sabato 30 luglio 2016

UN BACIO di IVAN COTRONEO

Possiamo voler dai film l'onestà? Non è ridicolo chieder a loro di esser sinceri? Il cinema non è costruzione, programmi e tesi messi in immagini, propaganda. e sopratutto: rappresentazione del verosimile, sicché tutto fuorché esser onesti.
Oltretutto con sta balla dell'onestà, i tanti critici da blogghe hanno sostenuto filmacci osceni e cretini. Un po' come con le persone: "Si, è una testa di cazzo, però è sincero" Dovremmo riveder queste cose.
Però, pensiero di uno spettatore indisciplinato, credo che per metter in scena tutta questa manipolazione, costruzione, rappresentazione, serva una sorta di verità, che non è quella rivoluzionaria tanto cara ai marxisti, no. Mi riferisco a una verità delle immagini, dei personaggi, della storia, Che bislacca quanto vuoi deve però creare pathos, farti credere che in quel contesto via sia qualcosa di profondo, sopratutto se tu avessi l'ambizione di far un film che dovrebbe trattare argomenti seri e temi spinosi, non una cazzata di mazzate, inseguimenti e botti.

Sono tantissimi i film sull'adolescenza e moltissimi anche tragici. Ci piace ricordarla così, quel periodo. Forse perché dopo gattini e cagnolini, i ragazzini emarginati e tristi colpiscono direttamente il nostro centro emozionale, o forse, perché quello è veramente un periodo della nostra vita  dove le emozioni e i sentimenti sono fortissimi, dove tutto è importante, tra grosse insicurezze e strepitose gioie,
Molto spesso il cinema ci riesce, per farlo devi aver una buona storia e dei personaggi scritti bene. Sopratutto non mostrare il trucco, non creare spazi in cui dici: ma quanto è cinematografica questa cosa.
Ecco,: Un bacio è un film non riuscito proprio per via della storia e dei personaggi. Ora partiamo dal fatto che il regista sceglie il suo stile, come riprendere e portare sullo schermo le storie. Prendiamo atto che un film dovrebbe rivolgersi a tanti spettatori e quindi è fondamentale esser semplici e generalizzare la tematica, va bene tutto. Nondimeno la superficialità, l'accumulo di situazioni tragiche che irrompono sullo schermo, e li rimangono, personaggi sulla carta dolenti, ma che non diventano mai "epici" nel loro dolore, mai simbolo ed essenza di un malessere, un'inquietudine, delle quali non vi è traccia se non nei dialoghi didascalici, nella superficialità dello stereotipo che rimane così. Si dirà: ma sono ragazzi comuni, tanti adolescenti sono così. Certo, verissimo. Infatti un'opera a cui questo film, parare mio, deve tanto, parlo di "Noi siamo infinito", è un film in cui stereotipi e calcoli cinematografici sono messi su schermo con abilità e amore per i personaggi, la storia, il pubblico.
In questa pellicola il falso suona squillante. Già dalle prime frasi che dice la ragazzina, già dal sceglierle il nome Blu, e si procede su questa strada. Vuoi veder dei ragazzini contenti e felici? Li facciamo zompare allegramente a destra e mancina. Questo e solo questo, pure i numeri musicali, che vuol dire giocare facile con me, sono privi di potenza, non diventano mai simbolo di ribellione interna, di felicità, non senti il bisogno di muovere la gamba a ritmo.
Vi è sicuramente la mano del regista, si avverte un autore dietro. Ma è un autore che concentra su se stesso l'attenzione attraverso la superficialità ridondante dello sfruttamento di più temi importanti: l'adolescenza, l'amicizia, la diversità e l'emarginazione,  la non accettazione di sé e tanto altro. Ma che, quando, deve filmare l'orrore di una violenza è indeciso su come riprenderla. Viene fuori una cosa patinata, una cosa da ragazzini ubriachi, ma senza il coraggio che si deve aver nel girare queste cose, o viceversa spezzare e destabilizzare con un momento alto, di commozione, come per esempio fa benissimo Virzi ne " la pazza gioia" quando riprende la mamma e il figliolo che affondano nel mare. Qui sarebbe stato impossibile e allora, certe cose meritano un coraggio di rappresentazione totale, oppure se non ti viene, stai con la mdp sul volto della ragazza e mi fai seguire le sue emozioni.
Ecco i film non hanno l'obbligo di esser sinceri, ma di aver un minimo di verità per quanto assurda possa essere, in particolare se fai film che cercano di riprendere il vero, oppure se si battesse la strada più ardua e dura della sospensione del credibile, per una sorta di magia nel reale, di sguardo puramente cinematografico, allora dovresti emozionare, far sognare, stupire.
Questo non capita mai. Si viaggia tra evidenti poetismi alla speriamo in dio, per far notare che c'è un autore, ad atroci superficialità, il finale con il dialogo tra i due ragazzi è veramente roba da prender sceneggiatori e regista e spedirli per cinque anni di nuovo alle superiori. Non troveranno nessun adolescente capace di usare un linguaggio simile.
Ripeto i temi sono importanti, alcuni attori non sono nemmeno male, ci sono spunti di riflessione su cose concrete, ma quanta superficialità, inconsistenza, debolezza, nella struttura di storia e personaggi.


giovedì 28 luglio 2016

MATALO! di CESARE CARNEVARI

Matalo, rappresenta insieme ad opere come O' Cangaceiro e Se sei vivo spara, il tentativo di rileggere e ripresentare sotto forme inedite, un genere, come quello western, da sempre legato a regole precise e solide. Un genere che per molti è quasi fondamenta o responsabile della leggenda - attenzione, non storia- americana. Un genere che celebra valori, ideali, orgogli, attraverso stereotipi e archetipi consolidati. Però è anche un genere, come l'horror, che si concede pure il lusso della manipolazione, della metafora, vedi l'esplodere del western crepuscolare, rilettura amarissima che negli anni settanta, in America, rifletteva una nazione in crisi, che si guardava in uno specchio sporco di cattivi ricordi.
Lo spaghetti western estremizza il concetto e lo inserisce in un mondo caotico, rumoroso, nichilista e cinico, ma con un sottofondo di ironia o autoironia.
Questa opera è celebrazione e distruzione del genere, ne riprende le linee generali- nella trama- ma si nota che è solo pretesto, solo un modo per sperimentare le potenzialità visive e uditive della macchina cinema.Se infatti le pellicole citate all'inizio del post, avevano, oltre che una regia particolare e originale, anche una solida storia che rimanda alla politica, addirittura alla rivoluzione, qui siamo di fronte a una storia rudimentale, basilare, una storia che nega sé stessa, autodistruggendosi con fierezza assoluta. Quello che conta è la macchina da presa, il suono, i costumi che creano i personaggi e i luoghi.



