mercoledì 31 agosto 2016

IL CLUB di PABLO LARRAIN

In un paese del Cile, La Boca, c'è una casa nella quale abitano quattro uomini e una donna. Hanno un bellissimo levriero: Fulmine, campione di corse di cani.Sembrano una famiglia. Gente normale che vivono in u posto non proprio bellissimo, ma con il mare- Il che è molto.
Una mattina arriva una macchina. Ci sono due preti. Uno, padre Matias, quanto pare deve fermarsi lì. Veniamo a scoprire così che questi sono dei preti, assistiti da una "sorella", potremmo pensare che la casa sia un luogo di ritiro. Certo, ma che tipo di ritiro?
Poco dopo, all'entrata della casa, si presenta un uomo. Visibilmente scosso, descrive nei minimi particolari l'abuso sessuale ad opera di un religioso.
I preti presenti spingono padre Matias a parlarci e...



Il tema dell'abuso sui minori da parte dei religiosi non è nuovo, e potrebbe aprire a facili e strumentali polemiche.  Nei tempi avvelenati dai commenti e opinioni da social network e da un certo laicismo spiccio e facilone, non è mai una buona cosa. Le cause di progresso meritano sempre una certa lucidità, tatto, non slogan urlati. O tifoseria grossolana.
Per cui il rischio di un film chiassoso  e fin troppo acceso nella vis polemica, c'erano. Ma è una pellicola di un grandissimo e straordinario regista: Pablo Larrain. Quanto conta un regista, lo vedi proprio in opere simili.  Dove è richiesta partecipazione, e sguardo che sappia anche simulare un certo distacco, visto che la materia è già tesa e pesante di suo.
Il club non è solo una pellicola meravigliosa, dolente, difficile da sostenere, su un tema singolo del perché alcuni uomini di chiesa perdano dignità, umanità, di fronte ai piccoli. Non è Spotlight, qui si indaga la disperazione di uomini deboli, che indossavano un abito talare, di fronte alla vita. Ognuno di loro ha le sue colpe ben precise. Chi vendeva bambini nati da ragazzine povere a coppie ricche che non potevano avere figli, cappellani militari a conoscenza di terrificanti segreti, preti che hanno scoperto la possibilità di innamorarsi di un uomo, o che sono da talmente tanto tempo chiusi lì dentro, tanto da non saper più di cosa siano accusati.
Si salva l'istituzione nascondendo la polvere sotto il tappeto. A seguirli, con il compito preciso di chiudere quelle case, con tutto quello che potrebbe succedere, arriva un gesuita. Psicologo e padre spirituale di questi uomini perduti. Fuori, la vittima delle attenzioni di padre Mattias, cerca un inserimento nella società, ma il dolore ha trasformato la sua vita in follia pura, la sua voglia di contatto con i preti fa precipitare le cose.
Un colpevole, smette di esser uomo? Perde la sua umanità e diventa un mostro, no? Chi potrebbe vedere in una persona, per di più un prete, cioè una persona che ha deciso di dedicare la vita al sacro, al giusto, alla perfezione della parola di dio, un mostro? Che peso si porta con sé un uomo o una donna che decidono di dedicarsi alla vita dedicata al servire? Una fede, una chiesa, una parrocchia.  Vivere in castità è possibile? Oppure questa scatena un meccanismo perverso, che esattamente come i carcerati, si trasforma in attenzioni sessuali verso altri preti, fino ad arrivare ai bambini?
Un mostro, per quanto bieco e deprecabile, perde del tutto e per sempre, la sua appartenenza al genere umano? O in lui la tenerezza, la voglia di star con gli altri, rimane e lo fa soffrire il doppio? E quanto soffrono le loro vittime? Possono o meglio, devono, convivere insieme. Però isolati dagli altri.
Protetti, e dispersi, chiusi in una casa-prigione.
Non è un film che va vissuto, perché il cinema non si guarda o si vede solo, non è solo una bella inquadratura, ma si vive, respira, è a volte fonte di gioia, e talora di immenso dolore, insomma: non è film che , penso, vada vissuto con leggerezza e distacco. Impossibile farlo. Perché veniamo sommersi e affoghiamo in un oceano tempestoso e mosso, carico di colpe, dolore, sofferenza, isolamento, esclusione. Schiacciati dalla colpa le persone cercano giustificazioni. Il confine tra bene e male, giusto e sbagliato, che deve essere sempre limpido, cristallino, chiaro, perde di ogni significato. Per loro, ma noi dovremmo essere il gesuita e guardarli con distacco e un filo di disprezzo codesti uomini che hanno perso la sacra direzione nella gioia della vita, e quindi anche nella parola di Cristo, essendo dei preti. Eppure, fino alla scena dei cani, rimani sospeso tra la condanna che deve esserci e un certo tormento sul fatto che codeste persone sono uomini che soffrono delle loro malattie. Forse più che preghiere, e case dove nascondersi, meriterebbero psichiatri e terapie di psicanalisi.Vittime di menti deviate, deboli. Incapaci di assumersi la responsabilità morale del loro compito.
Eppure per tutto il film, non puoi aver troppa pietà per loro. Ma non solo, come nell'opera - l'unica fino ad ora- da me visionata di codesto eccezionale regista, Tony Manero, la colpa, la violenza, la follia, colpisce non solo i protagonisti, ma tutto l'ambiente, anche quello fuori, che dovrebbe esser sano, ma non lo è. Non sono forse prigionieri anche gli abitanti? Non sono forse privi di ogni gioia anche loro?
Opera cupa, radicale, pessimista, seppur con un finale da decifrare, comprendere fino in fondo. Film necessario e fondamentale, che ci spinge a riflettere su come  sia inutile nascondersi, cercare riparo, le colpe che abbiamo commesso ci seguiranno e ci perseguiteranno fino a quando non saremo in grado di conviverci, accettare il male fatto, viverlo ogni giorno senza giustificarlo o allontanarlo, e forse allora si potrà parlare di redenzione.
Forse.

domenica 28 agosto 2016

IL CLAN di PABLO TRAPERO

La dittatura è nemica dell'umanità, invece la democrazia è la sua unica salvezza, l'amica di ogni essere vivente. Tutti vogliono vivere in un paese democratico. Non ti pare giusto? Anzi nobile e quasi commovente. Niente soldati per le strade, polizia che ti prende nel cuore della notte, ma in Argentina pure nel bel mezzo della giornata. Torni a casa e non ti manca nessun figliolo e nemmeno il marito, ecco la democrazia è tornare a casa ed esser pur felici di ritrovare tuo marito, tua moglie, va esageriamo:  pure tua suocera. E puoi scrivere insulti di tutti i tipi su magistrati, esercito, politici, chiesa, cazzo che bello esser democratici. La stampa è libera di informare, anche attraverso le telefonate fatte dalle vittime dei terremoti, qualche attimo prima di morire. Cazzo come è bella questa libertà di informare, anzi tutti- ma proprio tutti- dobbiamo, altro che possiamo, dobbiamo, esprimere noi stessi.
Insomma come capirai è troppo bella la democrazia, per questo la esportiamo con l'esercito e le missioni di pace, oppure con rivoluzioni colorate, terroristi che si fingono bravi ribelli. Perché, e te lo voglio far ricordare bene: " meglio una pessima democrazia, che un'ottima dittatura"
Perché la dittatura è corpo estraneo che non ci appartiene, non è "umana", vedi che i dittatori sono rettiliani, poiché ogni uomo aspira ad essere libero.
Libero.

Io, invece, sono alquanto sicuro che non sia proprio così.


La dittatura non finisce con la liberazione, con un cambio avvertito e considerato come radicale, non avviene che un giorno ci sono persone che scompaiono e poi improvvisamente sei libero di fare quello che vuoi,  la democrazia non sarà mai qualcosa che riguarda il popolo, ma semmai l'economia, una classe ormai tranquillizzata di aver ben saldo potere economico, sociale, politico, può chiedere ai suoi cani di farsi da parte. Poi ci mettiamo d'accordo. Qualcuno dovrà pagare, ad altri si garantisce un minimo e anche un massimo di sicurezza.
La caduta del fascismo, non ha portato alla fine del fascismo. Tanto che oggi accettiamo che simile feccia sia in mezzo a noi, casa pound e forza nuova, o i discorsi degli italiani al bar.  Non ci sono condizioni politiche ed economiche perché si rifaccia uso di codesti esseri, tanto il capitale ha vinto e l'avversario è diviso, ridotto a gente che beve qualsiasi cazzata complottara, che sogna di esser rivoluzionaria, ma sta ferma in un angolo della stanza piena di bandiere e guuuulag, come gli altri ti urlano : ruuuuspaaa! Non c'è nessun pericolo per affari,  quindi la democrazia, che poi è il capitalismo e niente altro, può far il suo lavoro di prestigiatore: libertà individuali, ma ti portiamo via quelle sociali. Tanto importa sega a ciascuno di noi.
Detto questo: forse è vero che una pessima democrazia vada bene. Non mi sequestrano, torturano, ho abbastanza "merce nei polmoni", per vivacchiare infelice e contento.
Ma torniamo alla dittatura, dopo la dittatura. Prima di tutto: come è possibile che tanti- o comunque un gruppo di persone- si faccia abbindolare da generali dementi e tizi con baaffi ridicoli? ( Parlo dell'imbianchino austriaco).  Fascino del leader? Desiderio di ordine e disciplina? Negazione del sé di fronte allo stato, all'autorità? Certo, ma da dove nasce questa cosa? Ecco, io vedendo questo bellissimo film argentino, pensavo: " Ha ragione Alice Miller" la persecuzione del bambino, soffocare attraverso rigide repressioni spacciate e ritenute educative, distrugge il bimbo gioioso e "autonomo" rendendolo un bravissimo bambino che obbedisce al papà e alla mamma. La teoria della psicoterapeuta tedesca è molto più profonda, ma parte da qui.
Questo ti spiega perché un figliolo debba dar retta a un padre criminale, non solo lui, ma tutta la famiglia.
Perché la dittatura rispecchia la famiglia. Ci sentiamo più sicuri con essa che in una democrazia pronta a farci magnifici regali, ma che è immagine e somiglianza di un potere economico estraneo, di una classe portata a salvarsi sempre, peggio della chiesa, in quanto nemmeno ci promette paradisi o " pulizia"
Moltissime persone con un'infanzia di abbandoni, violenze più o meno pesanti, costrizioni, annullamento di sé, non possono che ritrovarsi in un sistema dittatoriale e tirannico, in più la debolezza delle forze democratiche fa il suo. Il governo Facta, ha aperto al fascismo impedendo di recidere questa erbaccia cattiva dal sano sistema liberale, d'altronde i liberali di destra avevano bisogno di qualcuno che difendesse le loro ricchezze e possedimenti. Poi si fa sempre in tempo a sostenere una parte democratica.

Pablo Trapero ci fa respirare questa atmosfera avvelenata, questa resurrezione della dittatura in questa pellicola, che comincia nel periodo finale delle repressione fascista e si conclude con l'arrivo della democrazia.
La famiglia Puccio sembra una famiglia felice e normale. Sono più o meno benestanti, a tavola chiacchierano tranquillamente, hanno un figlio Alex, che è campione di rugby. Insomma una famiglia come tante. Solo che il padre è un uomo del regime. E come tale continua a vivere sia la fine della dittatura che l'arrivo del nuovo governo, perché non si diventa democratici. Non è una cosa che ti accade, come una chiamata divina, non è una cosa che impari, tipo vai a lezione di democrazia. Le persone coinvolte a tutti i livelli, e per anni, in un sistema repressivo ci stanno perché si sentono libere, perché da bravi figlioli eseguono il volere del padre. Dopotutto spesso i dittatori ci vengono presentati come "padre della nazione". Codeste persone si sentono orfane, e come tali vivono nel ricordo del padre e cercheranno, laddove possibile, di mantenere un certo contatto con quella che era la loro vita. Lo ripeto: la loro vita. La democrazia a queste persone porta la perdita di un famigliare, di una famiglia, della loro identità e posto nella società. In più il sistema democratico ne manterrà molti nel loro nuovo mondo, alcuni si adattano, non perché hanno compreso il loro errore, non per pentimento, ma per necessità e perché "obbediscono agli ordini"

E la famiglia Puccio che fa? Sequestra persone.  Gente ricca, che conoscono grazie al loro inserimento nel sistema, grazie al figlio campione sportivo, o a qualche zelante cittadino che ha un conto in sospeso con qualche ricco o benestante che sia.
Il sequestrato viene tenuto in casa Puccio e questi ci vivono più o meno tranquillamente. Chi all'oscuro, come la figlia minore, chi accettando in silenzio come la madre e l'altra figlia, chi non riuscendo a ribellarsi, come Alex, chi scappando lontano, ma poi tornando a casa e ad obbedire al padre, solo un figliolo riesce a spezzare le catene e a non tornare.
Verrà visto come l'ingrato. Ecco, pensateci bene. Quante volte come genitori, quando vogliamo qualcosa dai figli tiriamo in ballo: "quello che faccio per te, se non ci fossi io," e menate simili. Una cosa normale e naturale, che nella figliola o figliolo porta sensi di colpa profondi e quindi a non disturbare, ad accettare ogni cosa dai genitori, che non si sentiranno mai e poi mai in colpa, se funzioni male è colpa tua e non nostra La maggior parte delle famiglie funziona così
Vuoi che la famiglia Puccio sia diversa? No. La famiglia è il regime seduto intorno a un tavolo e con la tv accesa. Per questo la democrazia non spezza la dittatura, ne prende il posto economicamente e in certe politiche, ma non la distrugge perché il sistema repressivo entra nel nostro profondo, nel vissuto e nella formazione del bimbo. Il sostegno è totale e libero.
Per questo Puccio continuerà nei suoi sequestri e a comportarsi come sempre ha fatto. Non capendo come mai il Commodoro non voglia parlarci, ma avendo da lui un avvertimento sul fatto di fermarsi per un po'.
Ammettiamolo, o almeno lo ammetto io: sono stato ammaliato dall'interpretazione di Guillermo Francella, la possanza del male, ma quello quotidiano, lo zelo da bravo lavoratore, il potere di prendere delle persone, di vita o di morte. Poi arriva il disgusto e la paura di esser cattivi e quindi lo allontaniamo, ma ha un suo perverso e pericoloso fascino il personaggio del capo famiglia. Fa paura, lo odi, gli vorresti rendere raddoppiandole , ogni sofferenza che ha causato, eppure è un personaggio che ti cattura, e ti rimane addosso per tanto.
Tanto è cristallina la sua naturale perfidia quanto vorresti distruggerla per la pace, la democrazia, la giustizia, ma usando i suoi di metodi. Perché sai come è finita. Non tanto o solo per la famiglia Puccio, ma anche per altri casi. Un processo, un po' di indignazione, un po' di galera e poi a casa. Come se uno potesse cambiare, e non parlo di delinquenti comuni che potrebbero redimersi, ma di uomini che sono la dittatura, non vittima di essa. Il torturatore così può abitare libero e felice a pochi passi di una famiglia a cui magari ha ucciso e torturato un figlio o un fratello. D'altronde la democrazia è un sistema complesso e complicato, che garantisce una vita libera più o meno a tutti, sicché è comprensibile anche questa cosa.
Per quanto riguarda i Puccio , che fine hanno fatto? Vi lascio leggere le didascalie alla fine. In alcuni casi è da non crederci
Il problema politico è: dar inizio a una mattanza al contrario lasciando il paese in balìa di violenze e repressioni per altri anni, o cercare un compromesso anche al ribasso, ma evitare una guerra civile? Pensateci.
Nel frattempo andate a veder questo ottimo film

