giovedì 28 luglio 2016

MATALO! di CESARE CARNEVARI

Matalo, rappresenta insieme ad opere come O' Cangaceiro e Se sei vivo spara, il tentativo di rileggere e ripresentare sotto forme inedite, un genere, come quello western, da sempre legato a regole precise e solide. Un genere che per molti è quasi fondamenta o responsabile della leggenda - attenzione, non storia- americana. Un genere che celebra valori, ideali, orgogli, attraverso stereotipi e archetipi consolidati. Però è anche un genere, come l'horror, che si concede pure il lusso della manipolazione, della metafora, vedi l'esplodere del western crepuscolare, rilettura amarissima che negli anni settanta, in America, rifletteva una nazione in crisi, che si guardava in uno specchio sporco di cattivi ricordi.
Lo spaghetti western estremizza il concetto e lo inserisce in un mondo caotico, rumoroso, nichilista e cinico, ma con un sottofondo di ironia o autoironia.
Questa opera è celebrazione e distruzione del genere, ne riprende le linee generali- nella trama- ma si nota che è solo pretesto, solo un modo per sperimentare le potenzialità visive e uditive della macchina cinema.Se infatti le pellicole citate all'inizio del post, avevano, oltre che una regia particolare e originale, anche una solida storia che rimanda alla politica, addirittura alla rivoluzione, qui siamo di fronte a una storia rudimentale, basilare, una storia che nega sé stessa, autodistruggendosi con fierezza assoluta. Quello che conta è la macchina da presa, il suono, i costumi che creano i personaggi e i luoghi.



La pellicola è un viaggio all'inferno elettrico, distorto, polveroso e furibondo, furioso,  I personaggi sono legati ad istinti bestiali di assoluta, pura, immotivata violenza, certo vi è la scusa, classica, di un tesoro, simbolo della loro follia e ossessione. Abbandonati in un villaggio fatiscente, vero e potentissimo protagonista del film, si abbandonano a una macabra festa di cinismo, nichilismo, violenza, con la scusa della ricchezza e della gloria, ma sanno benissimo che si stanno solo mentendo. Quello che vogliono è morte e sofferenza e forse, quel villaggio, non è altro che l'inferno, dove anime dannate e mai pacificate si scontrano e si distruggono a vicenda.
Cesare Carnevari debuttò proprio con uno spaghetti-western per poi passare a pellicole tra il morboso e l'erotico, come ci informa wikipedia, qui si abbandona al fascino del riprendere e del muovere la macchina da presa, arrivando a inquadrature di profonda e destabilizzante bellezza visiva, ma anche perdendo di vista la pellicola, sommergendola in alcune situazioni pleonastiche, fine a sé stesse, che rendono l'opera molto interessante, ma non del tutto riuscita. Rimane il personaggio di Corrado Pani, un bandito di raro cinismo, ribelle, una vera rockstar letale e pericolosa, ci si ricorda del personaggio di Lou Castel uno straniero che compare all'improvviso, il quale dopo una lunga tortura regola i conti a colpi di boomerang.  Rimane nella storia del cinema la soggettiva dei boomerang . Come la colonna sonora rock, rumorosa, distorta. Suggestiona e colpisce la rappresentazione visiva del villaggio, luogo abbandonato., abitato solo da una vecchia pazza che vorrebbe vederlo risorgere. Si rimane colpiti per l'assoluta e interminabile ferocia delle scene di violenza, ossatura del film, si rimane conquistati di come sia un film di negazioni, un grandissimo no al genere da cui si trae origine, attraverso la rielaborazione dei duelli,  il manifestare disinteresse totale per la trama, le motivazioni, tutti pretesti per far esplodere la macchina cinema e la mdp.
Film molto particolare, che potrebbe piacervi moltissimo o irritarvi. Opera per me fondamentale, pur non essendo del tutto riuscita, ma da vedere per la sua unicità.

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