Ogni volta che mi capita di visionare codesta pellicola, penso, che più di un vero e proprio film , si tratta di una cover di lusso: Carpenter fa un film di Spielberg.. Operazione suggestiva, interessante, al limite del sarcasmo, come se il Maestro del New Horror degli anni 70, ma non solo perché il buon John è un regista di spessore totale e assoluto, volesse mostrare al collega che non ci voglia molto a far un film di sentimenti. Anzi di buoni sentimenti. Se l'intento fosse questo, però, John sbaglierebbe. Non c'è nulla di più difficile, da portare sullo schermo, che i sentimenti umani. L'amore e la compassione, per primi.
Reggere per due ore il ritmo di un'opera che non vuole intrattenere con esplosioni, spari, omicidi, ma con due protagonisti chiusi in un'automobile, non è facile. Sopratutto se ti sei fatto un nome e una carriera parlando e mostrando altro. Molti storcerebbero il naso, pretenderebbero da te quello che son abituati ricevere: tensione, morte, piani sequenza vertiginosi. Invece tu ci proponi una storia d'amore. Essenzialmente codesta opera non è altro che un film sentimentale.
La storia di una donna che non ha superato uno dei peggiori traumi che ci possa capitare: la morte di una persona che amiamo tantissimo. Come è possibile sopravvivere? Come togliere quel peso nel cuore, che urla nello stomaco e ci devasta la mente? Penso sia pressoché impossibile. Non possiamo uscire; le gambe non si muovono. Non possiamo stare a casa: la voce, il volto, la presenza della persona amata ci tormenta. Vogliamo stare male, anche se il dolore ci terrorizza e tentiamo di cacciarlo. Ma mica puoi dargli uno sfratto! E te lo devi vivere tutto. Fino in fondo.
Così il personaggio interpretato benissimo da una meravigliosa Karen Allen, meravigliosa per l'umanità profonda che dona alla sua parte e per la rappresentazione di donna comune, normale, facile ritrovarsi in lei, vive la sua vita ripensando al marito morto
Fino a quando un alieno non giunge a casa sua. E prende le sembianze del coniuge. La scena dell'alieno che diventa adulto in un batter d'occhio, per quanto assai datata, è emozionante. Ci rendiamo conto di quanto la nostra vita, nell'universo, sia davvero un batter d'ali, di palpebre, una cosa piccolissima, ma non per questo minore o senza importanza.
Da questo momento parte il lungo viaggio verso il luogo dove l'alieno verrà ripreso dai suoi simili. E parte anche la caccia da parte del governo degli Stati Uniti, sempre pacifici e gentili: lo vogliono solo eliminare dopo che l'hanno bombardato, così tanto per dargli il benvenuto. Ovviamente c'è anche lo scienziato buono che facilita la fuga dell'extraterrestre. Questa è la parte debole del film. Utile per creare quel senso di allarme, di fuga, ma che in sostanza a mio avviso toglie il respiro a una bellissima storia d'amore
Si, perché durante la fuga, a poco a poco, la donna si innamora di quell'essere che ha preso le sembianze di suo marito.
E qui parliamo un po' di Jeff Bridges, questo straordinario attore, che ci offre una prova dolcissima, delicatissima, come se fosse un cucciolo, un bambi spaziale. Il tutto senza risultare stucchevole, manieristico,ma molto spontaneo.
Carpenter ci regala anche alcune sequenze davvero commoventi : la rinascita di un cervo, e di Jenny. In punta di piedi ci fa entrare nei cuori dei personaggi, ci porta ad amarli, senza strafare , senza urlare. Ora io sono per il melodramma spinto e per il sentimento debordante, ma apprezzo questo approccio del grande regista americano alla materia.
Starman è una bellissima storia d'amore. E ci insegna che pure quelli che hanno inventato Micheal Myers, The Fog, The Thing, tengono ' o core dint'e zucchero.
lunedì 27 luglio 2015
lunedì 13 luglio 2015
L'UOMO CHE AVEVA BATTUTO LA TESTA di PAOLO VIRZI'
Non è tanto la testa, la ragione, l'analisi lucida, quella che rimane a futura memoria. Mi piacerebbe che fosse così, ma forse questi elementi è meglio perseverarli per la politica, per il resto cosa conta? Cose impalpabili, cose che ci piace pensare esistano solo nei films. Non in tutti, quelli buonisti.
