Sabato per il Cinema Condiviso, io e Valentina abbiamo rivisto l'opera di debutto di Paolo Virzì: La Bella Vita.
Questo che segue è il suo contributo,peraltro già esauriente, in conclusione alcune mie considerazioni.
In Italia abbiamo una manciata di registi che sanno ancora fare film che raccontano la realtà per quella che è senza giudicarla ma con una partecipazione emotiva e un amore per i propri personaggi che ne rende perfettamente l'umanità. Uno di questi è Paolo Virzì. So di essere di parte e lo ammetto tranquillamente, anzi, lo sottolineo sempre. Ma Virzì, per me, è uno dei pochissimi che ha saputo raccogliere ed attualizzare la tradizione tutta italica della commedia dolceamara, quella che da Scola a Monicelli, passando per Germi e Risi, ci ha sempre regalato un sorriso amaro e la possibilità di riflettere sui nostri vizi e le nostre virtù.
Ecco, Virzì, per me, ha ripreso questa tradizione e l'ha assorbita completamente ma ha fatto un passo in avanti perché è riuscito a calarla completamente nell'attualità del tempo che stiamo vivendo, un tempo di precarietà, in cui la mancanza si sicurezza economica mette in crisi e rende fragili pure i sentimenti e i legami. Ma tutto questo non diventa mai cinismo in Virzì. Lo sguardo che ha sui suoi personaggi è sempre delicato ed empatico; verso di loro ha quella compassione che, secondo il significato etimologico del termine, significa soffrire insieme.
E questo film è uno di quelli che lo dimostra in maniera più convincente e forte.
La storia si potrebbe riassumere facilmente come una mera storia di corna in cui un matrimonio stanco viene improvvisamente distrutto dalla passione che la moglie scopre di nutrire per il conduttore di un'emittente televisiva locale. In realtà il film ci regala una profonda analisi sociale che parte dalla disgregazione di un'identità che è quella della figura dell'operaio e del lavoratore in generale per arrivare alla perdita completa di punti di riferimento emotivi che porta all'incomunicabilità totale e ci allontana l'uno dall'altro chiudendoci in un individualismo che sta diventando, sempre di più, connotazione del periodo storico in cui viviamo. E Virzí pare dimostrare come avviene tutto questo e come è possibile che due persone, che in fondo si amano, possano arrivare a ferirsi, a distruggersi, a non avere più niente da dirsi. Se prendiamo un uomo comune che lavora in fabbrica (bellissima l'ambientazione all'Ilva di Piombino), che è sposato con una donna altrettanto comune che lo ama, con dei genitori fieri di appartenere a quella classe proletaria e cumunista tanto diffusa in Toscana e di aver trasmesso questa appartenenza al figlio (il personaggio del padre che afferma che gli fa schifo l'idea di avere un figlio industriale è bellissimo e commovente), con una solidarietà sviluppata tra amici e vicini di casa (trovarsi la sera a guardare insieme la tv, andare qualche volta a teatro, essere tesserati al partito e iscritti al sindacato perché insieme siamo più forti... tutte cose che, tristemente, si stanno perdendo...) e lo priviamo delle sicurezze con cui è nato e vissuto fino a quel momento togliendogli il lavoro, rendendolo un inoccupato, facendolo sentire inutile, superfluo, senza futuro, quale sarà la sua reazione? E la reazione di Bruno (un bravissimo Claudio Bigagli, assolutamente perfetto per la parte) è quella di chiudersi in se stesso, di non riuscire più a vedere ciò che gli succede intorno, di perdere ogni possibile senso all'interno della società e, di conseguenza, della propria vita. E anche qui Virzì è abilissimo a mostrarci le possibili reazioni come quella del vicino di casa, apparentemente sereno avendo trovato il modo di riempire le improvvise giornate vuote dedicandosi al suo hobby, la caccia, ma che finisce per uccidersi, rendendo palese un malessere tenuto nascosto a tutti, o quella dei colleghi del protagonista che decidono di mettersi in proprio improvvisandosi imprenditori senza rendersi conto che la deriva capitalista di questa società non perdona chi non ha le risorse (economiche, professionali e (a)morali) per sopravvivere (il self made man è e rimane un sogno americano, anche se, negli anni 90 abbiamo tentato di importarlo realizzando soltanto una sequela di fallimenti e disfatte). In tutto questo il protagonista tenta di sopravvivere con quello spirito naïf che quasi sempre hanno tutti i protagonisti dei film del regista labronico. Purtroppo la precarietà lavorativa finisce per trasformarsi anche in precarietà sentimentale e Bruno sembra non accorgersi a lungo che la moglie Mirella (una Sabrina Ferilli mai stata così brava) porta avanti da tempo una relazione sessuale con Gerry Fumo, noto conduttore di una televisione locale (Massimo Ghini, attore spesso sfruttato malissimo ma capace di dare buonissime prove recitative come in questo caso). Una relazione sessuale perché tra Gerry e Mirella tutto si connota con l'attrazione, la pulsione sessuale, la passione fisica. Gli incontri che Virzì ci mostra fra i due sono esclusivamente di questo tipo anche se entrambi finiranno per scambiarli per altro, come spessissimo avviene in queste situazioni. Ma il senso di colpa di Mirella e l'affetto profondo mai messo in dubbio nei confronti del marito non basteranno a ricucire un rapporto che si è irrimediabilmente incrinato. E anche quando i due protagonisti tentano di tornare insieme finiscono per scoprirsi due estranei, per non avere più niente da dirsi, per perpetrare quel muro di incomunicabilità che, ormai, è diventato ua caratteristica del loro rapporto. E questa è la vera tristezza e tragedia del film perché ogni cosa che vedi accadere sullo schermo sai già che porterà alla distruzione, alla separazione, all'allontanamento inequivocabile. E vorresti gridare, fermarli prima che sia troppo tardi. Ma non puoi farlo. E non perché sei, semplicemente, uno spettatore ma perché la disgregazione sociale data dalla precarietà non si limita la mondo del lavoro ma penetra, come un virus mortale, all'interno della vita delle persone e finisce per trasformarsi in incomunicabilità, distanza, individualismo. E non c'è niente da fare. Ma, come dicevo all'inizio, Virzì non è, per sua natura, un cinico disfattista e nel bellissimo e malinconico finale pare aprire alla speranza di una ricostruzione, di un cambiamento di rotta. Ma il resto è un'altra storia che i tempi in cui viviamo non sono ancora maturi per ascoltare.