La pellicola è un viaggio all'inferno elettrico, distorto, polveroso e furibondo, furioso,  I personaggi sono legati ad istinti bestiali di assoluta, pura, immotivata violenza, certo vi è la scusa, classica, di un tesoro, simbolo della loro follia e ossessione. Abbandonati in un villaggio fatiscente, vero e potentissimo protagonista del film, si abbandonano a una macabra festa di cinismo, nichilismo, violenza, con la scusa della ricchezza e della gloria, ma sanno benissimo che si stanno solo mentendo. Quello che vogliono è morte e sofferenza e forse, quel villaggio, non è altro che l'inferno, dove anime dannate e mai pacificate si scontrano e si distruggono a vicenda.
Cesare Carnevari debuttò proprio con uno spaghetti-western per poi passare a pellicole tra il morboso e l'erotico, come ci informa wikipedia, qui si abbandona al fascino del riprendere e del muovere la macchina da presa, arrivando a inquadrature di profonda e destabilizzante bellezza visiva, ma anche perdendo di vista la pellicola, sommergendola in alcune situazioni pleonastiche, fine a sé stesse, che rendono l'opera molto interessante, ma non del tutto riuscita. Rimane il personaggio di Corrado Pani, un bandito di raro cinismo, ribelle, una vera rockstar letale e pericolosa, ci si ricorda del personaggio di Lou Castel uno straniero che compare all'improvviso, il quale dopo una lunga tortura regola i conti a colpi di boomerang.  Rimane nella storia del cinema la soggettiva dei boomerang . Come la colonna sonora rock, rumorosa, distorta. Suggestiona e colpisce la rappresentazione visiva del villaggio, luogo abbandonato., abitato solo da una vecchia pazza che vorrebbe vederlo risorgere. Si rimane colpiti per l'assoluta e interminabile ferocia delle scene di violenza, ossatura del film, si rimane conquistati di come sia un film di negazioni, un grandissimo no al genere da cui si trae origine, attraverso la rielaborazione dei duelli,  il manifestare disinteresse totale per la trama, le motivazioni, tutti pretesti per far esplodere la macchina cinema e la mdp.
Film molto particolare, che potrebbe piacervi moltissimo o irritarvi. Opera per me fondamentale, pur non essendo del tutto riuscita, ma da vedere per la sua unicità.

mercoledì 27 luglio 2016

Red e Toby nemiciamici di Art Stevens Ted Berman Richard Rich

Tralasciamo che da un romanzo fortemente tragico e drammatico, si siano levati ogni elementi di disturbo per le "famiglie", d'altronde è un film Disney, sicché ci può stare. Quindi occupiamoci solo della pellicola, un vecchio classico, secondo quello che alcuni considerano il canone ufficiale della Disney,che narra le vicissitudini di Red , in originale Tod,  e Toby, in originale Copper, sono rispettivamente un cucciolo di volpe e uno di cane, precisamente da caccia. Nemici naturali, poiché, una volta adulto, il destino del cane è quello di cacciare la volpe. Eppure , i due , da cuccioli stringono una bella e forte amicizia.



Amicizia che sarà ostacolata in tutti i modi da Amos, il padrone zoticone di Toby.  Perché i rapporti umani sono soggetti alle regole sociali e civili. Che talora non hanno nulla di civile. Non stupisce quindi che siano due cuccioli a fregarsene di queste cose che si apprendono solo crescendo. Negli occhi dei cuccioli, e dei nostri cuccioli d'uomo non c'è il diverso contro natura, non c'è lo straniero,  non c'è il disabile che ti rovina, con la sua sola presenza, la tua vacanza del cazzo. No, c'è un'altra persona, con cui si passa il tempo a giocare.
Il gioco ha una funzione educativa spesso sotto stimata, poco compresa, forse perché dopo una certa età non giochiamo più. Non tanto smettiamo di far attività ludiche, molti passano giorni interi con i videogiochi ad esempio, ma quella profonda e commovente spensieratezza, quella gioia purissima di correre e nascondersi e ridere con un altro, è scomparsa.
Ben presto anche Red e Toby scopriranno che è finito il tempo libero e felice dell'amicizia, ora sono adulti e per volere degli uomini e degli dei, devono esser nemici.
Così per gran parte del film Toby darà la caccia al volpacchiotto. Costui, invece, dovrà lasciare la casa dove è stato allevato da un'adorabile vecchietta per addentrarsi nel bosco. Luogo di misteri e poco simpatici incontri.
Quello che mi colpisce è una malinconia soffusa e diffusa che diventa palese e profonda nel finale. Il ricordo lontano di un'amicizia pura,  di una stagione dove tutto è nuovo e meraviglioso, sopratutto se vissuto accanto a un amico. Ma le amicizie resistono anche da lontano, anche se non sono vissute nel concreto per mille ragioni. Esistono perché abbiamo cuore, anima, sentimenti, così la volpe ammira da lontano la sua vecchia casa e il suo vecchio amico, perché l'amore non ha padroni, come cantava il buon Venditti, e ci rimane dentro come ricordo amaro e dolce di un tempo dove tutto era possibile

venerdì 22 luglio 2016

A DRAGON ARRIVES di MANI HAGHIGHI

Strano, misterioso, conturbante, inquietante, e magnifico oggetto filmico, questo lavoro di un laureato in filosofia che tornando nel suo paese d'origine, decide di metter in scena una pellicola che è genere, ma lo supera, rielabora, devasta, ricostruisce, per esser ancora qualcosa di altro e oltre. Horror? Film politico sotto metafora e simboli? Documentario? Manipolazione di generi e realtà?
Tutto questo e molto di più !