Sono le lacrime di gioia, sono la riconoscenza per esser così fragili e stupidi, da emozionarsi per le parole e le vite altrui. E sono i posti
Io amo Livorno e Roma. Certo avranno difetti e limiti, ma la perfezione è un atto innaturale, di repressione, quindi le mie città sono queste due.
Virzì attraverso codesto documentario tenta di narrare una città, un popolo, attraverso la storia di un grandissimo artista: Bobo Rondelli.
Chi è costui? Un cantautore che pesca nel meglio della canzone italiana e nel mondo del rock. Cantore di sentimenti spesso malinconici, di personaggi per niente facili, le sue canzoni stanno sospese tra un'ironia istrionica dissacrante e una profondissima e dolcissima amarezza, mestizia, gioie tenere e fragili, sospese.
Così Virzì gira la città intervistando attori, musicisti, amici di Rondelli, portando la mdp all'interno della sua vita e dei suoi pensieri. C'è, essendo un'opera del grande regista livornese, tutta quella poetica legata alla compassione per i personaggi. Non si nascondono limiti ed errori del protagonista, ma non si vuol né infierire né fare agiografia. Tu vedi un uomo, prima di un artista. E io amo entrambi.
Il documentario è un mezzo cinematografico potentissimo, perché rende cinema la realtà. Non fate come Nichetti che è convinto che questo modo di fare arte visiva, sia solo la riproposizione della mera realtà. Non fate come quelli che se non vedono svolazzamenti di draghi, dicono: eh ma se vuoi fare un film sulla vita vera, gira un documentario.
Esso riprende la verità della vita, ma la messa in scena è cinema. Perché dietro c'è un regista che sceglie cosa e come riprendere. Virzì poteva mettere insieme immagini gioiose di repertorio, poteva mostrare solo l'aspetto positivo, e invece non l'ha fatto. Perché a lui interessa la complessità dolce amara della vita, interessa i sentimenti.
Così mentre le immagini scorrono, ecco venire alla luce una città unica e impossibile come solo Livorno sa essere.
Posto che blocca tutto, che nasconde dietro all'esaltazione dell'ignoranza e della sfacciataggine una profonda sensibilità, della quale prova vergogna. Posto che non perdona chi lascia la compagnia del cortile, del bar, che campa su un'improbabile purezza. E queste in un certo senso sono le "accuse" mosse a Rondelli. Cioè aver scelta la comoda vita dell'outsider idolo delle folle della sua città, invece di rischiar puntando in alto, a livello nazionale, visto che lui è davvero eccezionale, unico, irripetibile.
Il successo, avere molti ammiratori, far parte di un giro "grosso" è per forza simbolo del male? Evitare compromessi per sostenere una purezza che anche di auto reclusione è simbolo di giustezza? Meglio evitare di girare lo "stivale" per dar spazio ai Gramegna Tour, come li definisce amaramente e ironicamente lo stesso Rondelli?
Ed è appunto un uomo, non un ribelle o un rivoluzionario, quello che esce da questa bellissima opera. Capace di farci emozionare con la sua voce ricca di sfumature, con la sua interpretazione ora selvaggia ora compostissima, con le sue storie, così vere e sentite. Ed è l'uomo che vede fallire un matrimonio, il tutto capita durante le riprese del film, che si commuove ripensando al padre, a quanto gli manchino i suoi abbracci, mai ricevuti, perché sono cose poco maschili, meglio evitare. E poi ci sono le canzoni: che si parli di un orso, che si parli di un vecchio pedofilo, di esistenze alla deriva, c'è la compassione e pietà altissime,nobili, che ci fanno tremare il sangue nelle vene
Ringrazio Virzì e Rondelli perché mi hanno commosso, intrattenuto, fatto riflettere. Io amo questo artista così imperfetto, così autolesionista se vogliamo, ma così vero. C'è l'urgenza delle parole, pensate e amate, volute in quel modo preciso. C'è riflessione e ragionamento, c'è un grande cuore.
"Viaggio d'andata, senza ritorno, bella Livorno, mi fermo qui"
Lasciate che io mi fermi in questa città, con questo popolo, con il cinque e cinque da Gagarin, la videoteca del Frusciante, il porto,Ciampi, le scritte rivoluzionarie sui muri, il 1921 e la nascita del comunismo, Shangai, Livorno è la Vita in tutto il suo splendore e decadenza. Nessun posto è paragonabile a codesta città, a parte la sola Roma,e Rondelli è il suo migliore e nobilissimo cantautore
Sono le lacrime di gioia, sono la riconoscenza per esser così fragili e stupidi, da emozionarsi per le parole e le vite altrui. E sono i posti
Io amo Livorno e Roma. Certo avranno difetti e limiti, ma la perfezione è un atto innaturale, di repressione, quindi le mie città sono queste due.
Virzì attraverso codesto documentario tenta di narrare una città, un popolo, attraverso la storia di un grandissimo artista: Bobo Rondelli.
Chi è costui? Un cantautore che pesca nel meglio della canzone italiana e nel mondo del rock. Cantore di sentimenti spesso malinconici, di personaggi per niente facili, le sue canzoni stanno sospese tra un'ironia istrionica dissacrante e una profondissima e dolcissima amarezza, mestizia, gioie tenere e fragili, sospese.
Così Virzì gira la città intervistando attori, musicisti, amici di Rondelli, portando la mdp all'interno della sua vita e dei suoi pensieri. C'è, essendo un'opera del grande regista livornese, tutta quella poetica legata alla compassione per i personaggi. Non si nascondono limiti ed errori del protagonista, ma non si vuol né infierire né fare agiografia. Tu vedi un uomo, prima di un artista. E io amo entrambi.
Il documentario è un mezzo cinematografico potentissimo, perché rende cinema la realtà. Non fate come Nichetti che è convinto che questo modo di fare arte visiva, sia solo la riproposizione della mera realtà. Non fate come quelli che se non vedono svolazzamenti di draghi, dicono: eh ma se vuoi fare un film sulla vita vera, gira un documentario.
Esso riprende la verità della vita, ma la messa in scena è cinema. Perché dietro c'è un regista che sceglie cosa e come riprendere. Virzì poteva mettere insieme immagini gioiose di repertorio, poteva mostrare solo l'aspetto positivo, e invece non l'ha fatto. Perché a lui interessa la complessità dolce amara della vita, interessa i sentimenti.
Così mentre le immagini scorrono, ecco venire alla luce una città unica e impossibile come solo Livorno sa essere.
Posto che blocca tutto, che nasconde dietro all'esaltazione dell'ignoranza e della sfacciataggine una profonda sensibilità, della quale prova vergogna. Posto che non perdona chi lascia la compagnia del cortile, del bar, che campa su un'improbabile purezza. E queste in un certo senso sono le "accuse" mosse a Rondelli. Cioè aver scelta la comoda vita dell'outsider idolo delle folle della sua città, invece di rischiar puntando in alto, a livello nazionale, visto che lui è davvero eccezionale, unico, irripetibile.
Il successo, avere molti ammiratori, far parte di un giro "grosso" è per forza simbolo del male? Evitare compromessi per sostenere una purezza che anche di auto reclusione è simbolo di giustezza? Meglio evitare di girare lo "stivale" per dar spazio ai Gramegna Tour, come li definisce amaramente e ironicamente lo stesso Rondelli?
Ed è appunto un uomo, non un ribelle o un rivoluzionario, quello che esce da questa bellissima opera. Capace di farci emozionare con la sua voce ricca di sfumature, con la sua interpretazione ora selvaggia ora compostissima, con le sue storie, così vere e sentite. Ed è l'uomo che vede fallire un matrimonio, il tutto capita durante le riprese del film, che si commuove ripensando al padre, a quanto gli manchino i suoi abbracci, mai ricevuti, perché sono cose poco maschili, meglio evitare. E poi ci sono le canzoni: che si parli di un orso, che si parli di un vecchio pedofilo, di esistenze alla deriva, c'è la compassione e pietà altissime,nobili, che ci fanno tremare il sangue nelle vene
Ringrazio Virzì e Rondelli perché mi hanno commosso, intrattenuto, fatto riflettere. Io amo questo artista così imperfetto, così autolesionista se vogliamo, ma così vero. C'è l'urgenza delle parole, pensate e amate, volute in quel modo preciso. C'è riflessione e ragionamento, c'è un grande cuore.
