Senza entrare nei particolari che ci hanno spinto ad accantonare Netflix per un po' di tempo, devo dire che il nostro ritorno è stato all'insegna di alcuni documentari tanto belli e importanti quanto durissimi da sostenere.
Avrei preferito visionare la terza stagione di "Crazy Ex Girlfriend" o qualcosa di più leggero e sbarazzino ma mi sono lasciato coinvolgere dai temi di questi tre imperdibili documentari: End Game, Extremis, Cristina.
La malattia e la morte sono argomenti tabù che ci terrorizzano e spiazzano. Facciamo di tutto per allontanarli da noi. Oppure ne parliamo con un certo distacco, come se non ci interessasse essere vivi o morti. Entrambi questi metodi li vedo come una difesa. Una comprensibile e umanissima difesa.
Questi tre corti (il più lungo dura 45 minuti mi pare e il più corto 24 minuti) possono dar molto fastidio e già li vedo quelli che parleranno di pornografia del dolore, strumentalizzazione di incapaci e altre idiozie in libertà.
Noi non vogliamo vedere. Noi non abbiamo orecchie per sentire. Perché la malattia significa un oltraggio ignobile e squallido contro il nostro corpo e la nostra autonomia. La malattia deforma la presenza fisica dei nostri amati. Il padre che da piccoli ci sosteneva e vedevamo come un gigante, la donna che col suo amore ci ha cambiato la vita, il figlio tanto amato e voluto, di colpo cessano di esistere.
End Game ed Extremis ci portano in ospedale, nel reparto dei malati terminali. Seguono la storia di qualche paziente, spesso donne, che lottano una battaglia persa contro la morte. Tuttavia non è la malattia o la morte che mi colpiscono profondamente e mi commuovono. Non sono queste due stazioni terribili e terrificanti, che compongono il nostro viaggio in questo mondo.
È l'amore che mi colpisce e mi commuove. Il marito che osserva la moglie in fin di vita tenendola per mano, la madre che racconta alla figlia quanto le piacesse una certa pietanza, i dottori e infermieri che mantengono quel briciolo di umanità che impedisce a loro di veder solo dei corpi destinati a spegnersi.
Siamo esseri umani e viventi fino all'ultimo respiro. Per questo trovo che una delle cose più belle di Extremis siano i dialoghi tra dottori e infermieri. Non è facile dire quale possa essere la cura migliore per affrontare un momento delicato e senza speranza, anzi è proprio sul discorso se continuare o meno le cure, cercare soluzioni diverse, che punta molto anche l'altro documentario: "End Game".
In questo documentario si vede un giovane dottore (rimasto privo di gambe e il braccio destro mi pare) che gestisce un ospizio per malati terminali. Si parla di cura palliativa, si mostra un altro modo di affrontare una situazione che non possiamo cambiare.
C'è tanto dolore e tristezza in questi documentari, forse per alcuni la visione potrà essere particolarmente difficile. Tuttavia, ripeto, è la presenza fino all'ultimo di un famigliare, di qualcuno che ti ha amato a rendere meno amaro l'addio.
Io ho paura di morire da solo, di ritrovarmi in un letto senza nemmeno lo straccio di un amico. Perché vorrebbe dire che ho fallito tutto nella vita. Mi correggo e preciso: sarebbe un fallimento per me perché le relazioni sono fondamentali dal mio punto di vista. Uno magari potrebbe anche fregarsene delle persone e puntare al danaro.
Solo che i soldi non ti terranno mai la mano come una persona che ti ha amato. Lasciare il mondo pensando che molti mi ricorderanno, che strapperò brandelli di vita nei loro ricordi e pensieri, mi fa sentire meglio.
Non voglio nemmeno ingannarvi e perciò vi dico subito che questi due documentari sono abbastanza tosti. Decidete voi se vederli o no.
CRISTINA è la storia di una donna (una persona di successo che lavora nell'ambiente cinematografico) e della sua battaglia contro la malattia. La vediamo scherzare, vivere i suoi giorni, crollare, aver paura. Il corto alterna immagini della donna verso la fine dei suoi giorni con riprese della sua vita prima della malattia. Conosciamo il marito, i figli, le colleghe di lavoro che non smettono mai di andarla a trovare.
Nessuno muore da eroe. Nessuno. Anzi io credo proprio che il coraggio e l'eroismo siano la causa di tante stronzate. Perché temiamo di spaventare gli altri, di essere di peso o che dobbiamo aiutarli a prepararsi al peggio negando il peggio.
La paura è una cosa normale, il pianto è naturale. Come possiamo vivere con eroismo la nostra fine? Sappiamo che stiamo perdendo le persone che amiamo di più. Come cresceranno i nostri figli? Che sarà di mia moglie o mio marito una volta che non ci sarò più?
Dobbiamo abbandonarci al dolore e al terrore. Mostrarci fragili in un mondo che da noi pretende di vederci sempre operativi e fiduciosi.
Cristina è sopratutto una bellissima storia d'amore. Una storia normale, come tante. Questo è il filo invisibile che hanno in comune tutti e tre i corti. Nessuno muore solo. C'è sempre qualcuno ad accompagnarci fino alla fine.
Ecco è questo trionfo della vita sopra la morte, anche nel momento stesso del decesso, che mi fa tanto amare questi tre bellissimi corti.
Sono tre lavori che puntano a renderci empatici colle loro protagoniste. Mi stupisco di come (in questi tempi) sia facile chiudersi a riccio e lasciare fuori dal nostro cuore gli altri. Non riconoscere il dolore altrui o abbandonarsi a vigliaccherie finto rispettose della serie " se non hai provato sulla tua pelle questa cosa allora sei ipocrita e parli a cazzo". Tutto passa e parte dal linguaggio. Quando accettiamo che l'altro non sia nulla e non ci vergogniamo della nostra distanza con esso, tutto diventa possibile. Questi tre cortometraggi puntano invece a farci partecipare emotivamente. Ci mostrano persone che non abbiamo conosciuto, ci mostra un mondo lontano, potremmo ignorarli... Perché no?
Perché non siamo isole, perché possiamo comprendere e capire il dolore degli altri o le loro gioie anche se non ci appartengono, non ci vedono protagonisti.
Perché, molto banalmente, abbiamo la capacità di provare sentimenti cristallini, limpidi, di empatia e vicinanza. I deboli puntano su altro: cinismo, rancore, egoismo. Vivono una vita inutile e vuota.
Noi invece che proviamo vicinanza e amore per il prossimo non ci vergogniamo di piangere o dire anche una preghiera per gente sconosciuta, vista in tre documentari.
Sappiamo che alcuni passaggi sono durissimi e inaccettabili sotto molti punti di vista, In quelle persone non vediamo sconosciuti ma esseri umani che sono stati amati da qualcuno. Vediamo persone che sono costrette a dir addio a una moglie, una figlia, una persona amica.
In quel momento ci sentiamo tutti uniti.
Ed è questa per me la magia del cinema e la meraviglia della vita: sentirci uniti anche se non ci conosciamo.
Ps: certo Netflix è il principale problema del mondo e dell'industria dello spettacolo. Detto questo capita di trovar delle cose anche molto belle. Come in questo caso.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento