venerdì 28 settembre 2018

LABOR DAY- UN GIORNO COME TANTI di J. REITMAN

1987. Henry è un ragazzino di tredici anni che si prende cura della propria madre. Adele, questo il nome della donna, è depressa per colpa della fine del suo matrimonio e soffre di agorafobia, per questo vive pressoché reclusa in casa. Il ragazzino ama tantissimo la sua mamma e cerca in ogni modo di rendersi utile, ma la situazione non è per nulla idilliaca.
Un giorno, il giovedì che precede il week end del Labor Day,  Henry costringe la madre ad andar a far la spesa nel supermercato del loro paese. Qui incontrano un uomo, ferito, che chiede a loro ospitalità per qualche tempo. Egli è un evaso .
La donna per paura che costui possa far del loro del male, sopratutto al suo figliolo, accetta malvolentieri di dar rifugio al delinquente.
Sarà un lungo week end dove capiteranno cose inaspettate.
Prima di tutto, una mia piccola digressione: date un Oscar al giorno a Kate Winslet! Fareste solo del bene al cinema. La totale dedizione che mette ogni volta nella rappresentazione dei personaggi è qualcosa di straordinario. Anche perché risulta sempre vera, credibile, non ci si ferma quasi mai a dire" Ecco Kate che fa.." ma riesce a farti amare il personaggio di quel film.
Ok, ora parliamo del film. Per me un'opera riuscitissima.
Il merito è da dividere tra regia, sceneggiatura e cast.  Infatti in questo film tutti recitano bene, a partire dai protagonisti.
Menzione speciale a Josh Brolin, il suo Frank è un personaggio pieno di chiaroscuri, un uomo che all'inizio quasi si teme non sapendo nulla di lui, ma che piano piano porta alla luce una certa bontà spiccia e proletaria, ma che ci lascia capire quanto non sia affatto cattivo.
Infatti se a scatola chiusa si pensasse di veder un classico film con degli innocenti tenuti in ostaggio di un criminale, questa certezza crollerebbe quasi subito.
E qui entrano in gioco i pregi della sceneggiatura e della regia.
Reitman punta sui dettagli, i piccoli particolari e ci guida- prendendo tutto il tempo necessario per farci amare questi personaggi- alla nascita di un nucleo famigliare.
Un possibile nucleo famigliare, la dolce certezza che la felicità sia a portata di mano.
Per cui si parte pensando di assistere a un dramma famigliare, a un film di genere già visto diverse volte e si finisce con l'assistere alla rinascita dei personaggi.
Frank costringendo Henry ed Adele a comportarsi come una vera famiglia, per non destare sospetti ma sopratutto per passare il tempo e rendersi utile, costruisce un solido legame con entrambi. Il ragazzino è nell'età delle insicurezze, un'età in cui è fondamentale una figura paterna che gli dia sicurezza, lo faccia sentire in  grado di gestire la vita. In  poche parole: un padre. Il loro rapporto è descritto benissimo. Attraverso piccole cose pratiche, poche parole dell'adulto che non critica mai il ragazzino ma lo incoraggia a superare le paure. Ah, quanto ho amato il personaggio di Frank!
Per la donna è invece la riscoperta della vita. Tutto qui. Capire che il dolore non è eterno, non dura per sempre. Comprendere che dopo la caduta vi è per forza la risalita.
C'è solo un piccolo particolare (non da poco) l'uomo è un evaso.
Attraverso dei flashback vediamo la sua storia, cosa l'ha spinto all'omicidio, e parallelamente veniamo alla conoscenza del dolore profondo che ha portato alla fine del matrimonio di Adele. Questi fatti ci spingono a voler per loro un lieto fine.
Anche in questo caso, come in "Un affare di famiglia" di Kore-eda, troviamo il tema della famiglia e della legalità. Perché per quanto Henry ed Adele arrivino ad amare Frank, ricambiati dall'uomo, egli è un evaso e la società vorrebbe nelle migliori delle ipotesi rispedirlo in galera, nelle peggiori ammazzarlo. Non rimane a loro che fuggire lontano, pretendere dalla vita la felicità che meritano.
Per molti il fatto che un film suggerisca la possibilità di una felicità ritrovata, non va proprio giù. Non tanto perché, come me, sono amanti del melodramma. No, perché costoro vedono la gioia, la felicità, come cose estranee alla loro vita e quindi anche a quella degli altri.
Per questo parlano di film consolatori, ricatti morali, buonismo. Costa fatica e durissimo lavoro ammettere che le cose possano anche andar abbastanza bene. Vedi le polemiche per il finale di "Carol", in cui era per molti impensabili che l'amore di due lesbiche non finisse in tragedia.
A volte ci scordiamo che essere consolati non sia una cosa brutta, ma un atto di gentilezza e generosità nei nostri confronti. A volte dimentichiamo che, pur non come ce lo siamo immaginato, non tutto è destinato ad andare male per sempre.
Per questo ringrazio questi film. Consolatori, buonisti? No, a loro modo veri e sinceri.

Nessun commento: