martedì 26 gennaio 2021

ANTEBELLUM di Gerard Busk e Christopher Renz.

 Immaginate.

Prendetevi tutto il tempo, rilassatevi. Provate a pensare a un giorno normale, uno dei tanti. I rumori nella sala, probabilmente vostra madre sta preparando la colazione, o per la strada: macchine, uomini e donne indaffarati che camminano veloci lungo il marciapiede. Rumori di sottofondo rassicuranti, quotidiani, vi fanno sentire a casa.

Ecco...  la casa. Niente di che, ma vostra. Sulla parete bianca del corridoio avete attaccato le foto di una vita e i diplomi. A volte vi piace fermarvi e ammirarle; vi soffermate in particolare su quelle che vi ritraggono felici e sorridenti con gli amici e con il vostro amore. Non vi guariscono dalle ansie, dalle nevrosi, dalla paura immotivata, ma in  un certo qual modo vi danno la forza per un sorriso, un ricordo dolce che vi commuove per qualche secondo.

Vivete la vostra vita, avete un nome, 'dei genitori, forse anche voi vi siete costruiti una famiglia. I piccoli sono la vostra vera e unica felicità. L'eredità per far sapere, in un tempo che speriamo lontano, che siete vissuti. C'era un uomo o una donna, con dei nomi, degli affetti, delle speranze.

Ancora non sapete che arriveranno degli uomini e vi porteranno via.  Costoro vi legheranno delle catene ai piedi, vi trascineranno con forza all'interno di barche e vi porteranno lontano. Il viaggio è lungo, molti si ammaleranno e moriranno. Ben presto l'odore della morte, della sporcizia vi entrerà nella testa. Alcuni impazziranno. 

Dove sono finiti i vostri famigliari? Gli amici di una vita? Cosa vogliono questi uomini mai visti prima? Ci hanno tolto ogni possibilità di comunicare. Siamo spariti nel nulla.

Ora, in un piazza durante un giorno di mercato, vi hanno messo su una specie di palco. Non dovete declamare poesie, cantare una canzone, no. State in piedi, fermi. Sentite parlare, ma non potete capire nulla. Cercate con gli occhi visi conosciuti, domandate nelle vostra lingua cosa stia capitando e perché, ma nessuno vi risponde. 

Improvvisamente vi afferrano e vi sbattono su un mezzo di trasporto. Ci sono altri uomini e donne con voi. Qualcuno urla, forse un nome, forse è solo disperazione.

Dopo un lungo viaggio ecco che arrivate a destinazione. C'è una casa di lusso,  indubbiamente più bella della vostra, la magione si trova situata nel mezzo di un vastissimo campo. Vi ricorda un po' quello che vedevate sempre distrattamente a casa vostra, quando correvate a chiamar gli amici per un po' di svago.

Altri, invece, assoceranno quel campo alla fatica del lavoro, la sofferenza paterna, dei fratelli, degli zii. 

Siete arrivati a destinazione. Non siete più uomini e donne con un nome, una storia, una nazione, ma oggetti. Da usare, rompere, gettare, abusare. 

Tutto normale e giusto. Certo, forse a un certo punto qualcuno vi dirà che siete liberi, ma è una cosa che riguarda quegli uomini così diversi da voi.Perché l'economia cambia e l'evoluzione monetaria, di commercio, di produzione, si sposta su altre merci.

Per un po' hai l'illusione di essere libero, ma le statue dei tuoi rapitori e dei tuoi aguzzini, che si ergono sui piedistalli nel centro della città,  ti ricorderanno sempre di non vantarti troppo. Possiamo sempre distruggevi. Lo facciamo e non paghiamo.

Almeno che non ci sia una guerra feroce, spietata, sanguinosa, ma non credo tu possa permettertela. Ti schiavizzo senza catena, basta toglierti la tua storia e la dignità.