L'Iran è un paese affascinante, ricco di contraddizioni, di storia, leggende, bellezza, molti pensano che codesto stato sia un regime teocratico repressivo, una simpatica donna - in lista per diventare un presidente di una anzi Della più grande democrazia del mondo- vorrebbe annientarla dalla faccia della terra, sta sempre nei primi posti di quei gruppi contro la pena di morte e così via. L'italiano medio con una medio bassa preparazione politica, la mette sempre in compagnia di quei stati pericolosi per le nostre magnifiche oasi di pace,  tranquillità, stabilità mentale, morale, economica. Inutile dir che spesso parliamo così, alla cazzo.
Però non ha avuto nemmeno una vita semplice questa nazione. Ha conosciuto copi di stato contro un governo socialista, la monarchia tanto amata dagli occidentali meno dagli iraniani, e poi la rivoluzione del 1979. Tragedie, massacri, tutto.
Ed è proprio durante uno di questi periodi, intorno al 1960, precisamente nel 1965, che è ambientata questa pellicola.
In un paese in allarme, dove è stato appena assassinato il primo ministro, un agente della polizia iraniana decide di vederci chiaro sul suicidio di un prigioniero politico esiliato in un villaggio isolato e poco raccomandabile. L'uomo si era rinchiuso in una vecchia nave abbandonata all'interno di un antichissimo cimitero, forse era anche impazzito. Fatto sta che in quella zona, solo in quella zona, succedono strani fenomeni: dei terremoti tanto potenti, quanto localizzati solo all'interno del cimitero. Fenomeno che si ripete dopo ogni sepoltura.Con l'aiuto di due "amici" cercherà di scoprire il mistero. Nel frattempo si scopre che una ragazza è scomparsa dal villaggio e che essa era legata al prigioniero scomparso.
La trama è appunto quella di un classico thriller/horror e a modo suo, ma molto suo, lo è. Poi il regista sceneggiatore inserisce delle parti in stile documentario con tanto di interviste ai protagonisti  per avvallare la tesi che sia una storia vera, raffinatissima presa in giro di una certa moda cinematografica, ma anche riflessione sul mezzo cinematografico che rende vera ogni cosa, basta filmarsi e filmare. Oppure nulla è reale tutto è solo un ennesimo spettacolo e mi pare che questo pensiero, da decenni, sia alla base della società occidentale.
A modo suo è anche un film politico, ambientato prima della Rivoluzione del 1979,  mostra un paese tanto libero nel modo di vestire, apparire, quanto prigioniero dei servizi segreti, non penso sia cambiato in meglio dopo, ma non ho abbastanza dati validi per confermare questa mia idea.


"A dragon arrives" è sopratutto una bellissima esperienza visiva, vuoi per i luoghi suggestivi e inquietanti, vuoi per l'uso del rallenty capace di dar spessore a ogni sequenza,  per le ipnotiche musiche, è un prodotto che nulla ha da invidiare al cinema europeo, tanto per dire.  La sua forza è esser difficilmente catalogabile, sfuggente, eppure assai sostanzioso, potente e possente.
Cercatelo per torrenti e muli, oppure non perdetelo se dovesse passar per qualche arena estiva, come è capitato a me e a mia moglie. Da vedere

giovedì 21 luglio 2016

Laurence Anyways di Xavier Dolan

Non è tanto libero il nostro mondo, né il nostro cuore.  Possiamo pensare che lo siano entrambi, ma in generale è il classico adattamento animale a situazioni diverse. Solo che noi siamo esseri umani e certi cambiamenti possono anche sconvolgerci.  Di più, è lecito seguire una propria inclinazione, che si reputa naturale perché quella attuale è frutto di auto inganno e non ci sentiamo veri, concreti, reali e poi liberi in un corpo che non ci appartiene, sapendo che potremmo sacrificare un grande amore e sopratutto perdere la persona che tanto amiamo? Lecito pensare che ella comprenderà e ci amerà, anche se dovessimo diventare altro rispetto a quello che ha conosciuto? L'identità sessuale è un vetusto orpello, di cui potremmo fare a meno, oppure è quella cosa che fortunatamente ci fa esser diversi e per questo "parte mancante" che va a completare una relazione? L'altro da noi perché ci terrorizza? Perché non si riesce ad accettare, prender atto, che alcuni hanno bisogno di compier certi percorsi, per nulla facili e dolorosi, al fine di essere quello che da sempre sono o sentono di essere?Eppure se si comportano da macchiette in tv ci divertono,  ma se dovessimo aver che fare con loro nella quotidianità ci urtano. Questo capita anche a chi pensa di esser pronto, per amore o amicizia o perchè è "progressista".
Sono tutte cose che ho pensato e che per me ti fa pensare un 'opera formidabile, magnifica, straordinaria di Xavier Dolan.

Una straordinaria pellicola che ti fa comprendere e capire la necessità di rivoluzionare sé stessi e la propria vita, anche combattendo una lotta durissima con il mondo e con le proprie e altrui certezze sentimentali, ma dona al personaggio della donna di Laurence, Fred, una complessità tale da non divenir un film a tesi che per quanto fondamentali e giuste, però risulta stucchevole, manipolatorio o consolatorio.
L'amore è un sentimento grande e potente ed è pieno di umanissime contraddizioni. La felicità è parte fondamentale della nostra vita, come vivere nel modo che desideriamo, ma è un atto di egoismo, necessario a volte, per imporre a una società quello che vogliamo essere, perché nati così, ma è pur sempre un atto di egoismo in quanto reputa che le persone che ci amano, debbano per forza amarci anche dopo. "Perché sono io" ma questo è tutto da valutare singolarmente. Non tutti arrivano a comprendere e a esser pronti nello stesso momento.
Non parlo dei bigotti reazionari, di quella gente squallida che in ogni caso disapproverebbe, ma è un vanto esser odiati da feccia simile, parlo invece della maggioranza delle persone. Non puoi sapere a prescindere come prenderanno un cambiamento radicale come quello del sesso, e credo che solo il tempo possa esser d'aiuto. Il tempo, il dialogo anche feroce nel suo voler saper e nel suo spiegare, la condivisione e l'empatia. Tutte belle cose che possono anche finire. Perché ci si sente ingannate da un uomo che avete amato per anni e che un giorno vi svela il suo "segreto", è naturale, umano, comprensibile. Poi c'è il secondo passo: prender atto e non fermare quella persona. Ma sostenerla o comunque lasciarla andare.  L'amore permette anche questo.
Il film mostra e racconta benissimo i punti di vista, i sentimenti contrastanti, gli alti e bassi della coppia. Non cerca colpevoli, ma parla di esseri umani. Forti e fragili nello stesso tempo. Mette in scena la potenza caotica della felicità che par superare ogni cosa e la staticità della crisi, io ho amato tantissimo il personaggio di Fred, ce la mette tutta per stare con il suo uomo, per aiutarlo nel periodo del cambiamento e anche dopo, ma ha un esaurimento, perde il posto- come lui- si rifà una vita anche se Laurence sarà sempre presente. Un sali e scendi sul confine del cuore che fa fatica a resistere alle pressioni sociali e individuali.  Ecco Dolan mette in scena con questo personaggio una figura concreta e reale di etero che si trova ad affrontare dalla mattina alla sera un fatto straordinario e importante da difendere in ogni caso per amore, ma che spiazza, disorienta, fa star male. Senza che uno o una sia una reazionaria da condannare all'altare della " nuova era"
E Laurence? Un personaggio indimenticabile anche lui ben calato in una realtà che potrebbe esser condivisibile con la nostra: una donna, un lavoro, una casa. Ma Laurence si sente soffocare, non sta bene nel suo corpo, vogliamo condannarlo e deriderlo solo per questo? Quello che mette in campo lui è una rivoluzione. Ed essa è sempre un atto di guerra, sicché lascia sulla strada per la propria libertà tanti, troppi cadaveri.
Ma che fare? Soffocar la propria natura per vivere un grande amore ben inseriti, più o meno, nella società  o rischiare?E se decidi di rischiare è normale pretendere che il mondo rimanga, quel mondo che a te interessa, vicino alla tua  scelta o è giusto anche che qualcuno rimanga turbato, scosso, che vi siano critiche e giudizi da parte di persone che amiamo? Il loro amore varrebbe meno?
Dipende: responsabilità e doveri vanno oltre l'effimera chimera della libertà personale, ma per questo dobbiamo condannare a infelicità e menzogna perpetua un uomo? O forse è proprio in quel momento che dobbiamo aiutarlo?
Il fatto è che ragioniamo in termini di tifoseria, altro danno fatto dal calcio, il fatto è che per non far brutta figura con una società ipocritamente progressista a parole, ci sentiamo sbagliati se rifiutiamo o non comprendiamo certi cambiamenti radicali. Che poi alcuni dicano di capirli, ti fanno discorsi meravigliosi sui diritti e intanto sostengono guerre imperialiste è un mistero dell'umanità. Ma d'altronde chi se ne frega di noi, della società quando parliamo di vivere felici, di accettarsi, no?
Laurence non è un fenomeno da baraccone, Laurence non è strano, pittoresco, particolare, è una persona. . Non vuol diventare donna per scioccare, per capriccio, perché nessuno si comporta così Quanta sofferenza ha conosciuto stando in un corpo che non è affatto suo?Sicché va accettato.  O quanto meno prender atto di questo e non tormentarlo, farlo sentire sbagliato, rifiutarlo con dileggio e astio.
Sopratutto l'amore è fatto anche di tormenti, di prendersi e lasciarsi e il dolore a volte è fondamentale. Pensare che esso non cambi, e che basta metter in scena una rappresentazione di un rapporto che allora funzionava, è sbagliato. L'amore vive nel presente. Qui e ora, ed è sempre con questo che dobbiamo fare i conti. Il resto è nostalgia o ambizione di farcela.
Dolan gira benissimo: l'uso della fantastica colonna sonora, i rallenti che danno un senso di sospensione,  visivamente è un'opera che cattura, ma ha anche una grande e dolente anima. E questo è importante.
Alla fine conosci Laurence e non condanni le sue scelte, ma comprendi benissimo anche Fred. Non è poco in un mondo dove devi per forza santificare o demonizzare.

