mercoledì 14 dicembre 2016

Riflessione Indisciplinata: di Dolan, di Bellocchio, di famiglie e del perché scrivo di cinema

Da un po' di tempo non scrivo più nulla. Non credo proprio che il mondo della critica cinematografica o dei semplici cinefili, ne risenta o abbia notato la mia mancanza. D'altronde, è noto, che la gente si perda sempre le cose migliori senza batter ciglia. No, non è di questo che ho intenzione di "parlare", meglio di scrivere.
Questo blog è un diario pubblico, un quaderno di appunti,  nel quale da "spettatore", aspetta lo riscrivo per farmi capire meglio: Spettatore, cerco di analizzare i sentimenti e i pensieri che una pellicola ha saputo donarmi. Le radici di questo mio piccolo spazio sono quindi le sensazioni, le riflessioni, una sorta di terapia nel quale sono sia il dottore che il paziente.  Perché credo che la figura dello spettatore sia del tutto sottostimata e valutata, o meglio: inni a lui quando sceglie di far incassare tanto a opere orribili, reazionarie, cialtrone, in quanto nel pensiero borghese che impera nel nostro cinema, uno spettatore è come uno del popolo: applaudiamo la sua ignoranza, la sua volgarità, che è così vera, giusta, ma distruggiamoli ogni volta tentino di migliorarsi.
Per questo il blog non si chiama Le critiche di un Occhialuto, come potrebbe essere, ma " Lo Spettatore indisciplinato", in quanto si cerca di dar un contributo personale a una certa crescita di visione da parte del pubblico, delle masse. Il cinema, in un mondo precario dal punto di vista sentimentale e di capacità dei singoli di sapersi descrivere e vivere, serve alle masse per aprire un dialogo attivo e difficile tra le immagini sullo schermo e quelle della loro vita.
Continuo a credere che i discorsi tecnici sul cinema siano del tutto irrilevanti, interessanti per chi lo studia, quotidiani per chi ci campa, ma non centrano l'obiettivo primario di questo splendido prodotto sospeso tra arte e industria: parlare alla massa. O a parti anche piccole di essa.  Una buona critica cinematografica non si deve solo esaudire nell'analisi del mezzo e delle prodezze tecniche, ma deve unire a questa base di partenza : psicologia, sociologia, filosofia, pensieri, sentimenti, emozioni. Per questo la critica usa e getta che vive sul e nel momento è utile per una prima idea, poi la comprensione, critica, esperienza, di un film è sempre in movimento. Un buon critico dovrebbe tener conto anche di questo. Io stesso penso che alcuni film, quelli che col passar delle stagioni ci piace ancora rammentare, meriterebbero più riflessioni, recensioni. I films crescono come noi, si evolvono, si perdono, guadagnano o perdono con il tempo. Sono un ottimo metodo di analisi del nostro essere, una sanissima terapia e riflessione sul nostro vivere, sentire, emozionarci.
Credo che il cinema sia un grande contenitore dove: letteratura, musica, le scienze progressiste in campo sociale, psicologico, etico, si mescolino insieme per offrire a noi un modo di crescita individuale, ma collegato profondamente con l'altro, con il mondo. Ancora più della televisione o di certi social.
Per questo certi registi li amiamo tantissimo, anche se magari fanno un cinema diverso rispetto a quello che noi siamo portati ad amare. Per questo alcune pellicole le sentiamo nostre in tutto e per tutto.
Io ho cominciato a scrivere di cinema per grafomania, ai tempi il mio blog serio era " Malgoverno", ero giovane, militante, tanta passione.  Piano piano questo blog, con il tempo si è evoluto. Mi segue nella mia crescita, mette nero su bianco le cose buone e le grandi cazzate che ho da dire, che sento particolarmente mie, ma che non saprei dove indirizzare e a chi.
L'arte non interessa, applaudiamo ipocritamente chi fa lavori faticosi, ma sempre ritenendolo un animale da soma e non un uomo capace anche di grande sensibilità. Per fortuna siamo liberali, eh!