Il prologo a questa riflessione indisciplinata serve solo per spiegare per quale motivo una storia di afro americani ci deve interessare. Non piacere, non esser presa come riferimento per la mia vita, basterebbe solo riflettere su una parte importante della nostra storia di bianchi.  O meglio di uomini del capitale, che abbiamo usato come catena per sfruttare altri popoli- colonialismo- e altre persone- la situazione di schiavismo dei proletari nei posti di lavoro- una volta che riusciamo a dire che abbiamo schiavizzato e privato di una vera vita una parte degli esseri umani, poi possiamo e dobbiamo difendere i distinguo.
Per esempio, io da uomo e da etero riconosco che per secoli e secoli le donne e gli omosessuali hanno vissuto in modo diretto e indiretto una certa pressione nei loro confronti. La moglie era come un animale da bestiame, una cosa che ci serve, il gay un depravato da eliminare. Una volte che io ci ragiono su per bene, poi giustamente posso dire ci sono molti maschi etero bianchi cis che sono stati vittime del sistema, morti in guerre volute dai padroni,  e posso anche dire che l'amicizia virile è molto più profonda rispetto a quella cosa descritta dalle donne. Lo posso fare perché credo che molte loro rivendicazioni, questioni spinose, siano serie e vadano recepite, discusse, senza barriere e senza " questi sono panda da difendere a prescindere" come esseri umani, anche litigando. 
Per cui una volta che riesci a far questo passo, capirai molte cose di questo film


Non è contro i bianchi o contro i maschi. Non sta dicendo che basta aver la pelle chiara per esser un nostalgico dello schiavismo. Ma, che vi piaccia o no, un numero di persone bianche continua a sostenere un'immagine romantica di quel periodo. Altri non hanno idea di cosa fosse, alcuni provano nostalgia di quei bei giorni in cui violentare una schiava africana era un fatto normale. Una nazione che campa sull'idea di sogno da imporre ai suoi cittadini e da esportare nel mondo,  non farà mai davvero i conti con il genocidio del popolo dei pellerossa e con lo schiavismo. Non può farlo perché abbiamo ripulito anche il lontano ovest, per illuderci di essere i buoni.  La violenza è talmente efferata, che per forza di cose dobbiamo mitigarla, metterle le redini e condurla nel carrol, dove la teniamo a bada.

Questa cosa non capita solo agli americani, noi italiani la viviamo assai bene con l'eredità del fascismo, del nostro imperialismo colonialista, giustificato sempre e comunque, perché siamo brava gente. Siamo Alberto Sordi e non Roatta. Ci fa comodo pensarlo.


La paura del dolore, della sofferenza, questo ci hanno insegnato. Poi, per carità, siamo sempre in prima fila a lamentarci di quanto stiamo soffrendo e della fatica, del poco tempo, alcuni per queste cose anche si ammalano. Concentrati solo sui nostri piccoli guai, quelli degli altri non vogliamo ascoltarli. Non ci appartengono, non sono come noi.

Invece  il dolore degli altri appartiene. Perché abbiamo in comune il fatto di esseri umani. Non vuoi accettarlo o capirlo? Va bene. Non sei pronto per discuterne, per metterti in discussione. 

 Questo film ci porta a riflettere sullo schiavismo e sulla rappresentazione che noi ne facciamo.  Non è una specie di Radici, in cui si vuol dare/ restituire la storia a chi ne è stato derubato, questo film parla proprio agli americani medi e bianchi, che non trovavano nulla di osceno nel veder delle persone vive intrappolate dietro a dei vetri, mentre rifacevano scene di vita quotidiana in Africa- cito il libro La Ferrovia Sotterranea, da leggere prima della visione di codesto film o insieme, fate voi-  non trovano niente di sbagliato nella rappresentazione di un periodo, perché finzione.  Tutto è finto e siccome mi mostri un fatto storico, anche quello è falsato, pompato dai soliti fanatici.


Per cui della critica cinematografica me ne fotto.  Che l'abbiano respinto, non mi stupisce. E vi dirò: non hanno tutti i torti, non è un film perfetto. Volete sapere quale è il suo difetto più grosso? La seconda parte. Troppo frettolosa, l'eliminazione dei nemici- a quanto ho goduto, ma quanto- è un po' tirata per i capelli, e il discorso della protagonista alla conferenza stampa un po' troppo banale.  Tuttavia è un film davvero buono. Il lunghissimo piano sequenza iniziale,  le immagini potenti al rallenty dell'incendio purificatore, la cavalcata sul fronte di guerra, sono immagini fortissime, stupende, di grande potenza cinematografica. 

