martedì 29 ottobre 2019

TUTTO IL MIO FOLLE AMORE di GABRIELE SALVATORES

Sono un uomo (e uno spettatore) sentimentale. Mi piacciono le storie che parlano d'amore,  di amicizia, di famiglie. Mi commuove vedere sullo schermo delle persone che non sono risolte ed hanno difficoltà a vivere normalmente, che cercano di cambiare, prendersi cura di sé e degli altri, perché le cose non possono andare sempre male.
Ho perso ore e ore delle mie giornata estive, quando durante le vacanze stavo a casa da solo, a guardare le coppie al ristorante, o in giro per il centro, in particolare quelle anziane, aspirando a poter vivere anche io un giorno un rapporto così semplice e profondo, come quelli che vivono migliaia di persone.
Certo è vero che l'amore non ferma le guerre, non risolve il problema della fame nel mondo, ma ci rende più coraggiosi, ci costringe a non giustificare i nostri errori e debolezze, al contrario ci sprona a rivedere le nostre scelte, anzi ci spinge proprio a scegliere.
Grazie ad esso comprendiamo di poter farcela, almeno abbiamo tentato. Ovviamente non è solo questo,  credo che aver la presunzione di spiegarlo, catalogarlo, riempirlo di regole, sia una delle classiche devianze mentali tipiche dei nostri tempi.
Dobbiamo controllare ogni cosa, darci da fare con ogni mezzo per trovare la felicità, far sapere a tutti che siamo persone soddisfatte perché abbiamo una vita piena di sballi,  sesso occasionale,  contro ogni regola, come se vivessimo in un'adolescenza eterna e senza scampo. Desideri e modi di esprimerli sono pressoché gli stessi.  L'amore ha a che fare con la crescita,  la responsabilità, la condivisione, è un passo nel buio verso un'altra persona che ci sta aspettando, ma di cui forse conosciamo solo l'idea che ci siamo fatti su di lui o lei.
Capisci quanto impegno ci si debba mettere per amare qualcuno? Non parlo solo di una relazione amorosa tra un uomo e una donna, ma anche quella- forse la più difficile e complicata- tra genitori e figli.
Cosa ci rende un buon padre? Cosa ci prende quando scopriamo che abbiamo dato vita a un altro essere umano, nato da noi, ma così diverso?  Mi piace citare spesso Alice Miller perché sono convinto che spesso l'idea che la società impone di buon genitore sia del tutto mendace e fallace.
Nei suoi libri,  la psicanalista svizzera,  mette sempre in allarme circa la pedagogia nera, cioè quel modo di educare il bambino attraverso punizioni, educazione, regole imposte, che è alla base di molti disastri invisibili. Sì, quelli in cui a un certo punto uno si chiede dove avrà mai sbagliato? Quelli che il ceffone è per il tuo bene ( mi rattrista notare quanti siano di questa idea così cretina) o che il figlio e la figlia debbano crescere come i genitori hanno pianificato, spesso vuol dire ottimi voti, buon lavoro, una famiglia solida con poco amore ma tanta roba da metter in evidenza.
Ci vuole poco per combinare disastri, ma altrettanto ce ne vuole per far del bene. La risposta è banale, a noi non piace perché siamo talmente liberi e moderni da non aver nulla da ridire sui tempi carichi di odio e malessere che viviamo, ma per favore... non si dia mai importanza o peso all'amore! Sono smancerie per buonisti.
Invece alla base di qualsiasi buon rapporto c'è l'affetto e l'amore. Vuoi da parte dei testimoni soccorrevoli o consapevoli, come li chiamava Alice Miller,  tuttavia basta davvero poco per capire come le cose vadano meglio quando non ti vergogni di amare e di dare/ricevere affetto. Il resto segue a ruota.
Io per anni ho vissuto difendendomi dall'amore, respingendo ogni tipo di contatto fisico o spirituale.  una profonda disistima? Probabile. Fatto sta che ho sempre vissuto una dinamica contraddittoria tra la mia vita in un mondo tutto mio ( fatto da canzoni d'amore e tanto musical dove vivevo intensamente ogni sentimento o relazione) e quello con cui mi scontravo/vivevo nella realtà.
Sono una persona che di fronte alle cose che ama si blocca. Fisicamente e moralmente.  Amo cantare, ma uso la scusa che sono stonato per non cantare, mi piace ballare, ma mi dico sembro uno scemo e sto fermo, mi piace scrivere, ma mi dico faccio troppi errori di grammatica e mollo tutto.  Vorrei esprimere con abbracci e baci il mio affetto e vicinanza agli altri, ma mi blocco perché non so mai come e cosa devo fare, e non amo essere toccato, a volte ho come l'impressione che mi vogliano fare del male.
Tutto questo lo sto superando grazie all'amore che mia moglie mi dona ogni giorno. Ci sono stati dei passaggi chiari e forti in cui ho capito che le cose sono tutte molto più semplici.
Pensa, questo anno mi sono esibito al Karaoke, cantando la mia canzone preferita " Don't Stop believin'" dei Journey. Certo, ho stonato e sono stato decisamente ridicolo, ma ero vivo e felicissimo.
Per una volta l'uomo pieno di folle amore per gli altri, la vita,  che vede la bellezza e bontà intorno a lui, era libero. Senza vergogna.
Se avessi un figlio, vorrei solo insegnarli questo: ama ogni cosa che ti dà gioia e donala agli altri.
Come ci insegna questo meraviglioso film, tutti siamo in grado di dar amore, riceverlo, come per ciascuno di noi è possibile dar il meglio di sé a qualcun altro, migliorarsi.
Salvatores con questo film torna a certi suoi lavori dove il viaggio, la fuga, sono elementi fondamentali, non tanto per la meta quanto per il percorso di crescita che ogni personaggio alla fine ha fatto.  C' era uno sguardo divertito e partecipe in quelle opere, che mi commuoveva e divertiva.  Da ragazzo mi vedevo Marracheck Express o Turnè,  una volta ogni mese. Erano film che mi mettevano in pace col mondo.  In fin dei conti, nel mio Es, ho sempre amato i registi che hanno cura, rispetto, empatia per i loro personaggi. Quelli che non giocano a fare Dio in preda alla rivalsa e al rancore per una vita piena di sofferenze, ma che al contrario stanno nei loro film come uomini tra uomini.  Per questo amo follemente il cinema di Virzì,Archibugi, e tutti quelli che vengono condannati per eccesso di umanità.
In questa nuova pellicola torna il tema del viaggio come riscoperta di sé e dell'altro, come modo per prendersi le proprie responsabilità di padre e ritrovare la serenità, uno scopo, la voglia di amare un figlio troppo complicato come una madre può fare.C'è la voglia di dar a ciascuno dei personaggi la propria importanza, la propria musica e canzone che segna il loro destino ( la scelta che sembra casuale di accompagnare il viaggio di Mario ed Elena usando le note della magnifica  Diamonds on the inside di Ben Harper si rivela come un modo per farci capire quella che è la natura del personaggio della Golino e cosa le succederà nel finale. Cosa significhi vivere con i diamanti dentro e non rendersene conto) si riflette su cosa significhi essere padre e lo fa mettendo in scena due personaggi maschili straordinari e recitati benissimo da Claudio Santamaria e un memorabile, commovente, immenso Diego Abantantuono.  Il personaggio dell'attore milanese mi ha toccato e commosso perché è un uomo che sceglie di vivere una vita con una donna non risolta, ferita per l'abbandono di un uomo che ha amato troppo intensamente e brevemente per poter capire quel sentimento, e prendersi cura di lei e del figlio che ha problemi psichici, un ragazzo dolcissimo ma molto faticoso da gestire. Abantantuono trasmette benissimo allo spettatore il senso di amore pratico, quotidiano, normale, fatto di cose eccezionali, come le favole che inventa per il ragazzo, i travestimenti che fa per divertirlo e farlo sentire bene.
Mi piace che Mario non sia il rivale, il borghese ricco senza cuore, ma che sia un uomo affettuoso, forse troppo preso dal lavoro ma che non dimentica di aver una compagna e un figlio che hanno bisogno di lui.
 Allo stesso modo il padre cantante e girovago, non ci viene mostrato come un uomo spregevole che non ha una sua etica e vive a cazzo di cane giorno dopo giorno, una vita misera e bassa.  Certo è una persona con problemi,  forse non ti affidi a lui per superare i problemi grossi, ma a modo suo è un uomo che cerca di aiutare il figlio, che intavola con lui un lungo discorso di amore paterno, uno dei  più belli mai visti sullo schermo. Sicuramente quello che rammenterò più a lungo.
Infine un plauso al giovane debuttante Giulio Pranno, il suo Vincent è tenerissimo  e puro, nonostante la malattia lo renda anche pesante e difficile da sostenere. C'è un rispetto nel metter in scena questo personaggio così complesso da gestire, perché facile scadere nella macchietta e nel ridicolo.
Certo stiamo vedendo un film e come tale cerca la commozione e partecipazione del pubblico ma si concede il giusto equilibrio, la giusta distanza tra la scena che cattura l'attenzione dello spettatore e una riflessione più sottile, fatta passare con l'aiuto della musica spesso.
Ecco, per me i film riusciti sono quelli in cui la musica è protagonista, accompagna le scelte dei personaggi, li descrive, perché nulla mi commuove e colpisce come una bella canzone d'amore e non solo. In questa pellicola un ruolo fondamentale c'è l'ha la stupenda Vincent ( starry starry night) di Don Mclean, dedicata a Van Gogh. Eccola
La canzone è presente nel film perché il ragazzo si chiama Vincent, in quanto questo brano era la canzone preferita del suo babbo biologico e di sua madre, ma è anche la rappresentazione in musica di quello che è il giovane, una persona con grossi problemi e che non riesce a comunicare i sentimenti e le cose che prova agli altri.
Questo uso delle canzoni, delle musiche è una marcia in più per questo meraviglioso film.
Salvatores è un regista coraggioso e che azzarda, spesso prendendo spunto dai colleghi o da generi che hanno un certo seguito. Ha diretto opere come Nirvana così uniche e folli, che me lo rendono sempre molto simpatico e da seguire, anche quando fa film più brutti e non riusciti c'è sempre una scena, un personaggio, qualcosa che val la pena rammentare.
In conclusione, vi chiedo di vedere questo film ed amare i personaggi,  per chi volesse conoscere la fonte da cui è tratto questa ottima opera cinematografica vi  lascio un link .http://www.marcosymarcos.com/libri/se-ti-abbraccio-non-aver-paura/