Sì, l'arte non interessa. Non ci piace nemmeno a noi cinefili metter in comune alcune idee, discuterne amabilmente, saremo concordi o no, chi se ne frega, l'importante è parlarne, scriverne, sentirsi parte di una grande famiglia
Penso che l'idea consumistica della blog star, di essere gente capace di influenzare il popolino, trattare uno spazio non come un diario ma come una bibbia dell'arte, della politica, abbia nuociuto al mezzo e alla sua reale potenzialità. Si, dovrei ogni giorno scrivere un post, avere rubriche fichissime, coltivare i miei commentatori, non come amici che vogliono discutere di un film, un libro, ma come fans, dovrei farlo ma per pigrizia non mi va
La pigrizia è la madre dell'intelligenza, sappiatelo. Perchè crea quei distacchi necessari per campare bene. Ci prendiamo tempo. Scriviamo quando ce la sentiamo. Consideriamo gli altri nostri amici, non gente che deve venerare il raffinato pensatore di turno.
In questo periodo ho visto tanti film bellissimi, ma non avevo parole per descriverli. Essendo uno che scrive di getto, non mi è possibile buttar giù due parole a minchia e poi riscriverle con calma, dopo
Perché dopo mi è passata la voglia, l'urgenza, la necessità di parlarne. O scriverne
Scrivo per me, perché, a volte, mi fa sentire bene. Di getto, travolto da un flusso di pensieri e parole. Sentimenti, sopratutto sentimenti.
Tutto questo prologo lunghissimo per dire che mi sarebbe piaciuto tornare con un bel post sul tema della famiglia.  Analizzando tre film, ma visto che il terzo non son riuscito a vederlo, facciamo che ci accontentiamo di un dittico? Messo giù così: come viene, viene
Poco professionale, certo. Io sto dalla parte dei dilettanti allo sbaraglio. Sono sicuro che la Raggi potrebbe apprezzare il mio lavoro! (Sì, mi sto candidano per dirigere il prossimo festival di roma ^_^ )













TENGO FAMIGLIA!
Tutti prima o poi usiamo questa frase. Di solito quando vogliamo elegantemente sganciarci da una situazione che richiede coraggio.  In quel momento rammentarsi che il curioso animale domestico che rompe più della gatta, è la propria moglie, o che quel nano che rompe le palle manco fosse il MiniMe del Dr Evil, è nostro figlio, ci spinge con tono responsabile e serio ad evitare di perdere il posto o prendere botte da sbirri e fascisti.  i " Tengo famiglia" sono quelli che consegnano simulando un parziale malessere etico, la patria alle forze peggiori.
In ogni caso, per un motivo o per l'altro nessuno può far a meno di interrogarsi, confrontarsi, sostenere, attaccare, questo gruppo di gente che il caso ha messo insieme, che appunto è la famiglia.
 Luogo di crescita, dove impariamo le leggi morali, il come "star al mondo", le regole importanti, oppure carcere, incubo, causa dei nostri mali, insoddisfazioni. O qualcosa che non potremmo mai avere anche se la desideriamo, per tante ragioni.
 Fra tutte le istituzioni l'unica che resisterà nel tempo è proprio lei: the family.
Moderna o tradizionale, composta da persone dello stesso sesso o alla vecchia maniera, non importa.
Tutto parte, si evolve, matura, finisce, lì.
Il problema è che molti si avvicinano agli altri avendo delle parti di sé non risolte, una lunga esperienza di incapacità al dialogo, di chiusura in sé, nel proprio dolore o quanto meno mondo. Si fidanzano, sposano, mettono al mondo figli, perché "arrivati a una certa età". Alcuni sono genitori ma non hanno mai passato l'esame di figlio. Il genitore è un mestiere difficilissimo, incompreso da molti. Non è facile crescere un'altra vita, esser il punto di riferimento che loro useranno per confrontarsi con il resto del mondo Per cui tendiamo ad aver un atteggiamento giustificatorio: li ho cresciuti tutti allo stesso modo eppure lui, non importa che età avrà, sarà sempre il mio bambino. Due atteggiamenti assai comuni, no? Nel primo siamo convinti di aver trovato la formula magica. Va bene per due, andrà bene anche per il terzo. Sicché colpa sua se non comprende, anzi se fa esattamente altro. Ci stupiamo dei difetti dei nostri figli, come se fossero cose portate dagli alieni, non comprendiamo i nostri fratelli o le nostre sorelle, perché non vediamo in loro altre persone, ma membri di un clan, un gruppo, una cazzo d tribù che balla. Il secondo atteggiamento, quello del figliolo che è sempre bimbo, dietro a questo amore nasconde la totale sfiducia in un essere che ci stupiamo sia nostro figlio o nostra figlia
Certo tanto caro, cara, come appunto i bimbi/le bimbe. Possono commuoverci, possiamo amarli e andar fieri di essi, ma sono solo questo: dei bimbi incapaci di autonomia di pensiero e azione
Per cui interveniamo per dir a loro cosa devono fare, dire, pensare, ci pensiamo noi. Le cose che vanno bene a babbo, in particolar modo, e mamma , a rimorchio spesso, devono andar bene anche ai figli. Pure se ormai sono in zona andro/menopausa.