Ed ha un'idea assai interessante, efficace,  di collegamento tra passato e presente, non così fantascientifica.  Lo schiavismo non è stato del tutto debellato. Qualora si trovasse un finanziatore serio,  si potrebbe ripetere nel piccolo, in qualche stato sudista,  in qualche piccola cittadina, un'esperienza simile. Perché quello che per alcuni è dolore e sofferenza, una storia che va oltre la tragedia, per altri è un fatto di tantissimi anni fa, "che cazzo vogliono ancora". Lo puoi comprendere anche se sei bianco. Forse non troppo in profondità, ma puoi sforzarti di farlo.

Antebellum ci parla di come filtriamo attraverso la rappresentazione dello spettacolo pagine durissime e reali della storia di una nazione. Si potrebbe farlo in Germania con i lager o da noi con il fascismo. In questo è universale. 

Oltretutto colpisce un punto dolente, questo in modo involontario o forse è solo una mia idea, degli aguzzini che tormentano la protagonista, prima rapendola e poi condannandola a rivivere le violenze quotidiane dello schiavismo, c'è una donna. 

Certo mi si potrà dire che è vittima del patriarcato in un certo senso, ma non ci credo.  La questione di posizione sociale, di razza, ha un peso molto forte anche se ci fosse il matriarcato.  Perché noi disprezziamo il misero, il debole, questa è la dottrina del capitalismo. Per questo lo scontro finale vede protagoniste due donne. È lo scontro di classi, di etnie, di oppressi e oppressori.

Non ho detto molto della trama perché non voglio rovinarla.  C'è un colpo di scena, verso a metà, che riassume tutto quello che vi ho detto sulla rappresentazione della storia, di come è percepita da chi faceva subire certe cose e come viene vissuta di nuovo sulla loro pelle, da chi invece l'ha subita.

Ora sta a voi, qualora vi sentireste in grado di poter analizzare, riflettere, aver voglia di approfondire il  tema del film, guardatelo. Altrimenti non c'è nessun esercito del politicamente corretto che vi impone di vederlo a tutti i costi.  Per me, pur riconoscendo i limiti, va visto.


venerdì 22 gennaio 2021

Non uccidere

 Spesso ci lamentiamo della qualità delle nostre serie tv. Troppo provinciali, girate male, recitate peggio. Tanto che per stroncare un film scriviamo o diciamo: " Sembra una fiction di canale 5 o Rai Uno".  Quasi sempre abbiamo ragione, non possiamo affatto nascondere la mediocrità di molti prodotti televisivi.  Una mediocrità, a mio avviso, voluta, allevata e proposta con convinzione, determinazione, massima attenzione al fatto che il pubblico possa staccarsi dai suoi problemi quotidiani e godersi la rassicurante immagine di un' Italia fatta di campanili, piccoli comuni, solarità. Tutto qui. A ben vedere parte del nostro paese è davvero un posto fatto di piccole comunità, tempo che passa lentamente e così via. Non necessariamente è un difetto.

Tuttavia a volte capita di scontrarsi/incontrarsi, con un oggetto televisivo che non è uguale a niente delle tante cose viste sul piccolo schermo.. Non è così frequente, sono episodi isolati, singoli, ma che non meritano di passare inosservati.


Queste serie tv che seguono altre vie e rappresentano un altro paese, non arrivano per caso. Non sono bestie impazzite scappate dallo zoo. In realtà ci sono sempre state. Oggi osanniamo tanto Gomorra, ma sono convintissimo che senza una serie tv come La Squadra (un prodotto televisivo che puntava a dar spazio ad episodi anche abbastanza duri, personaggi non del tutto risolti,  pur rimanendo ancorata a una retorica pro forze dell'ordine, che talora inficiava la riuscita degli episodi) non avremmo avuto la popolare serie sulla camorrra e nemmeno Romanzo Criminale

 Le cose sono radicalmente cambiate con La Nuova Squadra-Spaccanapoli. Quella che per i soliti criticoni era un remake di The Shield, ma che per me è stata davvero un'esperienza del tutto inedita ed entusiasmante.  Perché non c'erano eroi dell'ordine e della legge, ma poliziotti in bilico tra lecito ed illecito. Storie più dure, un senso di tragedia incombente e la retorica che si scioglie nell'epica del genere.  Claudio Corbucci si è occupato della sceneggiatura di molti episodi di questa serie. Per questo motivo quando ho saputo che aveva scritto una nuova serie poliziesca, l'ho cercata subito per vedermela e gustarmela dall'inizio fino alla fine.

Ne è valsa davvero la pena.