lunedì 28 ottobre 2019

DOWNTON ABBEY- IL FILM di Micheal Engler

La passione che provo per Downton Abbey è la stessa alla radice di un'altra serie inglese: The Crown.  Credo che i britannici abbiano un ottimo gusto per la rappresentazione del mito e delle vicende della nobiltà e della upper class. Certo il romanzo vittoriano è un ottimo aiuto per raccontare storie di aristocratici e dell'alta borghesia, spesso alle presi con problemi sentimentali (d'altronde mica hanno il problema del lavoro o dello stipendio).
La regia del film è affidato a  Micheal Engler, regista teatrale e televisiso, alla seconda prova cinematografica sempre in collaborazione con Julien Fellowes, vincitore del premio Oscar per la sceneggiatura di Gosford Park e autore della serie tv da cui è tratto il film di cui vi sto scrivendo.

Il film è un vero e proprio sequel che riprende laddove la serie si concludeva.  Ci troviamo sul finire degli anni 20, specificatamente il 1927, la crisi economica e la seconda guerra mondiale son ancor da venire. 
Il motore della vicenda alla base di questa nuova storia è la visita del Re con la Regina, in casa di Robert Crawley conte di Grantham. Questo fatto porterà scompiglio tra la servitù e i nobili, non mancheranno un tentativo di attentato alla vita del Re e le manovre macchinose di Cugina Violet per far ottenere al figlio delle terre da una sua cugina vedova, con la quale - stranamente visto il carattere piacevolissimo della madre di Robert-  è in cattivissimi rapporti.
Una storia semplice, scritta molto bene e con una regia attenta a riprendere la grandiosità degli eventi e la bellezza dei costumi. D'altronde in quel contesto la forma e sopratutto l'apparenza, sono la sostanza.
Fellowes oltre che attore, scrittore, regista e sceneggiatore, dal 2011 fa anche parte del parlamento inglese,  è un conservatore.  Questo dato è importante perché sia la serie che il film, in modo più pronunciato e profondo, sposano tutte le tesi dell'ideologia liberal-conservatrice, portate avanti dal personaggio di Tom Branson, l'ex autista diventato genero del Conte avendone sposato la figlia ribelle. Egli è un irlandese che però condanna la lotta del suo popolo con la scusa della violenza e si fa portavoce di un compromesso storico che al confronto quello paventato da Pci e Dc è roba rivoluzionaria.
D'altronde ammettere lo scempio, l'orrore, portato dal Regno Britannico in Irlanda o nel mondo, attraverso il suo imperialismo, è roba che esula dal pensiero conservatore.
Tuttavia su certi temi sia la serie che il film sono molto progressisti e sopratutto ben radicati nei tempi che viviamo. Infatti, sfruttando un tempo lontano, si parla di argomenti molto sentiti di questi tempi come i diritti dei gay e la libertà delle donne.
Temi trasversali e importanti, gestiti molto bene in fase di sceneggiatura e regia.
 
In ogni caso, al di là delle mie fisse da bolscevico convinto, questo film è davvero molto valido per via dei personaggi sempre ben descritti, anche se appaiono per pochi minuti, rispetto a quanto tempo era dato a loro  disposizione  durante la serie,  Felloews è sopratutto ottimo nel scrivere i dialoghi, quelli che dona a Cugina Violet sono davvero memorabili tanto quanto il personaggio recitato splendidamente da Maggie Smith.
Dopo tutto uno che ha scritto film e serie legate principalmente alla vita delle famiglie aristocratiche, conosce molto bene l'argomento che tratta, e come ogni ottimo scrittore non soltanto lo fa rappresentare benissimo sullo schermo attraverso costumi e scenografie d'epoca, ma riesce a far vivere lo spettatore in quel contesto sociale e politico, così lontano nel tempo.
Ci si affezione a queste persone,  ci commuovono i loro drammi, ci divertono le schermaglie amorose.  Riflettiamo sul tipo di vita che conducevano i nobili di campagna e la loro servitù, rimaniamo affascinati dallo scorrere del tempo ben descritto attraverso un senso di perdita, di estinzione e scomparsa molto malinconico e soffuso.  Il senso profondo, sia della serie che del film, è il desiderio di continuare con certe tradizioni e ruoli ben definiti ma che non possiamo opporci allo scorrere impetuoso della storia e del tempo.
Per concludere, Downton Abbey non è un film fatto come regalo ai fans, un po' in fretta e di furia, ma un'opera pensata e realizzata con cura e attenzione, in cui l'amore per i fans è tangibile, però c'è un progetto di ampia portata e solidità.  Un grande racconto britannico che prende molto dai classici della letteratura o delle cinematografia inglese e li rende più attuali grazie ad alcune tematiche legate ai diritti civili.
Qui potete trovare un mio articolo più lungo e complesso dedicato alla serie tv

VIVERE di FRANCESCA ARCHIBUGI

Un titolo impegnativo da dare a un film, che carica di grandi aspettative filosofiche il pubblico, insomma "Vivere", non pub che narrarci una storia con personaggi memorabili, straordinari, in un contesto storico e sociale pieno di eventi, che ne so... Una rivoluzione, ad esempio.
Un po' come l'ottimo Zhang Yimou ha fatto col suo film dal titolo identico a quella della regista italiana.
Invece non c'è nulla di tutto questo, tranne  la vita. Sì, scritta con la esse minuscola perché questi personaggi non meritano certo due righe sul giornale, nemmeno quello locale che pubblica ogni scemenza capitata in paese.
I protagonisti di questo film sono invisibili, mediocri, non c'è eroismo in nessuno di loro. Semplicemente sono esseri umani come molti di noi. Un tempo avevano progetti, obiettivi, forse sentivano una musica particolare quando si vedevano e toccavano, prima di tornare nelle rispettive case; forse avevano una grande fede in Dio o nel domani. Forse non hanno mai vissuto veramente troppo impegnati  ad esercitare potere e possessione sui figli come sul paese, e ora?
Bè, lottano con sempre più stanchezza contro le bollette da pagare, i debiti, i lavori stressanti e mal stipendiati, incapaci di gestire i figli perché mai cresciuti davvero.
Questa è la società occidentale, questi siamo noi.
Non abbiamo i soldi ma vogliamo un pezzo di benessere, siamo convinti di essere gli unici a soffrire, ad aver problemi di coppia, a far fatica ad occuparci degli impegni e a portarli a termine. Vogliamo essere capiti e ascoltati, ma non ascoltiamo niente altro che l'ego del nostro dolore.
Il film narra di questo: di come non siamo in grado di comprendere la vita che viviamo perché dobbiamo farci male o far male, così tanto a cuor leggero.
Al centro c'è una coppia con due figli, un giovane adolescente e una bimba affetta da asma (come me alla sua età) che fa fatica ad arrivare alla fine del mese.  Lei è un'insegnante di ballo, lui un giornalista free lance, ma le loro occupazioni non hanno nessun valore né sociale né economico, né alla base hanno un progetto inseguito o ancora da realizzare. Come facciamo tutti in questa epoca senza coscienza di classe, si lavora per due soldi da metter da parte e pagare le bollette e le rotture di coglioni.  Per fortuna la generazione impicciona dei nostri genitori si sta estinguendo, così rimarremo noi a comprenderci a non dar peso alle leggende del lavoro che ti dà una importanza sociale e ti rappresenta. Siamo una generazione che può farsi rappresentare da una vecchia sigla di cartoni animati, non certo dal lavoro.
Comunque, come capita a molti, pensano di essere in crisi. Che faranno secondo voi? Ci si mette a discutere, anche al costo di dire : " Non ce la posso fare. Sono troppo debole, so che fai tutto te, ma aiutami." No. Non si parlano, se non per litigate insignificanti.
E che succede a persone prive di intelligenze e fantasia? Si tradiscono. Lui, un poveraccio lamentoso e infantile, trova conforto nel far sesso con la ragazza alla pari che ospitano in casa (una giovane irlandese, devota e cattolica ma che farà scelte di rara cretineria)
Lei pensa di aver trovato nel saggio e protettivo pediatra della bimba, l'uomo che la può sostenere, fino a quando realizza che cavolo sta combinando.
La cosa che balza agli occhi è come sia facile far male agli altri e rimanere prigionieri nei propri problemi.  Tanto da arrivare a non capire come in realtà stiamo buttando via anche le cose belle, le piccole soddisfazioni, il vivere che non  è mai un gesto isolato,  ma lo scontro e la condivisione di ogni nostro gesto con le persone che ci circondano. E mentre ci lamentiamo,  tormentiamo, non ci accorgiamo di quanto in realtà stiamo meglio rispetto al vicino di casa che riteniamo tanto felice e arrivato, o che al contrario un uomo disprezzato e disprezzabile, in un altro contesto dimostra tenerezza e ha parole di rara bontà per il figliolo.
Francesca Archibugi gira un buon film che racconta con partecipazione le travagliate esistenze di persone normali, senza particolari doti ma capaci di cambiamenti,  cadute e risalite. Viene aiutata da un buon cast che vede in Micaela Ramazzotti,  Adriano Giannini, Massimo Ghini e la giovane Roisin O' Donovan, i suoi punti di forza. Menzione particolare per Marcello Fonte, nel ruolo del vicino di casa a cui è affidato un finale  che punta su un senso di ambiguità, pericolo, qualcosa che non quadra, conclusione particolare per un film della regista romana.