mercoledì 20 luglio 2016

KIMI TO BOKU- Tu e io di Takashi Kubota

Così una sera, un venerdì sera come tanti, tua moglie è a cena con un'amica e tu a casa, in compagnia della vostra gatta "Mirtilla", decidi di veder un filmetto. Così passi un po' di tempo. Fra le tante opportunità che offre Youtube, ti cade l'occhio su un corto giapponese- 44 minuti, come i gatti in fila per...eccetera eccetera- e ti lasci comprare dall'immagine del tenero gattino. Sarà una commedia, ti dici. In realtà sarà il motivo di tantissimi e fortissimi pianti per i prossimi giorni e si prospetta per i prossimi mesi.


La storia è quella dell'aspirante autore di manga Yamagara Shigeto e del suo gattino, dal loro primo incontro fino al loro distacco. Niente di più.
Eppure sono giorni che sono in balìa di una grandissima malinconia, profonda, per via di codesto corto e sopratutto per le parole, semplici quasi banali, della canzone finale : "Grazie per avermi amato, tu mi hai salvato dalla mia solitudine" Ecco, qui è il gatto che "parla", ma quante volte avremmo bisogno di qualcuno che ci salvi dalla nostra di solitudine? Che giudichiamo anche positivamente perché l'abitudine ti porta a questo. Ecco, invece è così fondamentale aver qualcuno che si prenda cura di noi,  che ci faccia le feste o le fusa quando torniamo a casa o ci vedono assorti e persi in questo immenso cielo grigio di mediocri pensieri quotidiani, o che ci baci e si sieda ad ascoltarci.
Questo piccolo film mette ben in evidenza codesto tipo di messaggio: abbiamo bisogno di dare e ricevere affetto, attenzione, amore. Che sia un essere umano o un animale non importa. Non succedono cose particolari tra il gatto Gin'ougo che sarebbe un modo per dire : via lattea, e il suo padrone. Non ci sono quelle umanizzazioni nei gesti del gatto, ti affezioni in quanto gatto. Certo il racconto è visto dal suo punto di vista, questa cosa potrebbe sembrare ruffiana,ricattatoria, dalla lacrima facile, può darsi e non mi interessa. Lo ripeto: a me del cinema trattenuto, dell'anti retorica,  del commuoversi con pudore, non importa nulla. Perché tanto tieni dentro quel dolore, quella sofferenza, la tieni a bada. Si, mi emoziono, ma un pochino. Tipo quelli che appena versi due dita di vino dicono basta. E allora non bere vino, c'è l'acqua.
Però l'espediente serve per ribadire un pensiero tanto semplice, quanto poco praticato- preferiamo lasciare commenti rancorosi e destronzi sui social che quello si è giusto, sincero, ci fa sentire scorretti e tutte quelle grandi puttanate lì- "ogni essere vivente è importante". Questo valga per chi non ce la fa a comprendere che un animale domestico diviene parte essenziale della tua vita e vi è una sorta di ricambi di sentimenti ed emozioni, primordiali, basilari, ma non sciocche e pleonastiche e per chi si chiude in un rapporto esclusivo con l'animale domestico che gli esseri umani fanno schifo, due atteggiamenti odiosi e detestabili, entrambi.
Mi commuovo per la storia di questo gattino tanto quanto quella di un essere umano. Sono gli esseri viventi che sono importanti e vanno difesi ed amati. Con grossa fatica e tanto dolore, mica è facile, ma bisogna farlo.