Non Uccidere sulla carta sembra una delle tante serie tv poliziesche che riempiono le piattaforme di streaming come Netflix e affini, ma che hanno anche uno spazio abbastanza importante nelle reti della tv pubblica e privata italiana. Un' ispettrice di polizia che si trova ad investigare su una serie di delitti, in una grande città del nord Italia.Potrebbe essere solo questo, accontentarsi di offrire al proprio pubblico uno spettacolo ampiamente collaudato, al massimo ci aggiungiamo una storia d'amore o un po' di scene piccanti, giusto per allungare il brodo e attirare un po' di massa distratta. 

Potrebbe farlo.

Invece sceglie un altro tipo di racconto, affondando le radici in un terreno del tutto nuovo per lo spettatore medio italico.


Per prima cosa ci offre un personaggio tormentato e ricco di sfumature, cosa rara da vedere in un prodotto di intrattenimento. Valeria Ferro è una giovane ispettrice, professionale, seria, motivata, ma è sopratutto una donna che ha problemi di relazioni con gli altri, una persona che soffre per alcuni demoni interiori risalenti all'omicidio del padre (pare) per mano della madre. Questo fatto ha gettato in una sofferenza senza fine l'esistenza della poliziotta e del fratello. Ma mentre lui si fa una famiglia e trova il modo per liberarsi, almeno parzialmente, da questo peso, lei nutre un odio implacabile nei confronti della madre. Le cose precipitano quando la donna esce di galera.

Tutta la prima stagione, assolutamente meravigliosa e imperdibile,  è un continuo flusso di dolore.Da una parte le vittime dei delitti sui quali  Valeria è chiamata a investigare, dall'altra la sua situazione famigliare, tra l'ispettrice Ferro che non  vuole e può perdonare e la madre in cerca di un riscatto, della possibilità di  rifarsi una vita dopo tanti anni di galera. 

Quello che colpisce, di questa prima entusiasmante stagione, è la perfezione delle sceneggiature di Claudio Corbucci. L'atmosfera cupa, tragica, senza la benché minima traccia di umorismo ( presente anche in quel capolavoro che è Rocco Schiavone con l'intento di smorzare la tensione) . Qui non c'è spazio per l'umorismo. Perché si affronta la morte, la disperazione, in particolare gli effetti del togliere la vita a una persona, che sconvolgeranno l'esistenza dei parenti sopravvissuti e anche degli assassini.

In poche parole non c'è il classico taglio netto, consolatorio e confortevole, che troviamo in quasi tutte le produzioni di questo tipo. D'altronde la scelta del titolo rappresenta in pieno la tematica che attraversa tutte e due le stagioni: uccidere è un atto orribile che non solo cancella la vita della vittima, ma di tutti quelli che in un modo e nell'altro entrano in contatto con essa o con gli assassini. 

C'è un forte senso di condivisione del dolore, che si allarga a macchia d'olio, infettando vite e luoghi. Un senso di malessere perpetuo.

Ecco, secondo voi, gli italiani come l'hanno presa? Male. Tanto che codesta stupenda serie tv è stato un insuccesso. Però a noi dello Spettatore Indisciplinato, queste cose interessano fino a un certo punto. Quel che ci interessa sono le storie e i personaggi, la loro umanità fragile e il forte senso di giustizia, di combattere il male che appartiene alla sua protagonista.


A dir il vero la serie usa tutti i classici elementi del genere. Il trauma che viene dal passato, le dinamiche famigliari, c'è anche una storia d'amore tra il capo di Valeria e la giovane ispettrice, un rapporto passionale, ma sopratutto maestro-allieva/padre e figlia, che si evolve in una vera e propria ossessione per l'uomo. Per cui la forza di questa serie  è la volontà di smontare le regole del genere e avvolgere tutto in un nero perenne; quello della violenza, del lutto, della morte.

Certo non mancano i difetti. Possiamo dire che dopo una bellissima, indimenticabile, imperdibile prima parte, l'ultima stagione a volte stenta un po' a coinvolgere lo spettatore. Tuttavia, a mio parere, rimane sempre un prodotto più che dignitoso. Sopratutto non fa nulla per snaturarsi. Quando pensi che a un certo punto tutto codesto dolore finirà e che le cose si aggiusteranno, questo non capita. Personaggi positivi come Giorgio, il capo di Valeria, con  il procedere delle puntate metterà a fuoco un'anima nera, anche se farà di tutto per portare giustizia nella vita della donna.


