Non puoi avere amore e gloria insieme. Qualcosa devi sacrificare
Ecco questo film che rielabora la musica al cinema in tutte le sue forme, il discorso del Sogno Americano, la sane illusioni danzerecce hollywoodiane, non celebra ma smaschera. Il finale lo dimostra apertamente, quando mai un musical sarebbe finito in quel modo?
Questo film è l'opera di un "secchione" il quale ha studiato bene la materia e ci tiene a farlo vedere, ma non si limita a questo. Vuole reinterpretarla usando i codici in vigore in quel periodo da lui studiato, per dire altro.
Proprio per questo le scene musicali non possono essere che ricalcare le regoli base, proprio per questo l'amore è enunciato na non presente e vivo, mentre il film vola altissimo quando parlano gli strumenti e i musicisti eseguono quel rito antico e meraviglioso che è suonare.
Come sempre quando entra in scena l'attenzione sulla musica jazz, il suo significato, le contraddizioni di chi suona questa musica con le masse ( a fanculo la gente dice il purista Seb ma il suo amico pur di allargare il consenso ha contaminato la musica in 7/8 con il pop. Chi ha ragione?) questo film diventa assai interessante.
Perlomeno lo è per chi ama il jazz. A me piace assai, anche se molte cose sono ostiche e complesse e non è che mi alzi la mattina sentendo questo tipo di musica. Ho diversi cd e lp, mi affascina.
Per cui a mio avviso La la land è un buonissimo film, senza ombra di dubbio la parte più musical, nostalgica, romantica, è del tutto superficiale, o comunque funzionale a un discorso che non si ferma per nulla a una cosa in stile Bogdanovic, per fortuna direi, per altre ragioni e purtroppo per altre ancora.
La la land è molto più intellettuale di quanto possa sembrare e sopratutto ha il dono di un'amarezza sentita, toccante, un finale davvero meraviglioso
ps: due cose : 1) si pur non essendo nulla di che, a me le canzoni sono piaciute. Una in modo particolare, ma non faccio testo. Appena uno canta o balla io mi emoziono, fosse pure Nino D'angelo ne La Discoteca. 2) Spero vinca tantissimi premi oscar. Così i prossimi anni usciranno molti film di musica o musical veri e propri
Infine: non parlate male di quel grandissimo attore che Ryan Gosling, e nemmeno della brava Emma Stone e i suoi occhi a cinemscope <3 nbsp="" p="">
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lunedì 30 gennaio 2017
domenica 29 gennaio 2017
Patterson di Jim jarmusch
Mi piacciono quelli che a volte vengono definiti "piccoli film". Perché, spesso, dietro a questa categoria si nascondo opere che non cedono a una visione tecnologica, di sfoggio muscolare e con divisioni netti tra super eroi buoni e nemici dell'umanità.
Queste pellicole ci ricordano che ogni essere umano è un film emozionante, una storia che val la pena esser raccontata e filmata, non ci servono gli eroi; abbiamo bisogno di uomini
Il pericolo è quello di incappare nel soporifero cinema "trattenuto", la cosa davvero non mi garba affatto. Infatti il film sarà piccolo, principalmente per una questione anche economica, ma non deve esser per forza sciatto, trascurato non dire nulla o non donarci personaggi epici o interessanti.
Jarmusch viene considerato uno che rappresenta la realtà come è, senza nemmeno cercare l'epica del/nel quotidiano come un Linklater, ad esempio. Per cui molti dicono che nel film in questione non capiti nulla dall'inizio fino alla fine. Vediamo solo la vita di un uomo, uno qualunque.
Non so, in realtà Jarmusch mostra dietro la normale esistenza dei suoi personaggi, una certa eccentricità. C'è moltissimo cinema, riferimenti letterari, rielaborazione del quotidiano, in questa pellicola e nella sua filmografia.
I dialoghi curati, prendono dal viver comune e si trasformano in arte cinematografica. Certo non ci sono eroi, nulla compie qualcosa di significativo per la sua vita.. C'è una stanchezza soffusa, un malessere sottile e difficile da decifrare, una recita da portare avanti , mi riferisco alla coppia litigiosa al bar.
Patterson è pura rappresentazione artistica dell'esistenza quotidiana spiccia, comune, ritenuta noiosa da moltissimi spettatori o scrittori più o meno sconosciuti di genere, in Italia.
Ci spaventa così tanto la normale quotidianità, siamo così messi male che dobbiamo per forza sognare in grande, quando il mondo è pieno di gente come Paterson, del paese di Paterson, New Jersey
Detto questo non credo che il tema sia la felicità o almeno vi è un'idea di essa che non mi garba. Cioè è possibile esser felici solo chiudendosi in noi stessi, nei nostri progetti.
Il barista che si sfida da solo a scacchi è il cuore del film, il suo messaggio. D'altronde risulta chiarissimo che Paterson sia fondamentalmente felice di scrivere poesie, ma non riesce a condivider i sentimenti e la loro bellezza con nessuno. In particolare con la sua compagna.
Il loro è un affetto di facciata, che quasi mai è rivolto all'altro. Si scambiano le loro passioni artistiche ma non le condividono mai. Ognuno cerca nel suo modo di fare arte la felicità. Separati.
Questo è molto reale, ben descritto, perché sicuramente Jarmusch crea personaggi che rimangono a lungo nella memoria. Simboli del vivere reale, ma che non hanno nulla di reale, tranne alcune loro relazioni con gli altri.
Opera ben più sofisticata e raffinata di quanto possa apparire, mostra l'importanza della poesia o dell'arte per sopravvivere al nulla, al grigiore, all'abitudine. Sopratutto ci insegna come l'arte alberghi nei cuori e nelle menti delle persone più impensabili anche degli uomini comuni
Vorrebbe esser un film che si occupa di felicità, ma è la tristezza a farla da padrona, seppur senza drammi, senza eventi particolarmente duri. Basta vivere una vita con una persona alla quale non sai che dire, star in un bar quando forse potresti partecipare a gare internazionali di scacchi.
Sono però le nostre passioni a salvarci, e forse in questo c'è davvero tanta felicità.
Piccolo film che però dice cose importanti, le dice anche bene se vuoi. Straordinario Adam Driver, il film in fin dei conti è lui
Queste pellicole ci ricordano che ogni essere umano è un film emozionante, una storia che val la pena esser raccontata e filmata, non ci servono gli eroi; abbiamo bisogno di uomini
Il pericolo è quello di incappare nel soporifero cinema "trattenuto", la cosa davvero non mi garba affatto. Infatti il film sarà piccolo, principalmente per una questione anche economica, ma non deve esser per forza sciatto, trascurato non dire nulla o non donarci personaggi epici o interessanti.
Jarmusch viene considerato uno che rappresenta la realtà come è, senza nemmeno cercare l'epica del/nel quotidiano come un Linklater, ad esempio. Per cui molti dicono che nel film in questione non capiti nulla dall'inizio fino alla fine. Vediamo solo la vita di un uomo, uno qualunque.
Non so, in realtà Jarmusch mostra dietro la normale esistenza dei suoi personaggi, una certa eccentricità. C'è moltissimo cinema, riferimenti letterari, rielaborazione del quotidiano, in questa pellicola e nella sua filmografia.
I dialoghi curati, prendono dal viver comune e si trasformano in arte cinematografica. Certo non ci sono eroi, nulla compie qualcosa di significativo per la sua vita.. C'è una stanchezza soffusa, un malessere sottile e difficile da decifrare, una recita da portare avanti , mi riferisco alla coppia litigiosa al bar.
Patterson è pura rappresentazione artistica dell'esistenza quotidiana spiccia, comune, ritenuta noiosa da moltissimi spettatori o scrittori più o meno sconosciuti di genere, in Italia.
Ci spaventa così tanto la normale quotidianità, siamo così messi male che dobbiamo per forza sognare in grande, quando il mondo è pieno di gente come Paterson, del paese di Paterson, New Jersey
Detto questo non credo che il tema sia la felicità o almeno vi è un'idea di essa che non mi garba. Cioè è possibile esser felici solo chiudendosi in noi stessi, nei nostri progetti.
Il barista che si sfida da solo a scacchi è il cuore del film, il suo messaggio. D'altronde risulta chiarissimo che Paterson sia fondamentalmente felice di scrivere poesie, ma non riesce a condivider i sentimenti e la loro bellezza con nessuno. In particolare con la sua compagna.
Il loro è un affetto di facciata, che quasi mai è rivolto all'altro. Si scambiano le loro passioni artistiche ma non le condividono mai. Ognuno cerca nel suo modo di fare arte la felicità. Separati.
Questo è molto reale, ben descritto, perché sicuramente Jarmusch crea personaggi che rimangono a lungo nella memoria. Simboli del vivere reale, ma che non hanno nulla di reale, tranne alcune loro relazioni con gli altri.
Opera ben più sofisticata e raffinata di quanto possa apparire, mostra l'importanza della poesia o dell'arte per sopravvivere al nulla, al grigiore, all'abitudine. Sopratutto ci insegna come l'arte alberghi nei cuori e nelle menti delle persone più impensabili anche degli uomini comuni
Vorrebbe esser un film che si occupa di felicità, ma è la tristezza a farla da padrona, seppur senza drammi, senza eventi particolarmente duri. Basta vivere una vita con una persona alla quale non sai che dire, star in un bar quando forse potresti partecipare a gare internazionali di scacchi.
Sono però le nostre passioni a salvarci, e forse in questo c'è davvero tanta felicità.
Piccolo film che però dice cose importanti, le dice anche bene se vuoi. Straordinario Adam Driver, il film in fin dei conti è lui
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venerdì 27 gennaio 2017
Hell or high water di David Mackenzie
Ci sono storie che non hanno bisogno di grandi effetti speciali, situazioni originali, colpi di scena su cui basare tutta la struttura
Raccontano un vecchia, dannata, sporca storia e i suoi personaggi non hanno nulla di eroico, non sono nemmeno tipi che vorremmo frequentare. Fanno cose sbagliate, vivono esistenze randagie. Vittime e carnefici di un sistema economico e sociale che ha messo in ginocchio le fasce meno abbienti, quelli che non sanno stare al passo coi tempi.
Non importa che sia una persona malata, non importa che si metta a repentaglio vite umane. Bisogna far cassa.
Questo non significa che i due fratelli rapinatori di codesta buona pellicola non abbiano colpe pesanti, non siano responsabili delle loro scelte, che rimangono assolutamente criminali e ingiustificabili, Ci viene solo fatto notare che l'ambiente e condizioni sociali, le dinamiche di classe o politiche sono fondamentali. Perché almeno uno dei due fratelli se non fosse costretto dalla "crisi" e dai rapporti di forza sfavorevoli, sarebbe sicuramente una persona onesta
E in fondo, come mostrano alcune scene del film, lo è rimasto.
Perché esser tra i buoni e cattivi non è cosa scontata. Basta poco per trovarsi dalla parte del pericolo pubblico. Ci vuole ancora meno a passar dal difendere la legge alla legge della vendetta.
I personaggi riescono sempre a farci un po' pena, proviamo compassione per costoro. Sono deboli e fanno scelte sbagliate, ma hanno anche una missione lodevole: i fratelli riprendere il loro ranch e donarlo ai figli di uno di loro due, l il Texas Ranger servire la legge, proteggere i cittadini.
Fra di loro: paesi di rara bruttezza, desolazione, città di cow boy pronti a sparare in ogni occasione, di cameriere che forse meriterebbe altra vita, rapporti famigliari in crisi.
A brillare in questo paesaggio di rabbia e violenza è la figura dell'anziano Texas Ranger, ormai giunto a un passo dalla pensione, e il suo rapporto di lavoro e personale con il suo collega di origine indiane: Alberto.
Per tutto il film l'anziano prenderà in giro,anche pesantemente, il suo collega. il loro rapporto è speculare a quello dei fratelli, in un certo senso è come se essi fossero testimoni della forza dei legami, l'unica cosa che ci salverebbe da un mondo altrimenti spietato.
In fin dei conti non succede nulla di nuovo, in questo film: dei tizi fanno delle rapine e una coppia di tutori della legge li insegue. Conta il come vengono messi in scena e scritti questi personaggi. In ultimo dagli attori.
Jeff Bridges è formidabile: il suo personaggio spicca sul resto del film e devo dire che sposta di gran lunga il giudizio sul terreno del "positivo".
Indolente, sornione, eppure efficiente al massimo. Un uomo che rudemente nasconde la sua profondissima umanità dietro gli sberleffi all'unico amico che ha: un collega. Un uomo solo, ormai sul viale del tramonto, senza gloria, senza passare per la via della leggenda. Un onesto lavoratore.
Certo la storia dei due fratelli ci commuove, ci interessiamo di loro, ma l'attenzione è tutta sul personaggio dell'uomo di legge.
Perché è quello che ha un brusco cambiamento a un certo punto.
Non c'è pace sulle strade soffocanti del Texas, i peccatori non sono perdonati e non subiscono nessuna redenzione. Rimane l'amarezza, la rabbia, il senso di perdita e sconfitta perché per riprendersi la vita, la casa, e donarla ai figli, si è perso troppo.
"Hell or high water" è una dolente ballata southern, una triste canzone country di cui conosciamo da generazioni il testo e la melodia
Cinema medio, non eccezionale o imperdibile, ma di grande qualità
Raccontano un vecchia, dannata, sporca storia e i suoi personaggi non hanno nulla di eroico, non sono nemmeno tipi che vorremmo frequentare. Fanno cose sbagliate, vivono esistenze randagie. Vittime e carnefici di un sistema economico e sociale che ha messo in ginocchio le fasce meno abbienti, quelli che non sanno stare al passo coi tempi.
Non importa che sia una persona malata, non importa che si metta a repentaglio vite umane. Bisogna far cassa.
Questo non significa che i due fratelli rapinatori di codesta buona pellicola non abbiano colpe pesanti, non siano responsabili delle loro scelte, che rimangono assolutamente criminali e ingiustificabili, Ci viene solo fatto notare che l'ambiente e condizioni sociali, le dinamiche di classe o politiche sono fondamentali. Perché almeno uno dei due fratelli se non fosse costretto dalla "crisi" e dai rapporti di forza sfavorevoli, sarebbe sicuramente una persona onesta
E in fondo, come mostrano alcune scene del film, lo è rimasto.
Perché esser tra i buoni e cattivi non è cosa scontata. Basta poco per trovarsi dalla parte del pericolo pubblico. Ci vuole ancora meno a passar dal difendere la legge alla legge della vendetta.