Il rapporto che abbiamo con i nostri animali domestici è qualcosa di particolare e difficile da spiegare e far comprendere agli altri. No, in realtà non sarebbe affatto così, se fossimo in grado di provare empatia verso chi è altro da noi. Però mi rendo conto che per alcuni possa apparire sopravvalutato e simbolo di un porre rimedio a una mancanza di capacità di relazionarsi con gli uomini e le donne, ci sta, per alcuni e alcuni è così. Ma anche se fosse? Noi non è che dobbiamo rispettare e tollerare solo le idee e le persone verso cui proviamo simpatia, ma sopratutto verso chi non conosciamo e comprendiamo. Pratica che richiede tempo e pazienza, meglio un "vaffanculo", " ma perché con tutta la gente che soffre.." A dirlo e pensarlo sono sempre quelli che non fanno un cazzo, o se fanno il loro contributo è misero per loro e per la loro causa. Io rispetto chi ama un altro essere vivente, non concordo con certi metodi, prendo atto. Lu o lei hanno trovato in quel modo una piccola felicità, va bene così.  Mi limito solo a far notare che c'è del giusto anche fuori, ma senza creare sensi di colpa.
Perché il rapporto che viviamo con il nostro gatto, cane, cavallo, topo, coniglio, fate voi, è qualcosa di speciale, come è speciale l'amore verso un altro essere umano, quello è sicuramente più complesso e migliore, però sono due tipi d'amore fortissimi.
Kimi to boku mostra bene questo. Mostra come Achille e Mirtilla non siano solo due esseri non umani e quindi inferiori, ma esseri viventi che con la loro presenza ci hanno dato tanto. Achille mi ha insegnato a mostrare un po' d'amore per gli altri, Mirtilla che ogni busta può diventare un nascondiglio prezioso. No, il loro amore non è come quello che provo e che ho in cambio per e da mia moglie. Però io nel loro esser animali, così diversi da noi uomini, avverto un mistero,  una zona che non posso comprender del tutto, che mi spinge a voler pensare che forse c'è altro e oltre rispetto al loro esser semplici cani e gatti e altro tipo di animali. Non so cosa, ma so che è da giorni che mi commuovo profondamente pensando a codesta piccola opera, e che tutto ciò mi pone di fronte a pensieri sulle relazioni, il donarsi agli altri, la potenza dell'emozione e commozione. Tantissime cose.
Grazie a te piccolo Gin'uogo, e grazie a Mirtilla, che mi dorme in braccio.

martedì 19 luglio 2016

TONY MANERO di PABLO LARRAIN

Non è che se la passasse bene, l'umanità, durante gli anni 70: colpi di stato, spesso con lo zampino degli Stati Uniti, scontri, terrorismo, gli ultimi colpi d'ala di un movimento tanto rivoluzionario quanto piccolo borghese nel suo immaginario, tanto che molti loro cavalli da battaglia sono stati presi dalle destre o dai liberal-democratici e conservatori per costruire gli anni 80, i merdosi e inutili anni 80 alla faccia di certe campagne talebane contro la nuova versione di Ghostbusters, colpevole di aver "rovinato l'infanzia" di molti pirla, miei coetanei.
Dulcis in fundo, "la febbre del sabato sera", dove un sotto proletario invece che prendersela con il sistema capitalista, si accontenta di fara il ballo di san vito nelle discoteche.
Eppure il fascino assoluto dell'effimero, del nulla, del vuoto cosmico, ha un suo peso relativo in chi non ha nemmeno uno straccio, piccolo, di vita. Tanto che persino un Tony Manero, per un uomo cileno ormai con la giovinezza alle spalle e una vasta mediocrità davanti ad esso, potrebbe rappresentare un sogno distorto di riscatto sociale, allucinazione sociale e psicologica, nel nome del quale- parlo del riscatto- tutto è ammissibile e dovuto.
La violenza non come sopraffazione dell'altro, ma come linguaggio quotidiano, gesto naturale, assimilato e che genera solo indifferenza
Forse è di questo che hanno bisogno le dittature palesi e quelle celate.





In un Cile degradato e mortificato dalla dittatura di Pinochet, quella che secondo Kissinger valeva qualche morto perché non si poteva lasciar un paese nelle mani di un popolo incosciente che ha fatto una scelta sbagliata, lo dice un premio Nobel per la pace eh, quindi Non sarà vero, un uomo ha una passione smodata per Tony Manero, il protagonista di quel cult che è " la febbre del sabato sera", tanto da iscriversi in un programma della tv cilena dedicata ai sosia  di personaggi famosi. La nazione ride, ascolta canzonette, vive, l'indifferenza, in casi di dittatura, potrebbe salvarvi la vita. Nella realtà, Raul vivacchia, e si sa quanto utile alla violenza nazionalizzata o individuale, vivacchiare faccia solo del bene. Sogni effimeri in una vita disastrosa, che portano ad eliminare fisicamente chi si mette sulla propria strada e ci ostacola. Così i militari fascisti, così un loro concittadino. Piena e deviata identificazione.
La tv, come sempre, alleata di tutto questo. Con la sua allegria fasulla, le folle che delirano per dei mentecatti, i sogni spiccioli e materiali dei partecipanti, che la gente è in prima fila contro i maupache come contro gli zingari, ma mai contro quelli che ti prendono e ti torturano, che quelli bisogna tenerceli amici. Tanto passano solo gli anni e aumentano i morti. Ma quei morti un po' se lo meritano, si facciano i cazzi loro, prendano un bel vestito bianco e si muovano come un Tony Manero qualsiasi.
Il degrado degli ambienti, vedi il locale dove Raul con altri si esibisce in patetici spettacolini, è lo stesso, infetta, le persone. La violenza dello stato fascista è ben assimilata dai suoi abitanti, i pochissimi che tentano di ribellarsi, non possono che fallire. Quasi dimenticati, quasi odiati, sicuramente venduti, dall'indifferenza dei normali e bravi cittadini.
Raul vorrebbe vivere meglio, come nel film che tanto ama, magari nell'America sognata e inventata che sta alla base del filo americanismo anche di casa nostra, egli è un assassino, ma è sopratutto un escluso, un disadattato, un lucido folle partorito dalla crudeltà del suo tempo. Vivo in un posto violento, essa diverrà linguaggio autorizzato e normalizzato anche nel quotidiano. Il fascismo si alimenta di queste cose e nei piccoli frustrati, mediocri, ometti trova i suoi sostenitori più zelanti.
Tony Manero è quasi un horror, mostra l'orrore vero, quello che alla fine non puoi dire: vabbè è un film e torni a casa tranquillo.
No, semmai ti domandi come si fa a dirsi e far credere agli altri, di esser la più grande democrazia del mondo e poi creare e sostenere l'11 settembre 1973, ricordatevi anche di questo 11 settembre, e poi l'argentina e poi i contras contro i sandinisti, che son cattivi nei film biechi e di propaganda reaganaiana degli anni 80- i merdosi e inutili anni 80. Come si fa a starsene buoni mentre portano via i vicini, gli amici, i famigliari.
La menzogna e la paura, forse è solo questo. Forse anche noi, in quel contesto, gireremmo la faccia dall'altra parte. Oppure no... e io che ne so?

domenica 17 luglio 2016

TRUMAN di CESC GAY

Quanti modi ha di manifestarsi, l'amore? C'è quello per una donna, per un amico, per i famigliari, per un cane.  Non fossimo così infelici e persi, così scioccamente attaccati a una vita di effimere felicità e libertà, di sentimenti precari, non ci sarebbe bisogno di ricordarcelo. Ameremmo in modo spontaneo, semplice, naturale. Ma è anche vero che -forse- la nostra vita è un po' "plagiata" dalle cattive notizie quotidiane, non parlo mica di attentati e cose simili. Parlo di quella marea di gente debole che si nasconde dietro cinismi d'accatto, dei tanti piccoli egoisti  che giustificano ogni loro vigliaccheria  con un distacco sulle sofferenze umane.