sabato 27 agosto 2016

L'EFFETO ACQUATICO di SOLVEIG ANSPACH

A volte capita di bistrattare alcuni generi cinematografici, in una visione per me un po' reazionaria del mezzo cinematografico di genere. Più facile trovare siti, blog, appassionati che con coscienza e serietà portano avanti un discorso di riflessione sul genere horror- genere che peraltro mi piace assai- piuttosto che trovare riflessioni interessanti e profonde sulla commedia sentimentale. Non tanto la commedia come genere,  ci sono tanti studi sui vari autori, ma proprio quella sentimentale.  Di solito codesti films vengono considerati robette sdolcinate, smielate, zuccherose e buoniste. In poche parole: imbarazzanti.

Imbarazzo, ecco per me questa è la parola chiave.Nonostante possano fare anche ottimi incassi, e se ne producano un bel po' per questo motivo, non si trova- o mi è sfuggito perché poco pubblicizzato- uno studio attento sul cinema dell'amore.  Contraddizione di un tempo dove alcuni arrivano a dire che siamo troppo emotivi, ma evidentemente si riferisce a tempi passati, in quanto questa nostra società si basa prettamente sull'uso e getta di sentimenti sempre più precari, di un fastidioso ego cinico che tenta di sfruttare anti retorica e irriverenza su ogni discorso e fatto per aver due minuti di riconoscibilità dagli altri. Certamente, al cinema trionfano le commedie forse più banali, ma è il modo che si pensa e vive l'amore oggi, poi come bambini ci si stupisce che babbo natale non esiste, solo che esso, l'amore, non è un eterno regalo,ma la costruzione quotidiana di conoscere l'altro che è diverso da noi.Ok, ma questo è un altro discorso.
Rimane il fatto che, al di là degli incassi, il cinema dell'amore è poco approfondito e vissuto come una parentesi un po' sciocca e leggera, aspettando pellicole di altro genere e spessore.





Prendiamo questa deliziosa pellicola : L'effetto acquatico. Un piccolo e delizioso film che narra dell'amore tra un'istruttrice di nuoto e un gruista- di origine nordafricana, si pensa- che inizia in Francia e continua per tutta la durata in Islanda.
C'è il classico schema , quasi sempre presente nelle pellicole americane, nelle screwball comedy in particolare, di un rapporto che nasce da uno scontro, lui finge di non saper nuotare per poter conoscere lei, fino al trionfo dell'amore.
In mezzo un discorso sempre necessario e fondamentale su come nonostante tutte le difese che si possano prendere, l'amore o il destino potranno anche scompigliare i nostri piani. Agathe, fa di tutto per isolarsi, rimanere distaccata dai turbamenti che l'incontro con l'altro ci pone. Molti vivono cossì, no? Mascherando la sofferenza della solitudine, nell'abitudine, in regole precise, mettendo tanta forza nel negare la Bellezza della vita, dell'amore che ci cambia, ci rinnova, ci fa tremare il sangue nelle vene. Samir al contrario, in modo goffo, impacciato, continuamente stralunato, pur usando una menzogna iniziale per conoscere lei, cosa che molti fanno in amore, costruire un personaggio per andar incontro al desiderio dell'amata o amato e della sua figura di partner ideale,  cerca di uscire dalla sua solitudine,  il suo esser fuori da una vita ricca di emozioni e avvenimenti. La parte buffa del film è interamente gestita da lui. E si ride molto.  A un certo punto l'amnesia dell'uomo, porterà i due ad avvicinarsi. Non vi dico molto, perché è un film davvero molto carino e mi piacerebbe che andaste a vederlo.
Buffo, tenero, romantico, lieve e a suo modo profondo, con un ottimo cast di attori. Per non parlare degli scenari magnifici dell'Islanda.

Il film è , purtroppo, l'ultima opera della regista di origine islandese , morta il 7 agosto 2015 per una malattia. Film postumo, in un certo senso, testamento cinematografico  che mi ha lasciato anche la voglia di approfondire meglio il suo cinema.  Le sue tematiche. Io sono convinto che la tenerezza al cinema abbia lo stesso peso e debba aver la stessa seria considerazione del cinema della morte, sofferenza, dolore, spesso spettacolarizzati per renderci sempre più spettatori delle tragedie e vite altrui, rispetto che spettatori soccorrevoli, partecipi, in grado di vivere l'emozione e il dolore senza alibi di sorta.

giovedì 25 agosto 2016

Black Bruxelles - l'amore ai tempi dell'odio di Adi El Arbi e Billal Fallah

Le periferie del mondo raccontano tutte la stessa identica e triste storia: posti anonimi, se non proprio brutti dove viene ammassata la classe proletaria e sotto proletaria.  Vivi in un posto brutto, degradato e piano piano si diventa come quelle case, ci si imbruttisce in storie di violenza e droga. Mentre fuori gli altri vivono vite "normali", altri che a fatica raggiungerai, se non come lavoratore sfruttato, in nero, precario, ma sempre lontano dalla bellezza, da una vita tranquilla.
Perché come dice il fratello del protagonista di questa pellicola: " sarai sempre uno straniero".
Poi possiamo continuare a far finta di ignorare la storia politica e sociale di gran parte dell'occidente, ma non riteniamoci migliori, progressisti, innocenti. Sulla sofferenza di quelle che un noto filosofo definiva: " razze minorenni" e "moltitudini bambine", molti hanno fatto la fortuna, altri : carcere, droga, violenza e naturalmente : morte.



Black non ci dice nulla di nuovo o che non sappiamo sulle condizioni umane assolutamente pessime che vivono molti giovani nei quartieri cosi detti malfamati.  Qui si cerca di dar l'idea che sia una sorta di Romeo e Giulietta, più moderna e dura.E se i due celebri protagonisti della tragedia di Shakespeare, tornassero oggi, chi sarebbero? Probabilmente anche due reietti, dannati della terra, chiamateli come volete.Così un giovane ragazzo di origine marocchina si innamora-ricambiato- di una giovane ragazza di origine africana. Solo che i due fanno parte di bande rivali, gli 1080 e i Black Bronx. Come ci interrogava uno dei più grandi poeti italiani del 1900 , Brunello Robertetti: " L'amore è forte, più dei proiettili?" Eh....Forse. Se il regista è Spielberg, senza ombra di dubbio.
L'opera punta molto sulla violenza che rende disumani, spersonalizza, crea un branco dove lo stupro, la rissa, un certo machismo idiota unito all'uso di stupefacenti annulla ogni possibilità di redenzione, cambiamento, perché tanto il gruppo con le sue regole squallide ti farà sempre sprofondare nell'abisso.
L'amore porta novità, ti dice che ognuno di noi ha qualcosa di prezioso, bello, importante e che si possa e si debba vivere al di fuori del crimine, della ferocia.
I due registi girano un film davvero buono, non originale e questo sinceramente è un problema che a me non pesa affatto, ma pieno di possanza, duro, amarissimo.
Puro cinema che filtra con i film di impegno civile e sociale, dando molto spazio al contesto in cui si sviluppa l'amore fra i due ragazzi.
Non c'entra nulla quel capolavoro di West Side Story, certo c'è la storia d'amore tra due persone divise dalle gang, ma non c'è la potenza salvifica del musical, solo l'abbrutimento delle vite bruciate e disperse.  In contesto linguistico che mischia diverse nazionalità e contraddizioni interne- i fiamminghi- in un continuo afferrare e perdere un'identità comune, un linguaggio comune, un amore e una vita diversa. Migliore.