La famiglia è luogo di meraviglia e di grandi conflitti. C'è tutto e il suo contrario dentro di essa, non manca nulla. Perché è la somma di tanti rapporti umani, e oggi come sapete facciamo un po' pena in quel settore.  Una persona in crisi non può che dar vita a una coppia in crisi, la quale sarà la base di una famiglia disfunzionale.
E poi ci sono le altre, le tantissime che funzionano bene. Con alti e bassi, ma funzionano.
Il cinema, nella sua naturale funzione di grande narratore dell'esistente,  non poteva certamente evitare di metterle in scena tante volte. Sotto ogni punto di vista, senza censura o confini.
Oggi vi scrivo di queste.















Fai bei sogni è solo la fine del mondo.

Una certa sbornia collettiva ci ha spinti per anni a enfatizzare mestieranti e affini, sempre nel nome abusato del popolo. Tanti improvvisati, tra cui un giovane Spettatore Indisciplinato,  credevano di fare la rivoluzione incensando film  e registi che sono "traaaash2, " cazzo è roba degli anni 70", " e i radical chic li hanno sempre osteggiati ma guarda", tante adorabilissime cazzate. Alcuni con coraggio, fede, dedizione, le ripetono ancora oggi. Li ammiro, pur non essendo d'accordo con loro.
Io invece penso che esista davvero una divisione netta e profonda tra registi e Registi. Magari questi ultimi sono soffocati dalla produzione, devastati da un ego poco gestibile, incomprensibili e immobili sulle loro tre o quattro ossessioni. Eppure sono quelli che riconosci subito, quelli che fanno davvero la differenza. Perché prendendo storie già viste e sentite, mettono in scena qualcosa di personale, unico. Possono anche infastidire, non piacere, ma non sono da confondere con gli onesti lavoratori che mettono in scena storie impersonali, sono due cose diverse, giuste e necessarie, ma diverse
Per quanto mi riguarda,  a parte una lunga crisi populista durante i miei 20 anni, poi ho sempre amato l'Autore, pure quelli che molti reputano registi di genere perché magari passano la vita a girare polizieschi, horror, fantascienza, ma che in realtà usano il genere per dire altro.
Arrivando al punto ho amato moltissimo  E' solo la fine del mondo e Fai bei sogni, perché pur partendo da testi scritti da altri, sono opere personalissime e molto sentite.











 L'opera di Dolan mette in scena una commedia scritta da un autore molto importante in Francia e non molto conosciuto dai più, qui da noi :  Jean Luc Lagarce. Scrivo questo non perché io conosca benissimo l'autore, ci mancherebbe, ma per manifestare il mio amore verso il cinema-teatro, anche se con l'estro, la carica dirompente, di un autore che prima di tutto è uno straordinario inventore di immagini, come Dolan in effetti è, di teatro rimane poco o comunque filtrato e reinventato attraverso l'uso del mezzo cinematografico.