Questo film ci mostra come i sentimenti e le relazioni siano fondamentali.  Lo fa attraverso la storia dell'amicizia di due uomini, argentini, in quel di Madrid.  Tòmas torna in Spagna per assistere l'amico Julian, condannato da un brutto male. La morte è la protagonista assoluta di questo film, insieme con l'amore per un amico che è destinato a morire, e per un cane, compagno fedele e base solida per Julian.
Quando hai poco tempo, cosa fai? Come ti comporti? Si può o peggio si deve affrontare l'ultimo viaggio da soli, o è fondamentale la compagnia di qualcuno? Dobbiamo pensare in quel periodo a vivere ogni secondo, in un presente che vorremmo diventasse eterno, o è giusto pianificare il dopo? Occuparci di quelli che rimarranno? Sciocco o giusto abbandonare la chemioterapia? Giusto o sbagliato decidere di ammazzarci quando le cose andranno male?
Questi temi vengono affrontati o quantomeno accennati in questa commedia tenera e malinconica, che a mio avviso ha il grande torto di appartenere alla categoria del "cinema trattenuto", cioè quel cinema del pudore, dell'anti retorica, che finisce poi per esser poco coinvolgente. Adatto a chi usa l'alibi del ricatto morale per tener lontano da sé, anche in un film, il dolore, la sofferenza, ma sopratutto la commozione. Dobbiamo veder fino a un certo punto, e il dopo no. Così andiamo a casa tranquilli e sereni. Non amo affatto questo modo di metter in scena storie che peraltro sono drammatiche, tragiche, commoventi. Io amo il melodramma, quello popolare ed estremo, per cui certe cose di questa pellicola le ho trovate troppo trattenute. Però è una scelta del regista e del resto il film è decisamente buono, merito di certi dialoghi, certe parti di sceneggiatura, ma sopratutto per i due btavissimi attori: Ricardo Darin e Javier Càmara. E non dimentichiamo il cagnone protagonista: Truman.
Buono perché comunque, come ogni film dovrebbe fare, durante la proiezione non dovremmo perder tempo su dettagli tecnici che lasciano sempre il tempo che trovano, ma trovarci a riflettere, a pensare.
Io seguendo codesti due straordinari, bravissimi, attori ho pensato a cosa farei..
Cosa farei se fossi malato gravemente e terminale. Si, uno potrebbe dire, ma perché ti vedi nel malato e non nell'altro? Perché tu hai questa fottuta immedesimazione con personaggi che in un modo o nell'altro, stanno sempre male? Bess, Michele, Donatella, e tanti altri.
Perché agli altri, a chi amo, all'umanità, voglio lasciare la gioia, se la meritano. Tutto qui. O perché per vari motivi penso di star male o esser inadeguato, varie cose. Ma questo argomento, se non vi offendete, lo approfondirò i terapia eh!
Comunque: si, prima pensavo. Mi ucciderò, se dovessi star male senza speranza alcuna. Non voglio soffrire. Mi pare giusto e umano. Ora non so. Mi par che sia il discorso di una società fast food, dove arrivi, ti prendi il menù migliore e se per caso tu non potessi più mangiarne, allora è meglio uscire. Lasciando i commensali alla nostra tavola, felicissimi di esserci e disposti magari a pagarti una parte di quel menù che tanto ti piace, o semplicemente a star a tavola con te, perché ti vogliono bene, perché la tua scomparsa non è tragedia solo per te, ma anche per loro. C'è questo che non sopporto: io con certe scelte uccido non solo me stesso, ma anche tutto l'amore, attenzione che gli altri danno a me. Però già da sani non capiamo quanto gli altri ci stiano aiutando. Preferiamo tenerci il nostro dolore come alibi, e giudicare i "sani" per le mancanze nei nostri confronti. Poi appena uno ti palesa il fatto che fino a quando terrai gli occhi aperti starà con te, lo allontaniamo in malo modo.
Nessun senso di colpa, no dobbiamo averne in questi casi. E Tòmas lo manifesta apertamente. Questo però non vuol dire diventare complice di idee sbagliate, solo non abbandonare il nostro amico, esserci. Come possiamo esserci.
Però la morte ci spaventa. oggi a me più di prima. Oggi c'è una persona che mi ama, e quindi mi viene difficile pensare che tra 40 anni dovremmo dividerci, dai qualche anno in più, ma più o meno. Mi fa paura l'idea del nulla, temo l'oblio, penso che i credenti con quella storia del paradiso siano fortunati, hanno una bellissima illusione. Mi piace l'idea, esposta nel film, che dopo, quando saremo defunti, qualcuno che tanto ci ha amati in vita venga a prenderci.E insieme cominceremo un meraviglioso viaggio nell'infinito. Vorrei trovarci Achille, Mirtilla, i miei, gli amici che mi hanno preceduto e ppi accompagnare  mia  moglie. Stare insieme, in una gioia senza fine.  Si, lo so: invece non ci sarà nulla e di noi non rimarrà traccia, ma se il nostro cazzo di universo è Bergman, ecco la mia vita vorrei viverla con la retorica di un film di Spielberg o come se fosse il rapporto tra Carrie e Saul,  si vorrei viverla come se Saul fosse mio amico e sentirmi al sicuro da ogni pericolo. Che poi questa persona l'ho trovata ed è  mia moglie. A lei devo i miei miglioramenti come persona, e l'aver cambiato certe idee di "libertà" che tanto libertà non erano.
Questo è quello che il film mi ha lasciato, al di là del suo reale valore tecnico e cinematografico, e mi ha anche lasciato l'idea che l'amicizia, è fondamentale.Aprirsi agli altri, condividere ogni secondo della nostra vita, che sia un cane o un uomo. Non c'è danaro, non c'è merce, non ci sono scopate occasionali, che possano darci tanta soddisfazione come un giorno passato con chi amiamo.  Amare è l'unica cosa che può darci la forza di resistere a tutto e a tutti.
Julian e Tomàs con Truman, sono l'esempio perfetto. O quasi.

giovedì 14 luglio 2016

LA CORRISPONDENZA di Giuseppe Tornatore

Strano questo 2016. Anno in cui escono film di registi che non ammiro per niente e che invece mi hanno profondamente colpito. Genovese con il suo bellissimo Perfetti Sconosciuti, Tarantino con il suo splendido western e sopratutto, Tornatore, con questo film. Forse non del tutto riuscito, forse con tanti diffetti, ma qui non ci vantiamo di esser critici cinematografici e il cinema ci serve anche come scusa per pensare/riflettere su altro. Questo film mi ha fatto riflettere molto.