I personaggi riescono sempre a farci un po' pena, proviamo compassione per costoro. Sono deboli e fanno scelte sbagliate, ma hanno anche una missione lodevole: i fratelli riprendere il loro ranch e donarlo ai figli di uno di loro due, l il Texas Ranger servire la legge, proteggere i cittadini.
Fra di loro: paesi di rara bruttezza, desolazione, città di cow boy pronti a sparare in ogni occasione, di cameriere che forse meriterebbe altra vita, rapporti famigliari in crisi.
A brillare in questo paesaggio di rabbia e violenza è la figura dell'anziano Texas Ranger, ormai giunto a un passo dalla pensione, e il suo rapporto di lavoro e personale con il suo collega di origine indiane: Alberto.
Per tutto il film l'anziano prenderà in giro,anche pesantemente, il suo collega. il loro rapporto è speculare a quello dei fratelli, in un certo senso è come se essi fossero testimoni della forza dei legami, l'unica cosa che ci salverebbe da un mondo altrimenti spietato.
In fin dei conti non succede nulla di nuovo, in questo film: dei tizi fanno delle rapine e una coppia di tutori della legge li insegue. Conta il come vengono messi in scena e scritti questi personaggi. In ultimo dagli attori.
Jeff Bridges è formidabile: il suo personaggio spicca sul resto del film e devo dire che sposta di gran lunga il giudizio sul terreno del "positivo".
Indolente, sornione, eppure efficiente al massimo. Un uomo che rudemente nasconde la sua profondissima umanità dietro gli sberleffi all'unico amico che ha: un collega. Un uomo solo, ormai sul viale del tramonto, senza gloria, senza passare per la via della leggenda. Un onesto lavoratore.
Certo la storia dei due fratelli ci commuove, ci interessiamo di loro, ma l'attenzione è tutta sul personaggio dell'uomo di legge.
Perché è quello che ha un brusco cambiamento a un certo punto.
Non c'è pace sulle strade soffocanti del Texas, i peccatori non sono perdonati e non subiscono nessuna redenzione. Rimane l'amarezza, la rabbia, il senso di perdita e sconfitta perché per riprendersi la vita, la casa, e donarla ai figli, si è perso troppo.
"Hell or high water" è una dolente ballata southern, una triste canzone country di cui conosciamo da generazioni il testo e la melodia
Cinema medio, non eccezionale o imperdibile, ma di grande qualità
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cuore nero della provincia americana,
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l'anima nera della provincia americana
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Italia
mercoledì 25 gennaio 2017
DOPO L'AMORE di JOACHIM LAFOSSE
L'amore è perfetto, meraviglioso, eterno. La vita di coppia no. Durante una relazione non mancano incomprensioni, rabbia, distacco, paura di perdere questa cosa sopravvalutata chiamata indipendenza, si fa i conti con una persona la quale, improvvisamente, non è più quel corpo che tanto ci eccitava o quel essere superiore, creato da noi e dalle nostre aspettative.. Tutto questo spaventa, spiazza, e nella tradizione occidentale, meglio buttar via un prodotto difettoso, tanto al centro commerciale ne trovo di nuovi e migliori. Questo ragionamento consumistico, ormai, contamina anche le nostre relazioni.
Anzi a volte penso che prima ancora di esultare per la felicità di trovare qualcuno che ci ami e d'amare, nasca in noi il pensiero di "come e quando lasciarlo/a". Si prova, tanto poi al massimo ci separiamo, cosa vuoi che sia! Capita a tutti. Prima o poi l'amore finisce, inutile perder tempo a far funzionare una cosa che non va. Ah, dimenticavo: gli uomini son tutti uguali, le donne sono tutte uguali. Precari nel lavoro, lo siamo anche nei sentimenti. Egoisti mettiamo al mondo dei figli che tanto capiranno, se ne faranno una ragione, poi tanto il padre lo vedi nei fine settimana, ci sono pur sempre i nonni.
Il pensiero debole di gente fragile
Il film , davvero buono, di Lafosse mostra questo: la fine di un rapporto. Non sappiamo le ragioni, non ci verrà mai spiegato, assistiamo al normale gioco al massacro di due persone che forse si sono amate, o forse si sono lasciate trascinare dalle circostanze e illusioni. Tra di loro le figlie. Vediamo le giornate sottoposte al rancore, i colpi bassi, le ripicche, i silenzi e le scenate. Tanta rabbia, incapacità di comunicare con l'altro. Tutto però risulta scontato, normale, quotidiano. Questo succede a molte coppie che si lasciano o entrano in crisi. Eppure sono sicuro che ci sia sempre spazio per dire o fare qualcosa che possa salvare una relazione. Anche quando non si trovano gli strumenti all'interno della coppia.
Dovrebbero però chiedere aiuto, e nell'epoca del "il mio dolore è unico e tu che ne sai?" figurati se noi abbiamo la forza per andar in terapia di coppia o altro.
Preferiamo distruggerci, farci male, ricordare all'altro quanto sia inutile, rinfacciare all'altra le sue mancanze, ogni nostra forza è al servizio del cercare nuovi punti deboli per far soffrire il compagno o la compagna.
Tutto questo è ben rappresentato ed evidente nel film. Il quale ha il coraggio di mostrare, ma non si abbandona a facili momenti tragici. Par quasi un esperimento scientifico, il regista osserva questi due insetti e i loro comportamenti se posti in situazioni di disagio.
Non è, però, un film trattenuto o distaccato, noi avvertiamo la pena per questi due personaggi, detestabili, alla deriva. Perché sappiamo che sullo schermo stiamo vedendo qualcosa di concreto, tangibile, reale, qualcosa che conosciamo bene, perché testimoni di questi fatti, o perché qualcuno che conosciamo li ha vissuti.
Nella separazione io vedo solo la sconfitta. Totale e assoluta di due persone, le quali poi, in buona parte dei casi, prenderà queste ferite non come errori da evitare in futuro, ma come basi per approcciarsi all'altro.
E noi ce li becchiamo su Facebook che si lamentano come adolescenti
Anzi a volte penso che prima ancora di esultare per la felicità di trovare qualcuno che ci ami e d'amare, nasca in noi il pensiero di "come e quando lasciarlo/a". Si prova, tanto poi al massimo ci separiamo, cosa vuoi che sia! Capita a tutti. Prima o poi l'amore finisce, inutile perder tempo a far funzionare una cosa che non va. Ah, dimenticavo: gli uomini son tutti uguali, le donne sono tutte uguali. Precari nel lavoro, lo siamo anche nei sentimenti. Egoisti mettiamo al mondo dei figli che tanto capiranno, se ne faranno una ragione, poi tanto il padre lo vedi nei fine settimana, ci sono pur sempre i nonni.
Il pensiero debole di gente fragile
Il film , davvero buono, di Lafosse mostra questo: la fine di un rapporto. Non sappiamo le ragioni, non ci verrà mai spiegato, assistiamo al normale gioco al massacro di due persone che forse si sono amate, o forse si sono lasciate trascinare dalle circostanze e illusioni. Tra di loro le figlie. Vediamo le giornate sottoposte al rancore, i colpi bassi, le ripicche, i silenzi e le scenate. Tanta rabbia, incapacità di comunicare con l'altro. Tutto però risulta scontato, normale, quotidiano. Questo succede a molte coppie che si lasciano o entrano in crisi. Eppure sono sicuro che ci sia sempre spazio per dire o fare qualcosa che possa salvare una relazione. Anche quando non si trovano gli strumenti all'interno della coppia.