The homesman di Tommy Lee Jones

Le delusioni cinematografiche, possono esser paragonate a quelle sentimentali? L'attesa di veder un film di cui assapori già atmosfera, personaggi, storia, è identica all'attesa di un appuntamento galante, dell'inizio di una relazione, quando non possiamo che immaginare? Mi domando queste cose, dopo la deludente visione dell'opera di Tommy Lee Jones



Ho amato tantissimo il suo debutto: "  le tre sepolture" un film amarissimo, ricco di dolente umanità, un viaggio che diventa epica del vivere. Pensavo di ritrovare tutto questo anche in codesta pellicola e invece mi son sbagliato e anche tanto.
Ecco, la delusione per codesto sbaglio, potrebbe esser identica a quella che si avverte quando ti rendi conto di deludere le aspettative della tua donna, o della vita in genere. Quasi una colpa per non aver compreso, non esser in grado di prevenire la bruttezza, non perder tempo con un film men che mediocre.
Sopratutto la rabbia perchè poteva esser diverso. Poteva esser davvero un gran bel film, ma queste cose sono le scuse che usiamo noi, e che forse non ci fanno comprender la pellicola, l'idea del regista. Qui assai latente, invero.
Di cosa narra questa opera? Una donna accetta di portare tre donne alle rispettive famiglie- prima si fermeranno in casa di un reverendo in quel dell'iowa- visto che costoro hanno grossi problemi psichici. Non so che porzioni magiche abbiano i genitori di queste giovani donne, per poterle far guarire ed accudire, ma va bene così. Per il viaggio ella assume un anziano e malandato uomo, salvandolo dall'impiccagione, in quanto si presume che abbia occupato casa abusivamente.
Per danaro l'uomo accetta. Il viaggio non sarà facile.

Sulla carta prometteva davvero bene. Un racconto epico, amaro, con quella descrizione dell'umanità fragile e caparbia, tanto ben espressa nell'opera precedente. Invece ci troviamo di fronte a un film sfilacciato, con una sceneggiatura zoppicante e personaggi che rischiano il ridicolo. il tormento di Hilary Swank, che nasce dalla solitudine, da una condizione personale e femminile che di fronte alla folla delle altre diventa sempre più ingombrante, è espresso in modo rozzo, tanto che il suo gesto estremo è una bella sorpresa, ma par esagerato. Frutto di una matta scatenata, piuttosto di una donna sofferente, che matura una difficoltà di vivere estrema e che crolla dopo un momento di effimero amore, quantomeno fisico. Lui pare uscito da villa arzilla, in realtà si sente di tanto in tanto tutta la possanza di un grande perdente, ma sullo schermo abbiamo un anziano abbastanza ridicolo, e anche il suo rapporto di responsabilità, quando deve farsi carico delle ragazze, è assai frettoloso.
Certo in un film quasi del tutto sbagliato, ci sono anche cose pregevoli: la fotografia e la musica in modo particolare.
Per il resto  opera da dimenticare, e che si lascia dimenticare, passo falso di un grandissimo attore e valido regista. Capita, non è una tragedia. Però dispiace assai.

mercoledì 24 agosto 2016

THE WITCH di ROBERT EGGERS

Ci sono film che diventano un oggetto di ossessivo culto da parte di spettatori e spettatrici. Spesso a ragione, qualche volta no. Perché un film è pur sempre opera che parla al nostro vissuto, ai sentimenti, alla psiche, non è solo  un fatto tecnico, ma è sempre legato  tanti altri fattori.
The witch è senza ombra di dubbio, il film del momento. Tutti ne parlano, scrivono, ma è davvero un film così importante, "bello", oppure è un caso di auto suggestione collettiva?


La verità per me sta nel mezzo, diciamo che è un film notevole e davvero buono, ma forse nemmeno un vero e proprio capolavoro.  Perché a mio avviso vi è una prima parte che descrive l'ambiente e i personaggi, girata bene, che però rimane fin quasi troppo legata a un qualcosa che dovrà succedere. Non è affatto brutta o pleonastica, ha le sue suggestioni, nondimeno- forse anche caricato dalle tante recensioni positivissime-  mi mancava quell'elemento che fa la differenza con altri prodotti.
Tutto però cambia nella seconda parte: i piccoli segnali di inquietudine,  l'angoscia, esplodono in un secondo tempo assolutamente avvincente e memorabile.  Noi sentiamo tutto il dolore e la paura che una famiglia del 1600, i primi a raggiungere il territorio americano, provavano nei lunghissimi e cupi inverni, o nelle loro vite fatte di preghiere e solitudini. Quando l'uomo non comprendeva la natura e gli altri e affidava tutto all'irrazionalità religiosa, vissuta male, non come aiuto spirituale, ma come arma di difesa e accusa.
In questa seconda parte i rapporti famigliari si inclinano e il Male, assoluto e irrefrenabile, compie il suo lavoro di distruzione. Non solo fisica, ma sopratutto dei legami, degli affetti, portando divisione e rabbia, fino al gesto estremo dell'odio e della violenza, all'interno di una famiglia composta da gente che all'epoca non era così tanto difficile da incontrare.
Si, c'è una strega, ma poteva esser un lupo, una tormenta di neve, un'epidemia, Perché la natura reale dell'opera non è tanto nel "mostro e mostruoso", ma nell'impossibilità e piccolezza umana di fronte a un pericolo sconosciuto, all'ignoto, al mistero. E quando l'uomo non capisce o ha paura, che fa? Prega o cerca un capro espiatorio. Oppure fa tutte e due le cose insieme.
Questo è ben descritto nella seconda parte del film e devo dire che la paura, il terrore, l'angoscia che vivono i personaggi, si avverte benissimo anche in sala.
Proprio per quel senso di minaccia assoluta e totale che ci avvolge,  Eggers è bravissimo a trasformare con poche inquadrature un bosco, in un personaggio reale e vivo, in un labirinto di perdizione. In questo mi ha rammentato Von Trier e il suo Antichrist, da qualche parte qualcuno l'ha fatto notare prima di me e non posso che condividere questa affermazione.
Dal ritrovamento del figlio che torna dopo essersi perso nei boschi, è un crescendo di pena per la famiglia sottoposta a una disgregazione, divisione, lenta distruzione, al loro attaccarsi speranzosi e impauriti alle preghiere, a un dio del tutto assente, come se l'unica e reale forza potesse esser solo il Male.
Implacabile, capace di infiltrarsi ovunque, irrefrenabile, avvolgente e seducente.
A mio avviso in questa seconda parte Eggers mette in luce delle ottime qualità e il film da opera decente, ma non così "bella", come la si dipinge, diventa una pellicola che impressione, coinvolge, affascina
Certo, a pensarci il primo tempo è costruito apposta per arrivare al crescendo finale, ha una sua funzione  e un suo motivo di essere.
Rimango dell'idea che forse capolavoro no, ma opera di assoluto interesse, suggestiva, avvolgente, inquietante, disturbante, tragica, assolutamente si.
Sicuramente, visto la cura nella ricostruzione storica, la capacità di fonder terrore con pochissimi effettacci e trucchetti, la buona costruzione dei personaggi,sentiremo ancora parlare di Eggers.
Mi piacciono quei registi che usano il cinema di genere anche per parlare di altro, come mezzi espressivi mai fine a sé stessi, ma rivolti a riflessioni e analisi che ci riguardano da vicino. Non è forse ancora oggi l'uomo diviso, tormentato, incapace di comprendere ciò che lo circonda, in balìa di tragedie assurde o create da sé stesso.Non c'è ancora, mascherato da ideologie politiche, razionalità mal comprese,  speranza in un progresso tecnologico e scientifico quasi mai capito, un tentativo di sopravvivenza contro la morte e la perdizione, come succede a questa famiglie nella lontana epoca dei padri pellegrini, delle cacce alle streghe, dove perirono parecchie donne innocenti, di un cupo  e disperato modo di vivere, relazionarsi con la natura?Certo. In fin dei conti sono cambiati i nostri mezzi di trasporto e i vestiti, ma l'animo umano - a volte- nel suo profondo, rimane lo stesso.
L'opera in seconda istanza, riguarda anche la condizione femminile, sopratutto l'adolescenza. Quel passaggio da bambina a ragazza, che è vissuto con disagio da parte degli adulti, quel potere del femminile che spiazza, e che a volte viene soffocato dall'educazione, dalla religione, da una società che si vanta di esser libera e progressista ma lascia le ragazze pressoché sole di fronte a libertà effimere e scellerate o ad oscurantismi bigotti.  La stregoneria è vista come mezzo di ribellione e rottura con una vita soffocante, sotto il dominio di un'educazione piena di dogma che non hanno riscontro nella realtà e una nuova vita di potente libertà individuale, come ci fa notare il bel finale, ma ci avverte anche di un'altra cosa: quella libertà, quello spezzar catene, quell'atto di violenza forse necessario per salvar la nostra vita, si paga a carissimo prezzo.
Non c'è modo di esser libere in questo mondo.

