martedì 16 gennaio 2018

TRE MANIFESTI AD EBBING, MISSOURI di MARTIN MCDONAGH

"La rabbia genera sempre altra rabbia"
Una frase semplice, forse anche banale, pronunciata da un personaggio secondario. Eppure, che ci crediate o no, il cuore pulsante di questo film, sta tutto qui.
Nulla come il dolore ci fa sentire arrabbiati con noi stessi o gli altri. Non importa l'entità della nostra sofferenza, quello che sappiamo è che a un certo punto non abbiamo più il controllo della situazione.
Forse comincia una mattina, magari mentre stai bevendo la tua tazza di caffè. O forse quando sei in fila al supermercato. Senti insinuarsi lentamente in te questa terribile forza, che ci incatena e immobilizza ( una persona arrabbiata o rancorosa è immobilista in tutto e per tutto, teme di spostarsi anche di pochi millimetri, perché la sua sofferenza e rabbia sono le uniche cose che la tengono in vita e che le offrono stabilità) riducendo tutta la vita a una sola missione, un solo valido motivo per vivere.
Questo modo di rovinarsi la vita, credetemi, non è affatto così raro. In moltissimi decidono di lasciarsi travolgere dall'odio, dal dolore rancoroso, da un senso frustrante e crudele di rabbia autolesionista, che rigettano sugli altri. I motivi sono tantissimi e , visti da fuori, a volte anche sciocchi.
Però quando stai male, quando pensi che la tua vita è rovinata, è facile perdersi. Non ci vuole molto che un piccolo caso monti a livelli di furia incontrollabile, contro chi riteniamo colpevole delle nostre sofferenze
Pensa se ti dovessero uccidere qualcuno che ami. Pensa di aver come ultimo ricordo di quella persona ancora in vita, una litigata. Non una semplice, ma di quelle in cui si dicono cose cattive e volgari.
Pensa di vivere col rimorso il resto della tua vita. Come puoi rimediare a tutto questo? Ce ne sono tanti, però penso che mantenere vive le indagini, sia l'idea migliore.

Per questo motivo la protagonista di questo eccellente film, decide di affittare tre cartelloni pubblicitari, dimessi da lungo tempo, per ricordare alla polizia locale di continuare le indagini sull'omicidio della figlia. I toni sono polemici e forti, in più la donna è devastata dalla rabbia, chiusa in un suo soffocante mondo di dolore e rancore.Come non potrebbe esser così, visto la perdita enorme e il senso di totale abbandono che lei avverte, da parte delle forze dell'ordine? Questo scatena dei conflitti che vedranno coinvolti anche altre persone
Perché tutto quello che facciamo o diciamo, ricordiamocelo sempre, scatena delle azioni. Spesso poco piacevoli, dobbiamo subirle e riceverle come segno delle nostre scelte.
Devo dire che quando ho letto in giro, affermazioni tipo: " politicamente scorretto" o "commedia nera", mi son un po' tremate le mani.Credo che il politicamente scorretto sia il rifugio infelice di chi sente il peso di esser troppo "corretto" per inclinazione a subire la vita, o in seconda istanza, il tentativo ridicolo, di intellettuali da quattro soldi per farsi notare. Commedia nera, spesso, mi sa tanto di buttare in caciara cose serissime. Per cui alla fine: tanto scandalo e rumore, ma per conservare e consolare. Non tocchi l'umanità dei personaggi, la durezza di una storia, ti senti figo e un po' un bad boy; torna a casa e a cuccia
Per fortuna questo bellissimo film non fa assolutamente parte di codesta categoria.
Perché l'ottimo Martin McDonagh usa il " il politicamente scorretto" e la commedia nera, in modo assolutamente intelligente, per arrivare a farci ragionare sul bisogno di aprirsi agli altri, aiutarci, solidarizzare e non rimanere prigionieri della propria rabbia.
Questo percorso di stentata, difficile, dolorosa, redenzione è protagonista delle lettere che lo sceriffo del paese, un bravissimo Woody Harrelson, spedisce alle persone più coinvolte da questa storia. Tanto i tre cartelli sono simbolo di sofferenza, rabbia, rivendicazione feroce, tanto le lettere dello sceriffo cercano di portare un po' di sensatezza, empatia, vicinanza. A esser sinceri nella prima c0è tutto un ragionamento su un suo gesto, non ne parlo per non fare spoiler, perà è innegabile che quando il suo poliziotto più ottuso, violento, cretino, insomma più "americano", compie un percorso di cambiamento,  di lavoro su sé stesso, che sicuramente lo porta ad essere un uomo migliore. Non nel senso spielberghiano,  rimane sempre un po' un pirla, ma almeno a fin di bene
Dixon, per me è il miglior personaggio di questo film. Dove si nota un grande lavoro di scrittura, un'attenzione ed empatia verso ogni persona, da parte dell'autore dello script, che ti porta a provar pena e compassione, per uno che fino a qualche minuto prima consideravi un coglione senza speranza.
Invece in questo film esiste, la speranza.
Nascosta dietro la violenza, la morte, le battute acide, i pestaggi ai neri, la bruttezza di vivere in certi paesi di provincia. Eppure esiste e ci mantiene umani
Il finale aperto, ci fa riflettere proprio su questo: siamo davvero costretti ad usare la violenza, la giustizia sommaria, per lenire e superare un dolore troppo forte e insostenibile? O, come nel caso di Dixon, per cambiare vita ed essere una persona migliore?
Non lo sapremo mai. Però una cosa l'abbiamo capita: anche nel profondo Missouri ci sono persone che non si lasciano catturare dall'odio e l'indifferenza. Basterebbe ascoltare le parole dello sceriffo, oppure notare quel nano pieno di dignità e amore.
In fin dei conti siamo liberi di decidere come vivere: nel rancore, cercando vendetta. O convivendo con la rabbia e cercando il sostegno e l'aiuto degli altri
Forse uno potrebbe anche tornare indietro. Forse andare fino all'Idaho, non placherebbe il rancore verso sé stessi e non renderebbe giustizia alla memoria di una figlia
Tutto quello che possiamo fare è decidere. Subendo le conseguenze delle nostre scelte.

2 commenti:

Kris Kelvin ha detto...

Complimenti Davide. La tua è la recensione più bella tra tutte quelle che ho letto su questo film, compresa la critica "ufficiale". Non potevi descriverlo meglio, davvero.

babordo76 ha detto...

Grazie! Felice che ti sia piaciuta