Azzarda e spiazza.
Ecco quello che mi sento di dire (e scrivere) circa l'ultimo film di Moretti.Un percorso incominciato in quel bellissimo e struggente opera di finzione , "Mia Madre, film in cui il Moretti autore e personaggio simbolo par che facesse quasi una sorta di testamento artistico, un voler confrontarsi con la sua straordinaria opera artistica e il percorso umano che ogni essere vivente intraprende dopo certi lutti pesantissimi- che brutta espressione, come se ne esistessero di leggeri- per cui quel film ci avrebbe dovuto traghettare, insieme al suo autore, verso altri lidi. Altre storie e personaggi. Un nuovo corso artistico. Quando succedono queste cose lo spettatore e il fan si sente defraudato, imbrogliato, scatta la sindrome Sheldon Cooper nei confronti del cambiamento di direzioni, tematiche, stile, del nostro beniamino. Perché su di essi costruiamo certezze, riti, in un mondo che ci spaventa e non comprendiamo, l'ultimo film di un autore che da anni ci dice- benissimo- le stesse cose, ci fa sentire bene. Creiamo anche una sorta di rapporto di complicità Per questo perdoniamo a loro anche opere decisamente insulse e brutte, come fanno molti con un noto autore americano, pur di ritrovare la stessa cosa, detta nella stessa maniera, fino alla morte del suo autore.
Questa cosa mi capitava spesso da ragazzo, quando una delle mie band rock preferite si buttava sulla musica elettronica. Maledetti! Traditori! Sto disco fa schifo! Ora, essendo del leone, per mia natura è pressoché impossibile sbagliare, ma oggi sarei meno duro con quelle band. Potrei cogliere il bisogno di far altro, di spiazzare il pubblico, o sfidarlo invitandolo a qualcosa di diverso.
Trovo anche molto buffo che molti di quelli che stroncano il film puntano molto su questa completa diversità con l'opera morettiana e poi si lamentano del Moretti egocentrico e bla bla bla. Ci sta. Faccio solo notare che è una cosa abbastanza comica.
Ma davvero Moretti era una sorta di comico? Uno che ci faceva ridere? Certo non mancava una risata nei suoi film, ma che genere di risata era? Amarissima, crudele, umanissima nel suo sarcasmo. Oppure improvvisamente Bianca, La Messa è finita, Sogni d'oro e tutti gli altri erano commedie italiane al pari dei vari Nuti, Verdone, citando i due migliori nomi di commedie. Oltretutto è una critica campata in aria, Woody Allen non ha diretto anche film serissimi? Copie e incolla delle opere di Bergman, ma insomma..Ci siamo capiti!
Tre Piani è la prima opera di Moretti in cui il regista romano adatta per lo schermo un'opera altrui. Non credo sia semplice dopo anni di lavori su storie personalissime, adattarsi a portare sullo schermo la storia di un altro. Far in modo che due sensibilità coincidano o riescano quantomeno a convivere insieme. Però questo è anche il lavoro dell'artista. Adattare alla propria visione i mondi che ci circondano. Piegarli alle tematiche ed istanze che tanto ci stanno a cuore.
A bene vedere ogni ammiratore sincero di Moretti, riconosce il suo autore proprio dalle tematiche che sono le stesse ma servite diversamente. Il suo autore lascia spazio ad altri attori e attrici, mentre per lui ritaglia un ruolo che sembra ripetere lo stesso personaggio, ma in realtà è quasi un'autocritica pubblica. Dopo anni di rigore morale, di coscienze immacolate, cosa rimane? Una donna- il suo pubblico?- che dopo un periodo di dolore deve risorgere e prender la sua vita in mano. Basterebbe questo per dar una versione altra e oltre alla pellicola.