Storia dell'amore tra un professore universitario e una studentessa che si interrompe per la morte di lui. Lei è disperata, ma continua a ricevere messaggi, mail, sms, dal defunto. Come mai?
Messa così pare un film che affronta temi paranormali, ma non è affatto così. A meno che non si pensi che l'amore sia un fenomeno paranormale, e in questi tempi di mediocre cinismo dominante mi sa che potrebbe esser il pensiero comune.  Invece il tema è altro ed alto. Quando ami tanto una persona sei felice e vorresti che la cosa durasse sempre. Solo che il nostro sempre ha le ore contate, non essendo immortali. Per cui: come possiamo accettare di morire, lasciando sola la persona che amiamo e sopratutto senza poterla aiutare a superare quei traumi, quelle debolezze, quelle zone buie, che la tormentano ingiustamente. Per questo il protagonista decide di usare un piano  intricato di messaggi, video, e altro, con l'aiuto di amici, conoscenti, per non lasciare sola la sua amata, aiutarla a superare un suo trauma che è diventato senso di colpa soffocante, e poi prepararla - forse- a esser libera. Ormai pronta per vivere.
La morte che si sconfigge da sola attraverso la comunicazione, l'amore che pur in modo illusorio tenta una strada cocciuta di sopravvivenza. Sono cose che mi hanno colpito molto. Perché, tutti noi che siamo innamorati sappiamo benissimo quanto sia dura separarsi dalla persona che tanto amiamo. Durissima. Forse i mezzi tecnologici e l'empatia degli altri potrebbero aiutarci. Forse.
Per il resto La Corrispondenza è un film che conquista più che per l'esser oggetto cinematografico in sé, per i pensieri sul tema della vita, dell'amore, delle relazioni umane- anche quelle che nascono da un certo astio come quella tra la figlia del professore e la studentessa- che vanno recuperate, sull'attenzione per l'altro.  Una piacevole sorpresa

mercoledì 13 luglio 2016

La Sposa Bambina di khadijia Al- Salami

Quanti danni può creare l'ignoranza e le cattive tradizioni, nella vita delle persone? Quanto dolore possono portare nella vita di esseri umani troppo piccoli per poter sopravvivere a certe terribili cose? E quanta colpevolezza c'è, in chi le mette in pratica o segue senza pensare ai danni che procura?
Questa pellicola ci fa riflettere su questi punti, ma non solo.  Mostra anche la mancanza di solidarietà che le donne in certe parti hanno per altre donne.  Arrivando a comportarsi peggio dei maschi.  Lasciando che una bimba di dieci anni venga venduta come sposa e ppoi maltrattata, violentata,  umiliata, da suo marito.
Ci mostra il mondo chiuso, autoreferenziale, assurdo, delle montagne, dei piccoli paesi, in contrasto con una città che li chiama come forza lavoro, ma non li vuole e li respinge.





Non c'è bisogno di scioccare lo spettatore, di fare prediche indigeste, di condannare totalmente un popolo, o una nazione. La realtà è molto complessa e se dovessimo trattare tutto con rabbia e pregiudizi non finiremo mai di far danni.  Questo non vuol dire aver la sindrome del "buon selvaggio" per cui ogni cosa che viene lontano da un occidente corrotto e decadente, come lo vedo e penso io, peraltro, sia da non criticare o accettare perché " anche noi..."
I film hanno, tra le tante cose, il diritto e dovere di farci riflettere. Poi spetta a noi approfondire e confutare le tesi della pellicola. Questo film ci mostra la tragica esistenza di tante bimbe dello Yemen, vendute dalla famiglia, spesso per reali problemi economici, e costrette a un matrimonio con uomini adulti. Ci parla delle violenze, del dolore, ci ricorda che tante di esse muoiono per gli stupri subiti.
E ci pone una domanda: ma le donne? Perché non sono minimamente solidali tra di esse? Visto che tutte non fanno altro che criticare la piccola protagonista o ad ostacolare la sua scelta di libertà.  Per fortuna incontra un giudice comprensivo e la sua famiglia che l'aiutano.

L'opera descrive benissimo la difficile vita di chi viene dalle montagne, le difficoltà,  l'odio che i cittadini hanno per  loro, e di come vengano trattati- il fratellino della protagonista- da pezzenti e schiavi in Arabia Saudita.  Mostra i danni che l'ignoranza procura alle persone, a come le rende disumane, o li spinga a compiere scelte errate e sbagliate.  Mostra sopratutto il grande coraggio di una ragazzina di dieci anni. Che contro tutto e tutti, aiutata da un giudice, riesce a tornare a vivere. Come dovrebbe vivere una bambina della sua età

martedì 12 luglio 2016

il figlio di Saul di Làszlò Nemes

Il cinema della memoria, più precisamente legata allo Shoa, è un filone ben precis, con regole ferree,  scopi educativi, che nel mostrare e raccontare la stessa storia, con piccole variazioni, tende a massificare il ricordo, a renderlo quasi standardizzato, e appunto cinematografico. Sappiamo il dolore, la storia ce lo insegna. Quello degli ebrei, che era condiviso anche con altri: omosessuali, comunisti, zingari, oppositori o razze minori, secondo la follia lucidissima e appartenente al genere umano, che rispondeva al nome di : nazismo.
Non che noi italiani siamo stati di meno. Africa, Jugoslavia, Grecia, ci siamo fatti notare anche noi. Però la nostra è la crudeltà degli eterni bambini.Che poi si giustificano dicendo che : è stato lui a cominciare, mica volevo fargli davvero male. Popolo che ha una lunga tradizione di vigliaccheria e di menzogne sul proprio conto. Nemmeno la nobiltà della caduta, del guardarsi in faccia con cruda disperazione. Questa però è altra storia, materia per altro blog.
Ritorniamo alla domanda iniziale: è possibile descrivere l'orrore dei campi di concentramento, sterminio, senza la necessaria retorica, senza la scena madre di follia e violenza nazi? D'altronde Hollywood ci ha abituato a quel modo di girare storie ambientate in quei terribili posti. Eppure, c'è sempre qualcosa di troppo pulito. Anche nei lerci pigiami, nei visi scavati, nel fango del campo. Cìè forte e visibile la macchina industriale del cinema americano. 
Lo Shoa come Ben Hur, un Kolossal per le masse.




