mercoledì 26 settembre 2018

UN AFFARE DI FAMGILIA di H. KORE-EDA

Cosa è una famiglia? Da chi è composta? Cosa ci rende padri e madri o fratelli e sorelle? Il fatto di aver messo al mondo un figlio, ci rende automaticamente genitore? Queste domande compaiono spesso nei film di Kore-eda. Il regista nipponico, infatti, ha da sempre sviluppato un profondo interesse per la famiglia, la sua composizione e le difficoltà che essa vive all'interno della nostra società. I suoi protagonisti non sono eroi, le sue famiglie non sono quasi mai perfette, eppure (pur non nascondendo i limiti e i difetti dei suoi personaggi) c'è sempre tanta empatia nella descrizione di vite spesso difficili o quasi mai risolte.
L'ultima sua opera (vincitrice della Palma d''oro nell'ultima edizione di Cannes) rispecchia in pieno lo stile e le tematiche classiche dell'autore giapponese. Protagonista una coppia sotto proletaria che campa di lavoretti e furti. Costoro nel tempo hanno creato un nucleo famigliare non legato dal sangue, ma dal destino che li ha fatti incontrare, creando con le altre persone una vera e propria comunità, una famiglia particolare che copia le dinamiche e la costruzione di una tradizionale. Un giorno nella loro vita entra una bambina piccola. La bimba è figlia di una coppia di scellerati. Persone che continuano a litigare tra di loro e maltrattano fisicamente la loro figliola. Per questo motivo la coppia di ladri decide di "adottarla" e farla crescere nel loro sgangherato ma affettuoso ambiente famigliare..
Vagamente questa è la trama del film. Il resto vi consiglio di scoprirlo andando al cinema perché le opere di Kore'eda meritano di essere viste al cinema. Non tanto perché vi siano azioni spettacolari, o per via di un uso della macchina da presa virtuosistico, ma per il semplice fatto che un tipo di cinema così sinceramente "umano", così rigorosamente empatico, va difeso ad oltranza.
Sopratutto è molto interessante il modo in cui il regista descrive questo nucleo famigliare"alternativo". Uno facendoci capire che non esiste nessuna alternativa, nessuna famiglia diversa o particolare, alla fine qualsiasi tipo di composizione abbia si ricalca fedelmente le dinamiche ed istanze di quella tradizionale. Perché le gioie e i dolori, le esigenze di confronto e distacco, l'affettuosità e la stanchezza, sono identiche per tutte le famiglie.  Per cui questi uomini e donne imperfetti/e che campano di lavori moralmente poco piacevoli ( vedi la ragazza che si masturba vestita da scolaretta per dei pervertiti che stanno dietro a uno specchio) di furti o ricatti, sono capace di amare e comprendere la sofferenza altrui. Mentre la coppia "borghese", inserita nella società, i veri genitori della bambina, non hanno remore a dar sfogo alla violenza per liberarsi delle loro frustrazioni quotidiane. Giudicare da un punto di vista legale,  in qualche caso, è assolutamente sbagliato. Perché le persone non agiscono secondo leggi scientifiche, matematiche, ma con l'istinto del momento, attraverso i loro valori e ideali, lasciandosi trasportare dal caos dei sentimenti. Per questo il film ti sbatte in faccia un dubbio, che poi è un finto dubbio: a chi affideresti la bambina? A persone che le giudichi da un punto di vista borghese le condanneresti a cinque mila anni più le spese? O a una famiglia naturale, classica, tradizionale, in regola per la legge, ma assolutamente disfunzionale per quanto riguarda tutto il resto?
Sono opere come queste che io giudico importanti e fondamentali. Quei film che ci spingono a farci domande, a riflettere su temi seri,  che danno spazio alla riflessione civile, sociale, etica, da parte dello spettatore.
Non perché sia lasciato spazio al pubblico di "arrivarci da solo". Per fortuna questa enorme cazzata viene snobbata, ma mostrandoti una storia, gli effetti che le scelte dei protagonisti hanno sulla loro vita, le responsabilità enormi che si sono presi, la messinscena dei loro difetti e vigliaccherie, alla fine sei costretto a domandarti che faresti in quel contesto. Ti vedi rappresentato da loro o dai poliziotti? Sei sempre convinto che per essere padri e madri si debba esserlo dal lato biologico soltanto o che padri e madri siano quelle persone che si occupano di un figliolo? Attraverso l'educazione, certo, ma sopratutto amandolo, insegnando a lui l'importanza dell'affettuosità fisica e "spirituale", facendolo sentire amato e benvoluto?
Io sostengo questa linea. Il mondo è pieno di pessimi padri e pessime madri che vedono i figli come loro oggetti. Peggio come una sorta di continuazione dei loro progetti. Il figlio non è una persona, ma l'immagine di me stesso che ora può soddisfare le proprie esigenze e sogni. Così costringono i figli a studiare materie che per loro sono importanti, che decidono le amicizie, sempre con la scusa squallida di "averti dato la vita". Ecco costoro non sono genitori, ma piccoli e frustrati dittatori. Impediscono la crescita e l'autonomia della loro figliola o figlio che sia. Questo è un caso, ce ne sono tantissimi altri. Io credo che un figlio appartenga a chi li sappia educare, li ami, li sostenga per quello che sono: persone.
Il film è essenziale e ben bilanciato. Non trattiene nulla, ma non eccede nemmeno nel voler insistere su certe cose. Mostra in modo chiaro e limpido quello che succede all'interno/esterno dei personaggi. Attraverso di loro si critica la società giapponese, si suggerisce una possibile utopia ben presto spezzata dalle regole e dalla vita. Sopratutto non si enfatizzano i protagonisti. Essi compiono anche cose riprovevoli, vivono crisi dilanianti, eppure c'è della bontà in loro.
Che aggiungere? Di nuovo un bellissimo film da parte di questo immenso e straordinario autore.

Ps: Sì, pirlettta caro, ho visto anche tutti i film di Ozu.

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