La serie si avvale anche di un ottimo cast. Menzione speciale, ovvio, per una bravissima Miriam Leone, capace di dar peso, sostanza, personalità, a un personaggio per nulla semplice da gestire. Indovina sempre i toni,  dosa bene la sua espressività, mostra - di nuovo- di essere una delle nostre attrici migliori. Molto bravi anche Thomas Trabacchi, impegnato in un ruolo per nulla piacevole e facile da trasformare in una macchietta, per fortuna costui invece dona al suo personaggio un'umanità disperata e autodistruttiva, che rende Giorgio Lombardi un personaggio assai complesso. Mentre Matteo Martari ha il ruolo dell'uomo che in teoria, col suo amore, dovrebbe salvare Valeria. Dovrebbe.

Non meno importanti sono le musiche, composte da Corrado Carosio e Pierangelo Fornaro, responsabili anche del sound di Rocco Schiavone. Con poche note, contaminando l'orchestra della Rai e suoni elettronici-acustici minimalisti rendono la visione ancora più commovente e profonda.

Concludendo, Non Uccidere è una bellissima serie, innovativa nel suo genere. Non c'è spazio per la consolazione,  per l'amore che salva, ma un lungo viaggio nella morte, nella sofferenza che uccidere genera a chi rimane. Ha il dono di avere dei personaggi scritti benissimo e un ottimo cast in tutti i ruoli, anche quelli secondari che sono fondamentali per dar peso e sostanza a un prodotto di genere. Qualora ve la foste persa vi consiglio di recuperarla, la trovate su Rai Play.

Ps: piccola curiosità: Trabacchi e Martari sono di nuovo insieme sul piccolo schermo per la serie tv L'Alligatore, tratta dal ciclo di romanzi noir scritti dal Maestro Massimo Carlotto. Ci occuperemo anche di quella!

venerdì 8 gennaio 2021

Rocketman di Dexter Fletcher

 Ogni volta che mi viene da ricordare la mia  infanzia o l'anonima, grigia, noiosa, adolescenza, non sono tanto dei fatti reali o rimembranze particolarmente significative per la mia persona, a venirmi in mente. No. Quello che ricordo sono i suoni, le canzoni, le radio che ascoltavo in casa dei miei o- crescendo- da solo. Mi bastava una cuffia, la frequenza giusta e mi perdevo totalmente in un mondo migliore.

Il mondo che vorrei dove non c'è l'ideologia nefasta del lavorare a ogni costo, santificando il mercato e il padrone. Dove non ti devi per forza imbattere in persone nocive, anzi proprio non esistono. Ci sei solo tu, i tuoi eroi del momento e le canzoni.

La canzoni, non chiedo altro alla vita. Mi tengono per mano, fanno brillare la mia anima e battere il mio cuore.  Per tre o quattro minuti posso vivere in un mondo fatto totalmente di emozioni, senza difese, senza paure. Che sia tristezza o gioia, quello che provo quando sento la musica è ricco di possanza e meraviglia. Lascio andare le lacrime, lascio che il mio corpo reagisca muovendosi , non mi interessa di poter apparire ridicolo, tanto ci sono solo io. E le gatte. 

Normalmente sono una persona rigida e goffa, da un punto di vista fisico. Anzi faccio fatica a comprendere o ad accettare che ho un corpo, non amo essere toccato, non amo abbracci e baci. Osservo, a distanza. Tuttavia vuoi l'amore di mia moglie, la terapia, qualcosa si sta sgretolando. E sorge la verità, voler esser abbracciato, amato, sopratutto vorrei abbracciare il bambino asmatico, l'adolescente convinto di non aver nessuna dote e di meritarsi ogni disastro. Sarebbe bello farli danzare, sarebbe bello cantare con loro.

E  zittire la professoressa che da ragazzino, con tono stizzito, ti ha urlato: " ma sei stonato." Da quel momento ti sei vergognato di cantar in pubblico. Rinunciando  all'unica cosa che ti avrebbe fatto sentir sempre bene: cantare. 

Sai quando decidi che chi ti critica ha sempre ragione, hai presente? Quindi ti metti in testa che cantare è una cosa inutile, sei stonato. Vero anche che ho cercato di imparare a suonare qualche strumento, ma è sempre stata fortissima la sensazione di non esser capace, di sprecare tempo.

