martedì 3 giugno 2014

DOPPIA RECENSIONE:OLD BOY di PARK CHAN WOOK

Aspetto sempre con impazienza il sabato perchè è il momento del cinema condiviso: io e Valentina ci guardiamo dei film,commentandoli tramite sms,e questa cosa per me è fondamentale. Commentando un film ,un libro ,una canzone, credo che tu possa conoscere meglio le persone. Credo sia stato proprio questo vedere i film insieme che poco a poco mi son innamorato di lei
 Atto intimo di scoperta del sé e dell'altro. Condivisione e riflessione personale.
Ora stiamo vedendo la famosa e celebre trilogia della vendetta del buon Park, l'altra volta vi ho parlato di Mr Vendetta e oggi affrontiamo il suo capolavoro della madonna e degli angeli in colonna: Old Boy.

Vi lascio con la sua recensione e poi quattro parole mie.


Con Old Boy Park Chan-wook realizza il secondo capitolo della Trilogia della Vendetta e segna, in un certo senso, lo sdoganamento del cinema coreano anche qui da noi. E’ grazie ad Old Boy, prima, e a Lady Vendetta, subito dopo, che anche in Italia recupereremo la visione del primo capitolo della trilogia, rappresentato da Mr. Vendetta.
Ad oggi, però, per quanto mi riguarda, Old Boy resta il capolavoro indiscusso del regista coreano. Mai come in questa pellicola Park Chan-wook è riuscito a riunire e a rendere in maniera evidente gli elementi chiave della sua filmografia, che poi sono, in parte, anche elementi caratteristici della cinematografia coreana.
Old Boy racconta di un uomo, Dae-su (un immenso Choi Min-sik, capace di passare dal registro drammatico a quello più leggero e quasi comico con una facilità impressionante) che viene rinchiuso per quindici anni in una stanza senza che gli sia data alcuna spiegazione e poi, improvvisamente, liberato e della ricerca dei responsabili della sua prigionia. Il fatto che nel titolo della trilogia si faccia riferimento alla vendetta, in un certo senso, mette in secondo piano l’argomento principale del film che non è tanto la vendetta di Dae-su nei confronti del suo secondino, quanto piuttosto l’ossessiva ricerca della verità, di una spiegazione plausibile per il gesto di cui è stato vittima. E questa ricerca lo porterà a ripensare al suo passato e ad analizzare tutta la sua vita sotto una nuova luce, costantemente provocato e sollecitato dall’uomo che lo ha tenuto prigioniero e che lo guida e lo indirizza verso la spiegazione finale.
In pratica non abbiamo più una vittima ed un carnefice ma Dae-su e colui che lo ha imprigionato si fronteggiano in un gioco delle parti che porta, inevitabilmente, lo spettatore ad interrogarsi su cosa significhi vendetta e quale sia il senso della giustizia e sul fatto che un dolore profondo può consumare un uomo fino a farlo diventare un qualcosa che va contro la sua stessa natura.
E Park Chan-wook possiede un’abilità straordinaria nel raccontare i suoi personaggi senza schierarsi mai dalla parte dell’uno o dell’altro ma partecipando emotivamente alle sofferenze di entrambi, coinvolgendo così lo spettatore in un gioco al massacro intriso di una violenza a tratti insostenibile ma che non è mai auto compiaciuta o fine a se stessa ma diventa sempre espressione palpabile di un dolore immenso ed incomunicabile.
Il regista non si preoccupa minimamente di guidare lo spettatore nella visione del film che si presenta come una narrazione discontinua ed emozionale più che logica, e non insiste mai nel dare una spiegazione o sottolineare un fatto determinante quando questo può essere tranquillamente intuito ed interpretato dallo spettatore stesso. Ed in questo risiede la grandezza di un po’ tutto il cinema orientale che coinvolge totalmente il pubblico nella visione della pellicola e lo rende parte attiva per la comprensione della storia che si sta svolgendo sullo schermo che deve essere, in parte o del tutto, decodificata e che può essere tranquillamente interpretata a seconda delle inclinazioni del singolo individuo. Per quanto mi riguarda, ad esempio, non riesco a parteggiare per nessuno dei personaggi che sono presenti nella storia, ognuno di loro mi suscita la stessa pena e di ognuno mi preoccupa la sorte. Persino il coraggiosissimo finale che fa intuire uno sviluppo moralmente riprovevole della vicenda finisco per vederlo come uno struggente ed intenso atto d’amore.
Una menzione particolare va fatta alla regia di Park Chan-wook che regala delle inquadrature meravigliose che amplificano il senso della vicenda proprio perché implicano un forte coinvolgimento emotivo (una su tutte quella di Lee Woon-jin che trattiene la sorella sul parapetto del ponte) e alla meravigliosa colonna sonora di Jo Yeong-wook che gioca abilmente con la musica classica (Vivaldi in primis) creando delle suggestioni sonore innegabili che raggiungeranno il suo apice –a mio personale parere- nella successiva colonna sonora di Lady Vendetta