Ancore una volta lascia un messaggio importante a Margherita Buy, suo alter ego, anche in questa dolente e dolorosa confessione di un lunghissimo sbaglio, non tanto artistico, quanto umano. Nella pellicola non viene messo in dubbio il lavoro di magistrato, ma la rigidità umana di Vittorio Bardi. Una inflessibilità che dovrebbe guidare il giovane figlio verso una vita di regole ed onestà, ma che per il ragazzo risulta essere una prigione soffocante, tanto da farlo crescere un pirla criminale. Ecco, forse questo discorso sulla inflessibilità, sulla certezza assoluta, è un passaggio molto bello e importante, che avrebbe meritato maggior attenzione.E ma il libro! Dal momento che viene adattato sullo schermo, il lavoro cartaceo non è importante per una riflessione che riguarda solo il film e le intenzioni- che stiamo ipotizzando- che stanno alla base del progetto.
Certo forse era meglio prender solo una di queste storie e approfondirla, magari ci sono delle cadute di tono- come si suol dire- magari qualcuno nel cast era un po' meno bravo degli altri, queste sono considerazioni normali. Tuttavia non possiamo affossare con giudizi taglienti la costruzione di personaggi che sono vittime della loro solitudine e non riuscendo ad uscirne finiscono nei guai, qualcuno supererà questa fase, altri no.
In due di questi casi è la giustizia, il desiderio ardente di vederla trionfare per riparare a qualche torto subito- ma in realtà nel caso di Scamarcio assolutamente immaginario- porta alla galla personalità tormentate e insoddisfatte. Non solo, nel caso della famiglia che affida la figliola alla coppia di anziani, è ben chiara anche la totale mancanza di empatia, di comprensione dell'altro, tanto che un povero anziano vittima di demenza senile viene sospettato di violenza sulla loro bambina. Il padre si accanisce tanto su questo particolare da non vedere e sentire la realtà. Tanto da mettersi nei guai pur di sentirsi dire che il vecchio era un pedofilo.
Ecco a me ha interessato questo sviluppo così inusuale, distante dalla solidarietà con chi di solito è la vittima, cosa che capita anche quando il personaggio di Scamarcio finisce sotto processo, non si enfatizza il suo esser squallido che affiora dalle acque profonde di una supposta moralità, ma si contestualizza in un mondo privo di riferimenti e di responsabilità, in cui tutto è solo vissuto in superficie e nel momento in cui accade. Non si sceglie la strada del mostro totale contro la povera vittima, perché entrambi carnefici e vittime in un gioco disperato che parte da dolore, solitudine, debolezza..
Altro pianeta invece per quanto riguarda la performance perfetta di Margherita Buy. Anche in questo caso non si prende la strada veloce e sbarazzina di un femminismo borghese, come piace alle giovani ribelli, ma è un discorso anche in questo caso pieno di sfumature. Lei non mette in dubbio l'amore del marito, ma si accorge che costui aveva preso il controllo di ogni singolo aspetto della sua vita e di quella del figlio. E questo non è - come accadrebbe in altri film- il punto di arrivo del personaggio, ma di partenza. Comprende le piccole cose, ma senza che queste diventino simbolo filosofico o simbolico, capisce che non doveva scegliere tra il figlio disgraziato e il marito. Sopratutto inizia un vero e proprio dialogo con l'ombra del marito. Anche in questo caso quello che ci sembra una cosa giusta - la legge è uguale per tutti- ci fa notare che l'individuo oltre che alle regole ha bisogno di affetto, risate, di cadere e far o dire cazzate, insomma di vivere.
Cosa che non riesce al personaggio di Alba Rohrwacher. L'unica che comprende quanto siano schiavi senza catene del condominio, dell'appartamento, di una vita chiusa in sé stessa. Tutti hanno delle ossessioni che li portano alla rovina- totale o parziale-lei è l'unica che cerca l'altro e in questo mondo non può che finire spezzata e persa.
Tre piani è un film cupo, rigoroso, però aperto anche alla speranza come il bellissimo finale- imbarazzante manco per il cazzo- che ci dice quanto sia importante non lasciarsi comandare dal rancore e che è solo una questione di tempo, pazienza, tenacia.
Per far ballare la vita, in un giorno qualsiasi.