venerdì 25 ottobre 2019

IL NUOVO UMANESIMO PASSA DALLE SERIE TV?

Qui di seguito metto il link a un mio articolo, che attraverso l'analisi di tre serie tv affronta il tema di un timido, ma risoluto, ritorno a una riflessione  su quanto sia fondamentale la relazione con gli altri. Partendo da dinamiche di coppia e famigliari per espandersi a tutti i settori. Sono prodotti che ci ricordano come altruismo, gentilezza, generosità, empatia, compassione, pietà - nel senso di provar tenerezza per l'altro- siano cose molto umane. Tentativi di rivedere un certo cinismo imperante e di mediocre fattura,  di uscire dall'idea che siamo isole e altre scemenze.
Mi auguro vi possa piacere, per carità farò solo dei piccoli riti voodoo contro chi ha da ridire ( scherzo)  buona lettura e fatemi sapere
Ciao.

https://www.ilbecco.it/ripensare-i-rapporti-umani-a-partire-da-alcune-serie-tv/?fbclid=IwAR07rCmP3UnJhrr5CMp4yzYmTPltu_GgxvVaZbEkPsxvWNydyDk0UO2VGSY


martedì 15 ottobre 2019

CRAZY EX GIRLFRIEND- 4 STAGIONI.

Spesso ci lamentiamo che nei social media si parli troppo di un certo avvenimento politico, di un libro, di un film. Centinaia di parole che potevamo gestire per parlar o scrivere su qualcosa che per noi vale la pena, vengono sacrificate sull'altare di una delle polemiche più stupide di tutta la stupida storia del genere umano.
Credi che non si parli dello Yemen, scrivi su di esso. C'è un film che per te merita più attenzione rispetto a Joker? Fai la tua recensione.
Ora, per esempio, questo post che sto scrivendo interesserà solo me. Ogni volta che pubblico un post su questa magnifica serie tv, praticamente nessuno commenta o mette un like. A parte, credo, mio padre. Ma lui soffre di likeismo compulsivo, per cui...
Mi piace talmente tanto questa serie da scriverne due parole qui, come sempre mischiando privato e oggetto della recensione,  in un mio articolo disponibile sulla rivista online Il Becco ( per venerdì prossimo in cui analizzo Crazy Ex-Girlfriend con alcune serie tv che danno spazio alle relazioni interpersonali e un punto di vista carico di tenerezza nei confronti dei personaggi) finendo con l'idea di creare un blog dedicato proprio alle avventure di Rebecca Bunch. Una misto tra un saggio e il classico diario pubblico, commentando puntata per puntata e filtrandolo con la mia vita, libri, film, non so che forma prenderà, ma ci lavorerà sicuramente.
Tutte queste cose, so già da ora, non interesseranno quasi nessuno. Ma per me è una gioia profonda parlarne e mi piace molto sia leggermi che ascoltarmi, per cui credo che il mio ego non avrà da lamentarsi ( come fa spesso e volentieri)
La serie parla delle rocambolesche e comiche avventure di Rebecca Bunch, una giovane e promettente avvocatessa di  New York, la quale non ha dimenticato Josh Chan, un suo amore adolescenziale. Un giorno, per caso, incontra l'oggetto del suo desiderio in una strada della Grande Mela, il giovane uomo l'informa che lascia la città per tornare nella sua città natale: West Covina, California.
Rebecca vede in questo incontro il segno inequivocabile che il destino vuole che torni insieme a Josh, sopratutto che potrà esser felice solo se lo avrà tutto per sé. Da qui l'idea di lasciare un prestigiosissimo studio legale newyorkese, dove sarebbe divenuta ben presto socia, per lavorare in uno più piccolo e scalcinato, ma che si trova a West Covina,
Questo è l'inizio del primo episodio e per tutta la prima stagione assisteremo ai tentativi goffi e disastrosi di Rebecca di riprendersi il suo amato, che nel frattempo si è sistemato con Valencia, un' insegnante di Yoga, dal carattere non proprio facile e simpatico.
In questa prima stagione facciamo conoscenza con i personaggi fissi che troveremo per tutta la durata di questa serie. Personaggi molto ben scritti( dalla stessa protagonista della serie, Rachel Bloom e da Aline Brosh Mckenna famosa per lo script de Il Diavolo Veste Prada) ognuno con problemi quotidiani legati all'amore, alla considerazione di se stessi, tra questi spiccano: Paula, la collega di lavoro di Rebecca che tenterà di aiutarla a conquistare Josh, Darryl, il capo dello studio legale dove la protagonista va a lavorare, un uomo dolcissimo, bisessuale, fin troppo aperto nel mostrare i sentimenti, Greg,  barista dell'unico bar del paese. Un giovane uomo sarcastico,  con problemi legati all'alcol, pochissima autostima, vivrà un'intensa avventura con Rebecca.