Tuttavia ho sognato cose bellissime, mi son costruito un meraviglioso mondo fatto di canzoni, musica, balli. Nella mia testa, nella mia anima. Ancora oggi riempio la mia mattina di musica. E continuo a sognare un mondo in cui tutti ballano e cantano. 


Tra le minoranze,  che hanno subito il predominio di un certo immaginario, ci siamo anche noi occhialuti. Non siamo mai i protagonisti di opere d'azione, eroiche. Non salviamo nessuna bellezza in pericolo e non sconfiggiamo nessun impiegato della Spectre. A ben vedere non cavalchiamo nemmeno epici e ottusi, verso ovest. Al massimo fai Bozinsky in Riptide e anche lì si capisce che sei lo sfigato del trio.  Poi, che succede? Ti capita di veder un occhialuto che è ammirato da folle, considerato una rockstar a tutti gli effetti. Certo, hai già scoperto Woody Allen. Ma egli conferma quello che sai già: sei un nevrotico logorroico e sarcastico. Niente che un occhialuto non sappia dal primo giorno di vita.

Ma Elton John..Bè, è diverso. È meglio. È rock'n'roll.

I film biografici, quasi tutti, nascono con l'intento di celebrare un idolo delle masse. Non sono documentari investigativi che hanno come scopo quello di mascherare le magagne dei presunti salvatori e santoni. No. Vogliono esser un regalo ai fans di un dato artista e seguono schemi fissi, regole che non vanno toccate. Da subito il nostro eroe ci appare migliore degli altri. Un tipo speciale, indomabile,  uno destinato a cose meravigliose. Sappiamo che non è così. Ci sono i giorni divorati dalla noia, ci sono le cadute di stile e tutte quelle debolezze  che fanno parte della vita degli esseri umani.
Tuttavia al fan basta veder un buon spettacolo, un prodotto rassicurante che metta in scena le nostre canzoni preferite.
Rocketman non è diverso dagli altri film dedicati ai personaggi famosi. Eppure ha anche dei meriti, che lo rendono migliore di altri prodotti simili.


C'è il Musical, per esempio. Le canzoni di Elton John vengono usate per raccontare gli stati d'animo del protagonista. Un  modo bellissimo, se non innovativo, di girare una biografia. La potenza del cinema dona a questi brani immortali della musica pop una veste nuova. La bellezza della musica si sposa con la forza evocativa delle immagini, con risultati davvero ottimi. Basti vedere la scena dedicata alla canzone Rocketman- che è anche il titolo del film- in cui le parole della canzone fanno da contraltare a delle immagini assai drammatiche.

Mi sono esaltato e commosso. Perché avverti tutto quel dolore che il piccolo Reginald ha provato all'interno della sua famiglia. L'indifferenza paterna, l'acredine della madre, come figura positiva solo la nonna.  Quello che vediamo sullo schermo è un ragazzino spaventato dalla vita,  costretto a nascondere la sua identità sessuale, che nella musica cerca una vita migliore, un riscatto. Ma la fama ha sempre un prezzo altissimo da pagare. 

Per cui gli anni della gloria, del primo vero grande amore, vengono sconvolti dall'abuso di alcol, droghe, dissolutezze e costumi improbabili.  C'è sempre questa malinconia presente in tutto il film. Una presenza grigia che avvolge ogni sogno, ogni istante di gloria e ci consegna un essere umano, certamente molto dotato dal punto di vista musicale,  ma profondamente solo. Tanto da non capire l'aiuto prezioso dell'amico Bernie. 

Rocketman è un film che esalta la forza della musica, ma nello stesso momento ti mostra la solitudine e il dolore che se ne fregano dei tuoi soldi, del tuo successo. Per cui anche una rockstar, una persona che consideriamo fortunata rispetto alla nostra vita ordinaria,  è vittima delle sofferenze dell'anima, della mente, come ciascuno di noi.  Un'opera che ispira molta empatia, tenerezza per il suo protagonista.  Non parliamo di un capolavoro, ma di un film molto interessante. Perché usa elementi del musical in un film dedicato a un musicista- peraltro una delle cose migliori da fare quando si tratta l'argomento- ci dona un personaggio a tutto tondo, non per forza piacevole o perfetto, riporta un po' l'atmosfera degli anni 70. 
Un'opera che vuole solo emozionare, coinvolgere, lasciarsi amare. Da me ha ottenuto tutto questo e anche qualcosa in più.