Esiste la Verità? La risposta naturale e diretta sarebbe un sì o un no. Per mille ragioni filosofiche, sociali, politiche, morali. Risposte che a me garbano assai perché non sono un tipo da sfumature, il grigio è la scappatoia comodissima per chi non vuol partecipare, prender coscienza. Tuttavia alcuni autori o in certe culture questo senso di non poter scegliere nettamente o di aver la certezza di una risposta non vuol essere una giustificazione ma la rappresentazione di un mondo disperso, senza certezza alcuna, fino ad approdare a una riflessione tutt'altro che banale su quello che vorremmo fosse la verità, tanto da piegare i fatti a questo nostro desiderio e l'imperscrutabilità dell'animo umano e degli eventi esterni.
Queste riflessioni sorgono spontanee assistendo alla visione di questo ennesimo ottimo film del maestro giapponese. Presentato a Venezia nel 2017, rimasto colpevolmente nel cassetto per tre anni, e distribuito solo dopo la Palma d'Oro a Cannes per Affari di famiglia e il suo film in Francia con un cast di stelle occidentali, mi riferisco a Le Verità.
Anche in questo caso il tema portante e fondamentale è quello della verità. Cambia il genere e il registro perché qui Kore- Eda si dedica al legal thriller, dando spazio alle indagini di un avvocato circa la colpevolezza del suo assistito.
L'uomo è un escluso sociale, ha avuto una vita difficile, è stato in galera per l'omicidio di due strozzini, ma è stato graziato dalla condanna a morte perché il giudice si è commosso ascoltando la sua storia. Questo giudice è il padre del suo attuale avvocato.
Questa volta l'uomo non ha ucciso degli strozzini ma il padrone di una fabbrica dove egli prestava servizio di manovalanza. Il padrone l'ha licenziato e lui dopo aver bevuto lo uccide.
Omicidio e rapina, visto che dopo l'assassinio l'uomo ruba il portafoglio della vittima.
L'avvocato si trova tra le mani un cliente colpevole e che per di più continua a cambiar versione dell'accaduto. In una perenne mancanza di verità.
Il legale indagando scopre che il padrone della fabbrica era uno dei tantissimi imprenditori disonesti, che i suoi operai erano quasi tutti uomini disperati o ex incarcerati per cui ricattabili, sopratutto scopre che molestava la figlia. Lei stessa vuol testimoniare al processo portando questo fatto.
Fossimo in un film occidentale tutto si sarebbe sistemato in questo modo, confessione del dramma della ragazzina, il prigioniero colpevole ma in fondo ha ucciso uno stupratore incestuoso, e via dicendo.
Invece Kore-eda mischia le carte, crea sottili incertezze, cambia punto di vista e direzione seppur tenendo ben saldo in mano tutta la struttura.
Sovvertendo in questo modo le regole del genere, deludendo anche le aspettative degli spettatori che si devono accontentare di un non finale, o meglio di una conclusione stupenda ma non sottolineata e banalizzata, pur usando l'immagine già vista di un uomo fermo in mezzo a un incrocio.
Esiste La Verità o solo la nostra necessità di risposte limpide, concrete, precise? Perché l'uomo ha ucciso per difendere la ragazza, per i soldi oppure non è stato lui e paga per colpe di altri?
Il Terzo Omicidio è un film che impone allo spettatore la massima attenzione e lo spinge a riflettere, porsi domande, scandagliare le proprie emozioni profonde e l'idea stessa di giustizia contrapposta alla legge. Non manca una sottile ma tagliente denuncia sociale contro i capitalisti giapponesi, ma ha la forza di andare oltre e di diventare un amarissimo trattato filosofico.
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