martedì 29 ottobre 2019

TUTTO IL MIO FOLLE AMORE di GABRIELE SALVATORES

Sono un uomo (e uno spettatore) sentimentale. Mi piacciono le storie che parlano d'amore,  di amicizia, di famiglie. Mi commuove vedere sullo schermo delle persone che non sono risolte ed hanno difficoltà a vivere normalmente, che cercano di cambiare, prendersi cura di sé e degli altri, perché le cose non possono andare sempre male.
Ho perso ore e ore delle mie giornata estive, quando durante le vacanze stavo a casa da solo, a guardare le coppie al ristorante, o in giro per il centro, in particolare quelle anziane, aspirando a poter vivere anche io un giorno un rapporto così semplice e profondo, come quelli che vivono migliaia di persone.
Certo è vero che l'amore non ferma le guerre, non risolve il problema della fame nel mondo, ma ci rende più coraggiosi, ci costringe a non giustificare i nostri errori e debolezze, al contrario ci sprona a rivedere le nostre scelte, anzi ci spinge proprio a scegliere.
Grazie ad esso comprendiamo di poter farcela, almeno abbiamo tentato. Ovviamente non è solo questo,  credo che aver la presunzione di spiegarlo, catalogarlo, riempirlo di regole, sia una delle classiche devianze mentali tipiche dei nostri tempi.
Dobbiamo controllare ogni cosa, darci da fare con ogni mezzo per trovare la felicità, far sapere a tutti che siamo persone soddisfatte perché abbiamo una vita piena di sballi,  sesso occasionale,  contro ogni regola, come se vivessimo in un'adolescenza eterna e senza scampo. Desideri e modi di esprimerli sono pressoché gli stessi.  L'amore ha a che fare con la crescita,  la responsabilità, la condivisione, è un passo nel buio verso un'altra persona che ci sta aspettando, ma di cui forse conosciamo solo l'idea che ci siamo fatti su di lui o lei.
Capisci quanto impegno ci si debba mettere per amare qualcuno? Non parlo solo di una relazione amorosa tra un uomo e una donna, ma anche quella- forse la più difficile e complicata- tra genitori e figli.
Cosa ci rende un buon padre? Cosa ci prende quando scopriamo che abbiamo dato vita a un altro essere umano, nato da noi, ma così diverso?  Mi piace citare spesso Alice Miller perché sono convinto che spesso l'idea che la società impone di buon genitore sia del tutto mendace e fallace.
Nei suoi libri,  la psicanalista svizzera,  mette sempre in allarme circa la pedagogia nera, cioè quel modo di educare il bambino attraverso punizioni, educazione, regole imposte, che è alla base di molti disastri invisibili. Sì, quelli in cui a un certo punto uno si chiede dove avrà mai sbagliato? Quelli che il ceffone è per il tuo bene ( mi rattrista notare quanti siano di questa idea così cretina) o che il figlio e la figlia debbano crescere come i genitori hanno pianificato, spesso vuol dire ottimi voti, buon lavoro, una famiglia solida con poco amore ma tanta roba da metter in evidenza.
Ci vuole poco per combinare disastri, ma altrettanto ce ne vuole per far del bene. La risposta è banale, a noi non piace perché siamo talmente liberi e moderni da non aver nulla da ridire sui tempi carichi di odio e malessere che viviamo, ma per favore... non si dia mai importanza o peso all'amore! Sono smancerie per buonisti.
Invece alla base di qualsiasi buon rapporto c'è l'affetto e l'amore. Vuoi da parte dei testimoni soccorrevoli o consapevoli, come li chiamava Alice Miller,  tuttavia basta davvero poco per capire come le cose vadano meglio quando non ti vergogni di amare e di dare/ricevere affetto. Il resto segue a ruota.
Io per anni ho vissuto difendendomi dall'amore, respingendo ogni tipo di contatto fisico o spirituale.  una profonda disistima? Probabile. Fatto sta che ho sempre vissuto una dinamica contraddittoria tra la mia vita in un mondo tutto mio ( fatto da canzoni d'amore e tanto musical dove vivevo intensamente ogni sentimento o relazione) e quello con cui mi scontravo/vivevo nella realtà.
Sono una persona che di fronte alle cose che ama si blocca. Fisicamente e moralmente.  Amo cantare, ma uso la scusa che sono stonato per non cantare, mi piace ballare, ma mi dico sembro uno scemo e sto fermo, mi piace scrivere, ma mi dico faccio troppi errori di grammatica e mollo tutto.  Vorrei esprimere con abbracci e baci il mio affetto e vicinanza agli altri, ma mi blocco perché non so mai come e cosa devo fare, e non amo essere toccato, a volte ho come l'impressione che mi vogliano fare del male.
Tutto questo lo sto superando grazie all'amore che mia moglie mi dona ogni giorno. Ci sono stati dei passaggi chiari e forti in cui ho capito che le cose sono tutte molto più semplici.
Pensa, questo anno mi sono esibito al Karaoke, cantando la mia canzone preferita " Don't Stop believin'" dei Journey. Certo, ho stonato e sono stato decisamente ridicolo, ma ero vivo e felicissimo.
Per una volta l'uomo pieno di folle amore per gli altri, la vita,  che vede la bellezza e bontà intorno a lui, era libero. Senza vergogna.
Se avessi un figlio, vorrei solo insegnarli questo: ama ogni cosa che ti dà gioia e donala agli altri.
