lunedì 11 novembre 2019

MOTHERLESS BROOKLYN di EDWARD NORTON

Uno dei ricordi più cari che ho della mia infanzia e pre-adolescenza sono senza dubbio i pomeriggi estivi, quando la scuola era finita o stava finendo. Passavo quelle giornate a bere bibite fresche, vabbè latte e menta, a leggere ( lessi per due volte in cinque giorni It) o a veder vecchi film in tv. Tra una replica e l'altra dei programmi invernali, gli inutili best of delle varie sit- com, capitava di imbattersi in visioni che su una persona assai giovane possono risultare sovversive e potenti. Indimenticabili.
Da questi lunghi, caldi, oziosi pomeriggi estivi nasce la mia passione per il cinema americano di fine anni 40 e inizi anni 50, prima che Macharty facesse la sua comparsa sulla scena politica di un paese che si sogna democratico e libero.
Nella mia mente accudisco con cura e affetto le immagini di film come Bacio della morte, per via del personaggio ferocissimo di Richard Widemark, tanto per fare il nome di una pellicola.
Il film di Norton, in un certo senso mi ha fatto ritornare a quelle visioni.
Il film, tratto da un romanzo di Jonathan Lethem autore anche del soggetto, è un progetto a cui Norton pensava da anni e poi rimandato per molto tempo. Mi auguro possa aver un buon riscontro di pubblico perché è un omaggio sincero al genere e a quel periodo del cinema hollywoodiano.  In particolare apprezzo il fatto che non sia un'opera copia e incolla di classici del noir o dell'hard boiled e che faccia capolino anche una certa urgenza politica molto legata al cinema americano degli anni sessanta e settanta, quando la vecchia e pachidermica Hollywood lasciava spazio alle esigenze di narrazione figlie dei mutamenti politici e sociali.
Certo non è un film da seguire pensando ad altro, non c'è nel finale un regolamento di conti a colpi di pistola o altro. Esattamente come nel Grande Sonno, ci troviamo alle prese con un film dalla trama complessa e complicata, la vittoria arriva ma attraverso compromessi, un senso sottile di giustizia, per questo vi invito a prestargli massima attenzione.
Ecco, una cosa che è andata quasi del tutto persa: l'attenzione.  Ci stanchiamo subito, perdiamo la pazienza, vogliamo cose molto semplici e dirette, che al cinema ci siamo venuti per svagarci non per impegnarci e concentrarci su una visione o un racconto.
E non sto parlando di cinema altamente sperimentale, ma di un robustissimo, solido, ottimo film hard boiled/noir a sfondo sociale.
Sopratutto è un film di personaggi, ben legati al genere, ma strutturati in modo davvero notevole. Cioè con quel rispetto per la rappresentazione di persone con le loro paure e voglia di giustizia.  Senza la retorica dell'eroe privo di macchia e paura, o l'eroica portavoce del popolo che sulle barricate inveisce contro il cattivo di turno. I protagonisti sono uomini e donne problematiche, a partire dal protagonista, Lionel. Lui è affetto dalla sindrome diTourette ed è una rielaborazione della classica figura del detective di molte storie noir. Non è forte, un pistolero infallibile, un picchiatore o altro. Semplicemente non vuole che l'omicidio del suo capo e figura paterna di riferimento passi sotto silenzio.
Ecco, ho trovato molto bello il fatto che Lionel e soci fossero tutti orfani, ai quali il personaggio di Bruce Willis fa da padre, offre a loro un lavoro, una sorta di vita più o meno normale.
Le indagini portano a soffermarsi su un potentissimo uomo d'affari che tiene in mano l'intera città.  Ed è qui che entra in gioco l'aspetto politico del film: il problema dei quartieri abbattuti per far spazio a opere pubbliche o per trasformare zone assai popolari e abitate in prevalenza da afro americani, in quartieri per il ceto medio bianco.
Coetes nei suoi libri descrive spesso e volentieri i grossi problemi che la popolazione nera deve affrontare per tenersi case spesso anche malridotte . Il film di Norton affronta questo problema mettendo in luce le disparità sociali, l'indifferenza con cui i milionari gestiscono la vita degli altri, l'ingiustizia di un sistema democratico solo a parole.
Lo fa senza alzare troppo la voce, senza eclatanti scene madri, ma è preciso nella sua denuncia.
L'opera mantiene un giusto equilibrio tra speranza e amarezza, alla fine forse sullo schermo non vediamo trionfare la giustizia in modo spettacolare come ci piacerebbe ma rimane la soddisfazione che persone reiette, escluse, emarginate, possano lottare con fierezza fino a delle vittorie se  non della guerra perlomeno di qualche battaglia importante.
Per cui se doveste amare il cinema americano di fine anni quaranta, il noir/hardboiled, e i bei film classici, solidi, senza sbavature, ecco vi consiglio di andar a veder questo film per me assolutamente riuscito.

2 commenti:

Alessandra ha detto...

Il grande sonno. Cosa mi hai ricordato. E poi il noir! Io ripongo speranze anche se in giro non ne ho letto sempre entusiasticamente.

babordo76 ha detto...

Si, molti dicono che giri a vuoto o che sia solo una bella confezione e basta. In realtà è un classico noir degli anni cinquanta riportato ai giorni d’oggi. Non fa leva su sparatorie e finali - spiegane. Ha una trama complessai e degli ottimi personaggi.