La serie sembra quindi una classica commedia romantica americana con la particolarità che in ogni puntata Rebecca e i suoi amici cantano una canzone significativa per quell'episodio. Quindi una commedia sentimentale mescolata con il musical. Tuttavia stagione dopo stagione gli argomenti diventano sempre più profondi e ci si distacca dalle regole di entrambi i generi.
L'ex fidanzata pazza, è pazza davvero. Rebecca ha problemi di disturbo della personalità che vengono approfonditi nella terza stagione, allontanandosi dalle due precedenti in modo netto. Se prima al centro di ogni episodio c'erano i tentativi più o meno riusciti di miss Bunch di conquistare Josh, nella terza la personalità da stalker patentata e persona con problemi anche seri diventano il vero nocciolo della questione.
Mentre con la quarta si darà spazio alla rinascita di tutti i personaggi. Ognuno di loro, pur con i propri limiti troverà l'amore e la soddisfazione della propria vita, anche la protagonista ma in un modo del tutto innovativo e inaspettato rispetto alle regole che la commedia romantica impone.
 Poter descrivere un prodotto così  stratificato nello spazio di un singolo post per me è pressoché impossibile, anche perché vivo troppe emozioni ogni volta che voglio razionalizzare il mio amore per la serie, i suoi personaggi ( Rebecca, Greg, Darryl in particolare) senza far la parte del fan o peggio ancora del fan in deliro da cosplay.
Mi rendo conto che tante energie dovrei spenderle per prodotti migliori e più seri, magari anche belli tragici, pessimisti, senza speranza. Perché questo è il mondo e il cinema, o la TV, deve raccontarci la realtà senza farci perdere in illusioni, romanticherie e buonismi.
Tuttavia ho una forte sensibilità verso i personaggi segnati dalla vita, in difficoltà,  per quelli sconfitti e perdenti, che però si sforzano sempre di migliorare, consapevoli dei loro limiti e portati a superarli. Con fatica,  ricadute totali, ma pronti a continuare.
Rebecca è una persona malata, una stalker, una donna che vive in un mondo tutto suo di fantasie amorose a cui da sfogo immaginandosi protagonista di un Musical. Un personaggio memorabile e a cui è difficile non affezionarsi, ma questo lo dico perché sotto alcuni punti di vista la comprendo assai bene e in certi altri mi rivedo.
Esatto, amo questa serie perché mi rivedo un po' in Rebecca- perdersi nei pensieri in un mondo tutto nostro e l'amore per il Musical- e un po' in Greg- innamorarsi di una donna sbagliata, prima che incontrassi la mia amatissima moglie, era un obbligo morale per me, altro elemento che abbiamo in comune la svogliatezza e il sarcasmo.
Aggiungo anche che per capirmi e spiegare al mondo chi sono, ho dovuto sempre far riferimento al cinema o ad altri mezzi artistici di comunicazione.
Da bambino mi rivedevo in Charlie Brown e Lucy, poi da adolescente in Michele Apicella e Don Giulio, protagonisti rispettivamente di Bianca e La messa è finita di Nanni Moretti.
Forse perché anche io ho sempre fatto fatica ad amarmi, accettarmi, avere una buona considerazione di me, e cercavo nell'approvazione degli altri l'amore che sentivo mancarmi, ecco, forse per questo ammiro moltissimo Rebecca Bunch.
Entrambi crediamo nel potere del sogno, dell'arte musicale, abbiamo momenti non richiesti di inarrestabile felicità e a botta fredda ci auto commiseriamo.
Questo mio attaccamento al personaggio principale, e a molti altri, è alla base della mia passione per Crazy Ex- Girlfriend, mi rendo conto che finora a quasi tutti quelli a cui ne ho parlato (in toni entusiastici e psicotici degni di nota) è piaciuta a una piccola parte di essi.
Tuttavia se volete vedere una serie che cresce di stagione in stagione, che ha il coraggio anche di scelte spiazzanti pur restando nel genere comedy e che sopratutto è scritta per ridere con i personaggi e non di essi, quindi anche con una buona dose di empatia e compassione, insisto nel consigliarla.
Su Youtube ci sono tutte le canzoni dell'intera serie, vi consiglio di ascoltarle, perché tanto destabilizza il genere romantico, ma con rispetto per le regole, tanto si prende gioco del Musical, sempre senza una reale cattiveria nei confronti del più bel genere di sempre, attraverso meravigliosi numeri musicali e testi sboccati e divertentissimi.

