Compassione.
Non è una parolaccia, non è una bestemmia, non ti assicuro che ti faccia aumentare i like o le condivisioni, molto probabilmente ti beccherai del buonista, per cui ipocrita. Tutto questo per la compassione, certo, e per la sensibilità, l'empatia, il fatto che pensi di non esser solo o sola con la tua libertà, le tue soddisfazioni, perchè gli altri non ti fanno paura, non sono nemici da battere o da metter al rogo.
Tu pensi che bene o male siamo tutti esseri viventi, soggetti alla legge del dovere e responsabilità verso noi stessi e gli altri, e che essendo umani siamo anche fragili e pronti prender la strada sbagliata, così, per un momento di miseria, di solitudine, di amarezza.
Possiamo aver ben chiara la nostra vita ma non è detto che essa prenda davvero la direzione che vogliamo ed è facile trovarsi con gli altri
Narrare questi esseri umani, narrare le debolezze e mancanze, ma senza condannarli con cinismo, senza disprezzarli e godere delle loro sofferenze, perché il genere umano fa schifo, non è cosa così facile e semplice. Lo mostrano tutti quelli che davanti a un film di Virzì si fermano al dito, il solito e ridicolo "buonismo", e non vedono che è tra i pochi a descrivere con partecipazione affettiva la varia e disgraziata umanità. Un personaggio non va caricato perché così il popolo capisce: quello è il cattivo, quello è il laido, quello è il buono. Veder la luce dentro il buio, così dice il regista. Operazione intellettuale nobilissima che non tutti siamo in grado di sostenere , ma non per questo è sbagliata.
La differenza tra mestierante e autore è proprio questa: il primo è il galloppino dei produttori, gli affidano lavoro , spesso fatto benissimo, per un sicuro tornaconto quanto meno delle spese, il secondo ha un suo tema. Come Virzì, Moretti, Von Trier. Poi possono anche non piacere,ma non vanno nemmeno liquidati con accuse ridicole.
Di cosa parla "La pazza gioia" ? Di un incontro, un'amicizia, tra due donne, le quali per motivi diversi si ritrovano in una specie di clinica psichiatrica, ma non di quelle ignobili dove si pratica la violenza su soggetti bisognosi di attenzioni, una, al contrario, dove si cerca un certo recupero e reinserimento, laddove possibile, di queste donne nella società. Secondo le loro possibilità.
Un giorno Beatrice e Donatella, scappano. Inseguendo un sogno di libertà, una piccola e fragile promessa di felicità. Perché essa esiste, è a portata di mano, ma sfugge sempre e per alcuni "sempre"
Una è logorroica, impicciona, si crede una contessa, non ama l'ineleganza e i sottoposti, l'altra è chiusa dentro un dolore fortissimo e un marchio di condanna che non le dà pace. Non c'è bisogno di grandi tragedie, o di caricare nulla. La vita è un saliscendi di disastri e piacere, questo mostra il film. Due disadattate, che rimarranno così per tutto il film, che forse alla fine un loro piccolo equilibrio lo trovano. Quelle mezze vittorie, ma nemmeno, che però hanno il potere di renderti sopportabile e degna di esser vissuta, la tua esistenza. Matta o no.
Intorno a loro infermieri, psicologi e pure il direttore che cercano di aiutarle, padri e madri sciagurate, ( che bello rivedere Marco Messeri e Anna Galiena, hanno piccoli ruoli, ma incisivi), taxisti che al momento si rendono protagonisti di un grande atto di solidarietà, e uomini odiosi, squallidi, che rovinano la vita degli altri. Ma su tutto Paolo Virzì e Francesca Archibugi pongono un'amarissima e dolorosa tenerezza. Che non è falsa perché non dice che queste persone grazie all'amore o amicizia si salveranno, non è "il lato positivo", ma ci mostra solo che condannarle e isolarle dal basso del nostro pregiudizio è esecrabile. Amano e vogliono amore come tutti, perché fanno parte di questa difettosa, e a tratti odiosa umanità, ma che la compassione, come scrivevo all'inizio, e l'empatia possono portarci a capire, non giustificare o chiudere un occhio, le vite così segnate e dure.
Ci si commuove vedendo codesta opera. Tanto. C'è un monologo della Ramazzotti , splendida e toccante, conferma le sue enormi doti recitative, che è duro da sostenere. Duro e impossibile, anche se il gesto che compierà, sarà filmato come un atto di infinita dolcezza, cosa che non è. Si piange di rabbia, per colpa di quelle bestie che sono i maschi. Anzi: una ben precisa categoria di teste di cazzo che sono maschi, poi ci siamo anche noi che non siamo affatto male.
Ed è bello e giusto fare questo: piangere di commozione e divertirsi nello stesso tempo e film. Perchè la commedia, tanto detestata e insultata, è tra i generi non solo il migliore, per me, ma anche quello più complesso e ricco di sfumature. A volte hai zalone, altre volte opere come queste.
La pazza gioia è sapersi emozionare e saper emozionare il proprio pubblico.
mercoledì 18 maggio 2016
La pazza gioia di Paolo Virzì
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