lunedì 16 gennaio 2017

SILENCE di MARTIN SCORSESE

La risposta di Dio è il suo silenzio.
Potrebbe esser questa una buona riflessione da parte di uno spettatore all'uscita della visione di questo ottimo, meraviglioso, straordinario film.
Qualcuno dice il migliore di Scorsese, non lo so. Sai, è un po' come con i nuovi dischi: ogni volta l'ultimo è il migliore.  Quelle sono cazzate dette per vendere un mero prodotto, come da sempre sono i dischi di rock o pop, ma questo fatto di reputare l'ultimo film di un immenso maestro del cinema, come quanto di meglio abbia mai realizzato fin ad oggi, ecco mi par esagerato.
Parliamo di uno che ha fatto la storia del cinema e che si conferma di nuovo, non rammento film davvero orribili o sbagliati ad opera di costui,  come uno che è in grado di girare benissimo dando al pubblico emozioni ed occasioni profonde di riflettere.
Il tema della fede è importante per me. Non credo nel paradiso, pur sforzandomi dio mi pare una buona idea, una saggia  e giusta idea per mille ragioni (la morte e il dolore ci distaccano a volte dal resto della comunità, la prima in modo particolare, e per non sentirci del tutto inutili, mucchio di carne ed ossa destinati all'oblio ci siamo inventati le divinità) ma molto lontana. Nondimeno gran parte degli atei, dei laici, mi sembrano che siano fin troppo dozzinali nel criticare la fede, la chiesa, la comunità religiosa. Sopratutto non indicano una via di vita decisamente migliore, si limitano ad attacchi, giusti ma scritti con troppo adolescenziale rancore e nessuna conoscenza vera del nemico, al clero, a ribadire che non esiste nessun dio e poi si limitano a una sorta di celebrazione dell'individuo non come essere pensante, ma come mezzo di sporadici godimenti ed effimere soddisfazioni. Non  mancano moltissimi che rendono l'argomento più profondo, sono gli atei che piacciono a me, dai quali comunque imparo sempre qualcosa.
Il punto è che non siamo in grado di parlare del tema religione. Scoppia la consueta tifoseria, le solite critiche e prese di posizioni troppo urlate per essere davvero sentite.
Peccato, perché dovremmo porci la domanda, l'interrogativo, sulla sua esistenza. Io rispetto profondamente le persone che credono, come ammiro chi ha un'adesione profonda con la sua ideologia. Anche quando i fatti magari non gli siano del tutto a sostegno della loro tesi. Non amo il disfattismo cinico e pigro, di chi pensa solo a sé, criticando gli altri, ma vivendo nella più totale infelicità non avendo nulla in cui credere o per cui combattere.  Persone che si nascondono dietro a proclami, slogan, parole di rivoluzione e di fede tuonanti quando sono al sicuro, ma che scompaiono appena i tempi diventano cattivi.
In fin dei conti è quello che capita in questo film: sotto la pressione della repressione, in Giappone, alcuni preti cattolici, dei gesuiti, cominciano a veder crollare la loro fede. La certezza che vi sia un dio, e che pensi a loro, alla loro salvezza.
L'ossessione umana per una risposta, l'idea errata che io debba ricevere un premio, un segno per il mio impegno. Alla fine i supplizi, i sacrifici dei poveri contadini, fanno sorgere dubbi, la contraddizione si fa strada attraverso il dogma della fede. Si vacilla, si cerca una conferma
Avere conferme, da dio o da un nostro simile, ci rovina la vita. Perché mette in tavolo e bene certe carte: quanto siamo superficiali e deboli noi uomini quando il male, l'orrore, la paura, arrivano ad assediare la nostra presunta forza etica, morale, spirituale.
"Silence" potrebbe far cadere in errore molti di noi. Potremmo pensare che Scorsese, utilizzando un libro di S. Endo del 1966, voglia fare un discorso di dura accusa sulla natura pleonastica della fede, colpevole di spingere alla morte e al martirio dei poveracci o degli invasati. Una presa di posizione contro la bugia dell'esistenza di Dio.
Questa idea, a mio parere , però è del tutto errata. Non è in discussione affatto dio, lui si manifesta attraverso il suo silenzio, che non è distacco, ma partecipa a stretto contatto con la fine dei suoi adepti, è la voce della coscienza profonda che ci parla, a volte pare ingannarci, ma a volte ci inganniamo da soli. In realtà Dio è presentissimo nel film. Anzi, mo azzardo -scusate non ho studiato con nessun blasonato professore e sicché codesta l'è una pensata mia, maremma ora e pronobis-  a mio avviso noi assistiamo e vediamo la storia proprio attraverso lo sguardo di Dio, come alcune inquadrature rigorose e con un certo distacco compassionevole, fanno intuire.
Forse il silenzio di Dio è la voce di una compassione e pietà  troppo grandi e possenti per esser compresi dai contadini, dai gesuiti e dai loro assassini.
Rimane il fatto che la lunghissima lotta che sostiene Padre Rodriguez, giunto in Giappone con un fratello per ricercare un gesuita che par abbia rinnegato dio e si sia rifatto una vita in quelle terre, è straziante, non ha che fare con essere credenti o no, o solo in  parte ; visto che io e mia moglie abbiamo discusso a lungo circa il significato di certe scene o scelte fatte dai protagonisti. Lei da cattolica osservante seria, non una di quelle fanatiche che molti pensino siano le persone religiose, e io come agnostico che propende più per l'ateismo, ma che comunque non sono certo di nulla e mi pongo diverse domande.
Ecco questo film è magnifico perché ti spinge a farti domande, a evitare assolutismi e ragionare sulla umanissima debolezza che ci rende umani, basti vedere il magnifico personaggio del giapponese che guida i due gesuiti diventandone "amico". Un uomo vile, ributtante, un personaggio respingente, eppur quanta pietà sentiamo per lui. Non possiamo condannarlo, perché lui porta al massimo quello che siamo anche noi: deboli, miseri, in cerca di una salvezza, di un perdono che non meritiamo perché non c'è mai una vera voglia di cambiare.  Lui dice: "sono un uomo debole, quale è il posto di un uomo debole?" Frase che mi ha commosso tantissimo
Il posto di un uomo debole è in prima fila, a combattere contro le sue debolezze. Perderà, ma cadrà una volta. Non morirà troppe volte, tante volte, perché la fuga verso la libertà è ingannevole e immeritata.
"Silence" ci spiega come siano fondamentali i rapporti di forza. In quel periodo storico, in Europa, la Chiesa mandava al rogo gente che sapeva troppo.  Il potere marcio e squallido dell'Inquisizione, che non ha nulla di santo, torturava, seviziava e uccideva in modi sempre più cruenti migliaia di innocenti. O di persone che mettevano un po' di dubbio in un mondo dove il dogma regnava e comandava. In Giappone, questi preti hanno avuto modo di vivere sulla loro pelle il dolore inflitto ai miscredenti, visto che l'accusa rivolta a loro è simile.
Non giustifica nulla e non ci rallegra di nulla, ancora una volta Scorsese indaga sul tema della violenza, di come essa diventi istituzione e metodo "civile e quotidiano", ci dimostra che la Fede non è una passeggiata e non deve essere giudicata attraverso le speranze dell'individuo, ma su un piano più generale e vasto, ci assorda il cuore e gli occhi con la maraviglia delle immagini e i volti dolenti dei suoi protagonisti.
Insomma fa cinema ai massimi livelli. Ci viene quasi voglia di pregarlo e venerarlo come un  dio!



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