martedì 23 agosto 2016

Gùeros di Alonzo Ruizpalacios

Si è giovani una volta sola e la sprechiamo - la gioventù- in ideali che urlano scomposti nelle vene, in amori assoluti, amicizie che sfidano l'epica caotica di tempi piccoli e mediocri. Poi passiamo il resto della vita a cercare di trattenerla, a farla rimanere ancora un po' con noi. Quando farci fare l'autografo da un semi sconosciuto cantante è molto di più che questo.
Per fortuna arriva la vecchiaia e poi si muore. L'oblio forse è la quintessenza della pace. Si, ma quanto abbiamo vissuto durante quello spreco di idee, sentimenti, energie, quando siamo giovani davvero. Talmente tanto che ci basta per il resto.
E il resto sono degli interminabili titoli di coda.




Tomas viene spedito dalla madre in città, dal fratello che lì dovrebbe studiare, dopo che ha provocato un grave incidente. Ma il fratello vivacchia dividendo l'appartamento con Santos, mentre l'università vive giorni di occupazione, lotte, sogni collettivi ricchi di abbacinante possanza, troppo puri e disorganizzati, ma di assoluta pulcretudine. Giorni in cui spicca la figura di Ana. Giovane leader- molto contestata dalle teste calde quelle ubriache di purezza, durezza, estremismo, quelli destinati a meravigliose sconfitte. Contenti loro..- I tre in realtà devono rintracciare un cantante tanto amato anche dal padre dei due fratelli. Un mito, una leggenda, d'altra parte quando ci costruiamo i nostri miti? A quaranta anni? No. Prima e durante i venti, direi. Proprio perché il disincanto naturale e necessario, quello che ci fa comprendere cosa siano le cose veramente importanti, è ancora lontanissimo da noi.Anche tanto.
Il film rappresenta molto bene codesto passaggio, gioca ironicamente con il suo esser un film con velleità e tanto spessore "autoriale", ma rimane principalmente un piccolo e profondo film sull'esser giovani, senza puntare troppo su abusati stereotipi, ma sfruttandoli per dar peso e forza ai personaggi, con una malinconia soffusa, sospesa tra tenerezza, impalpabile rimpianto,e il messaggio che la vita non puoi passarla da spettatore, stando ai lati dello scontro, della partecipazione, del condividere con gli altri quel particolare momento, o tutta l'esistenza.


Gùeros- quanto pare un insulto che alcuni messicani rivolgono ad altri, forse a quelli che vengono dal nord, perché più pallidi rispetto agli altri, ma non ne son sicuro eh!- è girato in un bellissimo bianco e nero, a volte sporco, che esplode però in veloci sequenze di assoluta raffinatezza e bellezza. Io e mia moglie l'abbiamo visto, in anteprima. all'arena estiva di Campo di Marte a Firenze. Quando uscirà nelle sale, rubate un po' di tempo all'ennesimo film della Marvel o della Dc, magari fosse quella leggendaria dei nostri super eroi Andreotti, Gava ecc- perché, come dice quella vecchia canzone

"l'impresa eccezionale, credimi, è esser normale"


lunedì 22 agosto 2016

10 COVERFIELD LANE di DAN TRACHTENBERG

Partiamo subito con una constatazione, che però è anche una regola, anzi: un consiglio per salvarvi la vita. Non importa che tu stia giocando a bowling,godendoti la palude del sud dialogando con il fantasma di un generale sudista, nemmeno che stia arrivando la fine del mondo, non importa. Tu appena vedi John Goodman, scappa cazzo! E fallo ora, fallo in fretta. Poi è anche vero che sai, talora è persino puccioso, forse questo è il caso? Non te lo dico!
10 Coverfield Lane, è un buon film di quelli che fa sempre piacere citare, di tanto in tanto, di quelli che sanno tener alta la tensione, di quelli che fanno cinema pur usando tre-dicasi- tre attori e poche scenografie, pochi spazi. Perché ? Sceneggiatura, immagino. Poi ottimi attori, o quanto meno in grado di saper gestire la continua presenza in scena, e una regia che usa tutti i mezzi per fare cinema. No, non è inno al pauperismo di quelli che ti dicono: " Con poche lire, noi italiani.." facevamo cazzate, ecco cosa facevamo con tre lire. Prodotti che crollano di fronte alla produzione americana e spesso anche europea.
Codesta pellicola non cerca quindi una strada facile per spaventare, ma ci inchioda in un bunker con tre persone, e cosa succede sopra?



Perché un conto è mostrare l'apocalisse: ci sono i morti viventi, gli alieni, i cinesi, quello che vuoi tu. Li vedi, e poi c'è sempre l'eroe o eroina di turno, uno su cui puoi contare.
Ma se sei chiuso/a, in un posto bloccato e isolato, in compagnia di un tizio che non pare proprio lucido. Ecco? Che fare? A chi credere? Come comportarsi? D'altronde la paura è un ottimo sistema di allarme, ma talora esagera e anche tanto.
Forse quei tizi che tanto prendiamo in giro per le loro sgangherate teorie complottiste, vedi che hanno ragione, ma questo ce li rende meno pericolosi?
Su questa linea si muove il film. Fidarci o no di Howard? Il personaggio di Goodman
Prima ho scritto che il film è dotato di un'ottima sceneggiatura, forse esagero, l'ultima parte nel pre-finale, quando si scopre la natura della minaccia, si sbanda in quel rambismo in salsa femminile un po' alla cavolo. Però non inficia la struttura più di tanto, perché prima c'è stato un signor film in grado di dar vita a tre personaggi non banali, seppur legati al genere. Rimane sottile la malinconia di un biglietto per un bus che forse ti avrebbe dato una vita diversa, che tu hai voluto perdere. Per paura, perchè cambiare fa paura. Meglio la mediocrità, meglio una vita e una morte piccola, senza gloria, senza nulla.
In fin dei conti gli attori qui sono fondamentali. Perchè non hanno effetti speciali, che non siano la loro espressività e capacità di farti sentire in quel bunker, con loro.  La sapienza della scrittura ,invece, si palesa nel dar indizi, piccole cose, ma preziose. Sicché l'opera è anche in parte più raffinata delle altre pellicole del genere.
Cosa c'entra con Coverfield? Quel bellissimo film che tanto mi garba? Diciamo che molti dicono abbia degli agganci, come se fosse un'altra storia, ambientata in un altro contesto, durante lo stesso attacco. Però a me non interessa che sia sequel, reboot, spin off, quel cazzo che è . Dico solo che si tratta di una pellicola riuscita, tesa e avvincente. Con un immenso John Goodman

giovedì 18 agosto 2016

La Comune di Thomas Vinterberg

Se dovessi specificare meglio che tipo di cinema, di films, adoro, vi citerei e parlerei per ore del cinema danese. Certo anche svedese,a ben pensarci. Comunque il classico prodotto del profondo nord europeo. Non è segreto che io sia conquistato dalle opere di Bergman, Von Trier e di tutti quei registi nati e cresciuti in quei posti. Gli svedesi per me sanno nben metter in scena il malessere di vivere, senza quella fastidiosa atmosfera da champagne in centro parigi che talora avverto nell'esistenzialismo francese, ma i danesi...Ah, i danesi come sanno metter in scena la tragedia violenta del vivere.. Solo loro. In particolare amo le loro scene di litigi. Così pieni di dolorosa possanza, di autentico dolore, e tu stai pur tranquilla, in un film danese, anche se il tutto comincia in un'atmosfera spielberghiana, vedrai: prima o poi la tragedia arriva e non si salverà nessuno. Si, si, prova a difenderti dicendo: la vita è meravigliosa. Puoi farlo, ma al secondo sbrocco di Ulrich Thomsen  tutte le certezze svaniranno.
No, sto esagerando. Io continuo a credere che la forza della vita sia maggiore rispetto al tuo dirle no, le cose non finiscono mai male in modo definitivo. Forse proprio perché non sono uno che crede nella tragedia nel mondo reale, amo i films tragici e disperati.



Di cosa parla codesta pellicola? Di una comune, ma è molto diversa rispetto a quella che viene descritta in quel piccolo gioiello che è :  Togheter.  Certo i protagonisti fanno parte della sinistra libertaria danese, ma non è la politica al centro del film. E a ben vedere nemmeno la comune, piuttosto è l'analisi di un rapporto matrimoniale alle prese con le libertà effimere tipiche del pensiero libertario/ borghese. Ma forse è anche qualcosa di più.
Non è un film del tutto riuscito, come spesso capita con Thomas Vinterberg, co- fondatore della Zentropa con il mio amatissimo Lars Von Trier, autore discontinuo che ci ha donato opere di rarissima e dolorosissima pulcretudine: Festen, Submarino, Il sospetto, e altre meno riuscite. Questa pellicola sta nel mezzo, o forse dovrei rivederla. Senza dei coglioni che hanno preso un film tragico per una commedia e che ridacchiano pure su certe cose di evidentissima tragedia. Questo per dire chi si incontra al cinema.Evidentemente un posto dove si va così, tanto per...
Finita la polemica diciamo che è un film che c'è e svanisce di continuo, che volutamente non centra sempre il bersaglio, ma quel spostarsi, divagare, quasi perdersi, è l'anima stessa del film.
Possibile condividere la propria esistenza quotidiana con gli altri? Credibile accettare che la persona da noi tanto amata, viva sotto lo stesso tetto con la sua nuova compagna? Fino a che punto possiamo sopportare il tutto? Non fraintendete né me, né il messaggio del film. Io non sono geloso e credo che la gelosia uccida e mortifichi l'amore. Detesto le persone gelose: deboli che rendono la vita loro e degli altri un inferno doloroso e terrificante. Non sono geloso perché mi fido di mia moglie, mi fido degli altri, basta saper scegliere e basta comprendere che il dolore, è parte della vita. Non mi salvo chiudendo a chiave il mio amore, legandolo a me a tutti i costi. Detto questo credo che la coppia aperta sia una clamorosa stronzata. Un desiderio squallido piccolo borghese, di soddisfazione del corpo, che non tiene conto per nulla dei sentimenti altrui. Del fatto che ti ho sposato/ a e che ti amo. E l'amore non è una stanza d'albergo a ore. Ti pone responsabilità e ti chiede scelte. C'è anche il discorso del rispetto, della dignità, tante cose che remano contro questa clamorosa stronzata della coppia aperta. Guarda caso una delle poche cose rimaste degli anni 70 e tanto amate dalla borghesia meno illuminata. Guarda caso.
Cosi le cose cominciano ad andar male quando nella coppia formata dai protagonisti entra una giovane studentessa, amante di lui e sua allieva.La moglie cerca di accettare che lei venga a vivere nella loro comune, ma non funzione e il rapporto comincia a peggiorare. Intorno, testimoni, gli altri. La figlia in modo particolare.

Film che sta in sospeso tra il tragico e un briciolo minimo di commedia, opera sfuggente ma a tratti molto intensa, possibilista nel finale che da grandi tragedie possa nascere una piccola speranza, forse.  Pellicola di attori, di dialoghi e momenti che colpiscono.  Non è un film del tutto riuscito, ha dei momenti deboli, e può sembrare sfilacciato, ma è comunque da veder se amate certo tipo di cinema.