Valentina
Opera anomala e particolare , a mio avviso, nel panorama vasto del cinema di Virzì. Il quale già con la seconda pellicola - Ferie d'Agosto - avrebbe giocato con una certa "paraculaggine" rielaborando i tipi di destra e sinistra presenti sul nostro territorio nazionale. Lasciando in disparte un'umanissima malinconia assolutamente amara,per quanto aperta - come il finale sottolinea- a diverse possibilità non per forza tragiche.
LA BELLA VITA, è una tipica ossessione occidentale, che poi esportiamo con successo nel resto del mondo. Cosa sarebbe codesta "bella vita" che tutti bramano? Cosa è questa vergogna ben installata nella testa dei pirla- come Gerri Fumo- o di gente allo sbaraglio senza più radici e con la crisi nelle coppie ,segnali di quello che sarebbe avvenuto dopo.
Ora siamo precari nel lavoro e nei sentimenti. Bruno aveva almeno un passato di gloria operaia,e solidarietà sociale,partitica,sindacale,umana. La disgregazione del posto di lavoro,di unità dei lavoratori ha portato alla luce la Grande Illusione: tutti fanno i soldi. Ma tutti chi?E questa per molti è la bella vita: soldi,sesso - possibilmente con tanti partners diversi- sballo ,lusso. Il berlusconismo avrebbe poi peggiorato il tutto. Così si sono evoluti e moltiplicati i Gerri Fumo: gente vuota,pleonastica, fighetta,costruita sull'immediata piacioneria,ma fragili,idioti,squallidi. Questo è un personaggio che rappresenta il futuro del paese, quel tipo di persona che ti chiedi: ma davvero siamo così ? Come è stato possibile? Il crollo dell'ideologia. L'allontanamento dalla radice classista della nostra vita, la perdita da parte del proletariato di coscienza di classe, diventata ignoranza da plaudire e reazione mortificante da esibire o corsa all'arricchimento. La stessa natura dei piccoli padroncini,con la loro visione miope in campo politico ed economico. Sai quelli convinti che il capitalismo ti dia solo danaro e benessere ,e poi quando scoprono il gioco al massacro se la prendono con la casta,gli stranieri, i comunisti, le tasse
Questo di Virzì è l'addio malinconico prima dell'apocalisse. Qui vediamo ancora operai come organizzazione sociale e politica, come appartenenza e fierezza,ma già il pre finale con le ex tute blu che aprono una piccola industria balneare sfruttando manodopera straniera,fa ben veder dove saremmo finiti.
Testimone di questa disgrazia in arrivo è Bruno, uno splendido personaggio , interpretato benissimo da Claudio Bigagli. Uomo normale,lavoratore,marito, leale ed onesto.Medio,certamente non un eroe, non uno di quelli che paiono darvi una vita di lussi sfrenati ed materialisti,cosa che invece potrebbe offrire Gerri Fumo, piccolo divo di una tv locale. Ottimo come sempre il buon Massimo Ghini, spesso usato per ruoli non facili e gradevoli,ma che ricordo anche nel bellissimo L'Isola di Lizzani,donde lui interpretava un giovane Amendola, noto leader del Pci.
Lo scontro tra due uomini: quello del passato con la sua ben disegnata identità umana e lavorativa e quello del presente-futuro: un pirla che vivacchia una vita effimera di bassi piaceri. Incapace di amare,infantile e ricattatorio. Vuoto,disarmante vuoto di pensiero,carattere. Eppure anche per lui Virzi, vorrebbe che provassimo un po' di empatia. Perchè appunto non è cinema bacchettone, moralistico,non ci sono tesi,ma solo persone e il loro destino.
Particolare attenzione è riservata al personaggio di una strepitosa Sabrina Ferrilli prima del suo ruolo da oscar...quella della giudice nel talent Amici. Bravissima nel rappresentare il conflitto del suo personaggio tra fedeltà al suo uomo e alla sua classe e l'attrattiva verso il nulla ricoperto d'oro.
La Bella vita è l'opera forse migliore di Virzì,autore discontinuo verso il quale ho un rapporto cinefilo di amore e odio. Uno dei migliori debutti nella storia del cinema italiano
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