lunedì 7 ottobre 2019

Joker di Todd Philips

Da un paio di anni c'è stato un cambiamento di rotta nel far cinema da parte di alcuni registi di commedie, spesso demenziali e con tendenze a una volgarità tanto libertaria quanto infantile, non possiamo definirlo movimento o svolta epocale,  perché riguarda principalmente due o tre registi (ma di Jay Roach dopo l'ottimo film su Trumbo ho perso le tracce per cui non so nemmeno se valga la pena citarlo insieme agli altri due, voi comunque rivedetelo Trumbo che è bello assai) rimane il fatto che l'idea di regista di genere o di commedie, non è un marchio d'infamia  e che partendo da quel tipo di linguaggio, di esperienze si possa poi approdare in un ambito più politico, radicale, di contaminazione di linguaggi e generi.  Penso ai film di Adam Mackay sulla crisi del 2008 o Chenney, penso a quel bellissimo film , che in pochi hanno visto e considerato dal titolo di " Trafficanti", diretto da Todd Phlips. Opera irriverente, dissacrante, tanto grottesca e comica quanto amarissima e pessimista, sulle vicende di due idioti americani che fanno i soldi vendendo armi.
"Trafficanti" rimane una commedia, per i ritmi, i tempi, la costruzione di situazioni e personaggi, ma lascia intendere che questo genere ha un potenziale enorme se ben utilizzato.