Dovrebbero però chiedere aiuto, e nell'epoca del "il mio dolore è unico e tu che ne sai?" figurati se noi abbiamo la forza per andar in terapia di coppia o altro.
Preferiamo distruggerci, farci male, ricordare all'altro quanto sia inutile, rinfacciare all'altra le sue mancanze, ogni nostra forza è al servizio del cercare nuovi punti deboli per far soffrire il compagno o la compagna.
Tutto questo è ben rappresentato ed evidente nel film. Il quale ha il coraggio di mostrare, ma non si abbandona a facili momenti tragici. Par quasi un esperimento scientifico, il regista osserva questi due insetti e i loro comportamenti se posti in situazioni di disagio.
Non è, però, un film trattenuto o distaccato, noi avvertiamo la pena per questi due personaggi, detestabili, alla deriva. Perché sappiamo che sullo schermo stiamo vedendo qualcosa di concreto, tangibile, reale, qualcosa che conosciamo bene, perché testimoni di questi fatti, o perché qualcuno che conosciamo li ha vissuti.
Nella separazione io vedo solo la sconfitta. Totale e assoluta di due persone, le quali poi, in buona parte dei casi, prenderà queste ferite non come errori da evitare in futuro, ma come basi per approcciarsi all'altro.
E noi ce li becchiamo su Facebook che si lamentano come adolescenti
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martedì 24 gennaio 2017
ARRIVAL di DENIS VILLENEUVE
Alcune spiegazioni prima della lettura: 1) quello che leggerete non è una recensione dell'ultimo film di Villeneuve, o meglio è anche una recensione però non basata su aspetti tecnici o teorici legati alla pellicola, bensì - ed è quello che da sempre mi interessa maggiormente- il rapporto fra uno spettatore di media intelligenza e un'opera assolutamente ben fatta di un autore a dir poco fondamentale e importante, 2) pur non avendomi conquistato come le pellicole precedenti rimaniamo su livelli davvero molto alti, che ribadiscono la bravura del regista canadese, 3) la fantascienza è un genere che si presta benissimo a visioni più complesse non solo della società, ma anche dell'umanità nel suo vivere più intimo. Questo tipo di approccio, messo in scena in codesta pellicola, mi piace molto. Perché, come nel caso del bellissimo "Silence" di Scorsese, la storia e il messaggio sono altro e oltre rispetto a ciò che vediamo sullo schermo. Sicuramente !Arrival" ha pretese di profondità maggiori rispetto a tante altre pellicole.
Le storie sull'arrivo dei marziani, assomigliano molto alle espressioni di Eastwood: con il sigaro o senza. In questo caso: o sono cattivi e ci vogliono far il culo a strisce sin dalle prime inquadrature, o sono messaggeri di fratellanza, ma non vengono capiti.
Questo secondo filone deve qualcosa a quel piccolo gioiello che è "Ultimatum alla terra", per la regia di un ottimo artigiano di lusso: Robert Wise.
In quel film entità aliene avevano un messaggio più o meno pacifista, solo che gli yankee per gran parte della pellicola li teme e li vorrebbe combattere.. Poi sono arrivati i vari "Incontri del terzo tipo" e così via.
Trovo interessante da un punto di vista morale ed etico, rammentate che per me è importante il messaggio che un film lancia al pubblico, il confronto fra un umano, spesso nemmeno troppo eroico, e una civiltà lontana, diversa. Attraverso essi noi impariamo qualcosa che riguarda il nostro mondo, riguarda noi.
Quante volte siamo portati ad aver atteggiamenti aggressivi verso gli stranieri? Quante volte li consideriamo solo degli invasori o dei nemici? In realtà in queste pellicole -anche in Arrival- mostrano che il pericolo vero e reale siamo noi.
Noi che ci abbandoniamo all'isteria, al discorso fasullo della sicurezza nazionale, quando si tratta solo di voler mostrare agli altri la nostra potenza e forza.
Sono pellicole che ci spingono a una riflessione seria sulla difficoltà a comunicare con il resto del mondo, su quanto sia importante trovare un'unione, facendo pressione sulle cose che ci uniscono e non su quelle che creano più conflitti.
Io credo che codesti pensieri, queste tesi, siano riscontrabili in Arrival,eppure..
Ora, voglio essere chiaro: Arrival è girato benissimo. Villeneuve con poche sequenze, qualche primo piano, spiega in modo efficace, ciò che molti non riuscirebbero nemmeno con tre ore di film a disposizione. Lui è un fuoriclasse, un eccellenza della settima arte.. In questa pellicola vi sono tracce ben evidenti di una visione del mezzo cinematografico assolutamente alto. Inquadrature solenni, ottimo servizio di tutto il reparto tecnico, e una eccezionale Amy Adams.
Nondimeno mi par di aver notato alcune debolezze in sede di sceneggiatura e nei personaggi. Mi spiego: pur rielaborando una buona tradizione di lungo corso, la storia non aggiunge o toglie nulla, quando parla di alieni, perché poi vi è l'altra parte, quella che apre la polemica, c'è qualcosa di risaputo, di già vissuto che non viene abbastanza rielaborato. Sappiano che tanto loro sono buoni, come gli americani che non sono carogne come i russi- belli loro che non sapendo come passare il tempo fucilano il loro esperto di lingue, così che poi magari gli yankee ascoltano la telefonata e rimangono scioccati- sappiamo che i due protagonisti uniranno le loro solitudini, e quasi subito arriviamo anche a sapere che il retrolampo a cui assistiamo di continuo, in realtà riguarda il futuro.
Nulla di male, è un modo di rispettare le regole. Però io mi sono un po' perso, cercavo quel momento di spostamento in avanti, quel ripensare uno stereotipo che purtroppo qui non ho trovato.
I personaggi per me sono un altro problema, anche quello principale. Che brilla perché la Adams è una attrice davvero formidabile, darebbe spessore anche al personaggio di una burina in qualche cinepanettone con De Sica.. Però manca l'epica dolente, straziante, solenne, degli altri personaggi portati sullo schermo dal regista canadese. Ancora ho i brividi se ripenso al killer di Sicario, al padre de Prisoners e così via. Con questi non è successo per nulla.. Mi sono piaciuti, ma li ho lasciati sullo schermo, quando la pellicola si è conclusa.
Son portato a credere che in realtà Villeneuve riesce benissimo a rappresentare, mostrare, rendere unico la presenza del Male nelle vite delle persone. Questo male assoluto, che piano piano si intrufola nel quotidiano, corrode le sicurezze, devasta gli equilibri. Qui doveva metter in scena invece il Bene, e secondo me ci è riuscito ma non del tutto.
Infine, la scelta della protagonista. Mostra a che livello siamo arrivati in occidente. Ci viene spontaneo dire che bellissima scelta, che donna meravigliosa, perché ogni cosa nasce e muore con e in noi. L'altro è come l'alieno del film, uno sconosciuto o nei migliori dei casi un mezzo per arrivare alla soddisfazione di un nostro egoismo.
Si, io nella scelta di questa donna ci ho visto un egoismo spaventoso, non tanto nel far nascere una vita a quelle condizioni, ma tenersi per sé la decisione, la scelta e usare l'altro senza sapere cosa pensa, se è d'accordo o no.
Lo so, per la maggior parte è normale. Lei deve essere libera di.. Io trovo aberrante codesto pensiero, veramente detestabile. Mi spaventa che per la maggior parte delle persone sia normale.
Detto questo: Arrival è un film che vale la pena vedere. Ribadisce la bravura di un grandissimo regista, ha un'ottima attrice protagonista. Però vi sono anche forti problemi alla sceneggiatura e nel messaggio.
Le storie sull'arrivo dei marziani, assomigliano molto alle espressioni di Eastwood: con il sigaro o senza. In questo caso: o sono cattivi e ci vogliono far il culo a strisce sin dalle prime inquadrature, o sono messaggeri di fratellanza, ma non vengono capiti.
Questo secondo filone deve qualcosa a quel piccolo gioiello che è "Ultimatum alla terra", per la regia di un ottimo artigiano di lusso: Robert Wise.
In quel film entità aliene avevano un messaggio più o meno pacifista, solo che gli yankee per gran parte della pellicola li teme e li vorrebbe combattere.. Poi sono arrivati i vari "Incontri del terzo tipo" e così via.
Trovo interessante da un punto di vista morale ed etico, rammentate che per me è importante il messaggio che un film lancia al pubblico, il confronto fra un umano, spesso nemmeno troppo eroico, e una civiltà lontana, diversa. Attraverso essi noi impariamo qualcosa che riguarda il nostro mondo, riguarda noi.
Quante volte siamo portati ad aver atteggiamenti aggressivi verso gli stranieri? Quante volte li consideriamo solo degli invasori o dei nemici? In realtà in queste pellicole -anche in Arrival- mostrano che il pericolo vero e reale siamo noi.
Noi che ci abbandoniamo all'isteria, al discorso fasullo della sicurezza nazionale, quando si tratta solo di voler mostrare agli altri la nostra potenza e forza.
Sono pellicole che ci spingono a una riflessione seria sulla difficoltà a comunicare con il resto del mondo, su quanto sia importante trovare un'unione, facendo pressione sulle cose che ci uniscono e non su quelle che creano più conflitti.
Io credo che codesti pensieri, queste tesi, siano riscontrabili in Arrival,eppure..
Ora, voglio essere chiaro: Arrival è girato benissimo. Villeneuve con poche sequenze, qualche primo piano, spiega in modo efficace, ciò che molti non riuscirebbero nemmeno con tre ore di film a disposizione. Lui è un fuoriclasse, un eccellenza della settima arte.. In questa pellicola vi sono tracce ben evidenti di una visione del mezzo cinematografico assolutamente alto. Inquadrature solenni, ottimo servizio di tutto il reparto tecnico, e una eccezionale Amy Adams.
Nondimeno mi par di aver notato alcune debolezze in sede di sceneggiatura e nei personaggi. Mi spiego: pur rielaborando una buona tradizione di lungo corso, la storia non aggiunge o toglie nulla, quando parla di alieni, perché poi vi è l'altra parte, quella che apre la polemica, c'è qualcosa di risaputo, di già vissuto che non viene abbastanza rielaborato. Sappiano che tanto loro sono buoni, come gli americani che non sono carogne come i russi- belli loro che non sapendo come passare il tempo fucilano il loro esperto di lingue, così che poi magari gli yankee ascoltano la telefonata e rimangono scioccati- sappiamo che i due protagonisti uniranno le loro solitudini, e quasi subito arriviamo anche a sapere che il retrolampo a cui assistiamo di continuo, in realtà riguarda il futuro.
Nulla di male, è un modo di rispettare le regole. Però io mi sono un po' perso, cercavo quel momento di spostamento in avanti, quel ripensare uno stereotipo che purtroppo qui non ho trovato.
I personaggi per me sono un altro problema, anche quello principale. Che brilla perché la Adams è una attrice davvero formidabile, darebbe spessore anche al personaggio di una burina in qualche cinepanettone con De Sica.. Però manca l'epica dolente, straziante, solenne, degli altri personaggi portati sullo schermo dal regista canadese. Ancora ho i brividi se ripenso al killer di Sicario, al padre de Prisoners e così via. Con questi non è successo per nulla.. Mi sono piaciuti, ma li ho lasciati sullo schermo, quando la pellicola si è conclusa.
Son portato a credere che in realtà Villeneuve riesce benissimo a rappresentare, mostrare, rendere unico la presenza del Male nelle vite delle persone. Questo male assoluto, che piano piano si intrufola nel quotidiano, corrode le sicurezze, devasta gli equilibri. Qui doveva metter in scena invece il Bene, e secondo me ci è riuscito ma non del tutto.
Infine, la scelta della protagonista. Mostra a che livello siamo arrivati in occidente. Ci viene spontaneo dire che bellissima scelta, che donna meravigliosa, perché ogni cosa nasce e muore con e in noi. L'altro è come l'alieno del film, uno sconosciuto o nei migliori dei casi un mezzo per arrivare alla soddisfazione di un nostro egoismo.
Si, io nella scelta di questa donna ci ho visto un egoismo spaventoso, non tanto nel far nascere una vita a quelle condizioni, ma tenersi per sé la decisione, la scelta e usare l'altro senza sapere cosa pensa, se è d'accordo o no.
Lo so, per la maggior parte è normale. Lei deve essere libera di.. Io trovo aberrante codesto pensiero, veramente detestabile. Mi spaventa che per la maggior parte delle persone sia normale.
Detto questo: Arrival è un film che vale la pena vedere. Ribadisce la bravura di un grandissimo regista, ha un'ottima attrice protagonista. Però vi sono anche forti problemi alla sceneggiatura e nel messaggio.
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lunedì 16 gennaio 2017
SILENCE di MARTIN SCORSESE
La risposta di Dio è il suo silenzio.
Potrebbe esser questa una buona riflessione da parte di uno spettatore all'uscita della visione di questo ottimo, meraviglioso, straordinario film.
Qualcuno dice il migliore di Scorsese, non lo so. Sai, è un po' come con i nuovi dischi: ogni volta l'ultimo è il migliore. Quelle sono cazzate dette per vendere un mero prodotto, come da sempre sono i dischi di rock o pop, ma questo fatto di reputare l'ultimo film di un immenso maestro del cinema, come quanto di meglio abbia mai realizzato fin ad oggi, ecco mi par esagerato.
Parliamo di uno che ha fatto la storia del cinema e che si conferma di nuovo, non rammento film davvero orribili o sbagliati ad opera di costui, come uno che è in grado di girare benissimo dando al pubblico emozioni ed occasioni profonde di riflettere.
Il tema della fede è importante per me. Non credo nel paradiso, pur sforzandomi dio mi pare una buona idea, una saggia e giusta idea per mille ragioni (la morte e il dolore ci distaccano a volte dal resto della comunità, la prima in modo particolare, e per non sentirci del tutto inutili, mucchio di carne ed ossa destinati all'oblio ci siamo inventati le divinità) ma molto lontana. Nondimeno gran parte degli atei, dei laici, mi sembrano che siano fin troppo dozzinali nel criticare la fede, la chiesa, la comunità religiosa. Sopratutto non indicano una via di vita decisamente migliore, si limitano ad attacchi, giusti ma scritti con troppo adolescenziale rancore e nessuna conoscenza vera del nemico, al clero, a ribadire che non esiste nessun dio e poi si limitano a una sorta di celebrazione dell'individuo non come essere pensante, ma come mezzo di sporadici godimenti ed effimere soddisfazioni. Non mancano moltissimi che rendono l'argomento più profondo, sono gli atei che piacciono a me, dai quali comunque imparo sempre qualcosa.
Il punto è che non siamo in grado di parlare del tema religione. Scoppia la consueta tifoseria, le solite critiche e prese di posizioni troppo urlate per essere davvero sentite.
Peccato, perché dovremmo porci la domanda, l'interrogativo, sulla sua esistenza. Io rispetto profondamente le persone che credono, come ammiro chi ha un'adesione profonda con la sua ideologia. Anche quando i fatti magari non gli siano del tutto a sostegno della loro tesi. Non amo il disfattismo cinico e pigro, di chi pensa solo a sé, criticando gli altri, ma vivendo nella più totale infelicità non avendo nulla in cui credere o per cui combattere. Persone che si nascondono dietro a proclami, slogan, parole di rivoluzione e di fede tuonanti quando sono al sicuro, ma che scompaiono appena i tempi diventano cattivi.
In fin dei conti è quello che capita in questo film: sotto la pressione della repressione, in Giappone, alcuni preti cattolici, dei gesuiti, cominciano a veder crollare la loro fede. La certezza che vi sia un dio, e che pensi a loro, alla loro salvezza.
L'ossessione umana per una risposta, l'idea errata che io debba ricevere un premio, un segno per il mio impegno. Alla fine i supplizi, i sacrifici dei poveri contadini, fanno sorgere dubbi, la contraddizione si fa strada attraverso il dogma della fede. Si vacilla, si cerca una conferma
Avere conferme, da dio o da un nostro simile, ci rovina la vita. Perché mette in tavolo e bene certe carte: quanto siamo superficiali e deboli noi uomini quando il male, l'orrore, la paura, arrivano ad assediare la nostra presunta forza etica, morale, spirituale.
"Silence" potrebbe far cadere in errore molti di noi. Potremmo pensare che Scorsese, utilizzando un libro di S. Endo del 1966, voglia fare un discorso di dura accusa sulla natura pleonastica della fede, colpevole di spingere alla morte e al martirio dei poveracci o degli invasati. Una presa di posizione contro la bugia dell'esistenza di Dio.
Questa idea, a mio parere , però è del tutto errata. Non è in discussione affatto dio, lui si manifesta attraverso il suo silenzio, che non è distacco, ma partecipa a stretto contatto con la fine dei suoi adepti, è la voce della coscienza profonda che ci parla, a volte pare ingannarci, ma a volte ci inganniamo da soli. In realtà Dio è presentissimo nel film. Anzi, mo azzardo -scusate non ho studiato con nessun blasonato professore e sicché codesta l'è una pensata mia, maremma ora e pronobis- a mio avviso noi assistiamo e vediamo la storia proprio attraverso lo sguardo di Dio, come alcune inquadrature rigorose e con un certo distacco compassionevole, fanno intuire.
Forse il silenzio di Dio è la voce di una compassione e pietà troppo grandi e possenti per esser compresi dai contadini, dai gesuiti e dai loro assassini.
Rimane il fatto che la lunghissima lotta che sostiene Padre Rodriguez, giunto in Giappone con un fratello per ricercare un gesuita che par abbia rinnegato dio e si sia rifatto una vita in quelle terre, è straziante, non ha che fare con essere credenti o no, o solo in parte ; visto che io e mia moglie abbiamo discusso a lungo circa il significato di certe scene o scelte fatte dai protagonisti. Lei da cattolica osservante seria, non una di quelle fanatiche che molti pensino siano le persone religiose, e io come agnostico che propende più per l'ateismo, ma che comunque non sono certo di nulla e mi pongo diverse domande.
Ecco questo film è magnifico perché ti spinge a farti domande, a evitare assolutismi e ragionare sulla umanissima debolezza che ci rende umani, basti vedere il magnifico personaggio del giapponese che guida i due gesuiti diventandone "amico". Un uomo vile, ributtante, un personaggio respingente, eppur quanta pietà sentiamo per lui. Non possiamo condannarlo, perché lui porta al massimo quello che siamo anche noi: deboli, miseri, in cerca di una salvezza, di un perdono che non meritiamo perché non c'è mai una vera voglia di cambiare. Lui dice: "sono un uomo debole, quale è il posto di un uomo debole?" Frase che mi ha commosso tantissimo
Il posto di un uomo debole è in prima fila, a combattere contro le sue debolezze. Perderà, ma cadrà una volta. Non morirà troppe volte, tante volte, perché la fuga verso la libertà è ingannevole e immeritata.
"Silence" ci spiega come siano fondamentali i rapporti di forza. In quel periodo storico, in Europa, la Chiesa mandava al rogo gente che sapeva troppo. Il potere marcio e squallido dell'Inquisizione, che non ha nulla di santo, torturava, seviziava e uccideva in modi sempre più cruenti migliaia di innocenti. O di persone che mettevano un po' di dubbio in un mondo dove il dogma regnava e comandava. In Giappone, questi preti hanno avuto modo di vivere sulla loro pelle il dolore inflitto ai miscredenti, visto che l'accusa rivolta a loro è simile.
Non giustifica nulla e non ci rallegra di nulla, ancora una volta Scorsese indaga sul tema della violenza, di come essa diventi istituzione e metodo "civile e quotidiano", ci dimostra che la Fede non è una passeggiata e non deve essere giudicata attraverso le speranze dell'individuo, ma su un piano più generale e vasto, ci assorda il cuore e gli occhi con la maraviglia delle immagini e i volti dolenti dei suoi protagonisti.
Insomma fa cinema ai massimi livelli. Ci viene quasi voglia di pregarlo e venerarlo come un dio!
Potrebbe esser questa una buona riflessione da parte di uno spettatore all'uscita della visione di questo ottimo, meraviglioso, straordinario film.
Qualcuno dice il migliore di Scorsese, non lo so. Sai, è un po' come con i nuovi dischi: ogni volta l'ultimo è il migliore. Quelle sono cazzate dette per vendere un mero prodotto, come da sempre sono i dischi di rock o pop, ma questo fatto di reputare l'ultimo film di un immenso maestro del cinema, come quanto di meglio abbia mai realizzato fin ad oggi, ecco mi par esagerato.
Parliamo di uno che ha fatto la storia del cinema e che si conferma di nuovo, non rammento film davvero orribili o sbagliati ad opera di costui, come uno che è in grado di girare benissimo dando al pubblico emozioni ed occasioni profonde di riflettere.
Il tema della fede è importante per me. Non credo nel paradiso, pur sforzandomi dio mi pare una buona idea, una saggia e giusta idea per mille ragioni (la morte e il dolore ci distaccano a volte dal resto della comunità, la prima in modo particolare, e per non sentirci del tutto inutili, mucchio di carne ed ossa destinati all'oblio ci siamo inventati le divinità) ma molto lontana. Nondimeno gran parte degli atei, dei laici, mi sembrano che siano fin troppo dozzinali nel criticare la fede, la chiesa, la comunità religiosa. Sopratutto non indicano una via di vita decisamente migliore, si limitano ad attacchi, giusti ma scritti con troppo adolescenziale rancore e nessuna conoscenza vera del nemico, al clero, a ribadire che non esiste nessun dio e poi si limitano a una sorta di celebrazione dell'individuo non come essere pensante, ma come mezzo di sporadici godimenti ed effimere soddisfazioni. Non mancano moltissimi che rendono l'argomento più profondo, sono gli atei che piacciono a me, dai quali comunque imparo sempre qualcosa.
Il punto è che non siamo in grado di parlare del tema religione. Scoppia la consueta tifoseria, le solite critiche e prese di posizioni troppo urlate per essere davvero sentite.
Peccato, perché dovremmo porci la domanda, l'interrogativo, sulla sua esistenza. Io rispetto profondamente le persone che credono, come ammiro chi ha un'adesione profonda con la sua ideologia. Anche quando i fatti magari non gli siano del tutto a sostegno della loro tesi. Non amo il disfattismo cinico e pigro, di chi pensa solo a sé, criticando gli altri, ma vivendo nella più totale infelicità non avendo nulla in cui credere o per cui combattere. Persone che si nascondono dietro a proclami, slogan, parole di rivoluzione e di fede tuonanti quando sono al sicuro, ma che scompaiono appena i tempi diventano cattivi.
In fin dei conti è quello che capita in questo film: sotto la pressione della repressione, in Giappone, alcuni preti cattolici, dei gesuiti, cominciano a veder crollare la loro fede. La certezza che vi sia un dio, e che pensi a loro, alla loro salvezza.
L'ossessione umana per una risposta, l'idea errata che io debba ricevere un premio, un segno per il mio impegno. Alla fine i supplizi, i sacrifici dei poveri contadini, fanno sorgere dubbi, la contraddizione si fa strada attraverso il dogma della fede. Si vacilla, si cerca una conferma
Avere conferme, da dio o da un nostro simile, ci rovina la vita. Perché mette in tavolo e bene certe carte: quanto siamo superficiali e deboli noi uomini quando il male, l'orrore, la paura, arrivano ad assediare la nostra presunta forza etica, morale, spirituale.
"Silence" potrebbe far cadere in errore molti di noi. Potremmo pensare che Scorsese, utilizzando un libro di S. Endo del 1966, voglia fare un discorso di dura accusa sulla natura pleonastica della fede, colpevole di spingere alla morte e al martirio dei poveracci o degli invasati. Una presa di posizione contro la bugia dell'esistenza di Dio.
Questa idea, a mio parere , però è del tutto errata. Non è in discussione affatto dio, lui si manifesta attraverso il suo silenzio, che non è distacco, ma partecipa a stretto contatto con la fine dei suoi adepti, è la voce della coscienza profonda che ci parla, a volte pare ingannarci, ma a volte ci inganniamo da soli. In realtà Dio è presentissimo nel film. Anzi, mo azzardo -scusate non ho studiato con nessun blasonato professore e sicché codesta l'è una pensata mia, maremma ora e pronobis- a mio avviso noi assistiamo e vediamo la storia proprio attraverso lo sguardo di Dio, come alcune inquadrature rigorose e con un certo distacco compassionevole, fanno intuire.
Forse il silenzio di Dio è la voce di una compassione e pietà troppo grandi e possenti per esser compresi dai contadini, dai gesuiti e dai loro assassini.
Rimane il fatto che la lunghissima lotta che sostiene Padre Rodriguez, giunto in Giappone con un fratello per ricercare un gesuita che par abbia rinnegato dio e si sia rifatto una vita in quelle terre, è straziante, non ha che fare con essere credenti o no, o solo in parte ; visto che io e mia moglie abbiamo discusso a lungo circa il significato di certe scene o scelte fatte dai protagonisti. Lei da cattolica osservante seria, non una di quelle fanatiche che molti pensino siano le persone religiose, e io come agnostico che propende più per l'ateismo, ma che comunque non sono certo di nulla e mi pongo diverse domande.
Ecco questo film è magnifico perché ti spinge a farti domande, a evitare assolutismi e ragionare sulla umanissima debolezza che ci rende umani, basti vedere il magnifico personaggio del giapponese che guida i due gesuiti diventandone "amico". Un uomo vile, ributtante, un personaggio respingente, eppur quanta pietà sentiamo per lui. Non possiamo condannarlo, perché lui porta al massimo quello che siamo anche noi: deboli, miseri, in cerca di una salvezza, di un perdono che non meritiamo perché non c'è mai una vera voglia di cambiare. Lui dice: "sono un uomo debole, quale è il posto di un uomo debole?" Frase che mi ha commosso tantissimo
Il posto di un uomo debole è in prima fila, a combattere contro le sue debolezze. Perderà, ma cadrà una volta. Non morirà troppe volte, tante volte, perché la fuga verso la libertà è ingannevole e immeritata.
"Silence" ci spiega come siano fondamentali i rapporti di forza. In quel periodo storico, in Europa, la Chiesa mandava al rogo gente che sapeva troppo. Il potere marcio e squallido dell'Inquisizione, che non ha nulla di santo, torturava, seviziava e uccideva in modi sempre più cruenti migliaia di innocenti. O di persone che mettevano un po' di dubbio in un mondo dove il dogma regnava e comandava. In Giappone, questi preti hanno avuto modo di vivere sulla loro pelle il dolore inflitto ai miscredenti, visto che l'accusa rivolta a loro è simile.
Non giustifica nulla e non ci rallegra di nulla, ancora una volta Scorsese indaga sul tema della violenza, di come essa diventi istituzione e metodo "civile e quotidiano", ci dimostra che la Fede non è una passeggiata e non deve essere giudicata attraverso le speranze dell'individuo, ma su un piano più generale e vasto, ci assorda il cuore e gli occhi con la maraviglia delle immagini e i volti dolenti dei suoi protagonisti.
Insomma fa cinema ai massimi livelli. Ci viene quasi voglia di pregarlo e venerarlo come un dio!
giovedì 12 gennaio 2017
FLORENCE di STEPHEN FREARS
Il genere biografico è tra i più difficili da realizzare. Si cede spesso alla santificazione non autorizzata del soggetto, si rende più romantica la storia, tutto diventa perfetto, si lascia libera la retorica di farw casini.
D'altronde al cinema chiediamo la "leggenda", non la "verità". Per questo motivo è difficilissimo trovare dei film davvero notevoli e imperdibili in questo campo. Perché a volte si eccede forse in un discorso altro rispetto a quello descritto poco prima: una anti retorica posticcia, che non ci fa conoscere una persona, ma un simbolo.
Come si pone questa pellicola? Come una commedia biografica. La quale cerca un linguaggio popolare, di massa, per far conoscere al grosso pubblico un personaggio davvero esistito e la sua singolare storia.
Florence Foster Jenkins era una ricchissima ereditaria americana, sposata in seconde nozze- dopo la dipartita del primo marito- con un "attore " inglese, che l'ha supportata e sostenuta per tutta la vita.
In cosa consisteva questo "supportare" (cosa ben diversa da sopportare eh) ? La signora aveva una singolare pretesa: cantare arie tratte da celebri liriche, pur essendo stonatissima in modo davvero estremo e totale. Priva di tecnica, di intonazione, nonostante le lezioni di canto e altro.
Lei però non è solo un'appassionata di musica e importante mecenate per moltissimi artisti, i quali quanto pare talora approfittavano della sua manica larga in fatto di elargire danaro a destra e mancina, costei "amava" la musica. Non c'era nulla al mondo, insieme all'adorato consorte, che fosse più importante per ella.
Così ha tenuto alcuni concerti, partendo dal suo locale , il Verdi Club, fino all'esibizione in un posto sacro per la grande musica operistica e classica.
Nonostante sia formalmente una classica e media, pur riuscita e buona, commedia su un personaggio reale ed eccentrico, pur cercando sempre di piacere al grande pubblico, codesta pellicola pone degli interrogativi assai alti e su cui è bene riflettere
Basta la passione, un grande sogno, per supplire alla mancanza di tecnica e talento? Cosa sarebbe stato di Florence se non avesse avuto tutto quei soldi, quel peso come mecenate e la solidarietà vera, sincera, toccante, del marito- che pagava gli spettatori e critica per aver riscontri positivi-?
In fin dei conti vediamo in scena un personaggio dolente, immerso totalmente nel suo folle sogno, e come l'amore e per amore si possa alimentare illusioni pericolose.D'altronde perché negare la felicità a una persona? Perché distruggerle quel suo sogno? La vita è dura per tutti, Florence sente il peso di una malattia, la sifilide, contratta per mezzo del marito a soli 18 anni. Il suo primo marito. Questa malattia le impedisce rapporti con l'attuale consorte e quindi la creazione di una famiglia. Tutto l'amore che potrebbe donare ai suoi figli, li dona a quei bambini capricciosi che sono gli artisti. Che male c'è a darle qualche piccola soddisfazione? Forse c'è. Forse l'arte è cosa seria. Per difenderla si può anche distruggere i sogni degli illusi, sopratutto se apportano solo danni immensi.
Però, ella è stata anche la madre di tutti gli improvvisati e improvvisate che grazie ai reality si son creduti buoni a far qualcosa, a chi si improvvisa politica, ha aperto la strada al fai da te artistico, dove conta solo esserci in quel preciso momento, perché cazzo sto sognando e non mi devi svegliare.
Per cui se un discorso di amore per l'arte ci spinge a esser severi con costei, ecco interviene la nostra natura di esseri umani.
C'è tanto dolore, tanto amore per la musica, Florence ci appare candida, naif, e tanto dolce che le perdoniamo il fatto di rendersi ridicola, di assassinare la musica.
Cosa rimane di questa piacevole pellicola? Sicuramente non un capolavoro, certamente Frears è più portato per pellicole di denuncia sociale, più aspre, ma non se la cava malissimo. Ecco, quello che porteremo con noi è il rapporto tra Florence e St Clair Bayfield, suo marito.
Un legame forte che ha profonde amarezze, lui ha altre relazioni con altre donne d'accordo con Florence che accetta suo malgrado codesta situazione, ma anche una vera e assoluta dedizione.
Meryl Streep e Hugh Grant sono meravigliosi nel metter in scena i loro personaggi, dietro a certi momenti forse un po' gigioni, c'è un attaccamento totale alla storia e all'essenza dei loro personaggi, di due persone che si sono amate tutta una vita
Ecco, questo rende Florence un personaggio/persona indimenticabile e unico.
Perché ci ricorda una cosa semplice, che nulla ha a che fare con l'arte, questo: in amore è fondamentale difendere, ad ogni costo, la felicità di chi abbiamo accanto.
Spesso lo dimentichiamo
D'altronde al cinema chiediamo la "leggenda", non la "verità". Per questo motivo è difficilissimo trovare dei film davvero notevoli e imperdibili in questo campo. Perché a volte si eccede forse in un discorso altro rispetto a quello descritto poco prima: una anti retorica posticcia, che non ci fa conoscere una persona, ma un simbolo.
Come si pone questa pellicola? Come una commedia biografica. La quale cerca un linguaggio popolare, di massa, per far conoscere al grosso pubblico un personaggio davvero esistito e la sua singolare storia.
Florence Foster Jenkins era una ricchissima ereditaria americana, sposata in seconde nozze- dopo la dipartita del primo marito- con un "attore " inglese, che l'ha supportata e sostenuta per tutta la vita.
In cosa consisteva questo "supportare" (cosa ben diversa da sopportare eh) ? La signora aveva una singolare pretesa: cantare arie tratte da celebri liriche, pur essendo stonatissima in modo davvero estremo e totale. Priva di tecnica, di intonazione, nonostante le lezioni di canto e altro.
Lei però non è solo un'appassionata di musica e importante mecenate per moltissimi artisti, i quali quanto pare talora approfittavano della sua manica larga in fatto di elargire danaro a destra e mancina, costei "amava" la musica. Non c'era nulla al mondo, insieme all'adorato consorte, che fosse più importante per ella.
Così ha tenuto alcuni concerti, partendo dal suo locale , il Verdi Club, fino all'esibizione in un posto sacro per la grande musica operistica e classica.
Nonostante sia formalmente una classica e media, pur riuscita e buona, commedia su un personaggio reale ed eccentrico, pur cercando sempre di piacere al grande pubblico, codesta pellicola pone degli interrogativi assai alti e su cui è bene riflettere
Basta la passione, un grande sogno, per supplire alla mancanza di tecnica e talento? Cosa sarebbe stato di Florence se non avesse avuto tutto quei soldi, quel peso come mecenate e la solidarietà vera, sincera, toccante, del marito- che pagava gli spettatori e critica per aver riscontri positivi-?
In fin dei conti vediamo in scena un personaggio dolente, immerso totalmente nel suo folle sogno, e come l'amore e per amore si possa alimentare illusioni pericolose.D'altronde perché negare la felicità a una persona? Perché distruggerle quel suo sogno? La vita è dura per tutti, Florence sente il peso di una malattia, la sifilide, contratta per mezzo del marito a soli 18 anni. Il suo primo marito. Questa malattia le impedisce rapporti con l'attuale consorte e quindi la creazione di una famiglia. Tutto l'amore che potrebbe donare ai suoi figli, li dona a quei bambini capricciosi che sono gli artisti. Che male c'è a darle qualche piccola soddisfazione? Forse c'è. Forse l'arte è cosa seria. Per difenderla si può anche distruggere i sogni degli illusi, sopratutto se apportano solo danni immensi.
Però, ella è stata anche la madre di tutti gli improvvisati e improvvisate che grazie ai reality si son creduti buoni a far qualcosa, a chi si improvvisa politica, ha aperto la strada al fai da te artistico, dove conta solo esserci in quel preciso momento, perché cazzo sto sognando e non mi devi svegliare.
Per cui se un discorso di amore per l'arte ci spinge a esser severi con costei, ecco interviene la nostra natura di esseri umani.
C'è tanto dolore, tanto amore per la musica, Florence ci appare candida, naif, e tanto dolce che le perdoniamo il fatto di rendersi ridicola, di assassinare la musica.
Cosa rimane di questa piacevole pellicola? Sicuramente non un capolavoro, certamente Frears è più portato per pellicole di denuncia sociale, più aspre, ma non se la cava malissimo. Ecco, quello che porteremo con noi è il rapporto tra Florence e St Clair Bayfield, suo marito.
Un legame forte che ha profonde amarezze, lui ha altre relazioni con altre donne d'accordo con Florence che accetta suo malgrado codesta situazione, ma anche una vera e assoluta dedizione.
Meryl Streep e Hugh Grant sono meravigliosi nel metter in scena i loro personaggi, dietro a certi momenti forse un po' gigioni, c'è un attaccamento totale alla storia e all'essenza dei loro personaggi, di due persone che si sono amate tutta una vita
Ecco, questo rende Florence un personaggio/persona indimenticabile e unico.
Perché ci ricorda una cosa semplice, che nulla ha a che fare con l'arte, questo: in amore è fondamentale difendere, ad ogni costo, la felicità di chi abbiamo accanto.
Spesso lo dimentichiamo
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