mercoledì 17 agosto 2016

KING KONG di PETER JACKSON

Tanto L'inferno di cristallo è un classico prodotto del suo tempo, con tutti i suoi codici, regole, visione del cinema e in parte del pubblico/società, quanto lo è questo kolossal di Peter Jackson, uscito nelle sale undici anni fa. Secondo remake ufficiale del celebre film del 1933, opera entrata a far parte della storia del cinema e della società,  viene dopo il rifacimento del 1976, che dovrei rivedere e che ricordo per il finale amaro e non proprio : l'amore trionfa su tutto. Poi c'è stato anche il sequel nel 1987 ed era una cavolata tipica di quel periodo. Mi ero divertito da ragazzino. Da ragazzino. Sottolineo codesto fondamentale passaggio. Si, poi è arrivata na ditta di giapponesi e sto povero scimmione è finito a far la lotta con altri poveri cristi in orribili costumi di gomma.
Non è finita qui, comunque: marzo 2017, uscirà Skull Island, ci sta sempre lui.Dopo una triste storia di bancarotta che lo aveva portato a ubriacarsi di crodini a Roma, Daje kong, daje forte!
King Kong  è il colossal al tempo dei Blockbuster di questi ultimi 10-15 anni. Ne possiede lo spirito, l'anima - de li mortacci.. - l'attenzione assoluta e giustificatissima per quanto riguarda le meraviglie della computer grafica, l'accumulo di avventura, tante cose. Perché è un'opera che ti assale, ti vuole dire e mostrare molto, vuole essere amata,anzi amatissima da te. Pretende di stupirti, ammaliarti, coinvolgerti nelle meravigliose avventure che capitano alla troupe cinematografica e ai marinai.
Te vuoi i negri cattivi cattivi che ballano, come un pariolino sotto effetto della droga in disco, eccoli! Tutti cattivi, selvaggi, animaleschi. Oh, avvisa Salvini che non sono rifugiati, ma semplici attori.
Te da bimbo ti piaceva Jurassic Park, e cosa gravina anche da adulta? Toh, va avanzano dei brontosauri, che poi ce famo le matte risate quando questi fanno un bel capitombolo perchè inciampano uno sul altro, ma davvero matte risate. Che poi, guarda bene, in fondo a destra! Si, si, c'è il cesso, ma trovi pure... Eccoli!  I Tirannosauri.  Tre gajardi e vispi, ci facciamo 40-50 minuti di film che se menano,
Mo che ci penso bene, ma insettoni giganti? No? Ce stanno, ce stanno, nun te preoccupa! 
Mi zio dice che vanno forte anche i pipistrelli giganti, li vuole? Toh, Mo famo cifra tonda e semo a posto, dottò.
Ecco, perché il film non sarebbe male, se non si perdesse a inseguire una meraviglia forzata a dismisura, che alla fine affatica la visione. Non sarebbe male se non volesse creare un'atmosfera da film d'avventura classico e con rimandi ai b-movie degli anni 50-60, ma senza nerbo, forza, e con l'idea che prima o poi Brody troverà un pianoforte e addormenterà i mostri con i classici della musica classica, meglio della camomilla, credetemi.
Peccato perché parte molto bene: le immagini della povertà a New York, il teatro, gli anni magici degli albori del cinema, dialoghi frizzanti e personaggi ben descritti. Ha momenti di grande interesse nel rapporto tra Jim e Mr Hayes, il personaggio di Carl, il regista è un perfetto paradigma dello stravolgimento totale di ciò che è vita e spettacolo. La sua ansia e voglia di filmare tutto non è solo un simbolo dell'industria cinematografica.Non ci sono solo i soldi e il potere, alla base, ma l'idea che filmando crei la vita, sei padrone del destino, qualcosa di epico e malvagio, e Jack Black è bravo e convincente. Cioè, senti la voglia di approfondire quel personaggio, non succede con Brody. 
Per cui questa riflessione sul cinema è di molto interessante, seppure soffocata da quasi due ore di spompata avventura, sottolineata da una colonna sonora  fin troppo invadente e al servizio del film.
Però non è tutto da buttare, ad esempio quella sequenza sul ghiaccio verso la fine è storia. Supera la pellicola, supera tutto. Vi è poesia, in un contesto assolutamente commerciale, e io trovo sia meraviglioso tutto ciò. Leggerezza, commozione e si centra la reale natura di kong. Non un film d'avventura, ma una meravigliosa storia d'amore.  Sulla sua potenza assoluta, capace di far comunicare esseri diversi, e schiacciata dall'indifferenza, violenza, profitto.  In quei corpi che scivolano sul ghiaccio c'è tutto questo.
Peccato per il resto, peccato per la bravura di Naomi Watts.  
Rimane il fatto che,a l di là della riuscita o meno del film, io sto con King Kong contro l'aviazione, gli affaristi, la crudeltà umana. Io sto con sto bestione che scopre l'amore e giustamente per esso si sacrifica. 

martedì 16 agosto 2016

L'INFERNO DI CRISTALLO di John Guillerman

Non sono sicuro sia il capostipite del genere "catastrofico", si si mo lo scrivo! Per gli esterofili: disaster movie. Sicuramente è un film di enorme successo economico e non solo. Perché codesta pellicola è entrata nell'immaginario collettivo ed ha influenzato parecchie altre pellicole. La formula disastro spesso per colpa della natura, o dell'avidità umana più cast di vecchie glorie e caratteristi solidi, è la base per un film del genere. Un film catastrofico esige massima professionalità. pochi fronzoli e tantissimi soldi spesi dai produttori, per darvi l'idea di esser davvero intrappolati in un grattacielo, una nave che affonda o nella Los Angeles devastata da un terremoto. In un certo senso è puro, purissimo cinema. Dove gli effetti speciali, il montaggio, la fotografia hanno un peso fondamentale, forse più di qualsiasi altra cosa. Perché quello che conta è l'immagine, l'inquadratura che riesca a creare tensione, dramma, paura. Per cose, poi, che potrebbero capitare a chiunque.
Le vecchie glorie servono per dire, che è roba seria, mica quei capolavori fatti con due lire, come piace tanto dir a certi fanfaroni del genere fatto in assoluta povertà.
Certo i personaggi e le dinamiche non sono altro che schemi anche rozzi, ripetitivi, senza guizzi o emozione alcuna. Non sempre, perchè, ad esempio, in questo film vi sono anche dei piccoli dialoghi, in cui riesci a cogliere l'umanità e la disperazione di certuni. Poco, che non deve disturbare lo spettatore medio americano e il suo ruminare pop corn, ma basta per noi indisciplinati.


La storia è semplice, come direbbe l'amico Federico Frusciante, un grattacielo, il più alto mai costruito, viene distrutto da un incendio- scoppiato par l'avarizia e la noncuranza dei suoi costruttori-  provocando morte e terrore durante la festa di inaugurazione. Robert Vaughn e Robert Wagner sappiate che son destinati, come è d'uopo, a soccomber male. Sua figaggine Steve Macqueen, quello bravo non quello di quel shame di film, trionfa nella sua tuta da pompiere e fa altrettanto il grande Paul Newman. Dice la leggenda che Fred Astaire abbia avuto una nomination per la sua partecipazione a questo polpettone arrostito a dovere, ma mi par veramente eccessiva come scelta. Nondimeno lui è un campione di grazie e quel finale amaro, malinconico, lo conferma ottimo come sempre. O.J. Simpson da parte sua gioca la carta simpatia " gattini", evidentemente ha funzionato con la giuria che doveva condannarlo per duplice omicidio.
Ironia a parte, l'Inferno di cristallo,  risulta ancora oggi un grande film. Opera titanica, che vuol a tutti i costi farti pesare la sua possanza , anche la sua tracotanza, ma incanta, affascina, fa tifare, come ben poche cose ultimamente al cinema.
L'idea è dare alla masse una pietanza non troppo raffinata, ma cucinata come si deve. Tipo certi piatti che mangi a Roma o in Toscana, non è nouvelle cousine o come cazzo si scrive, anzi è proprio una pietanza comune, popolare, ma saporita e cucinata benissimo.
Lo stesso valga per il cinema di genere americano, in particolare, roba di grana grossa, ma fatta con mezzi altissimi. Sopratutto da professionisti. La storia è scritta da Stirling Silliphant, oscar per "la calda notte dell'ispettore tibbs", e altri film decisamente degni di nota. Agli effetti speciali troviamo un tale Douglas Trumbull, responsabile degli effetti speciali e visivi di  " 2001 odissea nello spazio", " Andromeda", " Blade Runner" e della regia di due classici assai particolari come  " Silent Running" e Brainstorm. Non uno che passa per strada, diciamo. Certo John Guillerman rimane un grande mediocre, ma di assoluta mediocrità- lo ribadiamo, firmiamo, testimoniano- che ha diretto molte pellicole di genere diverso, fra cui anche il remake di King Kong del 1976 e pure il seguito, ma io amo assai il suo dramma bellico: La caduta delle Aquile. Qui però si limita a girare la parte noiosa del film, cioè quelle dove non è protagonista il fuoco, il resto lo gira il produttore Irwin Allen, nessuna parentela con Woody, anche perché Woody Allen è un nome d'arte.
Produttore di serie tv, come Lost in space e di altri classici del genere come "L'avventura del Poseidon", "Terremoto" e fra le altre cose ha diretto anche quella cosa che risponde al nome di Swarm, film catastrofico anche un po' imbarazzante su delle api assassine. L'ho visto ai tempi almeno tre o quattro volte e si.. Anche qui Chamberlain muore da pirla.