Come ci insegna questo meraviglioso film, tutti siamo in grado di dar amore, riceverlo, come per ciascuno di noi è possibile dar il meglio di sé a qualcun altro, migliorarsi.
Salvatores con questo film torna a certi suoi lavori dove il viaggio, la fuga, sono elementi fondamentali, non tanto per la meta quanto per il percorso di crescita che ogni personaggio alla fine ha fatto.  C' era uno sguardo divertito e partecipe in quelle opere, che mi commuoveva e divertiva.  Da ragazzo mi vedevo Marracheck Express o Turnè,  una volta ogni mese. Erano film che mi mettevano in pace col mondo.  In fin dei conti, nel mio Es, ho sempre amato i registi che hanno cura, rispetto, empatia per i loro personaggi. Quelli che non giocano a fare Dio in preda alla rivalsa e al rancore per una vita piena di sofferenze, ma che al contrario stanno nei loro film come uomini tra uomini.  Per questo amo follemente il cinema di Virzì,Archibugi, e tutti quelli che vengono condannati per eccesso di umanità.
In questa nuova pellicola torna il tema del viaggio come riscoperta di sé e dell'altro, come modo per prendersi le proprie responsabilità di padre e ritrovare la serenità, uno scopo, la voglia di amare un figlio troppo complicato come una madre può fare.C'è la voglia di dar a ciascuno dei personaggi la propria importanza, la propria musica e canzone che segna il loro destino ( la scelta che sembra casuale di accompagnare il viaggio di Mario ed Elena usando le note della magnifica  Diamonds on the inside di Ben Harper si rivela come un modo per farci capire quella che è la natura del personaggio della Golino e cosa le succederà nel finale. Cosa significhi vivere con i diamanti dentro e non rendersene conto) si riflette su cosa significhi essere padre e lo fa mettendo in scena due personaggi maschili straordinari e recitati benissimo da Claudio Santamaria e un memorabile, commovente, immenso Diego Abantantuono.  Il personaggio dell'attore milanese mi ha toccato e commosso perché è un uomo che sceglie di vivere una vita con una donna non risolta, ferita per l'abbandono di un uomo che ha amato troppo intensamente e brevemente per poter capire quel sentimento, e prendersi cura di lei e del figlio che ha problemi psichici, un ragazzo dolcissimo ma molto faticoso da gestire. Abantantuono trasmette benissimo allo spettatore il senso di amore pratico, quotidiano, normale, fatto di cose eccezionali, come le favole che inventa per il ragazzo, i travestimenti che fa per divertirlo e farlo sentire bene.
Mi piace che Mario non sia il rivale, il borghese ricco senza cuore, ma che sia un uomo affettuoso, forse troppo preso dal lavoro ma che non dimentica di aver una compagna e un figlio che hanno bisogno di lui.
 Allo stesso modo il padre cantante e girovago, non ci viene mostrato come un uomo spregevole che non ha una sua etica e vive a cazzo di cane giorno dopo giorno, una vita misera e bassa.  Certo è una persona con problemi,  forse non ti affidi a lui per superare i problemi grossi, ma a modo suo è un uomo che cerca di aiutare il figlio, che intavola con lui un lungo discorso di amore paterno, uno dei  più belli mai visti sullo schermo. Sicuramente quello che rammenterò più a lungo.
Infine un plauso al giovane debuttante Giulio Pranno, il suo Vincent è tenerissimo  e puro, nonostante la malattia lo renda anche pesante e difficile da sostenere. C'è un rispetto nel metter in scena questo personaggio così complesso da gestire, perché facile scadere nella macchietta e nel ridicolo.
Certo stiamo vedendo un film e come tale cerca la commozione e partecipazione del pubblico ma si concede il giusto equilibrio, la giusta distanza tra la scena che cattura l'attenzione dello spettatore e una riflessione più sottile, fatta passare con l'aiuto della musica spesso.
Ecco, per me i film riusciti sono quelli in cui la musica è protagonista, accompagna le scelte dei personaggi, li descrive, perché nulla mi commuove e colpisce come una bella canzone d'amore e non solo. In questa pellicola un ruolo fondamentale c'è l'ha la stupenda Vincent ( starry starry night) di Don Mclean, dedicata a Van Gogh. Eccola
La canzone è presente nel film perché il ragazzo si chiama Vincent, in quanto questo brano era la canzone preferita del suo babbo biologico e di sua madre, ma è anche la rappresentazione in musica di quello che è il giovane, una persona con grossi problemi e che non riesce a comunicare i sentimenti e le cose che prova agli altri.
Questo uso delle canzoni, delle musiche è una marcia in più per questo meraviglioso film.
Salvatores è un regista coraggioso e che azzarda, spesso prendendo spunto dai colleghi o da generi che hanno un certo seguito. Ha diretto opere come Nirvana così uniche e folli, che me lo rendono sempre molto simpatico e da seguire, anche quando fa film più brutti e non riusciti c'è sempre una scena, un personaggio, qualcosa che val la pena rammentare.
In conclusione, vi chiedo di vedere questo film ed amare i personaggi,  per chi volesse conoscere la fonte da cui è tratto questa ottima opera cinematografica vi  lascio un link .http://www.marcosymarcos.com/libri/se-ti-abbraccio-non-aver-paura/

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