Questo prologo serve per spiegare che Philips stava cercando di maturare una visione dei suoi prodotti in cui la commedia non serve più a far ridere e a renderci spensierati, ma è un mezzo che è servito da prima a veicolare un messaggio sull'arrivismo economico americano e i suoi danni, parlo di Trafficanti, e ora è un'illusione salvifica, una debole speranza, per salvarci dalla violenza costituita come regime contro le masse.
Joker potrebbe essere la pietra tombale sulla commedia americana, ad alcuni questa cosa garberebbe assai, nel senso che la risata non è più liberatoria o libertaria. La leggerezza e l'intrattenimento gentile delle battute non può nemmeno illuderci di poter sollevare il nostro morale. 
Ridere non è più un elemento che ci unisce in una sorta di salvifica gioia collettiva, ma è il grido straziante di dolore di un uomo solo, malato, abbandonato.
Il film par dire che in questo mondo  vittima di pochissimi e spietati imbecilli che usano il potere politico con lo stesso spregio per le regole con cui il sistema economico domina le vite delle masse sempre più amorfe e anonime)  l'unica cosa che ci rimane è una follia latente, feroce, pronta ad esplodere per far tabula rasa di ogni cosa.  Vorrei dire agli sceneggiatori che non siamo nel Medioevo dove le masse sapevano che dovevano incendiare il castello del nobile e non la capanna del vicino,  però a ben vedere la folla che dietro una maschera da clown  invade le strade, non ha slogan politici e obiettivi chiari. Essa è pura e totale rabbia individuale, senza causa, che si accompagna a quelli di altri uniti dal fatto di sentirsi dei pagliacci, buffoni, costretti dal direttore del circo a esibirsi nello spettacolo delle loro vite vuote e disperate.
Questa scelta è una rielaborazione moderna del cinema anni 70.
Philps omaggia il cinema della Warner degli anni 70, dedica la sua opera all'immaginario scorsesiano e cita alcuni capolavori del grande regista italo americano. Tuttavia credo che Taxi Driver non sia il vero metro di paragone, seppure è presente nella pellicola il fantasma di Travis.  In Taxi Driver c'era un uomo che tornava a casa a pezzi dopo la guerra. Un evento estraneo alla sua vita e alla sua Nazione, non tanto una malattia psicologica dovuta a una madre folle e continui maltrattamenti.  Travis ha un lavoro "sicuro" che viene giudicato tale dalla società, fa parte di un gruppo di persone ben definite, visibili. Arthur e i suoi colleghi sono l'immagine dei nuovi lavoratori. Non tanto diversi dai promoter nei centri commerciali, sono invisibili, derisi,  senza diritti sindacali o appartenenza a un settore preciso del mondo del lavoro. Travisi vive in una società che sta precipitando a folle velocità verso la follia, Arhtur e quelli come lui, raccolgono i detriti di una guerra persa. Ci sono dei vincitori, i ricchi, quelli che manovrano l'economia, e poi delle bestie impazzite e impotenti, in attesa di assaggiare il sangue, ma per il momento ammaestrate e addestrate a soffrire. In silenzio, in modo anonimo, soli.
Travis cerca in qualche modo il contatto con gli altri, in un qualche modo la sua figura finale è quello di un angelo della vendetta. C'è una sorta di giustizia divina proletaria che colpisce il male nella e della società, anche se in un contesto di totale alienazione.  Arthur non sa che pensare e badare a se stesso, le sue illusioni di riscatto sono debolissime, non può far altro che ridere dei sentimenti, delle aspirazioni che ha.
Certo i personaggi hanno in comune la paranoia, la violenza che esplode e diventa un mezzo per riprendersi la vita e il ruolo nella società, ma sono profondamente diversi perché i contesti in cui si muovono sono lontani l'uno dall'altro.  Si uniscono solo nel gioco sempre più normalizzato e standardizzato della continua citazione per cinefili.
Invece trovo sia più pertinente il paragone con" Re per una notte" con il comico famoso e di successo che è l'ossessione di un fallito che si reputa divertente.  Mi par che l'idea dello spettacolo come ancora di salvezza e riscatto delle vite mediocri e dolorose dei perdenti, perché nel show appari e sei amato,  sia molto simile tra le due pellicole, però anche in questo caso gli autori operano una scelta che parte dall'omaggio a quel cinema per portarla direttamente ai giorni nostri.  Rupert in fin dei conti tentava di costruirsi un personaggio, aveva un canovaccio comico da cui prender spunto,  Arthur non è un comico nemmeno dilettante, è uno che vorrebbe far quel mestiere. Crede di far ridere ma non ha uno straccio di copione, se non gli appunti disordinati sul suo quaderno che però non hanno a che fare con battute o spunti ironici. Sul palco oltre che ridere follemente, racconta la sua vita, il suo dolore.
Non è più tempo di trasformare il malessere in comicità, ma di sprofondare in esso.
Non lotta per "ripulire la società", non vuol diventare davvero un comico di successo, vive in un mondo ormai giunto al capolinea. In cui le contraddizioni, le dinamiche sociali e politiche non influiscono più di tanto sulle scelte egoistiche del capitalismo, anche quello che si spaccia amichevole e green.
Per cui non rimane che la violenza per la violenza, veder bruciare la città, ascoltare il melodico e straordinario canto che sono le suppliche di un vile impiegato di Wall Streete, scena potentissima e meravigliosa che mette a nudo la pochezza e codardia della classe dominante, rimane il fuoco e la ripetizione infinita di una maschera, quella del clown, che dovrebbe esser di sollievo ma in realtà è solo il ritratto più vicino a un povero diavolo, che però non ci fa pena. Perché è respingente, non vuole essere aiutato in verità.
Alcuni si lamentano del semplicismo del messaggio, come se la loro amata Greta dicesse cose complicate o profonde, altri- quelli che hanno prenotato un posto in prima fila nella spazzatura della storia- si lamentano per la solita accusa al capitale, altri parlano di questo film come se fosse un'opera sperimentale, poi ci sono quelli che sono entrati in fissa con Taxi Driver o altre cose.
Io ho apprezzato molto questo film perché rimane comunque un film di genere. Non è la rielaborazione di un Autore, non siamo di fronte a un'opera epocale e d'avanguardia, ma a quel magnifico, meraviglioso, film  artigianale fatto davvero bene.
Non è originale affatto, e allora? Dopotutto mi meraviglia che la spocchia dei cinefili dell'era di internet abbia impedito a costoro di vedere quanto questo film sia debitore con l'idea di cinecomic che ha avuto Nolan ai tempi dei suoi Batman. Tuttavia è un buonissimo prodotto che unisce intrattenimento e discorsi semplificati, certo, ma non avulsi o estranei al contesto storico in cui viviamo. Come Greta parla ai ragazzini, questo film parla a quelle fasce di spettatori che non fanno politica, non fanno quasi nulla ma  si sentono ingabbiati e non capiti dal mondo.
Joker è il simbolo della nostra rabbia distruttrice soffocata dietro una risata che non seppellisce nessuno, ma libera il male che cova in noi. Temo che non basteranno un Cliff Booth e Brandy a fermarlo.,
Perché se Tarantino sogna un mondo possibile grazie al cinema, Joker lo nega e rigetta.
Per essere un film legato al genere è più radicale e pessimista di molte opere decisamente migliori e più profonde.
Per finire Joacquin Phoenix, memorabile e straordinario.

In fine un omaggio al grande Ginger Baker e ai Cream che con la loro White Room fanno da sottofondo alla rivolta finale.