Rimane il fatto che un film come L'inferno di cristallo, rimane per sempre un'opera godibilissima, puro cinema che ci meraviglia per molte cose, momento di relax per noi spettatori indisciplinati, che scopriamo e sappiamo di che materia grezza sia composta la pellicola, ma ci piace talora ritrovarci a goder della gioia del puro cinema di genere.

lunedì 15 agosto 2016

PRIDE di MATTHEW WARCHUS

L'uomo non è un individuo. Non lo è mai stato, non lo è, e non lo sarà. Individuo come lo intendiamo qui nella nostra stanca e morente società. Cioè una persona che inizia e conclude nei suoi bisogni, sentimenti, soddisfazioni, esigenze, paure,che lo legano agli altri, ma per usare ed esser usato, senza nessun legame forte, senza condividere nulla se non un attimo, un momento, un passaggio da una persona all'altra, un lavoro e un altro, una casa e un'altra.
L'uomo è la sua classe sociale e il suo essere persona irripetibile, importante, sopratutto perché legata ad altri da sogni, esperienze, dolori, comuni. Divisi perché costretti, o per indifferenza, anche questi prodotti delle e nelle classi. Quella dominante attraverso il paternalismo e l'ipocrisia tipica dei regimi liberal-capitalisti, ci impone la divisione e il pregiudizio.
Questo film lo dice e mostra chiaramente
Il 1984 è stato l'anno della morte di ogni resistenza al liberismo, nuova faccia, ennesimo lifitng del capitalismo. Il lungo sciopero dei minatori, che capitola davanti all'offensiva di quella spregevole persona e donna di politica che è la non compianta Margaret Thatcer, idola delle  femministe borghesi e squallide alla Meryl Streep. Una lotta di classe, di persone, di lavoratori, di emarginati ed esclusi dal e nel sogno del nuovo sistema economico e politico. Come in Italia è successo agli operai della Fiat, come in america ai lavoratori della compagnia telefonica. Quando perdono i lavoratori, perde la società. La vedi ora? Te la gusti questa società dove il lavoro ha perso ogni valenza sociale, ed è solo compra e vendita di uomini e donne, in nome del dio Azienda. Godono solo i padroni, non chiamateli datori di lavoro e non pensiate che siano vostri amici. Anzi, quel loro modo di far famigliare, di menarla con la storia della "grande famiglia", gli insegnamenti su quanto sia bello fare carriera dentro la gdo, che tanto i sentimenti sono peggio della merda, te vieni a a sgomitare per diventare il gran visir dei cessi all'ikea, mi raccomando!Tutto questo, nasce con la sconfitta della classe operaia e proletaria.
Pur essendo una commedia "Pride" non nasconde o addolcisce nulla. Mostra come il sistema attacchi i suoi nemici: che minatori e movimento lgbt, in quegli anni vivevano, seppur in contesti forse diversi, le stesse problematiche. Non ci vengono mostrati proletari puri e dalla mentalità aperta e non ci sono omosessuali sempre allegri e simpatici. Ci sono persone con limiti, incapacità di accettare gli altri, ma che conoscendosi imparano a collaborare, a volersi bene. Non è difficilissimo. oh nemmeno facile, ma cazzo impegnatevi un po'!
La storia è vera, come purtroppo anche la sconfitta, come sono veri quegli uomini morti per una malattia, l'aids, giudicata da quella testa di cazzo di Reagan come un castigo di dio sui peccatori. L'uomo che ha finanziato i contras, viene a farci la morale.Disprezzabile e detestabile, sempre e comunque.
La commedia serve a questo: avvicinare un pubblico a certe tematiche. Noi "proletari", ma sempre più piccoli borghesi estremisti nelle parole, ma mai nell'esempio della militanza, possiamo conoscere meglio altri uomini come noi, che vivono un modo leggermente diverso di amare,ma in fondo uguale nelle emozioni e nella gioia, come nel dolore, gli altri possono comprendere che quei rudi e rozzi lavoratori sono persone di sentimento e cuore, ma che se son abbandonati alla vita del minatore, possono esser reazionari, visto che il capitalismo a loro lascia solo quello.
Ecco, Pride è un piccolo e importante film. Dietro a certi luoghi comuni, certi stereotipi, c'è una bellissima anima e quei luoghi comuni smettono di esserlo per diventare un ponte di comunicazione tra uomini e donne. Come dovrebbe sempre essere.

lunedì 8 agosto 2016

A GIRL WALKS HOME ALONE AT NIGHT di ANA LILLY AMIRPOUR

Tutto il mondo è paese, ti verrebbe da citare codesto motto vedendo questa meraviglia di pellicola.  In quanto la povertà, la miseria, l'esclusione sociale, la divisione classista,  in modelli di sviluppo più o meno capitalisti, ci rendono persone sole e in perenne compagnia della morte. Iran come un sobborgo di los angeles, o certe zone malfamate delle nostre città.  Con i suoi mezzi di produzione, qui ci viene mostrata la lavorazione del petrolio, le raffinerie, e i suoi abitanti avvolti e devastati da tanta bruttezza. Non sfigura certo una vampira, che ascolta musica pop occidentale, ha i posters dei suoi musicisti preferiti in camera, e cammina nella notte solitaria, in cerca di vittime, in cerca di contatto umano.


Non c'è, se non nei veli e in altri particolari, un elemento di riconoscibilità che ci possa portare a dire: eh, ma va come vivono di merda sti iraniani. in quanto il nostro tempo è una sola variazione di unico modello distorto applicato a diverse realtà. Come saggiamente scrive Franco Cardini, in un suo bellissimo libro sull'islam e i luoghi comuni di cui è vittima recentamente.
Opera meticcia, certamente, questa. Tra occidente e Persia, il tutto è ben omologato e messo su pellicola. Suggestivo il bianco e nero che marca ancora di più lo squallore, grigiore delle vite dei protagonisti, ma dona anche momenti di profonda e tenerissima malinconia.
L'amore può nascere anche in posti dove par si possa solo drogarsi, prostituirsi, rubare, ammazzare? si, può. Questa è la risposta.
Perché "A girl..." è un horror, per via della presenza della vampira protagonista, ma è anche una bellissima storia d'amore. Tra lei, creatura della notte, e un ragazzo del luogo. Vittime entrambe della solitudine, esclusione sociale, abbandono. Intorno: un volgare spacciatore di droga, una prostituta ormai senza sogni e che mette via i soldi per un viaggio all'estero che non farà mai, un padre schiavo della droga, e un bambino che terrorizzato guarda la vita intorno a sé. E sopratutto lei: una vampira che cerca in qualche modo un contatto umano, forse una sorta di giustiziera che vorrebbe colpire i " cattivi", ma non si nota molto la differenza fra un esser spregevole e uno imbruttito dalla vita. Gente che vivacchia, prede perfette.
In questo contesto, in questo territorio di caccia desolato, arriva l'amore. Che stupisce, sorprende. Un piccolo grande amore che non esplode in un tripudio di sax in sottofondo e vestiti che volano, strappati, dopo un solo incontro. Per fortuna non siamo in un film americano, potremmo dire: diciamolo! Che non fa mai male.
Qui invece esso si manifesta in piccoli gesti impacciati, pudici, ma allo stesso tempo carichi di significato e profondità.
Perché l'amore è un fatto che supera identità sessuale, colore della pelle, idee politiche, figurati se non possa sbocciare tra una vampira e un essere umano. Direi: ma perché no?

Opera, dunque, che alla bellezza assoluta della parte tecnica coniuga anche un'anima dolente, malinconica, ma votata a una piccola speranza. Film che sceglie la contaminazione di generi e mondi, con l'intento di narrarci la possibilità di un cambiamento. Da vedere, insieme all'ottimo " a dragon arrives". Segno che in Iran, con diversi metodi di produzione e intenti, sia possibile maneggiare il genere, meglio che in un paese di nostalgici degli anni 70 e dei suoi prodotti - quasi sempre- di mera imitazione. Godiamoci codeste perle!