giovedì 1 febbraio 2018

The man who would be a polka king/ the polka king

Il cinema può filmare la verità?Gli è concesso il potere di riprendere ciò che è assolutamente reale, oppure è solo mistificazione e falsificazione della vita vera?
Esiste un limite in cui la rappresentazione di una storia accaduta veramente, non dovrebbe essere superato? Attraverso il mezzo cinematografico, possiamo stravolgere i fatti, riderci sopra, sminuire le colpe, di persone che hanno rovinato la loro vita e quella di altri? La fantasia nella ricostruzione dei fatti, deve tener conto di qualche regola precisa, in ambito etico, oppure è tutto show? Quanto è credibile la redenzione tramite un film comico (quando non ci sarebbe nulla da ridere) ?
Sono tutte domande che mi son posto (e che pongo a voi) dopo aver visto il bellissimo documentario di John Mikulak   e  Joshua Brown :The man who would be polka king.



Il documentario è il ritratto amaro di un mediocre con grossi problemi di ambizione. Jan scappa dalla Polonia comunista, per ricominciare una vita nel paese delle meraviglie: L'America. Per realizzare il suo sogno fa mille lavori, zelo e costanza, come a gran parte dei mediocri, non mancano a questo dissidente tanto vivace e col dono della simpatia. La sua vita cambia quando si trasferisce dal Canada, agli Stati Uniti. Egli è venuto a sapere, che in Pennsylvania ,  vi è una grande comunità di polacchi. Perché non cominciare da lì, fra connazionali, la sua scalata verso il Successo?
Fino a qui è una classica storia americana: lo straniero che dopo tante fatiche ed ostacoli, fa i soldi e trova il grande amore.
Un classico, vero?Solo che la narrazione americana non si basa solo sulla rappresentazione fantasiosa di un paese, alla base vi è una vera e propria mistificazione, falsificazione, manipolazione dei fatti. Due cose assolutamente diverse.
Lo notiamo benissimo se mettiamo in confronto questo documentario, col film tratto da questo lavoro. Da una parte ci viene mostrato quello che è Jan e la sua comunità,  nella pellicola si assume Jack Black, la si butta in farsa, si usa la simpatia che suscita l'attore per riabilitare un criminale.

Il documentario ci mostra la sua scalata attraverso una truffa economica ai danni dei suoi ammiratori. Uomini e donne anziane, che si fidano di quel tizio così cordiale, alla mano, disponibile con tutti. Jan inventa un sistema che non sa gestire e governare, viene pure avvisato una prima volta di non vendere cambiali senza autorizzazione statale. Lui invece di fermarsi complica e rovina le cose. Oltre alla musica, apre un tristissimo negozio di souvenir polacchi, finanzia viaggi in tutte le capitali europee ( duranti i quali lascia intendere ai partecipanti di quanti soldi potrebbero guadagnare se investono nella sua società).  In breve ottiene una vasta visibilità.
I due registi dipingono un amarissimo affresco di gente comune, divorata dalla loro mediocrità e peggio ancora, dalle loro smodate ambizioni.
Jan e sua moglie, sono persone davvero piccole, incapaci di gestire le loro azioni criminali. Non vi è un reale pentimento in loro,  al massimo riconoscono di aver esagerato " a un certo punto". Però risultano poco credibili, così come i loro sogni, in fin dei conti, sono davvero penosi.
La mania di grandezza di lui fa sentire la moglie in ombra e che le viene in mente, per trovare un suo spazio? Partecipare a un concorso di bellezza. Perché solo diventando Miss Pennsylvania, ella trova conferma delle sue qualità. Il desiderio di una quindicenne, nel corpo di una donna di trenta e passa anni.
La partecipazione della donna al concorso, porta i primi veri guai all'imbroglione polacco.
Fino al declino totale.

Sicché il documentario decide di seguire non solo un uomo, ma un'intera comunità. Portando a galla tutto lo squallore, la mediocrità, la cattiveria ignobile, i tradimenti e le falsità; da parte di Jan e dei suoi investitori.
Lui non diventa mai un santo, al massimo gli si concede di esser un pirla. Uno ossessionato dal denaro, dal successo, che ha usato un metodo illegale e ne paga le conseguenze. Però nemmeno i truffati risultano delle persone a cui affezionarsi, fosse solo per il senso di giustizia. Davanti alla macchina da presa sfilano i classici vecchi bramosi di soldi facili, di guadagni illimitati, gente non sprovveduta, come molti pensano, ma avida. Talmente ossessionati dal denaro di fidarsi del primo che passa, ma che " parla bene", "è simpatico". Per cui non sono delle persone ingenue, ma classici rappresentanti della piccola borghesia.
Una classe in cui la sete di danaro, da accumulare e non toccare, è la base della loro superflua vita.
Alla fine della visione, l'opera dura solo sessantasette minuti, ti ritrovi colpito e affondato da così tanto squallore. Comprendi di aver visto un lavoro in cui si tenta, cosa non da poco, di lasciar passare un messaggio preciso, una visione forte e dolorosa, sulla bassezza di una certa comunità.
Miseria senza nobiltà che si spande dalla Pennsylvania e colpisce tutto il mondo occidentale.
Quanti biechi truffatori hanno spillato danaro a omuncoli assettati di guadagni vantaggiosi, facili? Quanti hanno affidato il loro danaro a gente disonesta, piuttosto che affidarsi a canali più legittimi?

Evidentemente, questo tipo di messaggio non è apprezzabile nella terra delle opportunità. Un ritratto così amaro, pessimistico, sotto il segno di una miseria morale quotidiana. deve essere corretto
Ma si! Deve essere proprio così. Basti vedere come un'opera cruda e reale, quale è "Detroit", sia stata messa in un angolo, per le nomination degli Oscar
Agli americani non va di guardare in faccia la loro miseria e le loro debolezze. Lo possono fare solo se addolcite, rese meno pesanti, con una spruzzata di buon umore e sentimento a caso
Per questo motivo, si prende il documentario e lo si trasforma in una adorabile e tipica commedia yankee.
Voglio esser sincero: come film funziona. La classica commedia americana, immancabili luoghi comuni e inni all'amicizia, con un buon ritmo e un discreto cast. Certo, non metto in dubbio il carisma di Jack Black, come sempre trascinante e divertente. Io vorrei sottolineare un altro punto.
Lo so che viviamo tempi in cui la morale è meglio bandirla (d'altronde siamo liberi e spensierati viviamo sfogando le nostre soddisfazioni e "che male c'è?") comprendo che il cinema non è trasposizione della realtà e in un certo senso anche gli autori del documentario, hanno optato per una visione più vicina al loro veder le cose.
Io lo capisco, tutto è show ed intrattenimento.
Però quando si arriva a mistificare, falsificare, una storia vera per buttarla sul ridere, mi par che si compiano solo danni. Al di là della bontà del prodotto (ripeto è una buona commedia).

Jan, di proposito, ha cercato di far soldi in modo illegale. Avvisato più volte dalle autorità del suo stato, ha promesso di smettere, ma non l'ha mai fatto. Ha inventato cifre assurde per attirare gli investitori, alle autorità ha sempre dichiarato un numero assai inferiore di clienti ( al fine di ripagar pochissimo per i danni causati), si è comportato da cretino assetato di danaro e potere. Sopratutto ha coinvolto persone che lo stimavano, mentendo e falsificando, piuttosto che chiedere aiuto quando era il momento di farlo. Per non dire del concorso di bellezza truccato, i soldi portati al Vaticano per un'udienza papale.
Di mezzo c'è andata la gente comune. Complice del giro di Jan, ma prima di tutto vittima.

Nel film tutte queste cose sono filtrate dall'umorismo. C'è un tizio un po' naif che rimane vittima di un piano orchestrato male, ma cazzo è un buon americano! In fin dei conti è sbadato, tenta in modo poco onesto la fortuna, ma è simpatico! Arrivano anche a inventare una relazione tra la suocera e un membro della band.
Ripeto : sono persone vere. Storie vere. Ci vorrebbe più tatto, attenzione, inventare particolari secondari, ma non usare una commedia per la riabilitazione di un delinquente. Dando la colpa di tutto agli investitori. I quali, senza ombra di dubbio, sono colpevoli ma non tanto quanto il fautore della truffa.
Il documentario mostra anche la ferocia delle persone truffate, l'idiozia della legge americana che confonde giustizia con vendetta. Tutto questo nel film non c'è.
Giusto che sia così, d'altronde stai vedendo una commedia.
Però a me lascia l'amaro in bocca.
In quanto è giusto rendere cinematografica una vicenda reale, ma la moda di trasformare persone discutibili in eroi di film leggeri, credo sia del tutto fuorviante. Un po' come quando si trasformano i criminali in eroi romantici.  Puoi far un'operazione di rappresentanza del reale, per un pubblico vasto e cercare la battuta e lo spettacolo, questa è l'industria cinematografica! Ma non cancellare le colpe, lo squallore, la miseria, umana e sociale alla base di certe storie.
Questo modo di fare alla lunga ci porta a non prendere sul serio la vita sociale. Siamo deresponsabilizzati, scusati, giustificati, a vivere in modo leggero con il solo scopo di far danaro ed aver successo. Non esistono rapporti umani sinceri - nel documentario questa cosa è palese- ma persone da sfruttare, per un piccolo e mediocre sogno
In più va segnato come i dissidenti dei paesi comunisti, alla fine, si possano etichettare col marchio: Pirla! Drogati di fama di seconda mano, egoisti e mediocri.
L'operazione simpatia attira il pubblico ma sacrifica un senso civile ed etico, fondamentale anche al cinema.

1 commento:

Anonimo ha detto...

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