La miseria puzza.
È l'odore dei fallimenti, delle sconfitte, dell'emarginazione, dell'esclusione, e quello non va più via, altro che l'odore del sesso! Mi si perdoni la citazione di una delle canzoni più brutte di Ligabue per parlare di questo autentico capolavoro del cinema. E non solo.
Domani sono trenta lunghissimi anni che festeggeremo la vittoria assoluta del sistema capitalistico, vuoi a volte tendente alla liberal-democrazia, altre a una sua versione più conservatrice. Tanti anni in cui ci hanno spiegato che siamo liberi, viviamo nella società in cui ogni tuo desiderio di cliente viene esaudito, puoi manifestare e scriver il tuo dissenso contro il governo, non devi temere la polizia. In poche parole anni che possiamo riassumere in questo patetico e ridicolo hastag : #staisereno.
Solo che questa libertà, serenità, tutta questa armonia è velleitaria, nascosta bene da un uso sapiente della propaganda. Talmente ottimo e ben strutturato che pensiamo di saper tutto del mondo perché ce lo dicono alcuni giornali, vedono in campo nazioni occidentali, e insomma siamo sopravvissuti al nazismo e al comunismo ( che rammentiamo abbiamo deciso esser la stessa cosa) quindi perché dovremmo metter in discussione il nostro stile di vita e sistema.
Tanto casomai le cose dovessero andar male e non ci fosse un partito comunista, socialista, pure socialdemocratico, in grado di poter gestire il malcontento delle masse, potremmo sempre usare lo spauracchio del sovranismo, del populismo, delle destre xenofobe che avanzano. Problemi reali, concreti, che vanno combattuti, ma che non nascono per caso. Non si presentano come ospiti indesiderati in una festa famigliare, rovinando l'atmosfera perfetta di amore e rispetto tra genitori e figli.
Sono le devianze di politiche ben precise che non vogliamo abbandonare o rivedere. I tentativi di protesta, le richieste di sistemi alternativi, pur nel contesto di potere capitalista, vengono snobbate, derise, da un esercito di mediocri mestieranti della politica e della cultura.
Avete mai trovato un articolo di Domenico Losurdo su qualche giornale della borghesia liberale? Quanta discussione è stata fatta intorno a un libro come 23 cose che non ti hanno detto sul capitalismo di Ha- Joon -Chang, un economista con una carriera di tutto rispetto, guarda caso anche lui di origine coreana come il regista di Parsite.
Il film racconta la storia di due famiglie coreane. Una vive in povertà sotterrata in un seminterrato e vive di espedienti, lavoretti, non sono dei buoni selvaggi come piace alla retorica e narrazione delle democrazie occidentali. Cioè non sono quei sottoproletari però intonsi da ogni tentazione quanto meno eticamente criticabile, o dal gran talento nascosto per cui con perseveranza alla fine possono far la scalata sociale. Non sono nemmeno quei poveri che ci piacciono ancor di più rispetto ai " buoni selvaggi", mi riferisco a quelli pieni di timor di dio e del padrone, per cui vengono ad elemosinare un po' di beneficenza, un po' di comprensione, scodinzolando come bravi cagnolini.
No, questi sono il prodotto di fallimenti e sconfitte dovute a condizioni sociali ben chiare e precise, perché per quanto un delle classi inferiori possa farcela ad aver successo economico e prestigio sociale, le grandi masse non si avvicineranno mai. Non solo per demerito loro, ma un peso fortissimo ce l'ha la società sempre più classista e divisa in cui viviamo. Solo che, e questo è bene esserne consci, la lotta di classe l'hanno vinta i ricchi.
La classe media, i piccoli borghesi e i proletari senza coscienza di classe si sono fatti incantare dal discorso dell'invidia di classe, del fatto che più lavori e più ottieni, spesso in buonissima fede.
Dimenticano che l'odore pungente, soffocante, nauseabondo, della provenienza proletaria e sottoproletaria non va via. I ricchi la sentono, ne sono spaventati e disgustati.
Nonostante possano esser come la famiglia benestante di questo film. Di fatto, a livello di relazioni personali, non fanno o dicono nulla di male contro i proletari che si sono infiltrati ( attraverso la menzogna e il furore accecante di poter vivere una vita decente di lusso e tranquillità) nella loro magione, ma il regista attraverso alcuni dialoghi ed espressioni di costoro ci mette in evidenza come non sia mai possibile la convivenza tra chi ha moltissimo e chi è dimenticato e invisibile.
Peraltro il tema dell'invisibilità dei poveri è espresso bene in un altro film molto bello e che consiglio, "Motherless Brooklyn" lo cito per farvi venir la curiosità su questa opera di Edward Norton.
Ritorniamo al nostro film coreano I poveri certamente mentono sulla loro provenienza, sul fatto che non si conoscano, la cosa gli viene permessa dal fatto che l'altra famiglia è talmente distaccata dalla realtà, che nemmeno si pongono domande e non osservano nulla. Sono gentili perché possono permetterselo, la cosa viene spiegata benissimo dalla madre della famiglia "parassitaria". Aggiungo anche la dignità, la morale, sono cose che i ricchi possono permettersi e che vivono come oggetti da indossare con le loro cravatte e i loro abiti da sera. Gli altri non hanno modo e tempo per recitar la parte di quello che non si è.
