lunedì 27 febbraio 2017

Jackie di P. Larrain

Il cinema biografico è terreno di molte insidie. O si porta sullo schermo un'agiografia forzata, dove aiutati da musiche fin troppo enfatiche e carrelli alla cazzo di cane, si fa del protagonista un semi-dio imbattibile, senza macchia e quasi quasi pur cammina sulle acque, oppure si vuol esser a tutti i costi anti retorici, scivolando in un tono più o meno velato di polemica contro il soggetto del film. Raramente ci si ricorda di una cosa: Cinema biografico. Cioè la cosa principale è la settima arte, la cosa fondamentale è il film.
Proprio perché non stiamo vivendo la vita del protagonista, ma la sceneggiatura di uno scrittore e assistiamo alla regia di un regista, ecco, dovremmo comprendere che l'unica cosa buona da fare in queste situazioni è prendere una persona vera e restituirla alla magia del mezzo cinematografico, anzi dirò una cosa audace: all'Idea di cinema che ha in testa il regista.
Perché se è vero che tutto è industria, prodotto, mezzo per far soldi, è altrettanto vero che- all'interno del sistema produttivo-industriale, impossibile starne fuori- ci sono ancora grandissimi Autori.





Larrain, che è sicuramente un grandissimo autore, decide di inoltrarsi nella terza e unica via possibile: non un'agiografia di una santa laica, non un ritratto scandaloso, ma una straziante e memorabile analisi del lutto, della sua rielaborazione, della solitudine vissuta da chi soffre.
Io non conosco molto bene la storia vera di Jacqueline Kennedy, non ho mai avuto reali interessi nella e per la storia di questa famiglia, a esser sincero trovo più stimolante la conoscenza dei presidenti repubblicani, perché per me rappresentano al meglio il paese reale. Nondimeno è stata una persona molto importante per il suo paese e non solo, una donna entrata nella storia e scolpita nella leggenda.
Una vita piena di eventi tragici e lieti, che si presta a un film ridondante, chiassoso, epico in ogni inquadratura.
Il regista cileno ha il dono di non forzare nulla, ma di non essere assolutamente trattenuto. La potenza delle emozioni, è ben presente. Descritta con un primo piano, una frase, un avvicinarsi o allontanarsi dal personaggio.  Credo che dica moltissime cose sul dolore e quella sensazione di inutilità, di essere persi, di non capire che ci facciamo al mondo,  quella bellissima scena di Jackie che si veste e riveste, trucca, porta del vino a tavolo, come se avesse qualcuno da incontrare, ma è solo sé stessa.
Una donna testarda, non simpaticissima, ma così umana e dolente da commuovere ogni spettatore dotato di un  po' d'anima.
Il punto di vista, merito della meravigliosa sceneggiatura- lo sceneggiatore codesto sconosciuto così poco apprezzato nel mondo del cinema- e della meravigliosa regia, è alquanto inedito. Mostra, doverosamente, alcuni passaggi obbligatori del dramma famigliare che diviene tragedia nazionale e mondiale, dal suo interno. Non cerca le ragioni politiche,  non azzarda analisi o dà colpe, ci mostra una donna travolta dal lutto, ma che da questo ritrova una sorta di amarissima e dolorosa, rivalsa, riscatto, prendendo la scena per sé. Il funerale fastoso e altre cose, quanto è omaggio reale al marito? Quanto un voler mostrare al mondo sé stessa?
Film di straordinario equilibrio, con un montaggio e fotografia perfetti. e una immensa e memorabile aiutante di Leon, che è cresciuta davvero molto bene.

2 commenti:

Kris Kelvin ha detto...

Sono davvero contento che hai citato la sceneggiatura, che in molti hanno criticato... Larraìn è stato accusato di essersi "svenduto" a Hollywood per aver accettato una sceneggiatura non sua, invece lo script di Noah Oppenheim calza a pennello con lo stile del regista cileno. Peccato che quelli dell'Academy proprio non lo vogliono capire!

babordo76 ha detto...

Ai sciroccati dico solo che vorrei veder loro al posto di Larrain. Svenduto? ma che film hanno visto? Questa è l'essenza del suo cinema, dei suoi temi.
La sceneggiatura in un film è sempre importante, può anche essere semplicemente un canovaccio, raccontare una cosa già vista numerose volte, ma è da lì che un regista che vuol durare nel tempo e senza complessi di inferiorità e rivalsa col mondo, deve sempre partire. Nei lavori di squadra ogni elemento è fondamentale