"Viaggio d'andata, senza ritorno, bella Livorno, mi fermo qui"
Lasciate che io mi fermi in questa città, con questo popolo, con il cinque e cinque da Gagarin, la videoteca del Frusciante, il porto,Ciampi, le scritte rivoluzionarie sui muri, il 1921 e la nascita del comunismo, Shangai, Livorno è la Vita in tutto il suo splendore e decadenza. Nessun posto è paragonabile a codesta città, a parte la sola Roma,e Rondelli è il suo migliore e nobilissimo cantautore
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lunedì 6 luglio 2015
CONTAGIOUS di HENRY HOBSON
Sai cosa credo? Che nessuna apocalisse zombi, invasione di alieni, day after, cataclisma naturale, niente possa fermare l'umanità e la sua voglia di amare e difendere i propri cari.
Perché nonostante tutto quello che si possa dire o scrivere, le relazioni umane sono fondamentali. Per cui l'amore rimane. Dovrà lottare contro una situazione di disagio fortissimo, di assoluta devastazione, di leggi marziali e psicosi sociale, ma cercherà di sopravvivere e di resistere. Perché noi siamo questo: condivsione, empatia, socializzazione, emozioni e affetto.
Sicché potranno pure parlare di quarantena, potranno anche darci un fucile e delle pallottole, ma quel mostro: è pur sempre nostra figlia.
Lo vediamo che sta cambiando, sappiamo che non possiamo fermare quel morbo, quel contagio, ma ci attacchiamo a quel poco di umano che ancora possiede. Un conto è parlare di persone sconosciute, ma altro è quando tocchiamo con mano la verità, quello che davvero capita e succede.
Io amo questi tipi di film: che usano un genere per farci riflettere su quello che faremo noi. Magari scopri che tu saresti in prima fila a sparare ai contagiati, oppure ti verrebbe da difendere quelle vite che si vanno perdendo. Cosa faresti? Ecco questo approccio, al tema abusato dell'invasione di mangiatori di uomini, a me piace moltissimo. Da In the flesh in avanti.
Hobson è bravissimo nel farci sentire e vedere il delicato equilibrio tra un padre e una figlia contagiata. Con tutto quello che codesta situazione straziante comporta. Il doppio lutto da sostenere, l'uomo è già vedovo anche se si è felicemente risposato, veder giorno dopo giorno una figliola perdersi e trasformarsi in altro. Ed è straordinario nel portare sullo schermo questo personaggio femminile. Maggie è una ragazza. Niente di più, niente di meno. Vorrebbe vivere i suoi amori, stare con gli amici, godersi la vita che dovrebbe arrivare. Invece ha una sola certezza: la trasformazione.
Intorno a lei una umanità stordita, incapace di affrontare del tutto questo problema. Ma anche qui: non esiste una netta e profonda, schematica, divisione tra buoni e cattivi. Tutti cercano di rimanere umani. Anche lo sbirro che se la prende con i famigliari che proteggono i cari infetti, lo fa per difendere la nazione e chi non è contagiato.
Qui si sceglie di analizzare il rapporto umano, di dire: ok, c'è l'apocalisse, ma le persone rimangono persone. Io ci credo in questo. La mia futura moglie l'amerò sempre anche se dovessi lottare contro morti viventi o altri pericoli. Non smetto di amare lei, gli amici e le amiche, il genere umano. Dovrò lottare con le bestialità che forse sono costretto a fare, come quando Wade uccide padre e figlia nel bosco, ma non diventerò mai una bestia del tutto. Il sangue nelle vene continuerà a ridere ogni volta che mi troverò con la gente che amo.
Questo è ben detto e scritto nel film. La descrizione del rapporto tra padre e figlia, è tenerissimo e normalissimo. Non si cerca di forzare le cose.A loro non rimane che stare insieme.
Abigail Breslin, dona al suo personaggio una forza emotiva assai potente. Noi siamo al suo fianco, avvertiamo il suo dolore, la sua paura e nel finale, quel bacio, come si fa a non commuoversi? Arnold che sicuramente non sarà un grande attore, ci regala un'ottima prova. Nel suo fisico invecchiato, negli occhi che si commuovono, dolci, ti fa provare sulla tua pelle la sensazione di perdere qualcuno, di non poter accettare una fine così atroce.
Al di là del terribile titolo italiano, a dir poco fuorviante, questo film è davvero degno di nota.
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