martedì 20 dicembre 2016

Le personali miglior visioni del 2016 : i documentari

Ogni tanto, capita, qualcuno beve troppo o si droga male e ti esce epico e borioso con la seguente stupidaggine: " Il documentario non è cinema!" Velatamente è stata ribadita in modo più o meno diretto e chiaro anche da un noto regista bolognese, al quale voglio tanto bene e gli perdono codesta castroneria.
Forse questo pensiero stupendo, questa pazza idea, valeva fino a qualche decennio fa.  Il documentario era roba da Quark o da pomeriggio a guardar Rai Tre, non lo nego e lo confermo.  Tuttavia col passare degli anni, la tecnica del girare documentari è cresciuta e diventata sempre più complessa, ricca di sfumature,  contaminazioni, sopratutto chi li gira ha uno sguardo preciso, profondo, si raccontano storie usando la realtà.
Ci tengo a specificare questo punto: non è la realtà a esser rappresentata sullo schermo quando vediamo un documentario, ma una storia a tematica spesso sociale, che usa - secondo le caratteristiche tecniche dell'autore- la "realtà vera", creando una contraddizione affascinante, un corto circuito di vero e verosimile emozionante.
Il documentario ribadisce, a mio immodesto avviso, una mia intuizione da spettatore indisciplinato: siamo tutti pezzi di cinema, film, letteratura. La "realtà vera" , nuda e cruda, che tanto ossessiona molti spettatori, è solo un'illusione ottica delle nostre esistenze che seguono schemi e regole assolutamente cinematografiche. Perlopiù la nostra esistenza è cinema di genere: commedia direi. Con momenti di neo realismo, ma il punto centrale è come il cinema sia solo uno specchio magico e deformante dell'esistente. Per questo il documentario quando riprende la realtà, nella sua utopica pretesa di dire la verità. filtra con elementi presi direttamente dalla "realtà vera", ma non si limita a riprenderli nel loro luogo naturale, porta in quei posti la regola cinematografica, svela ai suoi "protagonisti" come tutto sia finzione scenica, anche la nostra esistenza. Non per questo falsa, pleonastica, incapace di provare profondissimi sentimenti e sacrosante rabbie contro le ingiustizie.  Anzi, direi proprio che nessuno toglie un briciolo di verità a quanto proviamo, sentiamo, viviamo. D'altronde anche nel cinema, quando ci riesce, arriviamo a perdere il confine tra vero e rappresentazione filmica. Ognuno secondo la propria sensibilità, ma questo accade.

Questo 2016 ci ha proposto dei documentari assai interessanti, opere assai diverse tra di loro, vuoi per temi e per metodi di far cinema. Sono come sempre scelte personali, dettate dalla mia sensibilità umana, i miei interessi, a questo servono le classifiche di fine anno. Conoscersi e riconoscersi, vedere come si cambia col tempo che passa o come si rimane fermi su alcuni punti.. Per cui facile che a voi possano non dir nulla e bla bla bla.
Vabbè, come dice l'umile Scanzi: Vamos!


- Il fiume ha sempre ragione

Il tema del lavoro ( in un mondo in cui esso è devastato da assurde leggi politiche, disorganizzazione delle masse, precarietà selvaggia, voucher, partite iva, divisione profondissima tra chi comanda e le mandrie di lavoratori scambiabili tra di loro, con stipendi a volte ridicoli, e la distruzione di quella bellissima legge che era la Legge 300 del 1970) al cinema è quasi sempre una rarità. Difficilmente il nostro cinema coglie l'aspetto sociale e umano dietro a una professione. Perché le classi e i blocchi sociali si rappresentano attraverso le mansioni che ricoprono.  In tempi di precarietà, flessibilità, disvalore etico di ogni professione, assordati e tramortiti da linguaggi affascinanti e spesso con parole inglesi, per dare idea di modernità ed eterna cretineria giovanile, ci dimentichiamo quanto la vita umana sia legata ad esso. Oggi è giusto prender le distanze dalla catena del lavoro, dello sfruttamento economico, del senso di fatica e sacrificio per il posto di lavoro, proprio perché ormai è solo un mezzo improvvisato e di poca durata per prendere qualche spicciolo e via.  Non è luogo di organizzazione sociale, di riconoscimento nell'altro del far parte di una classe, ma di stupide lotte tra poveri, angoscia per il contratto che scade, occupare posti perché con la crisi cazzo fai rinunci a questo meraviglioso posto?
Questa è la realtà, al di là di singoli sogni di resistenza operaia, di "ottimo ambiente in cui mi trovo bene".  Detto questo il lavoro ha anche una forte importanza sociale. Ci sono professioni che aiutano la gente a star meglio, ci sono tanti piccoli lavori che ci donano esistenze tecnologicamente avanzate.
L'umano dietro la professione è sempre un tema interessante
Come questo film di Silvio Soldini,  che con occhio partecipe, romantico, quasi fiabesco, ci porta a conoscere due professionisti "di una volta" Un lombardo e uno Svizzero.
A Osnago, Alberto Casiraghy, porta avanti la sua attività di piccolo editore di libri di poesie o aforismi, personali e di poeti locali, utilizzando una vecchia macchina a caratteri mobili, mentre in Svizzera, josef Weiss si occupa di restauro dei libri, cercando di equilibrare un po' di spirito da grafico e tradizione.
Il film mostra queste due vite sospese, antiche eppure modernissime, senza ombra di dubbio più dinamiche e progressiste rispetto a quelli dei tanti manager in giro per il mondo.
Un inno al lavoro che è anche vita e di vita che ribadisce la sua profonda grandezza nel fare una professione per la Bellezza, per Passione e Amore


Fuocoammare



Gianfranco Rosi porta in scena la tragedia dell'immigrazione, le vite disperse e distrutte in mare, la macchina organizzativa del soccorso, i campi profughi, il dolore e la morte, i pochi attimi di gioia per una partita di lavoro. Il mondo che entra con violenza nella piccola e remota realtà di Lampedusa; e la vita quotidiana di alcuni abitanti. Due mondi paralleli che non si avvicinano mai.  Un po' come le nostre vite di lamentosi uomini occidentali accecati da benessere e felicità modeste ma costose, da libertà effimere, spesso ciechi e sordi nei confronti degli altri, del resto del mondo. Opera emozionante e indimenticabile.


Ridendo e scherzando: ritratto di un regista all'italiana

Eravamo in tre quel pomeriggio di febbraio, esattamente lunedì 1, al The Space di Firenze, per assistere a un documentario dedicato a quello che per me rimane il più grande e migliore per meriti tecnici e di contenuti, tra i registi della nostra commedia: Ettore Scola.  Costui con i suoi film ha strappato, stracciato, l'idea che la commedia sia un genere usa e getta, popolano, per giustificare ogni nostra devianza sociale e individuale. Cinema altissimo, spesso legato all'idea di coralità, non focalizzazione su un "tipo di italiano", ci vorrebbero ore e ore per parlare di Scola. Noi lo rammentiamo con la visione delle sue opere. Non possiamo fare altro.
Film da recuperare, assolutamente



Spira mirabilis



La Bellezza, la Grande Bellezza, che si manifesta nel fitto assoluto del suo Mistero filmico. Abbiamo visto l'Immortalità intrappolata nelle immagini. Abbiamo toccato Dio

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