Old boy di Babordo 76

Cosa scordiamo sempre , noi occidentali? Va che c'è una cosa in particolare, fra le tante. Non ci arrivi? Ecco noi dimentichiamo sempre : la responsabilità. Si,magari ne parliamo pure. Magari la chiediamo agli altri, quando ci feriscono direttamente,ma la nostra ? Non esiste. Secondo noi la parola non conta nulla. Ci siamo rovinati attraverso l'esaltazione di slogan idioti come : fatti non parole. Non comprendendo che sono proprio esse l'artefice dei nostri fatti, delle nostre azioni.
Così il protagonista di questa pellicola imparerà sulla sua pelle cosa significhi esser una persona che non vuole responsabilità, che vive una vita leggera, senza impegni, come ci appare nei primissimi minuti di film, e come ci viene fatto intuire durante il proseguimento della visione.
A volte capisci che ti trovi di fronte a dei capolavori,altre che non sono solo dei capolavori: ma pellicola assolute,totali, senza barriere di sorta.
Park inzia subito benissimo la sua storia. Con l'uso della pura macchina - cinema ci regala la sofferta reclusione di un uomo medio,anzi mediocre, uno come tanti, dentro un appartamento anonimo. Non sa perchè si trova lì,per quale motivo. Chiaramente è furioso ed arrabbiato, vuole vendicarsi,ma questo potrebbe esser un depistaggio. La vendetta c'è , ma non è un film occidentale. Da noi questa scusa sarebbe stata usata per botte da orbi, violenza e alla fine: bè lui è l'eroe è giusto che si vendichi. Per fortuna questa è una pellicola orientale e quindi seppure usa generi e temi tanto amati anche dai loro padroni yankee,ma li riscrive e li rielabora mostrando prima di tutto il dolore e lo smarrimento del protagonista e del suo antagonista, in un certo senso  ,( come in mr vendetta), non comprendiamo più chi sia il "buono" e il "cattivo", e anche la causa scatenante , sono sicuro, da noi potrebbe esser vista come qualcosa di "sciocco". Solo una parola,detta da un ragazzino un po' pirla, senza cattiveria. Ma da quella parola sono successe tante cose, conclusa con una tragedia. Due uomini con la vita spezzata e l'unico scopo di far male,vendicarsi.
Quindi la vendetta non conclude nessun dolore, non è atto di catarsi, di redenzione,purificazione, non migliora nulla.
La vita del protagonista senza ombra di dubbio e quella del suo antagonista sono rovinate da essa. Anche se Park conclude genialmente la vicenda con un happy end che definire ambiguo e oltraggioso è forse troppo poco,eppure ci commuoviamo tantissimo per quelle ultime immagini,per quel sorriso di rinascita.. Proprio dopo uno dei confronti più drammatici,duri,insostenibili sotto ogni punto di vista.
Film imperdibile per i temi affrontati,per la regia particolarmente ispirata di Park e per la suggestiva colonna sonora. Opera che entra a pieno nella leggenda ,più che la storia, del cinema




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