Come la maggior parte dei grandissimi film, anche questo ha una trama che si può dire in pochissime frasi. Non c'è nulla di originale, niente di nuovo, nessuna nuova tesi, ma c'è la forza impressa dal suo autore a un'idea che sente in modo particolare
Questo modo di far cinema mi piace. Si, ora tutti vogliono andar al cinema ed esser loro a decidere la direzione del film, arrivarci loro a comprendere la sua natura e il suo messaggio.  Questo è un modo di far cinema, ma ho un po' il sospetto che si scelga questa strada per mantenere le distanze, non lasciarsi andare, far finta di aver qualcosa di importante da fare, piuttosto che abbandonarsi al mondo di un altro e conoscerne regole, dolori, miserie, glorie. Un po' come quelli che sostengono quella cosa orribile che è il cinema "trattenuto", con la scusa che non sopportano i ricatti morali. In realtà hanno paura di commuoversi, soffrire, per cui l'anti retorica che dichiara pacchiane guerre, va bene. Li salva.
Dolan ha le idee chiare, e le mette in scena. Film dopo film, ci meraviglia o inganna con la potenza totalitaria e violenta delle immagini, ci lascia senza fiato di fronte a tanta bellezza, ma poi ci dona pensieri e riflessioni profondi, perché a mio avviso non è per nulla un autore formale e basta. Usa la forma per dar sostanza alle sue opere. Lo fa benissimo
In questa sua ultima opera abbiamo una famiglia che tenta di recitare una certa normale felicità, ma senza impegno alcuno. Ci sono i ricordi d'infanzia, la voglia di conoscere il fratello andato via quando si era troppo piccole per conoscerlo, c'è la madre che ostenta un'egoistica e chiassosa felicità, una cognata schiacciata dalla violenza di un marito rancoroso e infelice, e infine lui: il protagonista che torna sperando di riallacciare i rapporti, e come? Annunciando la propria morte.
Non andrà come aveva pensato e di questo ne siamo ben consci fin da subito. La riflessione che il film mi ha donato è questa: " Ma davvero pensiamo che i rapporti possano migliorare perché stiamo morendo?"
A mio avviso è proprio l'idea del giovane protagonista ad esser sbagliata. Un rapporto può nascere se gli altri sono disposti ad ascoltare, comprendere e noi nel tempo lo abbiamo tenuto vivo. Altrimenti riaffiorano antichi rancori, ruggini, malesseri, incomprensioni.
Quanta dolorosa verità in questi personaggi che si urlano contro, si insultano, vivono separati e in conflitto con i propri figli, fratelli, sorelle.  Per tutto il  film non vi è traccia alcuna di dialogo. Ognuno ha la propria canzone da cantare e procede, stonando, per quella strada
Dolan ci stupisce con le immagini, l'uso della musica pop più commerciale che diventa inno a una bellezza e serenità inventate o vissute, ma perse nel passato.  Però non si limita a questo: ci mostra una verità credibile. Non tutte le famiglie sono così, sia ben chiaro. Per alcuni soggetti è facile che vi siano rapporti poco sereni con la madre, ciò giustifica in parte le loro scelte sentimentali future, o certe ossessioni artistiche, ma non vuol  dire che non esistano famiglie felici. O che film  dedicate a loro siano falsi. La falsità su schermo è in cose come "Un Bacio", non certamente in opere che sono credibili e coerenti con un loro messaggio.
L'opera in questione ci colpisce nel profondo, proviamo pena per i personaggi, nessuno immune da feroci critiche a partire dalla madre fino ai figlioli e alla cognata troppo remissiva nei confronti dei parenti acquisiti e sopratutto del marito
Rimane alla fine la sensazione di una grande solitudine collettiva. Vissuta con inerzia, come se fosse normale, senza nessuna altra possibilità. Anzi, par proprio che la possibilità sia una mera illusione, un fallimento annunciato, ma proprio in virtù del fatto che non abbiamo mai cercato un dialogo vero, un rapporto sincero.
La fine del mondo, l'unica che davvero conosciamo, è proprio questa incomprensione, sentirsi sconosciuti  e stranieri nell'unico luogo dove vorremo esser compresi per quello che siamo, che di fatto ci costruisce il carattere e ci dona le regole per star al mondo: la famiglia.
E mentre scorrono i titoli di coda pensiamo alle nostre di famiglie e a quella che stiamo costruendo.