Poi, in una calda serata estiva, ti imbatti in codesta pellicola. Sai che è importante, l'hai letto in ogni ove, sai il tema, sai che sarà sempre la stessa storia. Non puoi inventare nulla su un tema così importante.
Ed infatti : non si inventa nulla, eppure...
Ecco dovessi tramandare ai posteri un film, uno solo, su questo argomento, sceglierei questa pellicola.
E sarebbe un'ottima scelta. 
No, non c'entra che sia un film poco propenso a romanzare, perché-per fortuna non è un film trattenuto- anzi nel suo essere così asciutto, essenziale, non limita o ignora affatto l'emozione. Che esplode per tutta la visione. Indimenticabile il viso di Saul, quasi impassibile, da uomo destinato alla fine, ma che ha una missione: seppellire suo figlio.
Saul fa parte di una squadra di detenuti ebrei ce nel campo ha la missione di accompagnare altri ebrei verso le docce.Angeli sterminatori della propria gente, che finiranno a loro volta sterminati.
Il punto di vista diventa subito altro, e ti spinge a porti molte riflessioni: come è possibile che si collabori sapendo che prima o poi tocca a te? Come è possibile esser efficienti in un contesto simile? Non ti viene voglia di ribellarti? Come è possibile farsi guidare verso la morte?
Non eccede nella solita messinscena, non c'è appunto il desiderio di far cinema hollywoodiano mescolando industria, spettacolo, incassi, facili emozioni a buon mercato e Shoa.  Il Figlio di Saul strazia l'anima e il cuore con pochi elementi. I rumori sopratutto. Tenendo la macchina da presa fissa sul volto del protagonista e lasciando fuori, sfocati, molti elementi drammatici e crudi. Ci sono le masse di deportati che battono sempre più forte sulle porte per uscire dalla camera a gas. Così senti come muore un uomo, ed è una cosa terrificante, ancora peggio che vederlo.  I rantoli, le urla soffocate, le bestemmie e il pianto . A questo si riduce l'umanità che va verso la morte.
Poi un giorno ti par di veder tra tutte quelle persone, tuo figlio. Per un po' ha resistito al gas. I nazisti lo hanno ucciso brutalmente, che non sia mai. Ci tengono al lavoro ben fatto. Da quel momento, per te, Saul, comincia la disperata corsa alla ricerca di un rabbino per la sepoltura del tuo figliolo. E non importa che magari, come dicono molti, non sia tuo, ma basta a tutto quell'orrore, a quella vita che è morte in ogni momento. Nel frattempo si prepara e si mette in atto una reazione armata contro le bestie naziste.
Però non ti interessa nemmeno ribellarti, tu vuoi fare un gesto di pura  umanità. Lasciare che un cadavere abbia le sue preghiere, che venga sepolto, che qualcuno possa andar a portare fiori, una preghiera, qualcosa.
Film soffocante, che segue da vicinissimo il suo protagonista, dando l'impressione di poter sentire ogni spinta, ogni mano che trattiene, c'è sempre un febbrile movimento.
L'opera seppure inserita in un certo contesto non è affatto come le altre, perché il cinema pur presente fa un passo indietro e tu sei al fianco del protagonista e lo segui nella sua missione.
Nel rumore, nell'indifferenza, in un destino donato alla morte e che non puoi cambiare, c'è l'ostinata voglia degli esseri umani di non perder l'umanità, oltre il risultato concreto.
In tutto questo c'è la grandezza di Saul.

lunedì 4 luglio 2016

I CANCELLI DEL CIELO di MICHEAL CIMINO

Quanto è triste, insignificante, arida, una vita che si ferma solo al successo o insuccesso di un'opera cinematografica. Come se bastasse solo un grande incasso a dar il patentino di opera meritevole.Come se non incassare fosse una colpa da dover scontare tutta una vita. Si, ripetiamolo: il cinema è industria, i film sono prodotti e quindi sotto posti alla simpatica legge del mercato, ma d'altronde questo vale per qualsiasi essere umano nel dorato mondo del capitale. Il profitto prima delle persone, delle idee, dei sentimenti, di tutto. Il mondo presentato in questo immenso capolavoro che va oltre al cinema e diventa leggenda, pur ambientato in un 'epoca passata, è attuale anche e ancora oggi.  Le democrazie occidentali, le terre dei sogni e delle libertà, sono fondate sulla tragedia e la morte degli ultimi, dei dannati della terra, degli ingannati.
Tutto questo è spiegato benissimo in questa opera davvero di rara e struggente bellezza.Perchè ecco cosa conta nel cinema, e non solo per me: La Bellezza. Che sia quella che ci incanta nel veder una scena o una sequenza, il violinista sui pattini è per me il vertice artistico di questa pellicola, sia quella dei personaggi.
Quando da personaggio si diventa persona.
Perchè dietro alla macchina economica ci sono persone che "immaginano". E quando immaginiamo, creiamo storie e quando crei storie, crei dei mondi. Con le loro città, i cittadini, i criminali, e gli eroi. Crei la vita.
E quanta vita c'è in questa monumentale, epica, amarissima, disperata, romantica, epopea americana. Americana fino al midollo, ma di quell'America che piace a me. Quella dei Guthrie, piuttosto che di John Wayne, quella orgogliosa della sua storia, ma che sa di aver una storia fatta anche di tantissime, troppe pagine nera.
Film crepuscolare, epitaffio definitivo per un modo e mondo di far e intendere il cinema, canto del cigno struggente dei sogni di gloria di una generazione, di un mondo, dove gli ideali non sono " è una vergogna, fai girare, ruspeeeee", ma fratellanza e democrazia nel senso più puro e profondo. Un mondo dove gli ultimi sono sempre gli ultimi, ma combattono con dignità, dalla parte del giusto. Dove una prostituta è, prima di tutto, una donna che merita amore. Come lo merita anche lo spietato killer,  un memorabile e indimenticabile Christopher Walken, il suo sacrificio è uno dei momenti più commoventi e dolorosi della storia del cinema
Perché qui si fa la storia. Per quelli che hanno cuore e lacrime da spendere, per chi ha la meraviglia negli occhi e si stupisce ogni volta che vede, in un film, la rappresentazione della vita. Con migliori colori e interpreti, ma al e nel cinema va sempre di scena la vita. Che siano uomini o super eroi, che siano avvocati idealisti come l'eccellente Kris Kristofferson, o il dolente, sconfitto, compagno di studi John Hurt.
Cimino in questo suo capolavoro non mette in scena solo dei personaggi che si incontrano di norma in pellicole del genere. Crea degli esseri umani mai così complessi, totali, contraddittori e veri. Tutti.
Da quelli che compaiono per poche scene, fino ai protagonisti. E tu, spettatore indisciplinato, ti lasci travolgere, ti affezioni, lotti e speri con loro.
Perché questa condanna al capitalismo criminale, dove per "progresso" si stilano liste di uomini da uccidere, dove la vita umana non conta nulla, è prima di tutto un atto di resistenza umana, troppo umana . Una grande epopea di Uomini e Donne in fuga dalla miseria, condannati a esser il nemico da abbattere da chi fa denaro nellla terra del Sogno e delle opportunità.
Ieri come oggi.
Questa pellicola è stata anche l'ultima che ho visto in compagnia dei miei genitori, prima di sposarmi e lasciare la Brianza per Firenze. Alla commozione del film si aggiunge quella dei tanti pomeriggi passati a veder opere memorabili.
Ecco, per questi motivi rispettate Cimino, rispettate questo immenso capolavoro.