D'altra parte chi sono questi milionari? Chi sono queste persone perse nel loro lusso, nel gelo di una casa tanto bella e grande quanto vuota di vita ogni volta che mancano dalla scena i nostri cari "parassiti".
L'acume e l'arguzia di Bong Joon-Ho si vede da questa messinscena. Non abbiamo bisogno affatto di veder dei ricchi stronzi o esplicitamente ipocriti. Non lo sono, in questa pellicola. In buonissima fede dicono cose tremende ( come la padrona di casa che parlando col suo autista si mostra felice di un temporale che per lei ha abbassato le torride temperatura ma che di fatto ha distrutto la casa e la vita di centinaia di poveracci.) oppure ostentano fastidio per l'odore dei loro domestici.
Tuttavia questi anni che tanto piacciono a quelli della Repubblica e affini, oltre alle guerre per la libertà e democrazia, oltre alle missioni di pace fatte usando l'esercito, che ci hanno dato di evidente e terribile, anche se noi facciamo finta di niente? Ve lo scrivo? Ma sì! La guerra tra poveri.
Il film infatti non si limita a mostrare l'invasione di una famiglia di esclusi sociali nella casa di pleonastici benestanti. Scava più a fondo e ci mostra come la società indifferente e auto referenziale dei "sciuri" proletarizzi anche fasce di media/ media-bassa borghesia. Gente che magari potrebbe vivere decentemente e invece è travolta dalla corsa all'oro o dai cambiamenti di rotta del capitalismo liberista e selvaggio.
Questa svolta all'interno della narrazione cinematografica porterà a soluzioni vicino alla tragedia, sempre in perfetto equilibrio tra dramma e farsa, e al magnifico, potente pre- finale e a un finale amarissimo e toccante.
Parasite è un film che ha il coraggio di metter in evidenza i rapporti sociali e i rapporti di forza, spesso dimenticati per un umanesimo alla Saverio Tommasi, di comodo spesso e volentieri. Come se l'individuo sia slegato dalle ingiustizie sociali, che di questi tempi non hanno nemmeno bisogno di essere palesi, avendo il totale controllo della politica, cultura, società, per cui delle vite dei singoli cittadini.
La divisione è visibile, ma noi preferiamo dar maggior importanza a problemi secondari o creare dei nemici tanto truci quanto idioti. Vediamo il fascismo nei paesi che meno ci garbano e non in quelli che tutto sommato collaborano con il nostro espansionismo economico e di stile di vita.
Questo film ci ricorda che sono fondamentali e importantissimi i legami e le relazioni sentimentali e umane ( infatti la famiglia di poveri è molto legata e unita non come quella ridicola dei ricchi del tutto incapaci di relazionarsi con i figlioli e tra di loro se non in modo meccanico o per eliminar un problema che non sanno gestire) ma che prima di tutto c'è il rapporto di forza tra classi. Dal 1989 siamo convinti che non esistano più le classi, che siano cose superate, ma in realtà è come la polvere sotto il tappeto. Come la famiglia benestante, noi non vogliamo veder davvero cosa si nasconde sotto la nostra casa, le nostre vite, provare empatia e compassione per gli altri.
La nostra non è gentilezza, non è educazione, non è niente. Solo un modo diverso di esercitar il potere e ci va bene che la retorica pacifista e non violenta di qualche intellettuale, qualche compagno che non ha compreso nulla di ciò che il comunismo è, ci mantenga lontana la rabbia del popolo.
Rabbia che con pacatezza, serenità, civiltà, noi dirigiamo verso gli ultimi. Che i poveri si scannino tra di loro, mentre noi ci concediamo discorsi belli sulla fame nel mondo e l'ambiente, oppure proprio ce ne freghiamo che nemmeno sappiamo quali sono i problemi del mondo e degli altri.
Bong Joon .Ho estremizza il discorso che aveva portato avanti con Okjia, in quella pellicola meravigliosa condannava l'ipocrisia della green economy e del capitalismo dal volto umano, qui ci fa vedere come vivono le persone che comandano, con quanto distacco e noncuranza, con quanta ipocrisia insita nella loro natura umana.
In un tempo in cui il cinema occidentale ed europeo non è più in grado di colpire i nervi scoperti della società, (anche l'ultimo dei Dardenne per quanto buono mi è sembrato un passo indietro nell'analisi politica) la Corea ci fa dono di questo manifesto, di questo film-tesi senza la pesantezza retorica di cui spesso questo tipo di film è farcito, per una lucida e spietata rappresentazione della vita vera e reale che gli esclusi e i benestanti vivono.
Opera imperdibile.
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2 commenti:
Questo non vedo l'ora di vederlo, bellissima l'analisi non solo del film ma del clima socio-politico che viviamo ormai da tempo...
Grazie mille, fammi sapere poi che ne pensi
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