Come tutti i grandi autori, Dolan, ci offre una visione precisa delle cose, permettendo a noi di ragionare, farci male, emozionarci, sentirci vivi nel nome dell'arte e della vita su uno schermo. Specchio deforme delle nostre vite














Cosa può fare un grande maestro del cinema? Farci amare uno scrittore, forse giornalista che , se non ci fosse Fabio Volo, riterremmo il più pleonastico degli scrivani, questa frase è da dire con il tono di voce ed espressione mimica di un Jep Gambardella o di un Vincenzo De Luca.
Perché l'Autore piega a sé e alle sue tematiche il lavoro degli altri, sicché anche un mediocre riempitore di parole può brillare se gestito dalle mani sapienti di un grande artista
Ovviamente qui il grande artista è Marco Bellocchio.
Il film prende le origini da un libro di Massimo Gramellini:  Fai bei sogni, appunto.
Di cosa tratta l'opera letteraria e quella cinematografica? Della elaborazione di un lutto difficile da superare, di come la famiglia sia un luogo di menzogne, del trattamento disumano che colpisce i più piccoli e di come tutte queste cose, apprese e respirate tra le mura domestiche, ci facciano del male durante la crescita.
Ora, l'elemento di vero interesse è lo scontro/incontro tra il cinema rigoroso, spartano, carico di possanza simbolica e raggelante del maestro di Piacenza e la narrativa piena di luoghi comuni, immaginario collettivo e generazionale trito e ritrito, come se non fosse capitato nulla di più entusiasmante in Italia, durante il periodo dell'infanzia di Massimo, che non siano le sole trasmissioni televisive.  Un immaginario piacione che cerca l'approvazione immediata dettata da quel sentimento che spesso noi gestiamo male: la nostalgia. Parentesi: quelli di una certa età come Gramellini si accaniscono nel celebrare Canzonissima, noi lo facciamo con robe come i Goonies. La differenza è che i ragazzi di quel periodo poi hanno fatto politica, noi scriviamo post politici.
Ecco, dicevo, lo scontro tra due immaginari artistici così lontani è la cosa migliore dell'opera. Bellocchio mette in scena Gramellini, ne riconosciamo tutte le sue tematiche e istanze, ma le rende più alte, nobili, offre a loro un senso di epica tragedia quasi shakespeariana che manca del tutto all'originale. Gramellini invece umanizza, rende più accessibile e immediato in alcune sequenze, dialoghi, personaggi, la distanza aristocratica di Bellocchio
Questo funziona benissimo
  Seguiamo l'infanzia del piccolo Massimo costretto a confrontarsi con la perdita della madre, adultizzato nel dover superare o convivere con il trauma, non compreso come bambino smarrito di fronte a un dolore così grande, un piccolo estraneo per il padre, un bimbo che non deve sapere la verità per tutta la famiglia.
La parte migliore del film è proprio quella che affronta il tema del lutto visto dal punto di vista del bambino. Le sue esplosioni di rabbia, la sua tristezza, le preghiere a Belfagor. Raro vedere una simile attenzione alle dinamiche psicologiche dei più piccoli, così vere e credibili.
Crescendo, Massimo, diventa un giornalista, nondimeno è un uomo che ha grossi problemi di relazione con gli altri, ancora imprigionato a una verità costruita dal padre e dai parenti.
La famiglia sbaglia sempre quando pensa di "proteggere" inventando bugie. Il bene degli altri non passa mai attraverso l'inganno, la menzogna. Solo la verità, anche la più crudele, ci aiuta a crescere e a vivere.
 Bellocchio si mantiene a una giusta distanza, non cede alla retorica del ricatto morale, ma non è nemmeno impalpabile o  trattenuto. Avvertiamo la sofferenza di Massimo, ci indigniamo di fronte all'assenza/presenza di un padre incapace di esser padre , ci indigna l'atto di estremo egoismo della madre, proviamo compassione e vicinanza per il protagonista
Non cambio idea su  Gramellini come scrittore, ma dopo questo film non posso che provare compassione e tenerezza per l'uomo e il bambino che è , è stato.
Come nel film di Dolan, abbiamo anche qui un cast che funziona benissimo e che si presta a diventare voce che si fa carne ed ossa del proprio regista. Non è tanto Cassel o la Cottilard che fanno i loro personaggi, o Mastandrea  che ripete sé stesso, ma sono la pura rappresentazione di una idea di cinema. L'idea di due grandissimi autori.

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